Giotto
Giotto: la sua opera
Come testimoniano numerose fonti letterarie, Giotto conobbe una vastissima fama anche tra i sui contemporanei, tanto da essere spesso considerato l’artista che meglio rappresenta l’intero Medioevo.
La sua produzione pittorica interrompe bruscamente il lineare percorso della tradizione, per approdare a risultati rivoluzionari, che in vari modi anticipano i valori formali ed ideali del Rinascimento.
I personaggi delle storie sacre hanno ora solidi corpi, abbondantemente ombreggiati, esprimono sentimenti umani e si muovono all’interno di spazi reali, costruiti prospetticamente con architetture moderne.
È facile immaginare l’impressione suscitata dal linguaggio giottesco tra i contemporanei. I suoi modi furono più o meno fedelmente imitati da un’innumerevole stuolo di pittori e frescanti, specie in quei luoghi dove Giotto aveva soggiornato personalmente ed una sua opera continuava a suscitare profonde emozioni.
La vita di Giotto
Nato a Vespignano, nei pressi di Vicchio di Mugello nel 1267, Giotto di Bondone imparò l’arte della pittura a Firenze, probabilmente nell’ambito della bottega di Cimabue, secondo quanto indicato dagli antichi storiografi Lorenzo Ghiberti e Giorgio Vasari. Le prime opere eseguite dal giovane pittore a Firenze, intorno al 1290, sembrano essere il frammento di una Madonna con Bambino ritrovata nell’oratorio di San Omobono nei pressi di Vicchio di Mugello, ora nella pieve del paese, e il Crocifisso della chiesa di Santa Maria Novella a Firenze, opera che rinnova profondamente la tipologia delle croci dipinte. Le Storie di san Francesco affrescate nella navata della basilica superiore di Assisi nel corso dell’ultimo decennio del XIII secolo sono considerate la testimonianza più' importante della sua attività giovanile, mentre soltanto una parte della critica riconosce la mano di Giotto nelle soprastanti storie del Vecchio e del Nuovo Testamento dipinte. nella terza e nella quarta campata. Alcune scene del ciclo di san Francesco compaiono quasi identiche nella tavola raffigurante le Stigmate di san Francesco (Parigi, Louvre), proveniente dalla chiesa di San Francesco a Pisa e firmata "Opus Iocti Florentini".
Nel 1300 l'artista è chiamato da papa Bonifacio VIII a Roma in occasione del giubileo a dipingere la Loggia delle Benedizioni in San Giovanni in Laterano. Il pittore tornò più volte a lavorare nella città santa eseguendo fra le altre cose un grande mosaico con gli Apostoli nella tempesta salvati da Cristo nell’antica Basilica di San Pietro in Vaticano del quale rimangono oggi due frammenti. Ai primi del Trecento Giotto è ormai un artista ricco e affermato e dirige a Firenze una grande bottega, con il cui aiuto realizzò alcuni anni più tardi una grande pala d’altare dipinta su ambo i lati destinata all’altar maggiore di San Pietro a Roma, oggi conservata nella Pinacoteca Vaticana.
Dopo aver soggiornato per qualche tempo a Firenze, momento al quale risale l’esecuzione il Polittico di Badia (Firenze, Uffizi) e la Madonna in trono per la chiesa di San Giorgio alla Costa, Giotto si recò a Rimini, dove nella chiesa di San Francesco rimane ancora oggi un bellissimo Crocifisso. L’attività del maestro nella città adriatica fu fondamentale per lo sviluppo di una importante scuola pittorica locale che fiorì nella prima metà del Trecento. Da Rimini il maestro fiorentino si trasferì a Padova, dove fra il 1303 e il 1305 eseguì gli affreschi della cappella Scrovegni, ritenuti il suo capolavoro e una delle opere capitali della pittura gotica europea.
Nel 1311 Giotto è di nuovo a Firenze; a questo periodo risale probabilmente un altro capolavoro del maestro, la grande Madonna in Maestà per la chiesa di Ognissanti, oggi agli Uffizi. Nel corso del secondo decennio l’artista si recò nuovamente ad Assisi dove, nella basilica inferiore, eseguì gli affreschi della Cappella della Maddalena e quelli del transetto, in buona parte eseguiti dai suoi collaboratori. I lavori assisiati si alternarono con prolungati rientri a Firenze durante i quali Giotto affrescò prima le Storie di san Giovanni Battista e di san Giovanni Evangelista nella cappella Peruzzi in Santa Croce a Firenze, e poi la adiacente cappella Bardi, dedicata a san Francesco. Dal 1328 al 1333 il maestro fiorentino lavora con numerosi collaboratori a Napoli, al servizio del re Roberto d'Angiò, per il quale decora alcuni ambienti del Palazzo Reale con affreschi andati purtroppo perduti. Di poco successivi dovrebbero essere il polittico firmato della Pinacoteca di Bologna (solo in parte autografo) e il Polittico Baroncelli in Santa Croce a Firenze, probabilmente realizzato in buona parte da Taddeo Gaddi al quale venne affidata l’affrescatura delle pareti della cappella. Nel 1334, nominato capomastro dell'opera del duomo di Firenze, Giotto fonda il campanile, poi continuato dallo scultore Andrea Pisano. Nel 1335 è chiamato a Milano, dove esegue opere oggi scomparse nel palazzo di Azzone Visconti. Rientrato a Firenze Giotto avviò la decorazione della cappella nel Palazzo del Bargello a Firenze, ultimata dalla bottega dell’artista, morto nel 1337.
Le prime opere e l'impresa assisiate
La ricostruzione delle origini del percorso stilistico di Giotto passa attraverso alcune tavole che il maestro dovette eseguire proprio intorno all’ultimo decennio del secolo, più o meno contemporaneamente quindi agli affreschi del ciclo francescano di Assisi.
Qui la rivoluzionaria portata del suo linguaggio pittorico appare già evidente.
Allievo di Cimabue, come riporta la tradizione, seguì probabilmente il maestro a Roma, dove conobbe la lezione classicista di Arnolfo di Cambio e Cavallini.
Tali contatti lo stimolarono probabilmente al superamento definitivo della tradizione bizantina e condussero fino all’affermazione di un linguaggio occidentale, che cercava le sue radici nel mondo latino e si proponeva di esprimere i contenuti della cultura contemporanea.
Rinunciando a qualsiasi residuo simbolico ed astratto, Giotto mette in scena azioni concrete, ambientate all’interno di spazi reali, delimitati da architetture del suo tempo ed articolati in profondità.
Il pittore volutamente ignora le sigle convenzionali della tradizione bizantina, che ricercavano effetti di manierata eleganza: nel Crocifisso di Santa Maria Novella Cristo ha un corpo tozzo, da contadino, cui la morte conferisce un’ "umana" pesantezza, che caratterizza anche la Madonna della Maestà di Ognissanti, lontana anni luce dalle spirituali e ieratiche icone della tradizione precedente.
Così nel ciclo assisiate la figura di San Francesco non appare più avvolta entro un alone leggendario, ma viene definita storicamente e calata all’interno della realtà contemporanea
Egli diviene in questo modo un esempio di dignità morale per tutti coloro che avvicinino gli affreschi.
La cappella degli Scrovegni a Padova e i suoi influssi nell'area padana
Gli affreschi che ornano l’aula della cappella degli Scrovegni rappresentano, oltre che un capitolo fondamentale della vicenda artistica di Giotto, anche l’opera più largamente autografa del pittore.
Questi fu richiamato a Padova da Enrico Scrovegni, potente e facoltoso personaggio, che ai primi del Trecento aveva fatto costruire una cappella privata, dedicata alla Madonna della Carità, per espiare i peccati del padre, ricordato anche da Dante nell’Inferno accanto ad alcuni usurati fiorentini.
La decorazione cui pose mano copre interamente il piccolo edificio, sviluppando un complesso programma iconografico, centrato intorno alle Storie della Vergine e di Cristo, la cui fonte è stata riconosciuta nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze e negli scritti apocrifi del Protovangelo di Giacomo e del Vangelo dello pseudo-Matteo.
La sequenza narrativa degli affreschi si sviluppa su tre registri sovrapposti, entro fasce dipinte con medaglioni di santi e profeti, mentre inferiormente corre uno zoccolo con riquadri di finto marmo alternati a figure allegoriche di Vizi e Virtù, realizzate a monocromo.
La controfacciata appare invece interamente decorata dalla scena del Giudizio Universale, dove compare anche il ritratto del committente, che offre il modellino della chiesa alla Vergine.
Se confrontato agli affreschi di Assisi, il ciclo padovano permette di misurare la netta evoluzione compiuta dal pittore in un breve arco di tempo: gli impianti compositivi sono qui definiti con maggiore sicurezza, il modellato si fa più morbido, mentre gli accordi cromatici, giocati su tonalità calde, diventano più armoniosi. La narrazione assume un tono maestoso e solenne, grazie agli atteggiamenti composti dei protagonisti della storia sacra.
La straordinaria sicurezza con cui Giotto domina le ricerche spaziali si rivela nelle nicchie senza figure dell’arco trionfale, detti "coretti" o "cappelle segrete", dove il pittore finge, con maestria illusionistica, due vani coperti da una volta a crociera.
Come negli altri territori dove aveva soggiornato, anche in Veneto le innovazioni introdotte da Giotto influirono profondamente sulla produzione pittorica successiva.
Pur contrastate dalla tradizione bizantina di Venezia, a questa spesso si combinano originando un filone locale, particolarmente felice nell’accurata descrizione della realtà naturale.
La cappella Peruzzi e la cappella Bardi in Santa Croce a Firenze
Delle quattro cappelle che, come sappiamo dalle fonti, Giotto affrescò in Santa Croce, tra il 1315 e il 1325, rimangono oggi solo la cappella Peruzzi, con Storie di San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista, e quella Bardi, con episodi della Vita di San Francesco.
In questi affreschi il pittore approfondisce e conclude la sua ricerca pittorica, semplificando gli sfondi architettonici nella cappella Bardi, dove la figura umana diviene protagonista dell’immagine e definisce lo spazio, oppure adattandoli con grande sicurezza all’ambiente che decorano: le anguste dimensioni della cappella Peruzzi, che impedivano all’osservatore una visione frontale d’insieme, inducono Giotto a disporre in tralice le architetture, privilegiando una lettura dal limitare della cappella stessa, e a nascondere dietro le cornici superiori la sommità degli edifici, al fine di dilatare illusionisticamente i riquadri in altezza.
Se gli interessi di Giotto si volgono sempre più verso l’architettura, guadagnandogli l’incarico dell’Opera del Duomo per il campanile, è soprattutto il suo linguaggio pittorico che esercita una forte influenza nel panorama fiorentino.
Nella sua bottega lavoravano artisti che, anche dopo la sua morte, ne continuano l’indirizzo figurativo, ognuno secondo il proprio temperamento, a volte fino a scadere nell’accademismo, altre fraintendendo l’originario messaggio.
La fortuna di questi indirizzi pittorici viene confermata dalla decorazione della chiesa francescana di Santa Croce, dove Giotto aveva lasciato i suoi ultimi capolavori e dove lavorarono i suoi allievi e seguaci, per conto della ricca borghesia fiorentina.