Quando, il 6 maggio 1527, più di un migliaio di lanzichenecchi al servizio di Carlo V entrano in Roma saccheggiandola, massacrando molti prelati e assediando in Castel Sant’Angelo papa Clemente VII, alleato con la Francia, molti leggono quell’evento traumatico come l’avverarsi delle profezie, come il castigo che Dio ha voluto infliggere per mano dei soldati di fede protestante alla Chiesa corrotta.
Un dettagliato resoconto di quei giorni è offerto dai Giornali del principe d’Orange, cioè Filiberto di Chalon. Con immediatezza e vivacità egli racconta il primo giorno di assedio, quando il comandante delle truppe imperiali, Carlo di Borbone, muore colpito da una palla di archibugio mentre dà la scalata alle mura di Borgo tra il Gianicolo e il Vaticano.
Ed è lo scultore Benvenuto Cellini ad attribuirsi il vanto di quel colpo andato a segno. È emblematico dello spirito che anima le truppe dei lanzichenecchi il fatto che il loro comandante, Giorgio di Frundsberg, porti con sé un laccio d’oro per impiccare il papa e altri di seta cremisi per i cardinali. Il comando dell’esercito, quando muore il conestabile di Borbone, viene assunto dal principe d’Orange, che, mentre continua l’assedio a Castel Sant’Angelo, ha tutto il tempo per comprarsi un paio di scarpe di velluto e un calice di cristallo di rocca pagandoli regolarmente.
Le truppe sono invece a corto di denaro; per questo si danno al saccheggio. Il 3 luglio si rimettono in marcia diretti a sud. Molti sollecitano l’imperatore Carlo V - che peraltro declina la responsabilità dell’atroce episodio - ad approfittare dell’occasione per far pressione sul papa affinché convochi il concilio per mettere fine alla frattura provocata da Lutero.
Ma il papa viene invece liberato senza alcuna costrizione. La città eterna è comunque stata violata, e questo fatto gravissimo segna una svolta nei rapporti tra papato e Riforma. Il papa si riconcilia con Carlo V pochi mesi prima di incoronarlo imperatore a Bologna, il 24 febbraio 1530.
Contro Francesco I di Francia Carlo V imperatore combatté una serie di guerre per il possesso di Milano che si trascinarono, quasi senza soluzione di continuità, fino al 1544 con episodi isolati anche sotto il regno del successore di Francesco, Enrico II.
Nel frattempo, in Germania era dilagato il movimento luterano contro il quale Carlo, proprio per il suo impegno militare in Italia, non volle inizialmente prendere posizione; poi, quando la tensione militare italiana si allentò, convocò una dieta a Spira (1529) con la quale tentò di limitare l’esercizio della confessione luterana. Sistemate finalmente le cose in Italia con la pace di Crepy (1544), nel 1546, quando ormai a Trento era stato aperto il concilio, Carlo ritenne giunto il momento di risolvere con la forza la questione protestante. Dopo aver sconfitto i principi tedeschi a Mühlberg (1547), preferì tuttavia ripiegare sulla politica del compromesso, concedendo forti garanzie ai protestanti.
Abdicò nel 1556 lasciando i domini spagnoli e i Paesi Bassi al figlio Filippo II; il titolo imperiale e i domini germanici andarono al fratello Ferdinando.
Giulio de' Medici, nato nel 1478, prima della nomina papale, fu arcivesco di Firenze - per volontà del cugino papa Leone X - e poi governatore della città in nome del papa. Divenuto papa amò sempre circondarsi di uomini "piacevoli e arguti" che spesso lo intrattenevano durante i pasti con i loro "motti e facezie"; fra questi uomini c'era sicuramente anche il Berni, che divenne al papa carissimo e dal quale ottenne titoli ed onori (il titolo di protonotario apostolico nel 1527 ne è un chiaro esempio).
Clemente VII divenne papa in un periodo veramente difficile. La cristianità è di nuovo lacerata, non da uno scisma come quello composto a Costanza agli inizi del Quattrocento, ma da un movimento che, oltre a condannare i costumi della Chiesa cattolica, ne contesta l’autorità e la dottrina. La Riforma protestante dilaga in Europa. Anche se "non vende benefici né si dà per simonia", come scrive l’ambasciatore veneziano, Clemente VII paga le colpe dei predecessori e l’incapacità della Chiesa di procedere a una riforma dottrinale e morale che risponda alle esigenze spirituali che da più parti premono. Clemente, piccolo papa, deve barcamenarsi fra due colossi, Francesco I, re di Francia, e Carlo V, imperatore e re di Spagna, che si affrontano in una lotta senza quartiere per la supremazia soprattutto in Italia.
"Alieno dal sangue, non superbo, non simoniaco, non avaro, non libidinoso, sobrio nel vitto, parco nel vestire, religioso e devoto nelle messe ed officii divini"; così Francesco Vettori ritrae Clemente VII, secondo pontefice di casa Medici. Ma poco oltre lo storico cinquecentesco aggiunge: "Durò una gran fatica per diventare, di grande e riputato cardinale, piccolo e poco stimato papa".
Un piccolo papa dinanzi a eventi troppo grandi. Nel primo quarto del Cinquecento, l’Italia è il campo di battaglia di eserciti stranieri. La nazione era infatti pressata da due grandi potenze straniere in opposizione: la Francia e la Spagna. Compito arduo del papa avrebbe dovuto essere, quindi, quello di schierarsi con una delle due parti.
Il pontefice, era però circondato da consiglieri di opposti orientamenti politici: il suo ministro Giberti era favorevole, ad un'alleanza francese; Niccolò Schomberg (arcivescovo di Capua), molto influente, lo spingeva invece a mantenere la posizione imperiale (a rimanere cioè saldo alla lega, conclusa dal suo predecessore, Adriano VI, con Carlo V, l'arciduca Ferdinando, l'Inghilterra, Venezia e Milano contro la Francia).
Clemente VII, in mezzo a questi opposti consigli e seguendo la sua natura, tentennava un po' da una parte e un po' dall'altra, "dava a tutti udienza, a tutti risposte e bei detti", senza giungere mai ad una conclusione. Cercava, come poteva, di rimanere neutrale, ingenuamente persuaso di mettere pace fra le due potenze (è, fra l'altro, nota un sonetto del Berni [XXIV] nel quale l'atteggiamento del papa è chiaramente deriso).
Il 22 maggio 1526 Clemente VII, dopo una serie di accordi e di leghe fatte e disfatte, giurate e spergiurate da una parte e dall'altra, decise di schierarsi dalla parte francese, dando vita alla Lega Santa, composta dal papa, Francesco I, Venezia, Firenze e lo Sforza contro Carlo V.
Purtroppo questa presa di posizione giunse troppo tardi, le forze imperiali erano ormai preponderanti ed avanzate e troppa la debolezza del papa. I fidi lanzichenecchi imperiali attendevano a Trento; il comandante aveva con sé un laccio di seta con cui impiccare il papa. Divorata la strada, eccoli dinanzi a Roma, il 6 maggio del 1527.
Falliti i tentativi imperiali di dissuadere il papa dalla nuova Lega, Carlo V stipulò un patto segreto con la famiglia Colonna. Ecco quindi che i colonnesi, alcuni dei quali residenti a Roma, finsero di riconciliarsi con lui mediante un trattato, per poi attaccarlo improvvisamente (assolutamente contrario all'accordo era stato il Giberti). Invasa Roma senza incontrare resistenza, costrinsero il papa a rifugiarsi in Castel Sant'Angelo e saccheggiarono il palazzo apostolico. Dalle finestre di Castel Sant’Angelo, dove rimarrà rinchiuso sette mesi, Clemente vede i mercenari, senza soldo, mettere a sacco la città insieme alle milizie dei Colonna, suoi acerrimi nemici. L’affronto del Sacco di Roma, dinanzi al quale il mondo resta attonito, segna simbolicamente la morte del Rinascimento.
Fu così che il papa dovette arrendersi staccandosi dalla Lega francese e perdonando l'insulto della famiglia Colonna. Il sacco dei colonnesi portò Clemente VII ad un accordo filo-spagnolo, il quale venne, però, interrotto poco tempo dopo dal papa stesso, che tornò ad aderire alla Lega Santa.
La Francia prometteva grandi elargizioni di denari e d'armi (anche se alle promesse non seguirono i fatti). L'imperatore si trovava angustiato economicamente, tant'è vero che il suo esercito che occupava la Lombardia rifiutava di muoversi da Milano per la mancanza di paghe.
Insomma tutto faceva sperare per il meglio, quando Clemente VII, cominciò nuovamente a "tentennare" pensando ad un accordo con Carlo V.
Fra l'altro, molti suoi consiglieri, escluso il Giberti, spingevano dalla parte imperiale (in relazione a queste vicende si ricorda un famoso sonetto del Berni intitolato Sonetto di papa Chimente), poiché temevano l'avanzata sul territorio italiano dei Lanzichenecchi arruolati a proprie spese dal Frundsberg.
Così il papa, abbandonata la Lega e speranzoso di pace, concluse un armistizio (il 16 marzo 1527) con il vicerè di Napoli Charles de Lannoy, che riguardava anche i lanzichenecchi; ma questi, ricongiuntisi con gli spagnoli di Milano, proseguirono imperterriti la loro marcia verso Roma. Il 6 maggio del 1527 Roma fu presa al primo assalto e terribilmente saccheggiata per mesi per mano di spagnoli e tedeschi. Il papa era in pratica prigioniero in Castel Sant'Angelo. Il sacco costò al papa non solo lo sfacelo di Roma ma anche la perdita di alcune città del suo stato. Fu costretto inoltre a fuggire da Roma e riparare a Orvieto.
Nel canto quattordicesimo del rifacimento il Berni inserisce alcune stanze nelle quali ricorda gli avvenimenti del maggio 1527. Nel gennaio del 1529 Clemente VII fu colto da un'improvvisa malattia che addirittura mise in pericolo la sua vita. Il suo affezionatissimo Giberti partì da Verona, accompagnato dal Berni, raggiungendolo a Roma nel febbraio dello stesso anno.
La sperata guarigione si fece attendere fino a marzo e l'occasione fu celebrata dal Berni con tre sonetti (Rime XXXVIII, XXXIX, XL).Sul finire del 1529 il papa si recò a Bologna per incoronare l'imperatore Carlo V e vi rimase fino al marzo del 1530. Verso l'agosto del 1533 il papa accompagnò la nipote Caterina de' Medici a Nizza per la celebrazione delle nozze fra questa ed il figlio di Francesco I di Francia, Enrico. Nel 1534 Clemente VII fu di nuovo gravemente malato. Questa volta la malattia lo portò alla morte che avvenne il 25 settembre dello stesso anno.