La guerra detta dei Cent’anni, il più lungo conflitto della storia, che fra XIV e XV secolo impegna per oltre un secolo le più importanti monarchie occidentali, Inghilterra e Francia, è l’estenuante gestazione dello stato nazionale. La guerra, combattuta a varie riprese, ha inizialmente carattere feudale, ma porterà in seguito ad una profonda trasformazione interna dei due paesi, preludendo appunto alla formazione degli stati nazionali.
Nella situazione di partenza, i re d’Inghilterra sono nominalmente feudatari del monarca francese.
La crisi dinastica della Francia spinge Edoardo III, nipote di Filippo il Bello, a far valere i propri diritti sulla corona francese, avversato da Filippo VI (1328-1350) del ramo cadetto dei Valois. Dietro contrasti dinastici e feudali la guerra nasconde ovviamente motivi economici e politici; una sconfitta significherebbe per le rispettive corone la crisi interna. Già nella prima fase della guerra l’esercito del re inglese, Edoardo III, meglio equipaggiato, dotato dei potenti archi gallesi e per la prima volta dell’artiglieria, vince agevolmente la battaglia di Crécy, vicino a Calais (20 agosto 1346), la località-chiave della Manica che rimarrà per due secoli sotto gli inglesi.
La forza e la precisione dell’arco gallese, il long bow alto sino a un metro e novanta centimetri, preferibile alle tradizionali balestre perché garantisce una maggiore frequenza di tiro, si rivela decisiva; soprattutto nel neutralizzare la cavalleria, nerbo dell’esercito feudale francese. Le frecce scagliate coi lunghi archi da arcieri ben addestrati e disciplinati sono in grado di perforare più di uno strato di maglia di ferro e le piastre delle armature. Con questa battaglia inizia il lento e progressivo decadere della cavalleria feudale, reso irreversibile dal diffondersi delle armi da fuoco.
Alla sconfitta di Crécy seguono i rovesci militari di Giovanni II il Buono, caduto prigioniero degli inglesi e morto in Inghilterra nel 1364 senza essere riuscito a raccogliere il denaro del riscatto. La borghesia parigina insorge sotto la guida di Etienne Marcel (1358), i contadini danno vita alle jacqueries, aggravate dalle scorrerie di truppe mercenarie sbandate e dall’epidemia di peste nera che spazza l’Europa. La pace di Bretigny umilia la Francia, costretta a cedere quasi per intero l’Aquitania.
Carlo V il Saggio, salito al trono nel 1364 e rimastovi sino al 1380, riesce a riprendere in mano la situazione e a riconquistare gran parte del territorio perduto, lasciando nelle mani degli inglesi solo una parte della Bretagna, Calais, Bordeaux e Cherbourg.
Nella tregua successiva, la Francia deve assistere impotente alla follia di re Carlo VI (1380-1422) e alla lotta per la reggenza tra il fratello del re, Luigi d’Orléans, sostenuto dal partito degli Armagnacchi (dal nome del conte d’Armagnac, suo suocero) e il potente duca di Borgogna Filippo l’Ardito, zio del re, capo del partito feudale filoinglese dei Borgognoni. Gli Armagnacchi difendono la politica centralistica della corona in materia amministrativa e fiscale, politica avversata da Borgognoni e dalla ricca borghesia parigina che li sostiene.
Anche l’Inghilterra, alla morte di Edoardo III, è sconvolta dalle rivolte contadine dei salariati della fiorente lavorazione della lana; nate per motivi fiscali e salariali, oltre che per la mancata abolizione della servitù della gleba, esse sono collegate anche all’eresia di Wycliffe.
Solo con Enrico V (1413-1422) la situazione si normalizza, tanto che il monarca inglese pensa opportunamente di profittare della nuova crisi dinastica francese e attraversa la Manica, contando sull’appoggio dei Borgognoni. Sbarcato in Francia, vince ad Azincourt (o Agincourt, 1415), annientando l’esercito francese, e col trattato di Troyes (1420) ottiene due terzi del territorio francese, e soprattutto il diritto di ereditare il trono del regno di Francia alla morte di Carlo VI, ai danni dell’erede naturale, Carlo VII, rimasto isolato nelle regioni centromeridionali del paese, demoralizzato e senza risorse.
Con l’umiliazione di Troyes il conflitto, nato con motivazioni quasi esclusivamente dinastiche ed economiche, si trasforma in lotta per la sopravvivenza dello stato francese, coalizzandone le forze morali e politiche attorno alla figura del giovane sovrano Carlo VII. Nel 1429 fa la sua comparsa Giovanna d’Arco, la pastorella non ancora diciottenne, nativa di Domremy in Lorena, che con la sua profonda fede e il suo ardore patriottico sa risvegliare nei francesi la volontà di reagire, trasformando uno scontro tra signori feudali in una guerra di riscossa nazionale.
Giovanna non frequenta la scuola e rimane semplice, analfabeta, ma sempre più consumata dalla febbre di una fede in Dio e di un amore per la Francia che rasentano la follia. La sua intensa devozione la porta a esperienze mistiche di dialogo con presenze ultraterrene. Giovanna è convinta che l’arcangelo Michele, nell’estate del 1425, le affidi il compito di liberare la Francia, e in particolare Orléans, dagli invasori inglesi. La città si trova nel territorio appartenente a Carlo di Valois, Delfino di Francia privato dei diritti ereditari dal trattato di Troyes.
Giovanna ottiene da lui il comando di un contingente e, liberata Orléans (1429), riesce a farlo incoronare re di Francia a Reims (luglio 1429), come vuole la tradizione capetingia. La pulzella d’Orléans diviene però ben presto un personaggio scomodo; catturata durante l’assedio di Compiègne, è imprigionata e venduta dai Borgognoni agli inglesi. Questi, per dare l’esempio, la accusano di essere strega ed eretica, istituiscono contro di lei un processo-farsa e la bruciano sul rogo il 30 maggio 1431 a Rouen, città in loro possesso. Carlo, che ha ottenuto la corona grazie al suo intervento, non muove un dito in suo favore; ma in seguito, dopo aver riconosciuto l’autonomia della Borgogna, si libera degli inglesi e, per rimuovere il sospetto di essere re grazie ad una strega eretica, promuove nel 1456 un nuovo processo, che culmina con la sentenza di riabilitazione di Giovanna.
La pulzella sarà proclamata santa e patrona di Francia il 16 maggio 1920, cinque secoli dopo il suo martirio. Il suo assassinio legale sulla piazza di Rouen segna l’inizio della storia della Francia moderna.
Carlo VII riconquista i territori occupati dagli inglesi in seguito al trattato di Troyes e anche quelli appartenenti alla dinastia inglese, tranne Calais.
Così, nel 1453, la guerra termina senza che documenti o trattati ne sanciscano la fine. Comincia di fatto l’isolamento dell’Inghilterra, tornata ad essere di nuovo un’isola, che comincia a gettare le basi del proprio impero marittimo.
All’indomani della guerra, la Francia ha consolidato la propria coscienza di stato nazionale, unitario e sovrano, che ha recuperato il proprio territorio geografico. Il potere del re si consolida a scapito di quello dei signori feudali e del clero, basandosi su di un efficiente apparato amministrativo e su di un esercito permanente e retribuito.
Il successore di Carlo VII, Luigi XI (1461-1483), recupera l’Artois, l’Angiò, la Provenza e soprattutto la Borgogna, riducendo all’obbedienza anche la Bretagna e i ducati d’Orléans e di Borbone. Diventata il paese più forte dell’Europa continentale, la Francia guarda ora oltre i propri confini, verso l’Italia ricca e civile, ma divisa e militarmente debole. In Inghilterra, invece, il consolidarsi dello stato nazionale corrisponde al rafforzarsi della borghesia mercantile legata al commercio dei panni di lana; si amplia la flotta, ma la corona attraversa una profonda crisi, culminata nella lotta dinastica passata alla storia come guerra delle due Rose, che si conclude col rafforzamento dell’assolutismo regio rispetto al parlamento.
La conclusione fallimentare della guerra dei Cent’anni ebbe gravi ripercussioni in Inghilterra dove aggravò un’aspra contesa dinastica tra la famiglia dei Lancaster, che si pregiava come emblema di una rosa rossa, e quella degli York che aveva scelto invece come simbolo la rosa bianca.
La guerra detta delle Due Rose, priva di un qualsiasi ideale e di motivazioni che non fossero gli interessi immediati dei contendenti, si combatté con raro accanimento per trent’anni (1455-85), inasprita dal ritorno in Inghilterra di tanti nobili e avventurieri che in terra di Francia si erano abituati all’ebbrezza del saccheggio. La vittoria dei Lancaster pose sul trono Enrico VII (1485-1509), fondatore della dinastia dei Tudor che, sposando Elisabetta di York, unì le due rose ponendo fine alla causa stessa del conflitto.
Il nuovo re capì lucidamente che per l’Inghilterra era giunto il tempo dell’ordine e perseguì come obiettivi primari il ripristino dell’autorità della corona contro le fazioni della grande aristocrazia baronale, la restaurazione delle finanze pubbliche e la riorganizzazione dell’amministrazione dello stato. Riuscì nel suo intento, meritandosi così la fama di primo sovrano moderno della storia inglese, esaltando il ruolo del Consiglio regio a scapito del Parlamento e appoggiandosi alla borghesia e alla piccola nobiltà di provincia dedita all’agricoltura (la gentry). A Enrico VII successe nel 1509 il figlio secondogenito, Enrico VIII, che sposò la vedova del proprio fratello, Caterina d’Aragona figlia di Ferdinando il Cattolico, per salvaguardare i rapporti con la Spagna. Le vicende della vita privata di questo sovrano ebbero enormi ripercussioni sulla politica e sulla religione dell’Inghilterra.