Dopo la Fenomenologia, Hegel diede una esposizione sistematica della propria concezione nella Logica. La logica è per Hegel la scienza della ragione: ma della ragione intesa nel senso stabilito dalla Fenomenologia, cioè come identica con la stessa realtà (la ragione "sa di essere tutta la realtà"); perciò costituisce una dottrina del tutto diversa da quella tradizionale: è "scienza delle cose date in pensieri", cioè metafisica.
Nella Logica Hegel vede realizzarsi quell’ideale del sapere preparato dalla dialettica fenomenologica, in cui non c’è più spazio per l’opinare, in quanto l’Io e le cose si identificano perché le figure dello spirito assoluto, con cui si giunge alla coscienza del sapere assoluto, non sono più legate soggettivamente a un pensare individuale ma rappresentano un sapere comune nel quale non si può più distinguere individuale e universale, soggettivo e oggettivo.
Perciò anche la Logica ha bisogno di un movimento di sviluppo concettuale che non ha più le caratteristiche dell’opinare fenomenologico ma implica un costituirsi interno al sapere.
Nella Introduzione alla Logica, Hegel prende posizione contro le filosofie che, in diversa forma, hanno nei confronti della realtà un atteggiamento "ingenuo", cioè prendono la realtà come qualcosa di a sé stante, distinto dalla ragione e ad essa opposto; a tali filosofie Hegel contrappone che l'unica realtà è per il pensiero quella che esso stesso riconosce e costruisce e che quindi si identifica col pensiero stesso.
In altri termini, la logica di Hegel tratta non delle forme della ragione umana, bensì degli aspetti e dei rapporti razionali (o, com'egli dice, categorie) che sono presenti nella realtà; perciò egli la oppone come "logica del concreto" (la realtà nel suo effettivo sviluppo) alla "logica dell'astratto" (i concetti presenti solo nella mente), che è per lui quella aristotelica, e ne respinge in particolare il principio "astratto" di non contraddizione.
"E uno dei pregiudizi fondamentali della vecchia logica e dell'ordinaria rappresentazione - sostiene Hegel - che la contraddizione non sia una determinazione altrettanto essenziale ed immanente quanto l'identità. (Ma) ... l'identità non è che la determinazione del semplice immediato, del morto essere; la contraddizione invece è la radice di ogni movimento e vitalità; qualcosa si muove, ha un istinto e un'attività, solo in quanto ha in se stesso una contraddizione."
In questa prospettiva, la logica hegeliana prende le mosse dall'idea di essere, che è la più generale e comprensiva; essa è però, in quanto cominciamento del pensiero, anche la più indeterminata. Ma il divenire iniziale rappresenta un primo singolare elemento speculativo perché Hegel considera di fatto l'essere e il nulla, con i quali si apre la trattazione, non i momenti di un’antitesi dialettica che deve togliersi nella sintesi del terzo momento dialettico come divenire, quanto piuttosto la miglior esemplificazione della differenza tra il pensiero che è ancora opinione - e perciò passibile di un'indeterminazione tale da restare sospeso tra l’esser vuoto e il nulla - e il pensiero che invece è movimento interno al sapere e che perciò è divenire qualcosa di determinato.
Dunque il divenire non è la sintesi di essere e nulla ma la differenza propria tra l’elemento logico speculativo e la dialettica dell'opinare. Con questa dinamica logico speculativa si giunge quindi all'idea di essere determinato, quale soggetto dello stesso divenire; ed esso è determinato in quanto ha una qualità, una quantità e una misura (quantità della qualità).
Alla logica dell'essere succede così la logica dell'essenza, ossia dell'essere qualificato, di cui stabilisce come determinazioni fondamentali le categorie kantiane della relazione. Come riflessione sulla cosa (o della cosa) nasce infine la logica del concetto, ossia dell'essere in sé riflesso e consapevole che è il pensiero, di cui sono forme e procedimenti fondamentali il giudizio, che stabilisce il rapporto tra i concetti, e il sillogismo, che stabilisce le loro relazioni di dipendenza, cioè di inserimento del singolare nell'universale.
Nella forma data ad esso da Aristotele, tuttavia, il sillogismo secondo Hegel è puramente formale, perché non segue il movimento dialettico che, a suo giudizio, esiste nella realtà.
L'identità finale tra questo movimento e il pensiero costituisce l'Idea, che è il culmine della ragione. L’idea è la totalità del reale nella sua intelligibilità speculativa. Essa rappresenta la sintesi dei due momenti preparatori della logica del concetto, vale a dire la soggettività del pensare (concetto, giudizio e sillogismo come forme dell’attività pensante del soggetto) e l’oggettività identificata da Hegel nella forma dei tre livelli della natura: meccanicismo, chimismo e teleologia.
Attraverso un laborioso processo dialettico (di cui abbiamo ricordato solo i passaggi basilari) Hegel ritrova via via nella ragione le categorie o strutture della realtà in tutti i suoi aspetti; con ciò stesso egli dimostra l'identità del reale col razionale, e conseguentemente che la vera filosofia coincide con l'idealismo.
Così l’idea può assurgere ambiziosamente a identificarsi con il Logos, cioè con Dio prima della creazione. Questo conduce a riflettere sul valore del sistema hegeliano, mettendo in luce come nelle sue ambizioni voglia essere un sistema di relazioni evidenti e trasparenti perfettamente scientifiche, nell'accezione cartesiana di scienza intesa come evidenza razionale.
Nella Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio Hegel presentò il proprio sistema filosofico nella forma definitiva, diviso in logica, filosofia della natura e filosofia dello spirito, secondo l'articolazione peraltro già fissata nel "sistema" di Jena.
Con tale tripartizione, Hegel intende riprodurre il ritmo di sviluppo (Logico, non cronologico) dell'assoluto, per cui, come s'è visto, il primo momento è quello della ragione "in sé" (o Idea, o, come anche la presenta Hegel, "Dio prima della creazione e dell'esistenza di uno spirito finito"), nel secondo momento essa si "aliena", cioè si fa "altra da sé", esteriorizzandosi nella natura, infine (terzo momento), ritorna a sé in forma autocosciente e si fa spirito.
E' evidente in questa triade dialettica un richiamo a schemi neoplatonici quali si ritrovano specialmente in Proclo.
La logica riprende le dottrine dell'opera maggiore; la filosofia della natura tenta di inquadrare i fenomeni della natura nelle categorie (o strutture fondamentali) della meccanica, della fisica e dell' organica, le quali, secondo Hegel, riflettono nella natura il ritmo di sviluppo dell'assoluto (cioè i tre momenti dell'essere, dell'essenza e del concetto).
In questa tripartizione, Hegel di fatto tenta di organizzare i risultati del sapere scientifico a lui noto; ma in linea di principio pretende di determinare le forme e le leggi della natura "dialetticamente", senza alcun ricorso all'esperienza, perché questa non dà alcun sapere necessario ("Se la fisica dovesse fondarsi sulle percezioni, ... i procedimenti della fisica consisterebbero nel vedere, ascoltare, fiutare, ecc., e anche gli animali in questo modo sarebbero dei fisici").
La filosofia della natura è stata considerata perciò la parte meno felice del sistema hegeliano.
In essa, in effetti, si sono visti limiti non solo dal punto di vista della scienza (contemporanea), ma anche della stessa concezione filosofica di Hegel, soprattutto perché egli vi afferma "che la natura è dominata dall'accidentale" (cioè dall'irrazionale), e ciò è sembrato in contrasto,con l'assunto che "tutto ciò che è reale è razionale".
(In alcuni interventi polemici, Hegel ebbe, modo di spiegare che razionale non è per lui ogni fatto particolare, ma lo sviluppo essenziale della realtà).
Essa è comunque una parte essenziale del sistema, anche perché dal mondo organico sorge la sensibilità e prende avvio la vicenda dello spirito, oggetto della filosofia dello spirito. "La natura è in sé un tutto vivente: (attraverso di essa) ... l'idea, dalla sua :immediatezza ed esteriorità, che è la morte, torna in sé, per esser da prima il vivente; e poi supera anche questa determinatezza, nella quale è soltanto vita, e si produce nell'esistenza dello spirito - che è la verità e lo scopo finale della natura, ed è la vera realtà dell'idea."
La filosofia dello spirito ricostruisce il ritorno dell'idea in sé, ossia il processo attraverso cui la ragione acquista coscienza di sé, e diventa così assoluta. Ciò, come si è detto, avviene attraverso lo sviluppo dell'umanità, nella misura in cui gli uomini superano i limiti della propria individualità e assumono i fini universali della ragione. In ciò, secondo Hegel, sta anche la loro "realtà".
Il processo inizia dallo spirito soggettivo, cioè individuale. Esso sorge dalla natura ed è quindi innanzitutto anima, cioè attività psichica legata al corpo e all'ambiente (come tale,forma l'oggetto dell'antropologia); diventa poi coscienza distinta dalla corporeità ed autocoscienza (come tale, è l'oggetto della fenomenologia) e infine spirito in senso proprio, come insieme di capacità conoscitive e pratiche (e come tale è l'oggetto della psicologia).
La riduzione della "fenomenologia" da esposizione del processo dell'assoluto a sezione del sistema ha creato notevoli problemi agli interpreti, non solo per alcune differenze particolari, ma soprattutto perché configura un diverso "punto di vista" sull'assoluto; in genere, essi hanno appunto preso atto che sia la Fenomenologia che l'Enciclopedia hanno per oggetto l'assoluto, ma la prima dal punto di vista della coscienza che lo va scoprendo, la seconda dal punto di vista dell'assoluto stesso.
Le facoltà dello spirito hanno la loro espressione compiuta nella volontà consapevole, cioè nella libertà. Per realizzare la sua libertà, tuttavia, lo spirito deve uscire dalla sua individualità e assumere dei compiti concreti nella società e nella storia, ossia inserirsi nelle istituzioni in cui si costituiscono i rapporti tra gli individui, e che Hegel chiama "spirito oggettivo". Solo in tali istituzioni, a suo giudizio, l'attività individuale acquista un valore universale; fuori da esse, rimane semplice arbitrio. Ciò egli dimostra esaminando la dialettica di diritto, moralità ed eticità.
Il diritto nasce dall'esigenza di delimitare la sfera d'azione degli individui con diritti e doveri precisi; esso si attua come contratto, di cui il delitto è la negazione e la pena la riaffermazione. Il diritto assoggetta le volontà individuali ad una norma generale: questa è però sentita dalla coscienza singola come esteriore e coercitiva; perciò essa si ritrae in sé, alla ricerca di una legge che sia universale ma anche rispondente alle esigenze interiori: e la ritrova del principio del dovere.
Nasce così la moralità, per la quale il valore dell'azione sta nell'intenzione, indipendentemente da ogni condizione esterna. Il bene, però, "non deve semplicemente restare nel mio interno, ma anche realizzarsi": la legge del dovere, invece, è formale, ossia non indica compiti precisi; e l'intenzione, per conservare la sua purezza, finisce per impedire ogni azione concreta ("di buone intenzioni è lastricata la strada che conduce all'inferno").
In tal modo, Hegel rilevava il soggettivismo e l'astrattezza del rigorismo kantiano.
Se le norme del diritto sono esteriori, quella della moralità sono dunque vuote. La contraddizione, secondo Hegel, può essere superata appunto solo all'interno delle istituzioni, cioè nell'eticità (di cui diritto e moralità non sono, in effetti, che "momenti" astratti): all'interno delle istituzioni; infatti, l'individuo trova doveri precisi e nello stesso tempo rispondenti alla sua interiorità.
Ciò avviene in quanto nelle istituzioni si concreta lo spirito del popolo, con le sue esigenze e i suoi fini: e questi costituiscono per gli individui leggi universali e nello stesso tempo concrete e rispondenti alla loro interiorità, in quanto lo spirito del popolo permea la loro vita e il loro spirito. Nelle istituzioni etiche, insomma - cioè nella famiglia, nella società civile e nello Stato - la volontà degli individui si fa universale (in esse, in effetti, già nelle opere giovanili Hegel aveva posto l'assoluto come unità degli opposti); e ciò si rivela nel profondo finalismo del loro sviluppo.
La famiglia, in primo luogo, è fondata sulla naturalità del rapporto tra i sessi e della generazione; ma essi acquistano un valore superiore (spirituale) attraverso l'istituzione del matrimonio e l'educazione dei figli, che fanno della famiglia una comunità. "L'eticità, collegata con la generazione naturale dei figli - e che era stata posta come primaria nello stringere il matrimonio - si realizza nella seconda nascita dei figli, nella nascita spirituale - cioè nell'educazione di essi a persona autonome". Dall'unione delle famiglie, inoltre, sorge la "società civile".
Anche la società civile è fondata sulla naturalità dei rapporti tra gli individui, i quali producono interessi e attività da cui sorgono ceti, classi, corporazioni; ma anch'essi acquistano un valore superiore, trasformando gli egoismi individuali in reciproco servizio; e in ciò sta il valore etico del lavoro ("Quando l'uomo ha una professione egli entra a partecipare e a collaborare all'universale"). Su queste basi, infine, sorgono le istituzioni dell'amministrazione e della giustizia, e lo stesso Stato, in cui la società civile trova la sua suprema unità.
Lo Stato, tuttavia, non si riduce per Hegel ad una istituzione sociale, volta a garantire i rapporti civili. Esso, infatti, non può essere fondato su un contratto, che è una forma di diritto che riguarda i rapporti tra privati ed è possibile solo nello Stato. Analogamente, il potere dello Stato non può essere fondato sulla volontà del popolo, poiché il popolo "considerato senza il suo monarca e senza l'organizzazione collettiva della totalità, è moltitudine informe".
Secondo Hegel, lo Stato ha in sé la propria ragione d'essere e la fonte del proprio potere, e la famiglia e la società civile, e in genere il mondo degli individui, anche se nel tempo sembrano precederlo, hanno nello Stato la propria condizione, non essendo "reali" che in esso. Perciò Hegel rifiutò gli ideali liberali e democratici ed esaltò lo stato prussiano, concludendo nella celebrazione dell'ordine della Restaurazione le aspirazioni politiche degli anni precedenti.
Secondo Hegel, in effetti, lo Stato è "la realtà etica consapevole di sé" di un popolo, cioè la coscienza dei fini cui va indirizzata la vita in comune. Perciò solo nello Stato, secondo Hegel, l'individuo trova il suo fine universale, e quindi solo assoggettandosi alla sua autorità diventa veramente libero. Gli ideali liberali e democratici a suo giudizio vanno respinti in quanto, negando l'assolutezza dello Stato, "dissolvono la ricca intelaiatura dell'ethos nella pappa del cuore, dell'onestà e dell'aspirazione".
In quanto unisce individuale e universale, lo Stato è per Hegel "Dio in terra", ossia, come anche dice, "la volontà divina in quanto attuale spirito esplicantesi a forma reale e organizzazione di un mondo"; e lo è in senso letterale, in quanto, a suo giudizio,funzione dello Stato è di fare la storia: e questa è sì vicenda di popoli, ma, attraverso questa, è anche realizzazione dell'assoluto; per questo lo Stato "ha un diritto del tutto diverso dal bene del singolo".
Secondo Hegel, in effetti, la storia non è un succedersi casuale di fatti, come si presenta all'intelletto, ma è dominata dalla ragione; e il suo fine è appunto che la ragione "manifesti oggettivamente se stessa" e che "giunga a sapere ciò che veramente è".
Questo fine si attua attraverso le vicende degli Stati e dei popoli, in quanto "gli spiriti dei popoli non sono che momenti dell'unico spirito universale il quale attraverso essi, nella storia, si innalza e conclude in una totalità auto comprensiva".
La storia, infatti, è mossa per Hegel da principi ideali, incarnati dai vari popoli, i quali li affermano mediante la guerra. Questa è per Hegel la forma che la dialettica prende nella storia; e la vittoria è di per sé la prova della superiorità di un popolo ("la storia del mondo è il tribunale del mondo").
"Il popolo del momento, il dominatore, è infatti quello che ha concepito il concetto più alto dello spirito". Ogni popolo, d'altronde, è sostituito da un altro alla guida della storia quando cessa di essere "il portatore del concetto supremo che lo spirito ha acquistato di sé".
I principi ideali incarnati e affermati dai popoli rappresentano per Hegel le tappe della libertà dello spiri to: "L'oriente seppe, e sa ancor oggi, che uno solo è libero; il mondo greco e romano che alcuni sono liberi; il mondo tedesco sa che tutti sono liberi" (nel senso di far propria la volontà universale dello Stato).
Nel popolo tedesco, a partire dalla Riforma, anche Hegel vide la guida del suo tempo.
Gli Stati, dunque, sono attori e insieme strumenti dei fini della storia; attori e strumenti ne sono anche gli individui, in quanto ciascuno persegue i suoi fini particolari, ma attraverso di essi realizza i suoi fini l'assoluto.
Hegel chiama questa forma di provvidenza l'"astuzia della ragione". Essa si rivela specialmente negli "eroi della storia universale" (Alessandro, Cesare, Napoleone), che "hanno avuto in sorte di essere agenti di un fine, di costituire un grado nello sviluppo della storia universale".
Individui e popoli, compiuta la loro parte, scompaiono: ma rimangono i risultati universali da essi attuati.
Nelle loro manifestazioni storiche, infatti, gli uomini sviluppano delle forme spirituali, in virtù delle quali non solo gli individui conoscono lo spirito universale (il senso generale della realtà), ma lo spirito stesso, mediante essi, si conosce e si fa così assoluto. Tali forme sono l'arte, la religione e la filosofia, cioè la cultura.
Nell'arte, lo spirito si conosce attraverso l'intuizione del bello, che è per Hegel l'apparenza sensibile dell'idea (in quanto presenta un senso spirituale). Il bello è nella natura, ma in questa l'idea è "alienata"; essa si realizza più pienamente nel bello artistico, nel quale si attua una sintesi tra la soggettività dell'artista e l'oggettività dell'idea. In rapporto al modo in cui l'idea è realizzata nel bello, Hegel distingue le varie forme dell'arte e il loro sviluppo.
Nella prima, la forma sensibile risulta inadeguata all'idea e perciò non la rappresenta ma rimanda ad essa: è l'arte simbolica (di cui è esempio il sublime).
Nella seconda, la forma sensibile risulta adeguata all'idea e la rappresenta con pienezza: è l'arte classica, con la sua caratteristica armonia. Nella terza, la forma sensibile è oltrepassata, come inferiore al significato spirituale dell'idea: è l'arte romantica.
Arte simbolica, classica e romantica sono forme eterne dell'arte, ma Hegel le fa anche corrispondere a momenti storici dello sviluppo spirituale dell'umanità: l'Oriente (in cui lo spirito non ha ancora chiara coscienza di sé), la Grecia (in cui lo spirito si distingue dalla natura e realizza l'armonia con essa e con la società), il mondo cristiano (in cui lo spirito si conosce come interiorità).
Ad esse Hegel fa corrispondere le forme fondamentali dell'arte: l'architettura, la scultura, e infine la pittura, la musica e la poesia.
Nella religione, lo spirito si conosce attraverso la rappresentazione di Dio e dei suoi rapporti con la realtà e la storia (rappresentazioni sono, in questo senso, ad es. la creazione e la provvidenza). Anche nella religione Hegel distingue varie forme, che corrispondono ai momenti dell'arte.
In Oriente, Dio è identificato con la natura, e la religione è perciò naturale; presso i Greci e i Romani, Dio è rappresentato come persona, e si ha quindi la religione dell'individualità spirituale; dai cristiani, infine, Dio è rappresentato come spirito (e lo spirito come divino) e questa è detta da Hegel religione assoluta.
Il cristianesimo è per Hegel religione assoluta in quanto i suoi dogmi hanno un significato razionale: a suo avviso, infatti, la Trinità "rappresenta" la dialettica e l'incarnazione la sintesi di infinito e finito.
Anche nel cristianesimo, tuttavia, questi significati sono solo rappresentati, non pensati razionalmente: a ciò giunge la filosofia, mediante il "concetto". Per questo Hegel ha parlato, da un lato di "morte dell'arte", dall'altro di "superamento della religione", come forme non destinate a sparire, ma ormai inadeguate al concetto che lo spirito ha raggiunto di sé.
Al concetto, la filosofia perviene attraverso la storia, con la quale è legata indissolubilmente. La filosofia è infatti per Hegel "il proprio tempo appreso col pensiero", ossia il chiarimento razionale della realtà storica; perciò essa non compare che quando questa realtà è già attuata, ed anzi volge al tramonto.
Come "l'uccello di Minerva", essa "inizia il suo volo sul fare del crepuscolo; perciò "a dire come la realtà dev'essere arriva sempre troppo tardi", e il suo compito non è che comprenderla così com'è.
Il legame della filosofia col proprio tempo non significa che essa sia relativa: per Hegel, anzi, "la successione dei sistemi filosofici nella storia è identica alla successione logica delle determinazioni concettuali dell'idea", come appunto i momenti della storia di cui essa è comprensione. (Su questa base, Hegel ha delineato una storia "ideale" della filosofia che ha avuto un'enorme influenza).
La storia della filosofia, dunque, non è una sequela di opinioni arbitrarie, anzi è "l'unica dimostrazione della filosofia". Questa, infatti, è il processo della comprensione razionale, e perciò non si identifica con questo o quel sistema, ma con lo sviluppo della ragione stessa, di cui i vari sistemi costituiscono i momenti.
Perciò la filosofia che è ultima nel tempo "deve contenere i principi di tutte" le precedenti, "beninteso se è davvero una filosofia".
Nella propria filosofia, appunto, Hegel vedeva il compimento dell'intero sviluppo del pensiero e la piena autocoscienza della ragione.
In tal modo, egli è sembrato escludere che la filosofia - e con essa la realtà stessa - potesse avere ulteriori sviluppi. Di fatto, il suo sistema è stato rapidamente abbandonato; acquisito sembra invece un modo di pensare teso a ricostruire ogni realtà nelle mobili relazioni che la costituiscono (la dialettica), e acquisita l'inclinazione a inquadrare ogni fenomeno storico in una qualche "categoria".
Ciò è dipeso in parte dal "recupero" della dialettica da parte del marxismo, ma anche dalla sempre maggiore complessità della realtà storica e sociale, alla cui comprensione la dialettica è sembrata lo strumento più adeguato.