L'arte a corte nel '700
Lo splendore delle residenze reali
Nel corso del Settecento, l’edilizia privata visse nell’intera Europa uno dei momenti di maggiore sviluppo.
Sulla scia delle grandi imprese decorative promosse dalle case regnanti, la nobiltà europea instaurò una sorta di competizione, volta a primeggiare nello splendore delle dimore e nello sfavillìo dei colori.
I palazzi, edificati ex-novo o semplicemente rimodernati secondo il gusto del tempo, si arricchirono di decorazioni, artifici, fasti ed esuberanze.
Architettura, pittura, scultura ed arti decorative concorrevano ad assicurare il prestigio di monarchi ed aristocratici e del magnifico ornamento delle loro dimore.
In Francia come in Italia, in Russia, in Spagna, in Inghilterra e nei territori dell’Impero germanico si svilupparono linguaggi artistici diversi, ma tutti connotati dall’evolversi dello stile barocco e dall’ostentazione del lusso e del prestigio sociale.
La reggia di Versailles nel XVIII secolo
Morto nel 1715 il Re Sole, la sua volontà di fare di Versailles la reggia più splendida d’Europa non venne meno coi suoi successori.
La grandiosità degli ambienti e la ricchezza delle decorazioni e degli arredi, ai quali concorsero i maggiori talenti artistici di Francia, rivelano il fasto della corte di Luigi XIV ed il gusto raffinato dei suoi successori, permettendo altresì di seguire la nascita e l’evoluzione del rococò francese.
Luigi XV (1715-1774) era timido, non amava le cerimonie ufficiali e preferiva ritirarsi nei piccoli Gabinetti di studio privati, ambienti confortevoli e raffinati, ricavati nel 1735 dalle sale che davano sull’ala destra della corte di Marmo.
A Versailles, non furono realizzati mutamenti strutturali consistenti: era già stato fatto tutto e a dismisura. Nel parco, a fianco del Grande Trianon in ceramica voluto dal Re Sole, apparve però il Piccolo Trianon, fatto costruire nel 1774 per l’amante in carica, la Marchesa de Pompadour. Il successore sul trono di Francia, Luigi XVI (1774-1793), non si sentiva a proprio agio a Versailles.
Preferì così ritirarsi nel grande salone del primo piano, che diventò la sua biblioteca, mentre sugli altri tre piani del castello e sulle mansarde sistemò i propri laboratori per la lavorazione del ferro e l’orologeria, nonché per lo studio della fisica e della geografia.
Innamorato però della natura, si fece allestire nuovamente il vasto parco, dandogli l’aspetto attuale. Sua moglie, Maria Antonietta, preferiva invece il Piccolo Trianon, trasformato completamente in questi anni dall’architetto Richard Mique (1728-1794).
I Salons del Louvre
Sino dal 1673, l’Accademia Reale di Pittura e di Scultura francese, fondata nel 1648 dal cardinale Mazarino, organizzava, con periodicità variabile, esposizioni di opere dei propri iscritti. Inizialmente allestita nella Grande Galerie del palazzo del Louvre, la mostra si spostò nel 1737 nel Salon Carrè, sala dalla quale tali esposizioni presero il nome di "Salons".
Le manifestazioni assunsero un’importanza sempre maggiore, sino ad ottenere un ruolo di primo piano nello sviluppo artistico e culturale francese. Si trattava della principale esposizione d’arte contemporanea, sostenuta economicamente dallo stato, il quale si faceva carico di stipendiare gli artisti e di concedere loro l’uso di un atelier all’interno del Louvre.
Inizialmente, solo coloro che erano stati ammessi all’Accademia potevano esporre le loro opere, ma dopo la rivoluzione del 1789 il Salon fu aperto a tutti gli artisti. Il numero delle opere presentate, rigorosamente scelte da un giudice ufficiale, variava; spesso era necessario allestire anche parte della Grande Galerie e della Galerie d’Apollon.
Un catalogo, nel quale erano indicati i prezzi, facilitava la visita. Gli artisti non vi erano presentati in ordine alfabetico, bensì gerarchico, partendo dal Primo Pittore del re sino agli ultimi ammessi all’Accademia, separando la pittura dalla scultura e dalla grafica.
La mostra apriva i battenti il 25 agosto, giorno in cui ricorre la festività di San Luigi, e durava venti giorni. Il re in persona partecipava all’inaugurazione.
François Lemoyne
Nato a Parigi nel 1688, si formò nello studio del pittore Louis Galloche e, successivamente, all'Accademia Reale di Parigi, della quale divenne membro nel 1718. Al 1717 risale la prima importante commissione: una serie di episodi della Vita di Cristo per il convento francescano di Amiens. Durante gli anni successivi dipinse numerosi quadri a soggetto religioso e mitologico, prima di partire nel 1723 per l'Italia, interamente spesato dal finanziere François Berger. Fu qui che realizzò alcuni dei suoi maggiori capolavori, tra i quali l'Ercole e Onfale del Louvre, acquistati dal Berger. Al suo ritorno in Francia, partecipò al salon del 1725 e ricevette commissioni per l’Hotel du Grand Maitre e per la chiesa di San Luigi a Versailles. Nel 1727 fu tra i dodici pittori prescelti dal duca d'Antin, direttore delle fabbriche reali, a partecipare a una competizione volta a promuovere la pittura di storia. La sua Continenza di Scipione (Nancy,Musée des Beaux-Arts) fu premiata assieme a una tela di Jean-François deTroy. Forse nel 1728 ricevette la più importante commissione della sua carriera, la decorazione del soffitto del salone di Ercole a Versailles, seguita un anno più tardi dalla tela con la grande allegoria di Luigi XV che dà la pace all'Europa nel salone della Pace. Completata nel 1736, l'Apoteosi di Ercole nell'omonimo salone valse all'artista la nomina a primo pittore del re. Il prestigioso incarico gli procurò feroci critiche e gelosie che forse contribuirono al suo suicidio il 4 giugno 1737.
Luigi XV: la moda
Il lungo regno di Luigi XV, durato cinquantanove anni, compresi i primi otto della reggenza di Filippo d’Orléans, non fu turbato da guerre, invasioni nemiche e saccheggi.
Fu un cinquantennio di pace e di tranquillità per la Francia, a dispetto di una difficile situazione finanziaria che quotidianamente palesava alla Francia lo spettro della bancarotta.
L’epoca di Luigi XV segnò un momento di straordinaria fioritura intellettuale ed artistica per la nazione, che per l’intera Europa costituiva un modello.
I gusti artistici, la lingua, la letteratura francese del periodo erano imitati in tutti gli Stati europei secondo una vera e propria moda dilagante che rendeva "antiquato" tutto ciò che non era dettato direttamente da Parigi.
La reggia asburgica di Schönbrunn
Il casino di caccia di Schönbrunn, ingrandito nel corso del Seicento da Ferdinando III e incendiato dai Turchi durante l’assedio di Vienna del 1683, fu ricostruito durante il regno di Leopoldo I su progetto dell’architetto Fisher von Erlach, con l’ambizione di farne una reggia che rivaleggiasse con la francese Versailles.
I lavori di edificazione iniziarono negli ultimi anni del Seicento e si conclusero nel 1737, ma l’imperatrice Maria Teresa apportò, negli anni Quaranta, alcuni mutamenti al complesso, che assunse allora il caratteristico colore "giallo Schönbrunn" degli intonaci.
La fama della reggia si accrebbe quando Napoleone Bonaparte vi installò nel 1805 il proprio quartier generale. Dieci anni dopo, si tenne qui il Congresso di Vienna.
All’eleganza e alla raffinatezza degli interni, di squisito gusto rococò, si accompagna la magnificenza del parco che circonda l’edificio, esteso su una superficie di cento venti ettari e sistemato con statue, fontane e viali alberati, dove si celano obelischi egizi e rovine romane, a documentare il gusto per l’antichità tipico dell’arte europea della seconda metà del Settecento.
Sorge qui il più antico zoo d’Europa, creato da Francesco Stefano di Lorena, marito dell’imperatrice Maria Teresa.
L'architettura di Johann Lucas von Hildebrandt
La pace diWestfalia non aveva recato a Vienna la calma sperata.
Soltanto nel 1683, data della disfatta dell'esercito turco che era arrivato a minacciare la città fin sotto le mura, l'Austria poté riacquistare il ruolo di potenza egemone europea.
Legata inscindibilmente alle vicende storiche, l'arte cominciò allora a rifiorire, grazie soprattutto ai progetti ambiziosi del principe Eugenio, il quale convocò alla sua corte due grandi architetti, Bernhard Fischer von Erlach e Johann Lucas von Hildebrandt, per dare un nuovo volto a Vienna.
Mentre il primo restò con la sua opera sempre sostanzialmente legato alla lezione del classicismo berniniano e alle forme architettoniche di Borromini studiato nel suo soggiorno a Roma, von Hildebrandt si impose per una maggiore originalità e modernità.
La rivalità tra i due artisti non ebbe tregua e forse a questo si deve il desiderio di von Hildebrandt di creare un linguaggio nuovo e indipendente dalla tradizione.
Se ancora legate architetture del poco più anziano Fischer von Erlach risultano le sue p rime prove, quale il palazzo del conte Mansfeld-Fondi, iniziato nel 1697 e divenuto nel 1716 la residenza degli Schwarzenberg, già a partire dai primissimi anni del nuovo secolo i progetti dell'architetto si avviano verso altre ricerche spaziali.
Il palazzo Starhenberg-Schonburg, edificato tra il 1700 e il 1706 ritenuto dalla critica il più moderno edificio privato del Settecento, mentre il Belvedere superiore del principe Eugenio di Savoia rivela tutte le sue capacità di progettista di edifici.
Sorto su una collina dalla quale si poteva dominare tutta Vienna, capitale di un vastissimo impero, il palazzo poneva, il principe generale sullo stesso piano dell'imperatore.
Con le sue alte facciate,gli imponenti rilievi, gli scaloni monumentali, la stessa ardita articolazione degli interni divenne un prototipo per le dimore aristocratiche.
In seguito, a causa delle continue frizioni con von Erlach, i progetti di von Hildebrandt per la trasformazione dell'assetto urbanistico di Vienna furono limitati ed egli fu spesso costretto a lavorare fuori dalla capitale.
Il parco della Villa Reale di Monza
Il grandioso complesso architettonico della Villa Reale di Monza sorse nel 1777 per volontà dell’arciduca Ferdinando, figlio di Maria Teresa d’Austria, che ne affidò la realizzazione all’architetto Giuseppe Piermarini (1734-1808), colui che contribuì a creare il volto neoclassico di Milano, ormai avviata a divenire una città di livello europeo.
Architetto di corte dal 1775 e professore all’Accademia di Belle Arti di Brera, il Piermarini ricevette gli incarichi costruttivi di maggior prestigio nella città e nel Ducato, mantenendo un rapporto personale con gli Asburgo. Egli affrontò l’incarico forte dell’esperienza fatta quale collaboratore di Luigi Vanvitelli nella costruzione della reggia di Caserta.
Un primo, grandioso progetto per la villa subì subito delle modifiche, volte a dare maggiore imponenza all’edificio, completato nel 1780.
Concepito inizialmente come una casa di campagna, esso era ormai divenuto una vera e propria reggia, emblema del potere sovrano degli Asburgo. Nello stesso anno, moriva Maria Teresa e l’arciduca Ferdinando, governatore della Lombardia, dovette affrontare il difficile rapporto col fratello, l’imperatore Giuseppe II, il quale aveva una diversa concezione della sovranità, maggiormente rivolta al bene dei sudditi.
Sintomatica di questo nuovo indirizzo di governo fu la costruzione del grande parco, aperto ai cittadini, ordinato con simmetrici viali e prospettive geometriche che si affiancano a pittoresche porzioni di giardino, accuratamente progettate affinché la vegetazione sembrasse essere lasciata crescere spontaneamente. Furono questi gli anni di maggior splendore della villa, che si era nel frattempo arricchita al suo interno di preziose ornamentazioni pittoriche e in stucco, realizzate dai migliori artisti presenti all’epoca in Lombardia: dai pittori Andrea Appiani (1754-1817) e Giuliano Traballesi (1727-1812) al decoratore Giocondo Albertolli (1742-1839). Gli arredi, fatti venire espressamente da Vienna e dalle altre capitali d’Europa, sono andati quasi tutti dispersi.
Nelle sale, oggi vuote e disadorne, in attesa di una progettata destinazione museale, aleggia ancora il ricordo degli antichi splendori della villa, dimora nel 1797 del vicepresidente della Repubblica Cisalpina e, alla fine dell’Ottocento, del re d’Italia, Umberto I, e di sua moglie Margherita.
Le corti della Germania
La residenza reale di Sans-Souci
Capolavoro dell’architettura del rococò tedesco, la reggia di Sans-Souci, nei pressi di Potsdam, è strettamente legata alla figura di Federico II il Grande, imperatore di Prussia. Essa fu infatti progettata in larga parte dallo stesso sovrano, il quale non esitò a contraddire il suo architetto di corte, Georg Wenceslaus von Knobelsdorff (1699-1753), pur di vedere realizzata la costruzione quale egli stesso l’aveva concepita. L’architetto, costretto ad abbandonare l’esercito per la sua salute cagionevole, fu legato da stretta amicizia col sovrano, sebbene i loro gusti in campo artistico fossero diversi: amante del rococò Federico, orientato verso il classicismo Georg Wenceslaus.
Dopo avere ingrandito il castello di Charlottenburg e ricostruito lo Stadtschloss (1744), l’architetto fu chiamato nel 1745 alla costruzione di Sans-Souci. Egli aveva immaginato un edificio ad un solo piano, posto su un alto basamento, che richiamasse con le sue forme il Palais Bourbon di Parigi o il Trianon di Luigi XIV a Versailles, ma non riuscì a portare avanti il suo progetto, preferendo il re le forme aeree e leggere del rocaille francese. Gli interni rispecchiano anch’essi la passione di Federico II per il rococò, adornati di stucchi bianchi e dorati ed impreziositi da intagli e boiseries dai teneri colori pastello.
I preziosi tesori d’arte, conservati nella reggia, comprendono una raccolta di sculture del Settecento francese e un’ importante collezione di pittura, recentemente riallestita, che riunisce opere di Guercino, Guido Reni, Domenichino, Rubens, van Dyck e numerosi altri artisti di varia nazionalità.
La residenza reale di Würzburg
Tra gli edifici tedeschi di epoca tardo barocca, il palazzo di Würzburg appare come la sintesi più perfetta delle tradizioni architettoniche tedesca, francese e italiana, armonizzate tra loro dall'abilità dell'architetto boemo Balthasar Neumann.
Commissionata nel 1720 dal principe vescovo Johann Philip Franz von Schönbrunn, che voleva farne una delle più splendide regge europee, la residenza sorge nel centro urbano della capitale della bassa Franconia. La sua edificazione richiese la collaborazione di vari architetti, tra i quali Johann Lucas von Hildebrandt e Gabriel-Germain Boffrand, chiamati soprattutto per fornire la loro consulenza a un progetto che sarà portato avanti prevalentemente dal Neumann.
I lavori all'edificio, una grandiosa costruzione con ampi saloni che si susseguono en enfilade decorati da pitture, stucchi e arredi rococò, si conclusero nel 1744. A
lla decorazione degli interni venne inizialmente chiamato il tedesco Johann Zick, che dipinse il soffitto del salone verso il giardino e, nel 1759, il pittore italiano Giambattista Tiepolo, la cui fama di grande freschista si era già diffusa in Germania.
L'invito fu offerto al Tiepolo dal banchiere Lorenz Jacob Mehling, che subito gli sottopose il progetto dell'opera elaborato da due religiosi gesuiti della corte principesca. Il contratto fu siglato nel 1750 e subito l'artista partì per Würzburg accompagnato dai figli Giandomenico e Lorenzo.
Il primo ambiente a essere decorato dall'équipe italiana fu la Kaisersaal, dove furono raffigurati alcuni episodi della storia medioevale della città, culminanti nel matrimonio celebrato nel 1156 tra Federico Barbarossa e Beatrice di Burgundia.
Mentre il Tiepolo terminava l'opera, il principe vescovo Philipp von Greiffenldau, valutando l'eccellenza di quel lavoro, decise di affidargli anche la decorazione dell'immensa volta sopra lo scalone d'onore.
L'affresco, effigiante un'Allegoria delle quattro parti del mondo con gli dei dell'Olimpo, fu completato nel 1753.
L'opera, di grande effetto prospettico, con i suoi tagli sapienti, gli scorci arditi, la prorompente vitalità, lo splendore degli accordi cromatici e luministici costituisce uno dei capolavori assoluti dell'artista veneziano.
La reggia di Pommersfelden
A pochi chilometri dalla città tedesca di Bamberga, nella regione dell'Alta Franconia, in località Pommersfelden, sorge il castello Weissenstein, un grandioso complesso architettonico, costruito tra il 1711 ed il 1716 da Johann Dienzenhofer (1663-1726) e Lukas von Hildebrandt.
L'incarico di costruire il nuovo edificio, finalizzato a divenire una residenza estiva, fu affidato loro da Lothar Franz von Schönborn, vescovo di Bamberga ed arcivescovo e principe elettore di Magonza, appassionato collezionista d'arte, assieme al nipote Federico Carlo, cancelliere dell'Impero.
L'iniziale scelta del Dienzenhofer fu motivata dal prestigio che egli si era guadagnato con la ricostruzione della cattedrale di Fulda, mentre la consulenza del von Hildebrandt, uno dei più apprezzati architetti del tempo, garantiva alla costruzione la modernità e la funzionalità della reggia.
Edificata a forma di U, con una corte di onore e padiglioni agli angoli, essa presenta una superficie ritmata dall'alternarsi di pilastri e colonne e sormontata da una trabeazione aggettante. Gli interni sono ripartiti attorno al monumentale scalone, affrescato nel soffitto e ornato da sculture. Attorno al vano scala, si trovano tre Gallerie, che fin dall'origine ospitavano la preziosa collezione d'arte del principe vescovo, tuttora conservata negli ambienti originari.
Fine conoscitore ed amante dell'arte contemporanea, von Schönborn si era già fatto apprezzare come colto mecenate nel 1707, quando in qualità di vescovo di Bamberga aveva fatto decorare la Sala Imperiale della sua residenza dal tirolese Melchior Steidl, dopo aver invano cercato di contattare Andrea Pozzo.
Dieci anni più tardi, incaricava lo svizzero Johann Rudolph Byss (1660-1730) di dipingere, con un'Allegoria delle Quattro Parti del Mondo, il soffitto della scala di Pommersfelden, inaugurando in Germania la tradizione degli scaloni dipinti. La reggia di Würzburg, pochi decenni più tardi, riproporrà questo modello, riprendendo pure lo stesso soggetto pittorico nel capolavoro di Giovanni Battista Tiepolo.
Al Byss occorsero cinque anni per completare l'affresco, una luminosa composizione affollata di personaggi e dominata al centro dal dio Apollo sul carro trainato da cavalli bianchi.
Il casino di caccia di Amalienborg
Poco distante da Monaco di Baviera, sorge il castello di Nynphemburg, rimasto miracolosamente illeso durante i bombardamenti dell’ultima guerra. Il suo vasto parco è disseminato di padiglioni, tra i quali vi è un piccolo casino di caccia, costruito tra il 1734 ed il 1739 per l’elettrice Maria Amalia di Baviera.
Il progetto fu affidato all’architetto francese di origine fiamminga François de Cuvilliés il Vecchio (1695-1768), il quale concepì un esterno semplice e lineare, a cornice dello sfarzo degli ambienti interni. Specchi, stucchi e intagli dorati e argentati sono disseminati per tutto l’edificio, accendendo di particolari riflessi la luce naturale che penetra dalle numerose finestre.
È un vero e proprio trionfo del gusto rococò, che raggiunge qui uno dei vertici più alti, stupendo il visitatore per la meraviglia degli arredi, l’arditezza delle soluzioni architettoniche e la sfrenata fantasia dell’ideatore, quel de Cuvilliés coadiuvato da una schiera di abilissimi artigiani e decoratori, impegnati nel rendere il più piacevole possibile il riposante soggiorno della bella Maria Amalia, moglie del principe elettore Carlo Alberto.
Architetti italiani a San Pietroburgo
La città di San Pietroburgo deve la sua fisionomia all’opera geniale degli architetti italiani, che vi furono attivi dall’inizio del Settecento, epoca della sua fondazione, fino alla metà del secolo successivo.
Creata nel 1703 dallo zar Pietro I il Grande sulle rive del fiume Neva, nel golfo di Finlandia, a suggello delle sue vittorie sui polacchi e sugli svedesi, la città fu dal 1713 al 1918 la capitale di un vastissimo impero.
Il primo edificio ad essere costruito fu la fortezza dedicata ai Santi Pietro e Paolo, realizzata su disegno dell’architetto militare Domenico Trezzini, originario della regione dei laghi lombardi, dopo che, in un primo momento, era stato convocato il Lambert, progettista delle roccaforti del re di Francia, Luigi XIV.
Dalla fortezza ci si estese alla costruzione della città, inizialmente affidata allo stesso Trezzini, poi a Jean-Baptiste Leblond, un urbanista membro dell’Accademia Reale di Architettura di Parigi, chiamato a corte nel 1716.
Già durante l’attività del Trezzini, altri artisti italiani lavoravano a San Pietroburgo, assieme ad architetti francesi, tedeschi e olandesi, segno tangibile della volontà dello zar di integrare la cultura russa con quella europea contemporanea.
Di molti di essi le notizie sono scarsissime: è il caso di Sebastiano Cipriani, di Giacomo Gasparri, di Niccolò Michetti. Poco più generose sono le fonti su Gaetano Chiaveri, nato a Roma nel 1689, giunto in Russia all’età di ventotto anni e autore, tra gli altri, del progetto per il Museo di Storia Naturale.
Morto Pietro I, i lavori procedettero con lentezza fino all’ascesa al trono di Elisabetta Petrovna nel 1741. Donna elegante e dotata di un ottimo gusto, amante della cultura occidentale, predilesse le doti dell’architetto Bartolomeo Rastrelli, che per lei progettò strade e palazzi.
Egli era giunto in Russia al seguito del padre Carlo, scultore e architetto di giardini, nel 1716. Mantenuto nei suoi studi all’estero dalla corte, al suo rientro a San Pietroburgo, nel 1730, iniziò subito la costruzione del Palazzo d’Inverno, distrutto poco dopo per far posto ad un nuovo edificio anch’esso progettato da lui.
Di poco successivi sono i grandiosi palazzi Stroganov e Anickov, modelli perfetti del suo stile pietroburghese. Così come il nome del Rastrelli è legato strettamente alla zarina Elisabetta, a Caterina II si unisce quello del bergamasco Giacomo Quarenghi, giunto in Russia nel 1780.
A lui furono affidati i grandi lavori nel Palazzo d’Inverno e, più tardi, la progettazione della galleria d’arte dell’Ermitage. Al Rastrelli seguirono Antonio Rinaldi (1709 c.-1794) e Vincenzo Brenna (1747-1820), tutti impegnati nel creare uno stile inconfondibile, in cui la cultura occidentale si fonde con quella russa in un insieme straordinario di effetti decorativi.
L'arte nel Palazzo d'Inverno
Il moderno museo dell’Ermitage, situato nel centro della città di San Pietroburgo sulla riva della Neva, occupa cinque edifici costruiti in epoche diverse e strettamente collegati tra loro: il Palazzo d’Inverno (1754-1762), residenza imperiale fino alla rivoluzione del 1917, il Piccolo Ermitage (1764-1769), il Grande Ermitage (1771-1779), il Teatro dell’Ermitage (1783-1789) ed il nuovo Ermitage (1840-1851).
Costituito per volontà di Caterina II, ma inaugurato ufficialmente soltanto un secolo più tardi, il museo ospita numerose e importanti collezioni di arte, ad iniziare dalla prima raccolta di dipinti acquistata dalla zarina, negli anni Sessanta del Settecento, dal commerciante tedesco Johann Ernst Gotzkovski.
A partire dal 1768, entrarono a far parte della raccolta imperiale dipinti di artisti francesi contemporanei, quali Chardin, Watteau e Greuze. Nel 1770 il filosofo Denis Diderot, corrispondente della zarina a Parigi, favorì l’acquisto della collezione Tronchin e, due anni più tardi, quella del commerciante parigino Crozat, ricca di capolavori del Cinquecento italiano.
Nell’epoca in cui si faceva strada in Europa l’idea della creazione di musei aperti al pubblico, la Russia promulgava nel 1805 l’ordinamento dell’Ermitage, che ne definiva la struttura e ne regolamentava l’accesso. Superati i limiti di una collezione strettamente privata, il museo assunse così un primo aspetto di struttura indipendente.
Le collezioni si accrebbero enormemente nel corso del XIX sec., tanto da rendere necessario il trasferimento in un’altra sede. Oltre ai dipinti, vi erano da sistemare le raccolte di scultura, di arti minori ed i reperti archeologici, divenuti sempre più numerosi.
Fu così decisa la costruzione del Nuovo Ermitage, un edificio attiguo al Palazzo d’Inverno progettato dall’architetto tedesco Leo von Klenze (1784-1864), autore della Pinacoteca di Monaco di Baviera.
Le collezioni d'arte degli zar
Fin dall’acquisto nel 1764 della collezione Gotzkovski, formata da 225 quadri di artisti olandesi e fiamminghi, che costituirono il primo nucleo del Museo dell’Ermitage, Caterina II desiderò sempre più affermare la sua immagine di monarca illuminata, amante delle arti, e non volle essere da meno di nessun altro sovrano occidentale.
Agenti speciali furono incaricati di selezionare e acquistare opere in tutta Europa. La vera passione della zarina erano tuttavia le pietre lavorate.
Unica al mondo era la sua collezione di gemme intagliate; alla fine del regno, ella possedeva oltre diecimila pezzi, sistemati in speciali vetrine, riccamente ornate di montature di bronzo dorato e appositamente realizzate dal mobiliere tedesco David Roentgen.
Fin dalla sua nascita, come museo privato degli imperatori di Russia, l’Ermitage possedeva un’importante collezione di pittura veneta, tanto che l’architetto Giacomo Quarenghi, in una lettera del 25 novembre 1804 inviata ad Antonio Canova, scriveva: "Della veneziana scuola siamo ricchi veramente".
Un gran numero di tele di maestri veneziani già si trovava a San Pietroburgo, prima che Caterina II, colei con la quale prende tradizionalmente avvio la storia del museo, salisse sul trono imperiale.
L’interesse per la cultura italiana, ed in special modo lagunare, iniziò con Pietro I, che, nel 1698, compì un breve soggiorno a Venezia, rimanendo impressionato dalla vita e dai capolavori d’arte della città. La passione collezionistica di Pietro il Grande non ebbe seguito con i suoi successori, i quali si limitarono a commissionare opere agli artisti stabilitisi a San Pietroburgo all’epoca del loro illustre predecessore.
Fanno eccezione i ritratti del veneziano Jacopo Amigoni, commissionati in Inghilterra dall’ambasciatore russo, principe Cantemir, che raffiguravano la Zarina Anna e Pietro I con Minerva (San Pietroburgo, Palazzo d’Inverno, Piccola Sala del Trono).
Se si eccettuano alcuni acquisti ordinati dell’imperatrice Elisabetta, fu con l’ascesa di Caterina che la scuola veneziana conobbe nella capitale russa il momento di maggiore gloria.
Per la decorazione della sua dacia personale, il Palazzo Cinese a Oranienbaum, ella fece giungere da Venezia tele di Giovanni Battista Pittoni, Jacopo Guarana, Gaspare Diziani, per decorare porte e soffitti.
Giovan Battista Tiepolo spedì un Riposo di Marte, andato però distrutto durante l’ultima guerra.
Il primo catalogo del museo dell’Ermitage, iniziato nel 1773 dal conte Ernst Muenich, menziona ben 284 opere di scuola veneta, la maggior parte delle quali di epoca rinascimentale. Ben 127 tele portavano la firma di eminenti maestri del Cinquecento, da Giorgione a Tiziano, da Paris Bordon a Tintoretto, da Veronese a Jacopo Bassano.
Beninteso, non si trattava sempre di quadri autografi: per lo più erano esercitazioni di copisti o opere di allievi. Il XVII ed il XVIII sec. erano rappresentati da dipinti di Pietro Liberi, Carl Loth, Andrea Celesti, Bernardo Bellotto, Rosalba Carriera, Canaletto, Amigoni, Pellegrini e altri ancora.
La tela con Mecenate presenta ad Augusto le Arti Liberali costituiva l’unica pittura di Tiepolo presente nella raccolta. La volontà di Caterina di adeguare la Russia al clima culturale che si respirava nel resto d’Europa la spinse all’acquisto di opere di gusto neoclassico.
L’interesse per la scuola veneziana smise allora di essere prioritario nella scelta dei pezzi e, nel campo della pittura italiana, Roma divenne il nuovo centro di compravendita di opere d’arte.
Giunsero così a San Pietroburgo sculture di Antonio Canova e quadri di Batoni e di Mengs.