Il confronto tra Nietzsche e Heidegger
Il confronto con il pensiero di Nietzsche è avviato da Heidegger nel capitolo "Temporalità e storicità" di Essere e tempo, ma raggiunge il momento di massima intensità nei corsi universitari tenuti a Friburgo a partire dal 1936, quando egli si volge a una riflessione globale sulla storia della metafisica, attuando quella svolta nel suo lavoro che i risultati dell'opera del 1927 gli sembravano imporre. Occorre peraltro riferire la riflessione su Nietzsche di Heidegger all'atteggiamento di fondo che guida il suo rapporto complessivo con i maggiori filosofi del passato, dai presocratici a Hegel. In modo schematico possiamo evidenziare i seguenti due punti del "dialogo" filosofico di Heidegger con gli altri pensatori:
1) ogni pensare filosofico in senso originale nasce sempre, per Heidegger, da un dialogo con i pensatori del passato. Promuovere tale dialogo non significa ripetere testualmente quanto un filosofo ha detto, ma rendere visibile il segreto impulso che agisce nell'intimo della sua opera.
2) Un pensatore, a differenza di un comune studioso, pensa veramente solo un unico pensiero: nei confronti di Nietzsche Heidegger pone dunque la domanda intorno al suo pensiero unico e fondamentale, e lo ritrova nella connessione fra l'idea della volontà di potenza e l'idea dell'eterno ritorno dell'uguale.
Affermando l'unità di queste due idee, Heidegger interpreta Nietzsche in chiave opposta alla lettura che ne aveva offerto Alfred Baeumler, inauguratore dell'interpretazione nazista del pensiero nietzscheano, il quale aveva sostenuto che la dottrina dell'eterno ritorno, mirando - secondo le parole dello stesso Nietzsche - a «imprimere al divenire il carattere dell'essere», contrastava con l'idea della volontà "come" potenza, che è invece esaltazione della lotta e del divenire come tale. Per fondare le sue tesi, Heidegger si rivolge soprattutto alle opere di Nietzsche pubblicate postume con il titolo Volontà di potenza, di cui egli via via sottolinea nei suoi corsi degli anni trenta le manomissioni apportate dagli editori.
Nietzsche come compimento della metafisica occidentale
Secondo la lettura di Heidegger, nel pensiero di Nietzsche si raccoglie e trova il suo compimento l'intera storia della filosofia occidentale. Tale storia, che era iniziata con il massimo di rivelazione dell'essere nel pensiero greco delle origini, si conclude con il massimo di occultamento nel pensiero della volontà di potenza. Fra questi due momenti vi è un legame profondo, perché entrambi delimitano una stessa "epoca" e condividono la struttura di un medesimo "destino" dell'essere, come vicenda del suo svelamento e occultamento. All'inizio di tale storia, nel pensiero presocratico, l'essere si determinava ancora (prima delle classiche distinzioni di essere e divenire, essere e apparenza, essere e pensiero) a partire dalla physis, come il processo per cui l'ente entra nella non latenza, ma restava già impensato il collegamento di svelatezza e nascondimento; nel pensiero di Nietzsche, dove quelle classiche distinzioni sono nuovamente revocate, l'erramento della metafisica, come oblio dell'essere, perviene al suo momento estremo. Interpretare la "metafisica" di Nietzsche è dunque anche un modo per ridestare una comprensione dell'inizio di questa epoca della storia dell' essere, e per attingere ulteriori possibilità che si celano all'interno di tale inizio.
I cinque titoli fondamentali della metafisica di Nietzsche
L'aspetto saliente dell'approccio di Heidegger al pensiero nietzscheano - che, com'è noto, era consegnato a una forma di esposizione aforistica e frammentaria - sta nell'interpretarlo come una metafisica coerente, suddivisibile in cinque titoli fondamentali tra di loro strettamente connessi: volontà di potenza, nichilismo, eterno ritorno dell'uguale, superuomo, giustizia. Secondo questa lettura, la volontà di potenza non dev'essere concepita psicologicamente, ma come «l'essenza intima dell'essere», stando alle parole dello stesso Nietzsche, per il quale "essere" significava ancora soltanto la totalità di ciò che è, vale a dire la totalità dell'ente. La volontà di potenza è attività che pone valori, quali condizioni della conservazione e dell'accrescimento della "vita", ossia ancora di se stessa. Arte e conoscenza ne sono i principali valori orientativi: la prima è il valore che determina ogni potenza di accrescimento, la seconda è la condizione di conservazione della verità. Quest'ultima non è più l'adeguazione a un essere oggettivo, come nel pensiero antico e medievale, non è neppure la certezza del soggetto, come per Cartesio, ma è soltanto una condizione posta dalla volontà, la quale soltanto stabilisce e giustifica quanto per essa vale o non vale come vero (da cui il titolo "giustizia" per intendere l'essenza della verità). Viene così alla luce che, caduto ormai ogni riferimento a un mondo "in sé" eternamente presente, lo stesso essere è degradato a "valore", vale a dire a ciò che è posto dalla volontà come condizione della propria esplicazione vitale. La volontà diventa quel carattere fondamentale di tutto l'ente per il quale non siamo più rinviati a nulla al di là di ciò che è soltanto disponibile per essa. Si rivela qui, per Heidegger, l'intreccio della volontà con l'essenza del nichilismo, che è "un non lasciar essere l'essere stesso nel suo sorgere e dischiudersi di fronte all'uomo». Pensando l'essere come valore, Nietzsche, nota Heidegger, pensa fino in fondo il senso della dottrina platonica del Bene come idea suprema che fa essere tutto ciò che è: da qui nasce l'affermazione heideggeriana - che fuori di questo contesto apparirebbe sorprendente - secondo cui Nietzsche è "il più sfrenato platonico della storia della metafisica».
In quanto volontà che vuole essenzialmente se stessa, la volontà di potenza nietzscheana è, secondo Heidegger, volontà di volontà, che si adempie in un eterno ritorno su se medesima; in questo modo la volontà non è riferita ad alcun obiettivo che la trascenda, ma esaurisce l'intera realtà. Così il superuomo non può essere caratterizzato da alcuna meta determinata del suo volere, poiché tutte le mete sono già sorpassate dalla volontà che vuole se stessa. Tale volontà, pensata metafisicamente, costituisce l'essentia della realtà, la cui existentia è data dall'«eterno ritorno dell'eguale». Secondo il punto di vista interpretativo di Heidegger, volontà di potenza ed eterno ritorno definiscono l’«ente in quanto ente», cui si è sempre rivolto l'interrogativo della metafisica; ma proprio perché ora l'essenza e l'esistenza vengono a coincidere nel processo per cui la volontà fa ritorno eternamente su se stessa (quale ultimo approdo della metafisica - che pensa l'essere come presenza costante), viene meno la stessa distinzione fra tali determinazioni ontologiche, la quale, pur nell'oblio dell'essere, testimoniava ancora della differenza di essere ed ente.
Con ciò però la metafisica ha esaurito le sue possibilità essenziali: non v'è più un "al di là" dell'ente verso cui tendere nella prospettiva, tipica di tutta la metafisica, di ricercare un fondamento dell'ente in una realtà più profonda. Se l'erramento della metafisica perviene, nel pensiero di Nietzsche, alla sua forma estrema, allora si apre la possibilità di ripensare l'essenza di tutta la metafisica, cioè quella velatezza che è sia l'oblio dell'essere (l'erranza) che il "mistero" che accompagna l'apparizione dell'ente. Ciò esige per Heidegger di volgersi al primo pensare filosofico, quale traspare dai frammenti di Anassimandro, di Eraclito e di Parmenide, allo scopo di attingere di nuovo quell'evento iniziale della storia dell'Occidente, da cui potrà sorgere un giorno "un altro destino dell'essere", in vista di cui è necessario preparare il pensiero.