Secondo le statistiche il mondo ha fatto progressi nella parità di genere e nell'emancipazione delle donne (anche per quanto riguarda la parità di accesso all'istruzione primaria senza distinzioni di genere), ma nella realtà donne e ragazze continuano a subire discriminazioni e violenze in ogni parte del globo.
La parità di genere non è solo un diritto umano fondamentale, ma la condizione necessaria per un mondo prospero, sostenibile e in pace. Garantire alle donne e alle ragazze parità di accesso all'istruzione, alle cure mediche, a un lavoro dignitoso, così come la rappresentanza nei processi decisionali, politici ed economici, promuoverà economie sostenibili, di cui potranno beneficiare le società e l'umanità intera.
Parità di genere, le cifre
Un dato confortante è che circa i due terzi dei Paesi in regioni in via di sviluppo hanno raggiunto la parità di genere nell'istruzione primaria. Nel 1990, in Asia meridionale, solo 74 bambine erano iscritte alla scuola primaria per 100 bambini, mentre nel 2012 i tassi d'iscrizione erano gli stessi per le ragazze e per i ragazzi.
Nell'Africa subsahariana, in Oceania e in Asia occidentale, le ragazze ancora incontrano ostacoli nell'accesso alla scuola
primaria e secondaria. In Nordafrica, le donne detengono meno di un quinto dei posti di lavoro retribuiti in settori non agricoli.
La proporzione di donne che occupano posti di lavoro retribuiti al di fuori del settore primario è aumentata dal 35% del 1990 al 41% del 2015. In 46 Paesi le donne detengono oltre il 30% di seggi nei Parlamenti nazionali in almeno una Camera.
Le disuguaglianze di genere in Italia
Ogni anno il World Economie Forum realizza indagini statistiche a livello mondiale, pubblicando il Rapporto Global Gender Gap, attraverso cui redige una classifica misurando il divario di genere tra uomo e donna in base a quattro dimensioni: la partecipazione economica e le opportunità; l'istruzione; la salute e la sopravvivenza; l'empowerment (cioè la crescita personale) politico.
In questa classifica l'Italia si posiziona all'82o posto (dato relativo al 2017) rispetto al totale di 144 Paesi, continuando a perdere posizioni con il passare del tempo.
I dati più allarmanti riguardano la partecipazione economica: secondo il Rapporto il 61,5% delle lavoratrici italiane non è pagato per niente o non adeguatamente, contro il 22,9% degli uomini. Ciononostante, ogni giorno, una donna lavora 512 minuti contro i 453 di un suo collega.
La disoccupazione è più alta tra le donne (12,8% contro il 10,9%), così come sono maggiori le persone senza lavoro scoraggiate (40,3% contro il 16,2% degli uomini).
Anche l'Istat, nella sua Indagine conoscitiva sulle politiche in materia di parità tra donne e uomini (2017), conferma i dati negativi del nostro Paese emersi a livello globale.
Queste differenze appaiono ancora più forti se confrontate con i migliori risultati ottenuti dalle donne in termini di istruzione: la percentuale di adulti con almeno un titolo di studio per le donne è del 62%, 4 punti percentuali in più rispetto agli uomini, e le donne laureate nella fascia d'età 30-34 costituiscono il 32% contro il 20% degli uomini.
La lotta al "gender gap"
È bene ricordare che oltre all'articolo 3, ci sono altri due articoli della Costituzione, il 37 e il 51, che affrontano questo argomento. Il primo si occupa della tutela delle donne e dei minori, considerati i lavoratori più deboli perché a maggior rischio di sfruttamento.
Nei confronti della donna lavoratrice, in particolare, la Carta precisa che non ci devono essere discriminazioni di nessun tipo e deve esserle consentito di svolgere la sua funzione familiare di madre e moglie.
Il secondo articolo stabilisce che tutti i cittadini, di entrambi i sessi, possono accedere alle cariche elettive e agli uffici pubblici: uomini e donne devono avere le medesime possibilità di accesso, ma anche lo stesso trattamento (mansioni, retribuzione, previdenza ecc.).
Questo principio è stato ripreso espressamente dalla legge costituzionale 1/2003 - che ha modificato l'articolo 51 - con la
promozione, attraverso appositi provvedimenti, delle pari opportunità tra donne e uomini, poi ribadita dalle più recenti leggi in materia elettorale e preferenza di genere.
La prima legge della Repubblica a tutela delle donne risale al 1950, "Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri" (legge 26 agosto 1959, n. 860).
Successivamente, con la legge 389/1963, il Parlamento italiano ha istituito presso l'Inps la gestione separata "mutualità pensioni" per l'assicurazione volontaria delle pensioni delle casalinghe, e, con la legge 493/1999, l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni domestici.
La legge 30 dicembre 1971, n. 1204 oltre ad assicurare un'efficace protezione per le gestanti, ha introdotto l'astensione facoltativa dal lavoro per sei mesi, oltre ai tre mesi obbligatori dopo il parto. Inoltre sono state rafforzate le misure a tutela delle lavoratrici agricole e autonome.
La legge 23 dicembre 1998, n. 448, ha introdotto l'assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli e l'assegno di maternità, mentre la legge 53/2000 ha stabilito disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità e per il diritto alla cura e alla formazione.
Con la legge 1441/1956, è stato consentito alle donne di accedere alla Magistratura «sia pure limitatamente alle funzioni di giudici popolari (ordinari o supplenti) e di componenti dei Tribunali dei minorenni».
Per avere il pieno diritto a ricoprire tutte le cariche, professioni e impieghi pubblici, compresa la Magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie senza limitazioni di mansioni e di svolgimento della carriera, le italiane hanno però dovuto attendere la legge 66/1963.
Per quanto riguarda le professioni militari l'inserimento delle donne è stato un processo lento e graduale: al 1959 risale l'accesso in Polizia, ma con funzioni ben circoscritte; nel 1999 cade l'ultimo muro, ovvero il divieto per le donne di svolgere il servizio militare.
Sul fronte del lavoro, la legge 903/1977 sancisce il «divieto di discriminazione nell'accesso al lavoro, nella formazione professionale, nelle retribuzioni e nell'attribuzione di qualifiche professionali».
Nel 2011 la legge 120 ha imposto l'obbligo delle cosiddette quote rosa nei consigli di amministrazione visto che in Italia la presenza femminile negli organi di amministrazione e controllo delle società quotate in mercati regolamentati era ancora scarsissima.
Anche la triste prassi che obbligava soprattutto le donne a firmare le "dimissioni in bianco" prima di prendere servizio è stata abolita con la legge 188/2007 e il decreto legislativo 151/2015.
Tra le altre iniziative legislative a favore del miglioramento delle condizioni della donna vanno ricordate le leggi 898/1970 e 151/1970 sul nuovo diritto di famiglia; la legge 194/1998 che sancisce il diritto all'aborto e ne regolamenta l'applicazione; l'istituzione dei consultori familiari (legge 29 luglio 1975, n. 405).
Particolarmente importanti sono inoltre gli interventi che riguardano la violenza sulle donne: tra i più significativi vi sono l'abolizione del delitto d'onore e del matrimonio riparatore (legge lO agosto 1981, n. 442), il riconoscimento dello stupro come reato contro la persona, avvenuto con la legge 15 febbraio 1966, n. 66 (sino ad allora infatti lo stupro era considerato un reato contro la morale e il buoncostume); la legge che istituisce il reato di stalking (legge 23 aprile 2009, n. 38) e le norme sul femminicidio contenute nella legge 15 ottobre 2013, n. 93.
Un'istruzione di qualità è la base per migliorare la vita delle persone e raggiungere lo sviluppo sostenibile. In questo settore si sono ottenuti risultati importanti per quanto riguarda l'incremento dell'accesso all'istruzione a tutti i livelli e l'incremento delle iscrizioni nelle scuole, soprattutto per donne e ragazze.
L'alfabetizzazione di base è migliorata in maniera significativa, ma è necessario raddoppiare gli sforzi per ottenere risultati ancora migliori verso il raggiungimento degli obiettivi per l'istruzione universale.
Per esempio, a livello mondiale è stata realizzata l'uguaglianza tra bambine e bambini nell'istruzione primaria, ma pochi Paesi hanno ottenuto questo risultato a tutti i livelli educativi. Infatti l'iscrizione nelle scuole primarie nei Paesi in via di sviluppo è al 91%, ma cinquantasette milioni di bambini ne sono ancora esclusi e di questi il 54% sono bambine (sessantre milioni sono invece i ragazzi tra i 12 e i 15 anni).
Più della metà dei bambini non iscritti a scuola vive in Africa subsahariana.
Si calcola che il 50% dei bambini che possiedono un'età per ricevere l'istruzione primaria, ma che non frequentano la scuola vive in zone colpite da conflitti.
Nel mondo, 103 milioni di giovani non hanno capacità di base in lettura e scrittura, di cui oltre il 60% sono donne.
Il rapporto tra istruzione e salute
Tra le diversità di tipo sociale si pone una particolare attenzione al tema dell'istruzione. Secondo i dati forniti dall'lstat, gli individui (maschi) con un più alto livello di istruzione, come per esempio i laureati, hanno una maggiore aspettativa di vita, cinque anni in più rispetto ai soggetti la cui istruzione si ferma alla scuola dell'obbligo.
Anche le condizioni di salute, legate alla presenza di cronicità, denunciano sensibili differenze sociali. Con una
maggiore istruzione diminuisce la percentuale di malattie croniche: 3,2% per i laureati contro il 5,8% dei meno
istruiti.
L'Istituto superiore di sanità italiano ha assunto l'incarico di coordinare venticinque Paesi europei riuniti nella Joint Action Health Equity Europe (Jahee). I diversi Paesi si sono alleati per dare il via il 21 giugno 2018 al terzo programma di salute pubblica (2014-2020) con l'obiettivo di contribuire alla riduzione delle diseguaglianze in tema di salute, mettendo a punto specifiche strategie sanitarie per promuovere politiche adeguate a questo scopo.
Il diritto di sapere
Di diritto all'istruzione parla anche la Costituzione italiana agli articoli 33 e 34. Nella prima frase, «L'arte e la scienza sono libere», viene ribadito il concetto già espresso nell'articolo 21 che stabilisce la libertà di manifestare il proprio pensiero, da cui appunto deriva la libertà d'insegnamento.
Lo Stato ha il compito di istituire scuole di ogni tipo, ordine e grado e il fine di garantire a tutti, compresi indigenti e stranieri, un'istruzione libera e adeguata.
La libertà d'istruzione è perciò riconosciuta a chiunque (pluralismo del sistema educativo).
I privati possono istituire scuole, ma senza gravare sui conti dello Stato, e gli insegnanti sono liberi di adottare il metodo didattico che ritengono più adeguato.
A partire dal 1997, le scuole scelgono in autonomia metodi, tempi e strumenti dell'istruzione. Attraverso il Piano triennale dell' offerta formativa (Ptof) , istituito nel 2015, è stata stabilita una programmazione che si sviluppa nell'arco di tre anni e ha come obiettivo il potenziamento dei saperi e delle competenze di studenti e studentesse, ma anche l'apertura della comunità scolastica al territorio.
L'articolo 34 parla invece dell'obbligo scolastico. Al si- stema dell'istruzione possono accedere tutti, ragazzi italiani e stranieri. È vietata qualsiasi discriminazione nell'accesso alla cosiddetta "scuola dell'obbligo", che oggi dura dieci anni (fino a 16 anni).
Inoltre lo Stato ha il dovere di aiutare con borse di studio e altre forme di assistenza i ragazzi "capaci e meritevoli" che dopo il periodo dell'obbligo vogliano proseguire gli studi, ma siano privi di mezzi economici.
L'analfabetismo funzionale
In questi ultimi anni, con l'avvento dei social, si è comin-ciato a parlare di analfabetismo funzionale. È un fenomeno che pare essersi sviluppato specialmente in Italia e che non sembra dar segno di attenuarsi con il tempo.
In sostanza, l'analfabeta funzionale - o low skilled - è una persona comune che, pur sapendo ampiamente leggere, scrivere e far di conto, ha una capacità limitata di comprendere le informazioni essenziali, non è in grado di interpretare quello che legge e dà poco valore all'educazione e alla lettura.
L'analfabeta funzionale, se legge un articolo o un post, non controlla le fonti e tende a credere a tutto, anche se è inventato di sana pianta, perché si limita ad accettare le cose così come arrivano, senza metterle in discussione. Tende a banalizzare i temi complessi, a minimizzare e impoverire il dibattito: chiunque può smentire un laureato o uno scienziato e l'autorevolezza è qualcosa che va ignorata e se possibile sminuita.
Non è bravo ad ascoltare e non è capace di ammettere i propri errori e le proprie incompetenze.
La definizione che ne dà il rapporto Piaac-Ocse, organizzazione che valuta le competenze della popolazione adulta tra i 16 ed i 65 anni di età, è molto chiara al riguardo: un analfabeta funzionale è più incline a credere a tutto quello che legge in maniera acritica, non riuscendo a «comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità».
Secondo le stime dello Human Development Report 2009, il 47 della popolazione italiana è analfabeta funzionale. Non bisogna però confondere l'analfabeta funzionale con l'analfabeta vero e proprio, quello strutturale. Quest'ultimo è incapace di leggere e scrivere, mentre il primo non ha, come dicevamo, la capacità di adoperare le proprie abilità, di decifrare la società e l'ambiente in cui si vive con giudizio critico.
Secondo i dati Istat oggi gli analfabeti strutturali italiani, sono una minoranza. Il Rapporto delle Nazioni Unite colloca l'Italia al 54 o posto su 179 Paesi analizzati, con un
tasso di alfabetizzazione del 99,2%.
Va anche sottolineato come l'analfabeta funzionale sia sempre stato presente nel mondo, ma con l'avvento del digitale, del web e dei social network possiede oggi un megafono che ha amplificato il suo peso e la sua visibilità, permettendogli di mettersi in contatto con più persone e incrementandone, di conseguenza, l'influenza negativa.
Sempre da un'inchiesta Piaac è risultato che l'analfabetismo funzionale sta aumentando nella fascia di età tra i 14 e i 29 anni tra coloro che non lavorano, non studiano e non cercano lavoro e anche, secondo l'identikit tracciato dall'Osservatorio Isfol, tra chi fa lavori manuali e routinari.
Poco più della metà sono uomini e uno su tre è over 55. Più del 60 è concentrato tra Sud e Nord Ovest del Paese, regioni che presentano le percentuali più alte tra quelle analizzate. Tra i soggetti più colpiti troviamo i pensionati e le persone che svolgono un lavoro domestico non retribuito, i quali costituiscono da sempre le fasce culturalmente più deboli.
Tra i risultati più interessanti, l'aumento della percentuale di analfabeti funzionali al crescere dell'età: passa dal 20% della fascia 16-24 anni all'oltre 41% degli over 55.
Possiamo distinguere due grandi aspetti della sicurezza e della salute dei lavoratori: sicurezza oggettiva, riguardante gli aspetti impiantistici, strutturali, di protezione collettiva ed individuale, e sicurezza soggettiva, riconducibile agli aspetti culturali, comportamentali, comunicativi e alle prassi affettive dei lavoratori.
Mentre gli aspetti oggettivi limitano il rischio presente, gli aspetti soggettivi, invece, aumentano non soltanto la capacità di gestire e fronteggiare il rischio presente, ma anche la possibilità di migliorare la qualità della vita lavorativa. I due aspetti devono, quindi, essere considerati come un unico sistema, poiché lavorare in un ambiente ben strutturato dal punto di vista oggettivo (impianti a norma, rischi ridotti e sotto controllo, ecc..) ma non avere personale adeguatamente formato o, al contrario, avere lavoratori altamente formati e lavorare in ambienti non sicuri comporta, comunque, un alto rischio.
In linea di massima, si può affermare che sono gli aspetti soggettivi a governare gli aspetti oggettivi, i quali, a loro volta, possono incidere o ostacolare il comportamento e il modo di pensare.
Il benessere in ambito lavorativo, pertanto, si colloca negli aspetti soggettivi, poiché l incidere sul fattore umano migliora le condizioni di sicurezza e salute dell individuo e dell organizzazione. Gli interventi, quindi, relativi al miglioramento della sicurezza non possono differenziarsi da quelli rivolti al benessere e allo sviluppo del potenziale delle persone.
È pertanto necessario attivare processi di informazione e formazione tendenti ad aumentare i livelli di consapevolezza dei lavoratori sulla problematica della sicurezza sul lavoro, utilizzando la metodologia dell'empowerment individuale e delle organizzazioni.
Ormai è indispensabile sviluppare la capacità di anticipare il pericolo infortunistico, eliminando, quindi, la rappresentazione fatalistica del rischio visto come qualcosa al di fuori della propria capacità di controllo e di dominio.
Tale processo assume un azione ciclica che ripetuta sistematicamente, porterà ad una diminuzione degli atteggiamenti errati e ad una maggiore conoscenza dei comportamenti sicuri dei lavoratori.
Si ritiene possibile un miglioramento della sicurezza soggettiva, attraverso l'apprendimento di competenze trasversali quali la comunicazione, la leadership, il lavoro in team, la conoscenza dei limiti individuali e la capacità di prendere decisioni.
Sicurezza domestica
Il benessere si ottiene anche assicurando un'esistenza sicura e lontana dai pericoli. La casa, per esempio, dovrebbe essere il "rifugio" di tutti e in particolare dei più piccoli.
Purtroppo i bambini fino ai cinque anni sono la categoria più esposta a incidenti domestici, dopo le donne e gli anziani: circa il 4,5% degli infortuni in casa riguarda un bambino sotto i cinque anni (fonte Istat, Rapporto sugli incidenti domestici in Italia, 2014).
Evidentemente, la percentuale dipende anche dal tempo che si passa in casa, per questo le casalinghe sono più colpite
delle donne che lavorano fuori. Anche il sesso e l'età influiscono: fino alla fascia d'età 14-17 anni sono i maschi a essere più a rischio, a causa di un modo diverso di giocare e di un'attitudine di solito più spericolata.
La buona notizia però è che la prevenzione dei pericoli in casa è possibile. I bambini non sono imprevedibili e così i rischi per la sicurezza in casa, dei più piccoli ma anche di adolescenti o adulti.
In cucina i pericoli sono parecchi e di diverso genere. È qui che si cucinano i pasti e dove c'è fuoco e calore c'è il rischio di scottature. Sempre in cucina, si conservano oggetti taglienti come coltelli e forbici, cose piccole facili da mettere in bocca o nel naso, responsabili dell'ostruzione delle vie aeree se ingerite.
Infine, in cucina si trovano detersivi e altre sostanze molto pericolose se ingerite o se messe a contatto con gli occhi.
Per evitare i rischi, è bene fare attenzione e assumere comportamenti corretti; quindi, per esempio, non bisogna cucinare con un bambino in braccio o lasciare pentole con il manico rivolto verso l'esterno (i bambini sono molto curiosi e rischiano
di afferrare tutto e tirarselo addosso), così come non bisogna mai allontanarsi lasciando un bambino in cucina e
il fuoco acceso.
Tutti i ripiani, i cassetti, gli sportelli della cucina devono essere blindati.
Per evitare rischi di avvelenamento e intossicazione, è meglio conservare in posti non accessibili i detersivi e le sostanze tossiche (dal brillantante per lavastoviglie, alla candeggina, all'alcol) e non travasare mai liquidi tossici in bottiglie anonime. È utile imparare e insegnare i segnali di pericolo e non conservare alcolici in bottiglie senza etichetta, per evitare errori.
Passando al bagno i problemi riguardano soprattutto le bruciature e le cadute.
Il 75% delle ustioni è causato dal vapore e dall'acqua troppo calda e quindi lo scaldabagno va regolato a 50° massimo. Per le cadute il consiglio è mettere tappetini antiscivolo sul pavimento di doccia e vasca e di usare il phon lontano dall'acqua.
Sicurezza scolastica
Anche a scuola la sicurezza va considerata con attenzione e insegnata. Educare alla sicurezza è un dovere per insegnanti, educatori e genitori, che hanno il compito di informare e rendere competenti e consapevoli i più
giovani, fornendo loro gli strumenti per poter scegliere e adottare gli stili di vita idonei.
A scuola la sicurezza si ottiene non solo attraverso strumenti e procedure efficaci d'intervento ma anche con la prevenzione. Essere bravi cittadini, in altre parole, significa consapevolezza e capacità di assumere comportamenti adeguati nelle diverse situazioni per tutelare non solo se stessi, ma anche gli altri e l'ambiente circostante.
Per questo ogni istituto scolastico predispone un documento di valutazione dei rischi, elaborato dal Dirigente scolastico, in collaborazione con il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (Rspp). All'interno del documento si trova un piano di emergenza che è obbligatorio e ha lo scopo di informare tutto il personale docente, non docente e gli studenti, sul comportamento da tenere nel caso di un allontanamento rapido dall'edificio scolastico. Il piano di emergenza indica quindi le procedure da seguire per evitare l'insorgere di un'emergenza; affronta l'emergenza fin dal primo insorgere per contenerne gli effetti e riportare la situazione in condizione di normalità; previene situazioni di confusione e di panico; pianifica le azioni necessarie a proteggere le persone sia all'interno sia all'esterno dell'edificio; assicura un'evacuazione facile, rapida e sicura.
I compiti da svolgere vengono stabiliti in funzione delle varie ipotesi di emergenza.
Altri pericoli a scuola (e le relative soluzioni) possono essere: spigoli degli arredi (paracolpi e paraspigoli); guasti (segnalazione di interventi per la manutenzione); affollamento (mettersi in fila per due negli spostamenti); soffocamento (divieto di portare a scuola fermagli e giochi di piccole dimensioni); intrusione (chiusura di porte e cancelli durante l'orario scolastico; vigilanza del personale scolastico alle porte durante l'orario di ingresso e di uscita; deleghe di inizio anno con documento di riconoscimento per il ritiro degli studenti).
Le evacuazioni
Le prove di evacuazione si effettuano almeno due volte durante l'anno scolastico in diversi momenti e spazi della giornata (dal 2018 bisogna aggiungerne almeno altre due antincendio).
Durante queste prove si verifica continuamente l'apprendimento dei comportamenti in caso di emergenza e, al termine dell'esercitazione, si analizzano in classe i comportamenti tenuti in modo da correggere gli eventuali errori commessi durante la prova.
Per esempio, in caso di prova per terremoto, di solito si effettuano tre suoni brevi e intermittenti con la campanella per simulare le scosse sismiche e dare il preallarme.
A questo segnale bisognerà cercare riparo nei luoghi più prossimi, sotto i banchi o sotto pareti portanti/angoli tra pareti, architravi e vani delle porte. Dopo trenta secondi dal primo segnale, verrà emesso un suono lungo/segnale continuo che indica di abbandonare immediatamente l'edificio.
In caso di prova per incendio o qualsiasi altra emergenza, invece, verrà emesso un suono lungo/segnale continuo. Tutti i presenti dovranno abbandonare la struttura il prima possibile, mantenendo l'ordine e in fila indiana con la mano sulla spalla del compagno che sta davanti.
A inizio anno scolastico, in ogni classe vengono designati l'alunno "apri-fila", seduto al primo banco vicino alla porta, e l'alunno "chiudi-fila", seduto all'ultimo banco.
L'alunno apri-fila dovrà aprire la porta e guidare i compagni verso il luogo di raccolta più sicuro, il chiudi-fila aiuterà eventuali compagni in difficoltà, controllerà che in aula non ci sia più nessuno e chiuderà la porta.
Tutti gli alunni dovranno comunque seguire le indicazioni del docente presente in aula, che accompagnerà la classe verso
il punto di raccolta individuato nel piano di emergenza.
Primo soccorso
Negli ultimi anni anche gli interventi di primo soccorso hanno preso spazio nell'insegnamento delle scuole italiane. Nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, infatti, vengono realizzate, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, iniziative di formazione rivolte agli studenti, per promuovere la conoscenza delle tecniche di primo soccorso, anche in collaborazione con il Servizio di emergenza territoriale 118 del Ser- vizio sanitario nazionale e con il contributo delle realtà del territorio.
La formazione permette di imparare a riconoscere le situazioni di pericolo e le circostanze che richiedono l'intervento di un adulto o dell'ambulanza, ma anche di apprendere il funzionamento e l'utilizzo di un defibrillatore e alcune manovre di primo soccorso come il massaggio cardiaco, la disostruzione delle vie aeree e la gestione del trauma.
Ricordate bene però: prestare soccorso è obbligatorio, ma non è obbligatorio intervenire. In quasi tutte le situazioni è meglio chiamare in fretta chi è esperto di soccorso piuttosto che agire direttamente.
Nel caso di infortuni è bene anche ricordare questa distinzione: le urgenze riguardano persone non a rischio della vita, le emergenze invece riguardano persone che rischiano di morire o di avere danni gravi e permanenti
In ogni caso bisogna assolutamente:
• chiamare 1'112;
• non dare da bere o da mangiare;
• non spostare la persona soccorsa per evitare il peg-
gioramento delle condizioni.
Che cosa fare nei casi di urgenze
Quando dunque si può intervenire attivamente? Solo nei casi di urgenza. Vediamo alcuni esempi.
Se l'individuo è incosciente, vomita o ha difficoltà respiratorie deve essere messo nella posizione laterale di
sicurezza.
Essa consiste nel posizionarsi in ginocchio dal lato del corpo dell'infortunato verso il quale volete girarlo. Stendete le gambe e il capo della persona, mettendo il braccio destro ad angolo retto perpendicolare rispetto al corpo e alla gamba destra. Il braccio sinistro deve essere appoggiato sul torace e la mano sulla guancia destra, con il palmo rivolto verso l'esterno.
A questo punto, piegate e alzate la gamba sinistra, facendo in modo che il piede rimanga al suolo. Da inginocchiati, tirate verso di voi il soggetto, appoggiandolo su un fianco.
Una contusione, dovuta a un urto diretto, provoca un versamento che si risolve rapidamente oppure interessa articolazioni e muscoli. La cura consiste nell'apporre ghiaccio o acqua fredda per indurre la vasocostrizione.
I casi di ferite pongono davanti a diversi scenari: rottura della pelle se superficiali, dei tessuti se profonde, degli organi se penetranti.
Ci sono ferite da taglio che comportano l'uscita di sangue in abbondanza, ferite da punta a rischio infezione, da abrasione che creano rotture della pelle con margini irregolari e ferite da contusione che comportano la lacerazione della pelle. Le operazioni da eseguire sono: disinfettare, mettere cerotti e garze, comprimere in loco.
Nelle emorragie la fuoriuscita di sangue dai vasi sanguigni può essere interna se il sangue rimane nell'organismo, esterna se esce. Il sangue interessato può essere venoso se, povero di ossigeno e di colore rosso scuro, arterioso se invece ricco di ossigeno e quindi di colore rosso vivo.
Anche qui bisogna comprimere il luogo della fuoriuscita, ma se ciò non dovesse bastare si può utilizzare un laccio emostatico (ma con grande attenzione: l'utilizzo di questo strumento è molto pericoloso se fatto sconsideratamente).
Se l'emorragia è venosa il laccio va posto tra fuoriuscita e periferia, se arteriosa fra fuoriuscita e cuore.
Per l'epistassi, ovvero la fuoriuscita di sangue dal naso in seguito a traumi o anche spontaneamente, la testa va inclinata in avanti e va messo del ghiaccio sulla fronte per provocare la vaso costrizione. L'eventuale fuoriuscita di liquido bianco è indice di frattura cranica, evento che richiede l'intervento dell' 112.
Negli infortuni muscolari di qualsiasi tipo (crampo, stiramento, strappo) bisogna procedere con massaggi oppure riposo assoluto e ghiaccio per evitare versamenti interni.
Lo stesso vale per tendiniti o tendinopatie e distorsioni o lussazioni.
In caso di perdita dei sensi (offuscamento della vista, assenza di polso, movimenti involontari) la persona va
messa nella posizione antishock che consiste nel far distendere l'individuo, mettergli qualcosa sotto la testa e alzargli le gambe in modo tale da far scorrere il sangue verso la testa.
Infine consideriamo le fratture ossee, che possono essere aperte o chiuse a seconda se c'è fuoriuscita dell'osso dalla pelle o no. Bisogna chiamare il 112 e nel frattempo, non bisogna muovere l'infortunato né farlo muovere; in caso di frattura esposta, in attesa del 112, è bene coprire la frattura con garze sterili perché esiste un forte rischio di infezione.