Le dimissioni dell’arcivescovo Étienne Charles Loménie de Brienne (1727-1794) dal ruolo di responsabile delle finanze, al quale era stato chiamato nel 1787 da Luigi XVI, le difficoltà della Francia manifestavano tutta la loro gravità. Incapace di guidare un processo di riforma delle istituzioni politiche e del sistema finanziario della nazione, de Brienne era stato il quarto controllore generale delle finanze francesi dal 1774, dopo l’economista Robert Jacques Turgot, il banchiere Jacques Necker, che riassumerà l’incarico nel 1788 e nel 1789, e Charles de Calonne. Osteggiato dal popolo per gli aumenti dei prezzi e l’introduzione di nuove imposte, l’arcivescovo fu oggetto anche di una feroce vignetta, raffigurante la Francia nelle sembianze di una donna pugnalata al cuore da un ecclesiastico, il cui sangue ricadeva sul religioso, formandogli un cappello cardinalizio.
Al fianco dell’insoddisfazione politica, stava ormai montando un’accesa polemica anticlericale, verso una categoria di religiosi che si arroccava sempre più sui propri privilegi, facendo fronte comune con la nobiltà.
Soltanto pochi rappresentanti del basso clero aderirono alle richieste di maggior tutela dei loro interessi, avanzate agli Stati Generali del 1789 dai delegati del Terzo Stato, formato soprattutto da professionisti, impiegati, ufficiali pubblici, intellettuali, piccoli imprenditori e artigiani. Fra questi, vi era l’abate Emmanuel Joseph Sieyès (1748-1836), uno dei più lucidi teorici della rivoluzione, il quale redasse un appello che, composto da poche frasi, divenne uno degli slogan più famosi del tempo: "1° Che cos’è il Terzo Stato? Tutto. 2° Che cosa ha rappresentato sino ad oggi nell’ordine politico? Niente. 3° Che cosa chiede? Di diventare qualcosa"Dopo il 1780 il malcontento generale era sensibilmente cresciuto. L’economia attraversava un periodo di crisi e per due anni consecutivi le condizioni atmosferiche danneggiarono i raccolti. Operai e contadini, affamati, erano al colmo dell’esasperazione, mentre lo stato rischiava di affogare nei debiti: per risanare il bilancio occorreva che anche gli ordini privilegiati pagassero le imposte.
Tuttavia, non appena un ministro delle finanze (Turgot o Necker, ad esempio, seguaci delle nuove dottrine economiche) si azzardava a presentare questa proposta, i nobili protestavano e il re lo licenziava. Nel 1788 la Francia era ormai al fallimento.
Gli ordini privilegiati si dichiararono quindi disposti a pagare le tasse, purché venissero convocati gli Stati Generali, che non si riunivano più dal 1614, ai tempi della reggenza di Maria de’ Medici in nome del marito Enrico IV assassinato quattro anni prima.
Nell’assemblea fu stabilita una procedura elettorale secondo la quale gli abitanti delle campagne si riunivano per aggregazioni parrocchiali, redigendo il proprio Cahier de doléance, un quaderno di doglianza che raccogliesse le rimostranze e le proposte espresse a livello locale sul quale si sarebbero basati i deputati eletti. I circa quarantamila Cahiers giunti fino a noi costituiscono un’eccezionale testimonianza delle condizioni della Francia alla vigilia della rivoluzione e delle richieste dei vari ceti. Mentre il clero e la nobiltà si esprimevano a favore del mantenimento dei loro privilegi e dell’abolizione delle pratiche più oppressive dell’assolutismo monarchico (era loro intenzione trasformare l’assemblea in un organo simile al parlamento britannico ed il re in un sovrano costituzionale sotto il controllo delle classi privilegiate), il Terzo Stato, formato da borghesi, artigiani e piccoli imprenditori, si spingeva a chiedere libertà di parola, di stampa e di associazione, nonché la completa uguaglianza con gli altri due ceti.
Negli Stati Generali, infatti, non contava il voto dei "singoli" deputati, ma ciascun ordine esprimeva collettivamente un voto. Nobiltà e clero sarebbero stati in grado, con due voti su tre, di imporre sempre la loro volontà. Gli Stati Generali si riunirono a Versailles il 5 maggio 1789 e subito nacquero contrasti sulle modalità di voto: votare per "testa" o votare per "stato". Le differenti modalità di voto implicavano la possibilità o meno che le richieste avanzate dal terzo stato fossero accolte dall'Assemblea.
Dopo un’aspra controversia, che durò diversi giorni, i borghesi, i rappresentanti cioè del Terzo Stato, si riunirono per proprio conto il 17 giugno in Assemblea nazionale, unica voce autorizzata a parlare in nome del popolo francese. Fatti chiudere immediatamente dal re i locali dove si deliberava, l’assemblea si spostò in un luogo destinato al gioco della pallacorda, dove il 20 giugno avvenne il celebre giuramento in cui i delegati promisero "di non separarsi mai e di riunirsi dovunque le circostanze lo esigeranno, finché la Costituzione del regno sia stabilita e posata su salde fondamenta". La strada alla rivoluzione era ormai aperta.
Il 14 luglio 1789 alle prime ore della mattina, dopo essersi procurato fucili e cannoni, il popolo francese, stremato dalla difficile situazione economica in cui versava la Francia, esasperato dalle continue pressioni fiscali e timoroso di un complotto aristocratico che avrebbe sciolto l’Assemblea nazionale, ossia il parlamento delegato a rappresentare la borghesia e a redigere una nuova costituzione, al motto di Libertà, Uguaglianza e Fraternità, insorse contro la monarchia di Luigi XVI.Il sovrano non era stato capace di giungere ad un compromesso attraverso il quale farsi riconoscere come re della nazione, tenendo conto delle nuove richieste avanzate dai ceti più bassi del suo regno. Egli aveva preferito far marciare su Parigi un esercito composto da soldati mercenari, per lo più stranieri, nel tentativo di ripristinare con la forza la sua sovranità assoluta.
La notizia di un imminente arrivo di truppe infiammò gli animi popolari.
Al grido di "Alle armi cittadini, alle armi", la folla composta prevalentemente da piccoli commercianti, artigiani e contadini, giunti dalle vicine campagne, incendiò le barriere dei dazi.
Ad essa si era aggiunta la voce del licenziamento su ordine reale del Ministro delle Finanze Jacques Necker (1732-1804), salutato alla sua nomina, nel 1788, come il possibile salvatore delle disastrata economia pubblica.
Alcuni deputati, riuniti all’Hôtel de Ville, il municipio parigino, cercarono di controllare la situazione, che stava divenendo sempre più esplosiva, istituendo un Comitato permanente cittadino.
Questo organo decise la formazione di una milizia borghese armata, per difendere la città dall’esercito regio e dai disordini provocati dai poveri e dai vagabondi, che si erano uniti subito ai rivoltosi, costituendo una minaccia altrettanto grave per i cittadini.
I volontari del Comitato appuntarono sul cappello una coccarda con i colori della città di Parigi, il rosso ed il blu, al quale fu aggiunto il bianco reale, ad indicare l’unità nazionale nel nome della monarchia. Da queste coccarde si svilupperà il tricolore della bandiera francese.
Nel giardino del Palais Royal, intanto, il giovane avvocato Camille Desmoulins arringava il popolo, spingendolo alla rivolta prima di un massacro di patrioti. La folla, eccitata ed impaziente, non intendeva ragioni; ormai la miccia della rivolta era innescata. Ignorando l’autorità del Comitato permanente cittadino, intimorita da una prova di forza del re, la gente corse ad armarsi per dirigersi verso la fortezza-prigione della Bastiglia, dove si trovavano i depositi delle munizioni.
I prigionieri del celebre carcere erano soltanto sette, due dei quali fatti internare dalle loro famiglie perché malati di mente, ma l’assalto assunse comunque un valore fortemente emblematico: il simbolo dell’arbitrio reale era stato distrutto.
Negli assunti dei maggiori protagonisti della rivoluzione da questo evento doveva rinascere un mondo 'nuovo', fatto da uomini 'nuovi', guidati dalla volontà di cercare il 'bene comune'.
I connotati simbolici attribuiti alla Bastiglia fecero sì che le sue mura fossero demolite pietra su pietra: i singoli sassi furono venduti come souvenirs col nome di "apostoli della libertà", mentre le catene divennero trofei.
L’anno successivo, sul vasto spiazzo dove sorgeva la prigione il popolo si ritroverà per danzare e l’Assemblea Nazionale attribuirà a 954 persone che avevano partecipato all’assalto il titolo di "vincitori della Bastiglia".
Dopo la presa della Bastiglia il 14 luglio 1789, cominciò a serpeggiare tra i nobili il timore di ciò che sarebbe potuto avvenire con la presa del potere da parte della classe borghese. Molti aristocratici lasciarono Parigi, dirigendosi verso i Paesi Bassi, gli Stati tedeschi e la corte dei Savoia a Torino. Il re, intanto, si era recato al Municipio di Parigi, portando appuntata sul petto la coccarda tricolore della rivoluzione.
A seguito degli avvenimenti, la notte del 4 agosto l’Assemblea Nazionale decise formalmente di abolire il sistema feudale. Sull’onda di questa soppressione, il marchese La Fayette (1757-1834) presentò la solenne Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, approvata il 26 agosto nei suoi diciassette articoli che contengono le basi sulle quali si fonderà il diritto moderno.
La Dichiarazione riassumeva tutte le proposte avanzate dal Terzo Stato, comprese l’uguaglianza naturale di tutti gli individui, il diritto alla libertà di stampa, di espressione e di credo, e alla proprietà.
Al rifiuto di Luigi XVI, forse mal consigliato, di sottoscrivere tale Dichiarazione, il 5 ottobre una folla di oltre seimila persone marciò verso Versailles, rivendicando il pronunciamento del re a favore dei decreti. Due anni trascorsero in questo clima politico incerto; l’Assemblea frattanto aveva varato una serie di enunciamenti che di fatto ponevano fine all’assolutismo regio e ai privilegi nobiliari.
In questa situazione, il 20 giugno 1791 il re, che non si rassegnava a subire il nuovo regime, tentò di fuggire da Parigi con la famiglia ed un piccolo seguito di cortigiani e servitori.
Nonostante fosse travestito da lacchè, fu riconosciuto e bloccato a Varennes, mentre il piccolo corteo tentava di raggiungere i confini orientali del regno per convincere i sovrani stranieri a impegnarsi in prima persona per la restaurazione del suo potere.
Ricondotto a Parigi sotto scorta, vivrà ormai confinato nel palazzo delle Tuileries fino al processo e alla condanna a morte, eseguita il 21 gennaio 1793 davanti ad una folla esaltata e urlante.
Durante la rivoluzione, si formarono vari clubs, sezioni politiche di diversa ideologia, alle quali appartennero i maggiori protagonisti di questo drammatico periodo storico. Il più famoso era quello dei giacobini, nato dal club dei Bretoni, che alla vigilia della convocazione da parte del re degli Stati Generali, nel maggio 1789, raccoglieva i deputati della Bretagna nominati dal Terzo Stato.
Ad essi si aggiunsero ben presto numerosi deputati di altre regioni, tanto che fu necessario trovare una sede che li potesse ospitare tutti.
La scelta cadde su un convento di domenicani, i jacobins, dai quali presero il nome.
In realtà essi preferivano la denominazione di Società degli amici della Rivoluzione, che alla caduta della monarchia verrà trasformata in Società dei Giacobini amici della libertà e dell’uguaglianza.
All’inizio di tendenze monarchico-costituzionali, i giacobini divennero sotto la guida di Robespierre repubblicani e radicali, suscitando una scissione all’interno del movimento e la formazione di altri clubs.
Dai giacobini si distaccarono i Foglianti, così chiamati dal nome del convento cistercense nel quale si riunivano, sostenitori della monarchia costituzionale, ostili alle rivendicazioni del popolo e guidati dal marchese La Fayette (1757-1834).
Un altro club formatosi dalle divisioni giacobine fu quello dei girondini, composto per lo più da avvocati e uomini di lettere, denominato così dal dipartimento della Gironda, nel quale erano state elette le maggiori personalità del gruppo e di tendenze politiche repubblicane.
Oltre a questi, vi era un altro movimento, quello degli Amici dell’uomo e del cittadini, detto "dei cordiglieri", poiché la loro sede era in un ex convento dei frati francescani, chiamati in francese cordeliers. Fra essi si schierarono Georges-Jacques Danton, Camille Desmoulins e Jean-Paul Marat.