La filosofia analitica

Filosofia analitica

In senso lato, ogni impostazione metodologica basata su tecniche concettuali che, pur differenziandosi a seconda dei vari campi di applicazione, s’imperniano tutte sull’analisi, concepita come strumento essenziale dell’indagine.

In questo senso si può parlare di f. a. a proposito del Saggio sull’intelletto umano lockiano, delle ricerche di Hume, di certe analisi kantiane, herbartiane e husserliane.

In senso specifico, l’espressione indica un orientamento di pensiero sviluppatosi soprattutto in Inghilterra dagli inizi del sec. 20°, e volto prevalentemente allo studio del linguaggio nei suoi vari aspetti (logici, scientifici, quotidiani, etici, ecc.), privilegiando l’analisi di problemi specifici rispetto all’elaborazione di sistemi ampi e comprensivi.

La scuola di Moore

Portando fino alle ultime conseguenze le premesse dell’empirismo inglese tradizionale, G.E. Moore fondò a Cambridge, dove con un insegnamento trentennale (1911-39) influenzò profondamente tutta la filosofia inglese, una scuola destinata a svilupparsi fino ai giorni nostri.

L’accettazione di un consapevole realismo conduce Moore ad assumere come compito essenziale della filosofia la chiarificazione delle assunzioni implicite, sul piano linguistico, del senso comune, nell’intento specifico di garantire più rigorosamente i presupposti realistici.

La teoria delle descrizioni di Russell

Per altra via, partendo da indagini di tipo logico-matematico e riprendendo spunti dall’opera di Frege, senza tuttavia trascurare teorie come quelle di Meinong sugli «oggetti», Russell perveniva a un’indagine logica e linguistica delle proposizioni matematiche, che sfociava da un lato nella teoria delle «descrizioni definite», dall’altro nella teoria dei tipi, tentativo di risolvere le difficoltà connesse alla scoperta dei paradossi relativi alla fondazione logistica della matematica di Frege.

La teoria delle descrizioni evitava le difficoltà della concezione ontologica del linguaggio espressa particolarmente da Meinong – secondo la quale è necessario attribuire qualche forma di esistenza a qualsiasi entità nominata nel discorso –, eliminando l’apparente riferimento ontologico delle espressioni descrittive prive di denotazione (descrizioni improprie quali ‘l’attuale re di Francia’) attraverso parafrasi formali delle asserzioni in cui le descrizioni occorrono.

Il Tractatus logico-philosophicus (1922; trad. it.) di Wittgenstein, in cui confluiscono i risultati e i problemi delle ricerche sia di Frege sia di Russell, oltre all’introduzione di tecniche logiche originali (calcolo proposizionale con metodo delle matrici), pone l’esigenza di giungere a formulare una filosofia generale del linguaggio in cui vengano a riassorbirsi i tradizionali problemi gnoseologici e metafisici.

Il positivismo logico

Alla f. a. si è soliti ricondurre il positivismo logico che, traendo spunto da alcune tesi del Tractatus, con Schlick elabora (Positivismus und Realismus, 1932) il cosiddetto principio di verificazione («Il significato di una proposizione è il metodo della sua verifica»), introducendo l’esigenza di un radicale riduzionismo antimetafisico.

Le posizioni neopositivistiche sono mediate in Inghilterra da Waismann, già membro del Circolo di Vienna, e A.J. Ayer, la cui opera Language, truth and logic (1936; trad. it. Linguaggio, verità e logica) costituisce una brillante esposizione della nuova filosofia neopositivistica.

Waismann, con la Einführung in das mathematische Denken (1936; trad. it. Introduzione al pensiero matematico), si riallaccia più direttamente a Wittgenstein, mostrando inoltre una particolare attenzione per i diversi livelli e le diverse stratificazioni linguistiche, al di là di una sistemazione strettamente logico-formale del linguaggio.

Sempre più chiaramente si fa luce quest’esigenza nell’ambito della filosofia inglese dopo il 1930, specie attraverso l’opera di Wisdom e Ryle, in cui il significato dell’analisi viene a mutare radicalmente.

Ne fa fede lo slogan «Non badate al significato [di una proposizione], ma all’uso».

L’incontro fra il positivismo logico e le correnti pragmatistiche statunitensi, in seguito al trasferimento negli USA di gran parte degli esponenti del movimento neopositivista (come Carnap, Reichenbach, Hempel), determina una confluenza di interessi e crea uno stimolo reciproco.

I prodotti più significativi si possono ritenere i saggi di Quine sui problemi ontologici, logici e semantici (From a logical point of view, 1953, trad. it. Da un punto di vista logico; Word and object, 1960, trad. it. Parola e oggetto), le ricerche di Goodman sui linguaggi fenomenisti e sull’inferenza induttiva (The structure of appearance, 1951, trad. it. La struttura dell’apparenza; Fact, fiction and forecast, 1954, trad. it. Fatti, ipotesi e previsioni) e, successivamente, gli studi di Putnam sui problemi del significato, della verità e del realismo (Philosophical papers, 3 voll., 1975-83, trad. it. del I vol. Mente, linguaggio e realtà; Reason, truth and history, 1981, trad. it. Ragione, verità e storia), nonché quelli di Kripke sulla logica modale e il riferimento dei termini linguistici (Naming and necessity, 1972; trad. it. Nome e necessità).

Il secondo Wittgenstein

Frattanto, nella seconda fase del suo pensiero, Wittgenstein (Philosophische Untersuchungen, post., 1953; trad. it. Ricerche filosofiche), abbandonata la concezione strettamente referenzialista e raffigurativa del linguaggio sostenuta nel Tractatus e implicante una corrispondenza speculare tra linguaggio e realtà, rivolge la sua attenzione quasi esclusivamente alla molteplicità e alla varietà degli usi del linguaggio e al suo funzionamento, proponendo la teoria dei giochi linguistici e svolgendo un’analisi approfondita del linguaggio comune.

Cadono così i presupposti per la costruzione di un linguaggio ideale rigorosamente formalizzato e l’indagine si sposta sul problema dei diversi livelli linguistici, sui diversi ruoli delle varie parti grammaticali del discorso nei vari contesti, sulla possibilità di individuare sintassi varie.

La scuola oxoniense

A queste tesi si ricollegano gli esponenti della scuola analitica oxoniense, i cui rappresentanti più significativi, oltre a Wisdom, sono Ryle, che lega a spunti comportamentistici le sue analisi sul significato dei termini mentalisti (The concept of mind, 1949; trad. it. Il concetto di mente), Austin, Strawson, Dummett, che riformula la disputa ontologica tra realismo e idealismo in termini di teorie del significato rivali, e Toulmin, Hare e P.H. Nowell-Smith per i problemi etici, preceduti su questo terreno dall’importante studio dello statunitense Stevenson (Ethics and language, 1944; trad. it Etica e linguaggio).

A partire dalla seconda metà degli anni Sessanta è sempre più diffusa nella f. a. la prospettiva di analisi inaugurata da Austin con il postumo How to do things with words (1962; trad. it. Come fare cose con le parole), dove il discorso viene concepito come un insieme di atti linguistici caratterizzati da una loro particolare «forza».

Grande interesse e influenza avrebbe suscitato, in tale contesto, la proposta da parte di Austin del concetto di enunciati performativi, ossia di enunciati che non descrivono un atto ma servono a compierlo.

Un analogo approccio «pragmatico» al linguaggio è presente nell’opera di Grice, al quale si deve una definizione del significato nei termini delle «intenzioni» del parlante di produrre effetti sull’uditorio.

Una sistematica presentazione della concezione del linguaggio e dei problemi filosofici iniziata da Austin si trova poi nell’opera di J.R. Searle Speech acts (1969; trad. it. Atti linguistici), dove il parlare viene concepito come una forma di comportamento e ci si impegna nel descriverne compiutamente le regole.

Le indagini sull’azione

Altri sviluppi della f. a. hanno riguardato l’analisi del linguaggio relativo all’azione e alla sua spiegazione, spesso in stretta connessione con le problematiche raggruppate sotto l’espressione «filosofia della mente».

Le indagini sull’azione, risalenti originariamente a osservazioni di Wittgenstein e Ryle, hanno avuto tra i loro maggiori esponenti Anscombe (Intention, 1957; trad. it. Intenzione), P. Winch (The idea of a social science and its relation to philosophy, 1958; trad. it. Il concetto di scienza sociale e le sue relazioni con la filosofia), von Wright (Explanation and understanding, 1971; trad. it. Spiegazione e comprensione) e D. Davidson (Essays on actions and events, 1980; trad. it. Azioni ed eventi).