Nikolaus Krebs (1401-64) nasce a Cues, presso Treviri. e studia nelle università di Heidelberg, di Padova e di Colonia. Nel 1432 partecipa al concilio di Basilea e, nel 1433, pubblica il De concordantia cathofica, nel quale teorizza una posizione conciliarista moderata. Nel 1437 passa dalla parte del papa impegnandosi da allora attivamente nella vita della Chiesa. Nel 1448 è nominato cardinale di
Nel De pace Fidei (1453) affronta la questione turca, resa urgente dalla caduta di Costantinopoli, proponendo, in contrasto con l'idea di crociata, una soluzione ispirata alla tolleranza reciproca, nella convinzione di una profonda unità di tutte le religioni (sia monoteiste sia politeiste). Un'unica fede vive al fondo della diversità dei riti, la cui molteplicità rappresenta una felice espressione della pietà religiosa secondo le diverse tradizioni dei popoli. A parte gli scritti Docta ignorantia (1440) e De conjecturis (1440-45), che hanno il carattere di un abbozzo generale della sua intera filosofia, la rimanente produzione è composta da brevi testi e opuscoli che mantengono un carattere spesso provvisorio e particolare.
Il punto di partenza della riflessione di Cusano è teologico. Dio, in quanto ens perfectissimum, privo di ogni limitazione e creatore dell'intera realtà, è infinito in atto o infinito negativo: tutte le sue proprietà sono perfettamente realizzate al culmine della loro possibilità. Rifacendosi ad Anselmo e alla sua definizione di Dio come «ciò di cui nulla di più grande può essere pensato» (quo maius cogitari nequit), Cusano parla di Dio come del «massimo assoluto» rispetto al quale nulla vi è di più grande. Ma, accanto alla tradizione scolastica "razionalistica", Cusano si rifà anche e soprattutto a quella mistica e alla teologia negativa. In questo caso l'infinità di Dio significa la sua assoluta trascendenza. Per la teologia negativa o apofatica, dice Cusano, «Dio non è né Padre, né Figlio, né Spirito santo, ma soltanto infinito». In quanto tale, Dio resta sempre trascendente e si sottrae a ogni sforzo conoscitivo dell'uomo: è un Deus absconditus che resiste a ogni tentativo della ragione di svelame l'essenza, resta inaccessibile e si mostra, anzi, come un vero e proprio "paradosso".
Il carattere paradossale dell'infinità divina è espresso da Cusano attraverso la nozione della coincidentia oppositorum, la quale oltrepassa ogni nostra capacità di comprensione razionale, fondata sul principio di non contraddizione. Egli utilizza prevalentemente simboli matematici per esprimere questa paradossale coincidenza: la linea retta e la linea curva sono distinte e addirittura opposte tra loro, ma una circonferenza "massima", ossia di diametro infinito, risulterebbe identica a una linea retta, ossia a una linea la cui curvatura sia "minima". La retta e il circolo, il minimo e il massimo, trovano nell'infinito la loro coincidenza. Sulla scia di Platone e della tradizione neoplatonica, Cusano distingue tra la ratio discorsiva e l'intellectus intuitivo: solo quest'ultimo è in grado di sollevarsi al di sopra della ragione e del suo principio di non contraddizione fino a intravedere la paradossale coincidentia oppositorum dell'infinito. Tuttavia, non si tratta di una vera e propria conoscenza, destinata a soppiantare quella razionale: l'intelletto offre solo una visione negativa che, se oltrepassa la limitatezza della ratio, non può però sfociare in un sapere positivo dell'infinito. L'intelletto ha, piuttosto, il compito di farci intravedere i limiti della ragione e del suo principio di non contraddizione e si presenta come un socratico "sapere di non sapere", una docta ignorantia.
Questa consapevolezza del limite della conoscenza razionale si traduce nella definizione della nostra conoscenza come solo congetturale, ipotetica. Nessuna conoscenza può mai essere definitiva, perché essa può approssimarsi sempre di più al suo oggetto, ma fra i due è destinata a restare sempre una differenza mai interamente colmabile. Per esprimere lo scarto che segna ineliminabilmente le nostre congetture, Cusano ricorre a un'ennesima metafora matematica: il rapporto tra la verità e la conoscenza viene paragonato a quello tra una circonferenza e il poligono inscritto. Quest'ultimo si approssimerà tanto più alla circonferenza quanti più angoli presenterà, pur non potendo mai, in quanto poligono, identificarsi pienamente con essa. Ma proprio da questa insuperabile differenza tra conoscenza e verità, da questo carattere ineliminabilmente congetturale del nostro conoscere, Cusano trae motivo per celebrare l'inesauribile creatività della mente umana. Quest'ultima, origine delle infinite congetture, risulta in qualche modo partecipe della stessa infinità creativa di Dio.
Il carattere congetturale della conoscenza umana non è riferito solo all'infinità divina ma all'intero universo che, essendo infinito come il suo creatore, non consente alla ragione di giungere a una sua completa conoscenza. L’universo, afferma Cusano riprendendo alcuni concetti della scuola di Chartres, è l'esplicazione ossia il dispiegamento di Dio nella molteplicità e nel tempo, laddove Dio è la complicazione della molteplicità nella unità assoluta. Se tale è il rapporto tra Dio e il mondo, ne consegue che quest'ultimo, manifestazione ed esplicazione di Dio, non potrà essere finito, ma dovrà essere anch'esso infinito per poter esprimere degnamente l'infinità divina. Dio e mondo non sono allora due entità distinte e contrapposte ma l'unità e la molteplicità, la coincidentia oppositorum e gli opposti, la pienezza dell'essere infinito e questa stessa infinità contratta e ristretta nelle diverse modalità di attuazione. La concezione del rapporto tra Dio e l'universo in termini di complicazione ed esplicazione e la distinzione tra l'infinità negativa di Dio e quella privativa dell'universo portano Cusano a rifiutare la cosmologia aristotelico-tolemaica, quasi anticipando alcune delle più innovative tesi della successiva rivoluzione astronomica. Egli nega l'esistenza di un centro immobile e di una circonferenza assoluta dell'universo, la perfetta immobilità della Terra e la sua posizione centrale nel mondo; infine, la restrizione della vita alla sola Terra. Nell'ordine cosmico non vi sono un "sopra" e un "sotto" assoluti e nessun corpo è più lontano o più vicino a Dio, ma ognuno è con Lui in un rapporto immediato.
A queste innovative tesi cosmologiche corrispondono le concezioni filosofico-religiose espresse negli scritti De pace fidei e De visione Dei, entrambi del 1453. La prima opera, scritta sotto l'impressione della caduta di Costantinopoli per mano dei turchi, è uno straordinario invito al dialogo e alla tolleranza religiosa. Rispetto all'unico Dio, le fedi si presentano come conjecture che manifestano il Deus absconditus in forme sempre diverse; la molteplicità e la differenza delle fedi sono considerate come manifestazione infinitamente ricca della verità. Analogamente, nel secondo breve scritto, Cusano sviluppa alcune suggestive riflessioni sulla teologia mistica. Il titolo dell'opera, De visione Dei, va inteso come un genitivo oggettivo e soggettivo a un tempo: la visione che noi possiamo avere di Dio è, contemporaneamente, la visione che Dio ha di noi, e viceversa. Ciò comporta che Dio si mostra a ciascuno con un volto e un aspetto differenti, dipendenti da ciò che ognuno è («L'uomo non può non giudicare umanamente»), e che il possesso autentico di Dio dipende dalla nostra libera decisione di possedere noi stessi. Ciò che Cusano aveva prima affermato con riferimento alla cosmologia e alla pluralità dei corpi celesti e poi in relazione alle varie fedi storiche viene adesso riferito alla fede colta nella dimensione interiore propria dell'individuo.