Kelsen è noto come il capostipite novecentesco della dottrina liberal-democratica del diritto su base giuspositivista.
Il suo pensiero è affidato prima di tutto al volume La dottrina pura del diritto.
Di questo libro esistono due diverse edizioni, entrambe pubblicate a Vienna, la prima del 1934 e la seconda del 1960.
Nonostante il titolo fosse lo stesso, il contenuto delle due opere era cambiato, ma l'idea centrale del suo pensiero rimase una dottrina pura del diritto.
L'aggettivo "puro", essenziale per capire l'intero pensiero di Kelsen, sta a indicare una dottrina né ideologica (come nel giusnaturalismo) né empirica (come nel giusrealismo).
Secondo Kelsen era necessario separare il diritto da sfere estranee quali la natura, la morale, l'etica, la sociologia e la politica.
Kelsen arriva quindi alla conclusione che solamente se vengono attuate queste separazioni si può ottenere una dottrina pura del diritto.
Parlando della separazione diritto-natura, Kelsen spiega che il diritto è un fatto sociale, un fenomeno che vive all'interno della società; la vita della società a sua volta è una delle tante espressioni della natura, che si presenta attraverso una serie di fatti privi di significato.
Il diritto qualifica questi fatti con le norme; in questo modo si arriva alla conclusione che la caratteristica specifica del diritto è il suo essere qualificante.
Se si studia il fenomeno giuridico sotto il profilo dei comportamenti con i quali ha a che fare, si ha la sociologia del diritto; se invece si studia il diritto come schema di qualificazione, si ha la dottrina pura del diritto.
Secondo Kelsen quindi la prima e fondamentale distinzione da fare è quella tra sociologia e dottrina pura del diritto.
La dottrina pura del diritto è una teoria del diritto positivo e generale, depurato da ogni legame con nozioni morali, politiche e sociologiche.
La caratteristica specifica del diritto è di essere qualificante poiché un fatto naturale è un atto giuridico quando questo fatto è contenuto in una norma posta dal legislatore.
Fatto naturale + significato oggettivo/giuridico = atto giuridico.
Da ciò risulta necessaria la distinzione tra significato soggettivo e oggettivo in un atto.
Il significato soggettivo/sociale sta nell'attribuire un significato a un comportamento, il significato oggettivo/giuridico sta nel legislatore che attribuisce un significato a un comportamento e lo impone con la norma giuridica.
Significato soggettivo e significato oggettivo possono coincidere.
La norma nasce da un fatto naturale (la norma è una categoria che non esiste in natura, ma è un prodotto intellettuale) ed è collegando questo fatto naturale a una fattispecie generale e astratta attraverso il nesso o "principio di imputazione" che questo si qualifica come atto giuridico: la norma giuridica stabilisce che, in presenza di un certo "evento" (il reato), deve seguirne un altro (l'effetto, la sanzione).
Quindi ciò che qualifica il fatto naturale in atto giuridico è il significato oggettivo/giuridico imposto dal legislatore, e contenuto in una norma, sul fatto naturale.
Kelsen separa il diritto dalla morale poiché hanno una diversa struttura.
Il diritto è un giudizio ipotetico eteronomo, in senso kantiano - a differenza della morale autonoma, che si basa su un imperativo categorico - la cui caratteristica specifica è di qualificare un fatto naturale come atto giuridico ricollegando quel fatto naturale (fattispecie concreta) a una fattispecie generale e astratta presente nella norma giuridica imposta dal legislatore.
La norma giuridica non è un fatto naturale ma è un fatto oggettivo poiché si stacca dalla volontà di chi l'emana diventando indipendente durante l'atto psichico che la genera.
La seconda distinzione si ha quando si parla di diritto e quando si parla di valutazione etica della norma: una cosa è dire che una norma è giuridica, un'altra cosa è dire che una norma è giusta o ingiusta, opportuna o inopportuna.
Kelsen dice che non è compito della dottrina pura del diritto stabilire se una norma giuridica è giusta o ingiusta, opportuna o inopportuna: il compito di dire se una norma è giusta o ingiusta è affidato alla morale, mentre quello di dire se è opportuna o inopportuna è affidato alla politica, e se si deve sempre distinguere dottrina pura da un lato, morale e politica dall'altro.
La legge che fonda l'ordinamento giuridico è definita da Kelsen Grundnorm (norma fondamentale).
La fase della nomostatica (da Νόμος, norma, legge), consiste nel prendere in considerazione la struttura della norma in sé stessa.
Per delineare il carattere specifico della norma giuridica rispetto ai fatti naturali, bisogna considerare che la caratteristica di questi ultimi è di essere retti dal principio di causalità: a ogni causa segue un determinato effetto.
Lo schema che usa Kelsen per spiegare questo rapporto di causa-effetto è: "se c'è A (causa) deve esserci (muss) B (effetto)"; lo schema invece usato per spiegare il rapporto giuridico, o rapporto di imputazione, è: "se c'è A1 deve esserci (soll) B1".
La differenza tra i verbi tedeschi Müssen e Sollen usati da Kelsen per spiegare i due tipi di rapporti sta nel fatto che il primo indica un dovere nel senso di necessità (fisica) assoluta, mentre il secondo indica un dovere nel senso di necessità giuridica (imputazione); secondo Kelsen inoltre il rapporto di imputazione è "chiuso" in se stesso, ovvero comincia da A e termina in B.
Con questi schemi, Kelsen vuole parlare della distinzione tra rapporto di causalità e rapporto di imputazione a prescindere dai contenuti; questo perché la sua teoria del diritto è "pura", quindi estranea a ogni contenuto naturalistico, politico o morale.
Una caratteristica in comune tra i due tipi di rapporti è che, a prescindere dai contenuti, esprimono tutti e due la conseguenza di un certo "evento" rispetto a un altro che lo precede.
Nonostante questo però, sul piano formale Kelsen non riesce a giustificare queste due distinzioni.
Un'altra distinzione, più sottile ma fondamentale, è quella tra le Soll-Sätze (proposizioni normative), formulate dalla scienza giuridica, e le Soll-Normen (norme), statuite dall'autorità giuridica.
Le prime, che descrivono il diritto e non obbligano o autorizzano alcuno ad alcunché, possono essere vere o false.
Le norme, invece, non possono essere vere o false, bensì solo valide o non valide.
La proposizione che descrive la validità di una norma penale, la quale commina una pena detentiva per il furto, sarebbe falsa se affermasse che, in conformità a questa norma, il furto viene punito con la detenzione, poiché vi sono casi in cui, nonostante la validità della norma, il furto non viene punito in concreto, per esempio perché il ladro si è sottratto alla pena.
La nomodinamica deve spiegare in cosa consiste la validità di una norma, da un punto di vista però puramente formale, individuando prima di tutto la categoria della validità giuridica.
La validità giuridica va distinta sia dall'efficacia della norma, altrimenti ci sarebbe confusione tra diritto e natura, sia dal valore della norma, altrimenti si confonderebbero diritto e morale.
Per Kelsen una norma è giuridicamente valida se emanata in conformità con i criteri stabiliti dalla norma di grado immediatamente superiore.
Si crea così una specie di piramide in cui ogni norma di grado inferiore è valida se è coerente con la norma di grado superiore: è questa la costruzione dell'ordinamento giuridico chiamata Stufenbautheorie, letteralmente "Teoria della costruzione a gradini".
Una norma è valida anche indipendentemente dal suo valore etico-politico: una norma di legge, per essere una norma giuridicamente valida, anche se è del tutto ingiusta o senza efficacia, basta che sia emessa in modo conforme alla Costituzione; la validità della singola norma infatti, è costruita in base a un criterio puramente formale.
Quando parliamo delle norme costituzionali, si deve determinare che non esistano altre norme al di sopra della Costituzione.
Secondo Kelsen, la "norma fondamentale" è alla base della validità delle norme costituzionali. Della "norma fondamentale" Kelsen parla in modo diverso nelle due edizioni della Dottrina Pura del Diritto:
Nella prima edizione dice che questa Grundnorm è una norma non posta, ma presupposta: è quindi una norma della quale dobbiamo presupporre la validità.
Dell'edizione del 1960 invece, il pensiero cambia sotto l'influenza delle critiche del realismo giuridico, nel senso che la norma fondamentale è valida quando il complesso delle norme trova applicazione.
Questa spiegazione risulta però contraddittoria, perché o viene accettata la prima interpretazione cadendo però nella metafisica, o viene accettata la seconda interpretazione non salvaguardando però la dottrina "pura" del diritto.
Alcuni critici accusano Hans Kelsen di "formalismo", in relazione all'idea del filosofo del diritto, secondo cui se si discute della validità della Norma Fondamentale, anche l'atto fondativo dell'usurpatore (in quanto soggetto privo di legittimazione) va considerato come diritto, in quanto l'Ordinamento Giuridico non può chiudersi con un "fatto".
Da qui la considerazione della Norma Fondamentale come finzione. Secondo uno dei più accreditati interpreti di Kelsen, Mario G. Losano, la "norma fondamentale" porta alla "contraddizione del giurista", in quanto è «una norma non posta dal legislatore, ma presupposta: 'bisogna ubbidire alla Costituzione».
Inoltre, sempre per Losano, la kelseniana distinzione tra diritto e giustizia implica l’indifferenza per quanto concerne i "contenuti delle norme”.
Di conseguenza, la sua "teoria pura del diritto spiega anche il diritto dello Stato nazista, però senza giustificarlo".
Kelsen esamina anche il rapporto tra diritto e morale; egli afferma che il diritto appartiene al mondo del dover essere (Sollen), non al mondo dell'essere (Sein).
Il diritto quindi appartiene alla sfera del dover essere, ma non nel senso della legge di Hume oppure del giusnaturalistico diritto ideale cui si contrappone un diritto positivo, ma inteso come categoria a priori logico-trascendentale.
All'interno dell'ordinamento giuridico si trova anche una distinzione tra diritto oggettivo e diritto soggettivo.
Kelsen nella sua concezione normativistica, riduce la categoria del diritto soggettivo al diritto oggettivo, poiché crede che solo quest'ultimo esista.
Ma questo diritto oggettivo, può non solo comandare o vietare, ma anche autorizzare un certo comportamento, e nel momento in cui lo autorizza, determinate persone possono avanzare delle pretese che il diritto oggettivo stesso ha loro consentito.
Kelsen si occupa anche della contrapposizione tra Stato e diritto; secondo lui, si deve attuare una radicale riduzione del diritto allo Stato, e dello Stato al diritto.
Non può esistere uno Stato senza diritto, quindi il diritto è una realtà imprescindibile rispetto allo Stato e viceversa, non può esistere l'uno se non c'è l'altro.
Nella Dottrina pura del diritto, quest'ultimo è coincidente con la volontà statale, quindi ecco emergere lo statalismo, ovvero far intervenire lo Stato in tutte le questioni economiche e sociali.
L'ultimo grande problema di Kelsen è quello dell'interpretazione.
Nel suo schema piramidale, l'interpretazione implica la scala discendente, e la validità implica la scala ascendente.
Secondo Kelsen l'interpretazione si giustifica per il fatto che ogni norma superiore autorizzando o legittimando determinate norme di grado inferiore non le può determinare totalmente.
Questo tipo di interpretazione però non è sempre chiara, poiché una legge può essere ambigua.
Per questo motivo egli afferma che se da una certa legge si arriva a diverse interpretazioni a livello logico, queste sono tutte valide.
Per lui quindi l'interpretazione viene ridotta da atto teoretico-conoscitivo ad atto decisionale di volontà (bisogna tenere presente che secondo Kelsen l'unica soluzione per un'antinomia normativa è l'abrogazione di una o entrambe le norme).
Parlando poi di criteri con i quali si sceglie una interpretazione piuttosto che un'altra, Kelsen riprende la distinzione avanzata dalla scuola neo-positivista, tra giudizi di fatto e giudizi di valore.
I giudizi di fatto sono giudizi di esistenza, mentre i giudizi di valore esprimono una valutazione; i giudizi di fatto sono verificabili, quindi scientifici, i giudizi di valore no, poiché sono puramente emozionali, non scientifici.
Una cosa è dire che una norma giuridicamente esiste o non esiste, è valida o no, perché ci si riferisce a una serie di giudizi di fatto verificabili; un conto è dire che una norma è opportuna o inopportuna perché questo sarebbe un giudizio di valore, frutto dell'emozionalità, e quindi non verificabile.
Questa distinzione però è stata criticata, perché se in una valutazione l'uomo si pone il problema dei fini, per il loro raggiungimento deve fare un'opera di comparazione di fini diversi, e questo lato comparativo è razionale.
Secondo i critici quindi non si può allontanare il mondo delle scelte dall'attività razionale.
Uno dei principali "avversari" di Kelsen fu Carl Schmitt. Una critica molto importante della concezione giuridica normativa di Kelsen è quella fatta da Alexander Hold-Ferneck, il quale mostra come il cosiddetto giuspositivismo di Kelsen è nei fatti soltanto un giusnaturalismo puramente formalizzato e desostanzializzato, "senza contenuti" (come scrive Bruno Leoni), ma che resta pur sempre giusnaturalismo.
Nel contesto culturale italiano le sue tesi furono molto criticate - in una prospettiva liberale e individualista - da Bruno Leoni.
Inoltre anche Santi Romano e Giuseppe Capograssi criticarono la teoria pura del diritto di Kelsen affermando, sia pure con ricostruzioni teoretiche differenti, che il diritto è frutto dell'evoluzione della società e della storia.
Anche Alf Ross si unisce alle critiche, sostenendo che la teoria della validità come obbligatorietà non sia altro che un invito occulto ad obbedire alla legge.