Il nuovo mondo

Il problema della via delle Indie

Segnali di nuovi mondi e di altre civiltà erano arrivati in Europa fin dal XIII secolo attraverso una fonte precisa e sicura: il commercio. A fungere da tramite erano in particolare gli arabi, che intrattenevano rapporti commerciali con la Cina, l’India e il Giappone e presso i quali si rifornivano i mercanti italiani, specialmente genovesi e veneziani.

Questi paesi lontani disponevano di immense ricchezze, in parte naturali (minerali del sottosuolo), in parte dovute al lavoro dell’uomo (tessuti lavorati, prodotti chimici, medicine); ma l’europeo li conosceva solo indirettamente, appunto attraverso il loro commercio. Mancava il contatto diretto, anche perché Cina, India, Giappone vissero per secoli nel più completo isolamento. Tranne alcuni luoghi accessibili ai mercanti stranieri (quasi esclusivamente arabi), tutti quei territori erano tagliati fuori da ogni rapporto diretto con l’Europa.

La necessità di acquistare direttamente nei paesi d’origine spezie, metalli e manufatti, scavalcando i vari e costosi intermediari (gli arabi e i mercanti italiani che detenevano il monopolio di quel commercio) fu un potente incentivo ai viaggi di esplorazione che, tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, portarono alle scoperte da parte degli europei di continenti sconosciuti.

Oltre ad essere allettati dai possibili vantaggi pratici, gli esploratori erano spinti a partire dal desiderio di avventurarsi in un viaggio verso terre sconosciute che affascinava la fantasia dell’uomo, in quest’epoca teso come non mai ad allargare le proprie conoscenze.

La caduta di Costantinopoli nelle mani dei turchi (1453), e il loro successivo dilagare in Europa orientale bloccano le vie del commercio con l’Asia proprio mentre l’aumento della popolazione europea (quindi dei consumi) e un tenore di vita generalmente più progredito rendono necessario importare dall’Oriente maggiori quantità di merci.

Questo sbarramento ai traffici tra Oriente e Occidente spinge gli europei a cercare nuove vie di comunicazione, necessariamente oltre le Colonne d’Ercole. Si tratta, anzitutto, di verificare la possibilità di circumnavigare l’Africa e di raggiungere l’oceano Indiano, e di lì l’Asia, unicamente per via di mare. La ricerca della via delle Indie diviene così, alla fine del Medioevo e all’inizio dell’età moderna, uno dei problemi chiave della politica economica europea.

Il merito di avere per primi affrontato il mare nel tentativo di raggiungere le Indie spettava ai fratelli genovesi Ugolino e Vadino Vivaldi, che nel 1291 avevano superato lo stretto di Gibilterra per non fare più ritorno.

Dai primi decenni del XV secolo, i portoghesi avevano intrapreso una serie di viaggi esplorativi lungo le coste africane. L’espansione marittima portoghese era stata facilitata dalla passione per le esplorazioni di re Enrico, detto appunto il Navigatore (1394-1460). Dopo aver conquistato Madeira e le isole Azzorre, gradatamente i portoghesi si spingono fino alle isole di Capo Verde (1455) raggiungendo, verso il 1470, il Golfo di Guinea. Incoraggiati dalle scoperte dei giacimenti auriferi e desiderosi di procurare spezie al loro paese natale, evitando gli intermediari veneziani e turchi, maturano il progetto di discendere lungo le coste dell’Africa e di lì provare a puntare a oriente.

Nel 1488 Bartolomeu Dias doppia la punta estrema del continente africano, da lui chiamata Capo Tempestoso e che prenderà poi il nome di Capo di Buona Speranza; la via orientale all’Asia è aperta.

Colombo e le teorie geografiche

Com’è noto, la nozione della sfericità della Terra — che alcuni fanno risalire ai pitagorici — è molto antica; risale invece al Medioevo la convinzione che al di là dell’oceano occidentale, ossia l’Atlantico, debbano trovarsi le coste orientali dell’Asia. Il procedimento necessario a calcolare le dimensioni del globo terrestre è noto sin dai tempi di Eratostene di Cirene (275-195 a.C. ca.), bibliotecario di Alessandria e amico e corrispondente di Archimede, il primo e più importante geografo dell’antichità.

Il suo calcolo della circonferenza della Terra, basato sulla misurazione dell’ombra proiettata da due oggetti di altezza conosciuta situati in due punti di latitudine differente, è di sorprendente precisione, dati i mezzi a sua disposizione; il valore della lunghezza del meridiano così trovato, pari a 250.000 stadi, equivale a circa 48.000 chilometri se si assume come unità di riferimento lo stadio greco, ma è ancor più vicino alla realtà (cica 40.000 km) se si adotta lo stazio egizio, che dà una misura di 39.600 chilometri.

Un altro calcolo si deve a Claudio Tolomeo (100 ca.-170 ca. d.C.), uno dei massimi astronomi dell’antichità, l’autore della monumentale Sintassi matematica meglio nota col nome arabo di Almagesto, il primo trattato generale di astronomia, di stretta osservanza geocentrica, destinato a formare generazioni di scienziati e di filosofi sino all’avvento di Copernico e di Galileo, costituendo una sorta di Bibbia anche per geografi e navigatori.

Tolomeo, adottando per la circonferenza terrestre non la misura di Eratostene, bensì quella scorretta di Posidonio, assai inferiore, indica la lunghezza del meridiano terestre in soli 180.000 stadi, pari a circa 35.000 chilometri secondo la misura greca e a poco più di 28.000 secondo quella egizia, facendo la Terra assai più piccola di quanto in realtà non sia.

Cristoforo Colombo, complice il geografo Paolo dal Pozzo Toscanelli, sarà notevolmente incoraggiato nel suo progetto proprio dall’errore di Tolomeo, ritenendo assai minore del reale e percorribile in pochi giorni di navigazione la distanza fra l’Europa e l’Asia orientale (ossia l’America).

Mentre i portoghesi cercano il passaggio intorno all’Africa per raggiungere le Indie, si comincia a ventilare un progetto ancora più audace. Il 25 giugno del 1474 il geografo fiorentino Paolo dal Pozzo Toscanelli (1397-1482) invia una carta-mappamondo disegnata di sua mano a Fernaõ Martins de Roriz, canonico e medico portoghese nonché cartografo reale, tramite il quale anche Colombo ne viene a conoscenza.

Nella lettera che la accompagna Toscanelli sostiene che è possibile giungere in Asia navigando verso occidente, e spiega che nella carta è riportato tutto l’occidente del mondo abitato, dall’Irlanda alla Guinea, oltre a tutte le isole che si incontrano durante la navigazione.

Di fronte ad esse, prosegue il geografo, verso occidente, sono segnate le coste dell’India con le isole e i luoghi verso i quali ci si può indirizzare dopo aver passato l’equatore; sono segnate anche le distanze (inferiori al reale perché basate sulla misurazione di Tolomeo), ossia quante miglia si debbono percorrere per giungere a queste regioni che posseggono in grande abbondanza tutte le possibili spezie, pietre preziose e gioielli.

L’avventura di Colombo si alimenta, oltre che del duplice, ma fecondo errore di Toscanelli (che pone l’Asia al posto dell’America e la fa molto più vicina di quanto non sia, esagerando addirittura l’errore per difetto di Tolomeo), si alimenta anche della lettura delle numerose descrizioni geografiche e relazioni di viaggio circolanti all’epoca, ricche di particolari sulle favolose ricchezze dell’Oriente.

Prima fra tutte, l’edizione del 1485 del Milione del veneziano Marco Polo, dettato nel 1298 a Rustichello da Pisa, e minuziosamente annotata dal genovese, insieme all’Imago mundi di Pierre d’Ailly, che Colombo possiede nell’edizione del 1483, e alla minuziosa Historia rerum ubique gestarum locorumque descriptio, comunemente detta Cosmographia, iniziata dall’umanista italiano Enea Silvio Piccolomini, pontefice col nome di Pio II e interrotta al completamento delle parti relative all’Europa e all’Asia.

Se fra le descrizioni in circolazione molte sono redatte con scrupolo, come il Libro del Conocimiento scritto da un francescano spagnolo nel 1348, alcune sono mere opere di fantasia; è il caso del celebre Libro delle meraviglie del mondo, uno dei resoconti di viaggio più letti del Medioevo, che si vuole scritto nel corso di un trentennale viaggio attorno al mondo dal cavaliere e medico inglese Jehan de Mandeville, morto a Liegi nel 1371, e che si rivela invece il lavoro di un anonimo medico belga, che collaziona con vero talento manuali e testi geografici. Ciò non impedisce che l’opera, circolata in forma manoscritta, sia stampata nel 1480 in italiano e francese e quindi tradotta in tedesco, latino e spagnolo.

I mezzi della scoperta

I grandi viaggi di scoperta dei secoli XV e XVI non sarebbero stati possibili senza il sostegno economico degli stati nazionali (Spagna, Portogallo e, più tardi, Inghilterra e Francia) dato che gli sforzi finanziari e organizzativi necessari a imprese così costose non erano sopportabili da parte di privati. Fu questo uno dei motivi per cui gli stati italiani, pur avendo contribuito con i loro uomini a queste scoperte, non riuscirono a organizzarne una per conto proprio.

Un altro fattore di successo furono i progressi tecnologici registrati in settori quali le costruzioni navali e le tecniche di navigazione che permisero di abbandonare progressivamente la tradizionale navigazione lungo costa per affrontare il mare aperto degli oceani.

La tecnica costruttiva delle navi fu perfezionata; alla fine del Medioevo la navigazione a remi venne sostituita dalla navigazione a vela. Il corredo dei bastimenti oceanici iniziò a prevedere, solitamente, un sistema a tre alberi che, oltre all'albero centrale (di maestra), prevedeva un albero a prua (trinchetto) e un terzo albero a poppa (di mezzana), dotati sia di vele quadrate che di vele triangolari (dette anche latine). La caravella portoghese e spagnola si dimostrò un tipo di scafo ideale per questa navigazione, grazie all’alberatura, al tipo di velatura, al timone, e alla sua maneggevolezza che consentiva di procedere anche con vento contrario (navigazione di bolina). Si trattava di un bastimento relativamente piccolo, che in genere aveva una capacità di carico di circa 113 tonnellate. Era caratterizzato da un’ampia prua, mentre sul lato posteriore a poppa troneggiava uno stretto e alto cassero; gli alberi erano in genere tre, con quello di trinchetto armato di vela quadra, mentre gli altri erano attrezzati con vele latine.

Oltre che veloce e maneggevole, la caravella è un’imbarcazione molto robusta; la nave preferita di Colombo, la Niña, compirà tre viaggi d’andata e ritorno attraverso l’Atlantico, per un totale di circa 25.000 miglia.

L’intensificarsi dei traffici e dei viaggi oceanici incise anche sulle tecniche navali aumentando il tonnellaggio dei bastimenti, il numero degli alberi e quindi il sistema di velatura; le caravelle furono progressivamente sostituite dai galeoni, velieri di grande tonnellaggio pesantemente armati, allo stesso tempo navi da guerra e da trasporto, che furono i dominatori dei mari fra XVI e XVII secolo.

Per tracciare le rotte e "fare il punto" lontano da ogni punto di riferimento offerto dalla costa, come accade nella navigazione oceanica, i progressi dell’astronomia descrittiva araba e occidentale portano al ritrovamento di strumenti nautici quali l’astrolabio, il quadrante e la giacobea, che vanno ad aggiungersi alla bussola, nota sin dal Mille ai cinesi e dal XII secolo agli europei, anche se il suo impiego nautico si impone solo lentamente. In particolare l’astrolabio serve per determinare l’altezza di un certo astro sull’orizzonte, e quindi per stabilire la latitudine e la longitudine in cui ci si trova, grazie anche all’aiuto di tabelle astronomiche o "almanacchi" con le posizioni giornaliere dei corpi celesti (celebri le Ephemeriden di Johannes Müller di Königsberg, perciò detto Regiomontanus, pubblicate nel 1475 a Norimberga e note a Colombo, il quale possedeva una copia dell’edizione del 1481).

Nel corso del suo primo viaggio il genovese porta con sé astrolabio e quadranti, misurando l’altezza della stella polare e probabilmente anche l’altezza meridiana del sole, ma commettendo, a quanto pare, notevoli errori nel computo della latitudine.

L’uso approfondito della bussola permise di fissare direzioni e punti di riferimento più precisi che vennero riportati su carte e mappe, denominate portolani, dove venivano raffigurate, applicando regole geometriche, le coste, gli scogli, le secche e la direzione dei venti.

L'impresa di Colombo

Basandosi sulle teorie del geografo Toscanelli e sui suoi più che ottimistici calcoli, il genovese Cristoforo Colombo (1451 ca.-1506) concepisce l’idea di raggiungere l’Asia attraverso l’oceano occidentale, l’Atlantico, in cerca delle favolose ricchezze d’Oriente. Nel 1483 propone il progetto a Giovanni II, re del Portogallo, nazione già da tempo avviata all’esplorazione dei mari; ma ne ottiene un rifiuto, motivato forse dal fatto che i geografi reali credono — giustamente: ma a volte l’errore è più fecondo della verità — che la distanza fra le due masse continentali sia molto maggiore di quella indicata da Colombo.

Questi nel 1485 si reca in Spagna per ottenere l’appoggio di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona; pur interessati al progetto, i sovrani lo sottopongono a una commissione di esperti che prenderà tempo sino al 1490 per emettere un parere negativo. Deluso, Colombo è in procinto di lasciare la Spagna per rivolgersi al re di Francia, ma grazie al monaco Juan Peréz, priore del convento francescano di La Rábida, riesce ad avere un abboccamento con la regina Isabella, che lo invita a corte nel 1491.

La vittoriosa fine delle guerre di Reconquista favorisce l’accoglimento del suo progetto, messo in pericolo solo dalle sue richieste, considerate esorbitanti; i sovrani, congedatolo nel gennaio 1492, si pentono immediatamente e lo richiamano, sottoscrivendo il 17 aprile 1492 il capitolato che autorizza la spedizione e mette a disposizione del genovese navi e uomini, riconoscendogli il titolo di Ammiraglio del Mare Oceanico, nonché di governatore a vita e viceré dei paesi scoperti, oltre alla decima parte dei proventi.

La partenza avviene dallo scomparso porto di Palos, sul rio Tinto, nelle vicinanze di Huelva: la municipalità ha messo a disposizione due navi, la Pinta e la Niña, mentre la Santa Maria, di stazza maggiore, è stata acquistata. Il reclutamento dell’equipaggio non è stato facile, sino a quando Martín Alonso Pinzón, ricco cittadino ed esperto navigatore, non si è unito alla spedizione coi fratelli; la ciurma si compone di andalusi, baschi, un concittadino di Colombo e un ebreo convertito.

Partite il 3 agosto 1492, le caravelle fanno sosta alle Canarie. Il 6 settembre il viaggio prosegue lungo il venottesimo parallelo, in condizioni favorevoli; ma la navigazione, avversata da un vento contrario levatosi il 22 settembre, si rivela più lunga del previsto, a causa dell’errore per difetto nel calcolo della distanza. Nella ciurma serpeggiano l’incertezza e il dubbio, ma il viaggio prosegue. Il 7 ottobre Colombo corregge la rotta verso sud-ovest; il 12 ottobre, verso le due di notte, dalla Pinta risuona il grido: "Luce! Terra!". Al mattino viene calata una lancia, sulla quale salgono Colombo, Pinzón e dei marinai che, dopo più di due mesi di navigazione, sbarcano prendendo possesso della terra in nome delle Loro Maestà Cattoliche. Si tratta dell’isoletta di Watling nell’arcipelago delle Bahamas, detta allora dagli indigeni Guanahani e ribattezzata da Colombo San Salvador.

Quindi, proseguendo nell’esplorazione, Colombo scopre Cuba, convinto che sia il Catai di Marco Polo. Nel viaggio di ritorno tocca Haiti, ribattezzata La Española, lasciando trentotto uomini dell’equipaggio della Santa Maria, che si era incagliata, nel forte detto La Navidad (perché fondato il 25 dicembre 1492), primo insediamento europeo nel Nuovo Mondo. Il 15 marzo 1493 la Niña e la Pinta approdano di nuovo a Palos, recando la notizia della scoperta delle via per le Indie occidentali.

Il 25 settembre 1493 Colombo salpa da Cadice per un secondo viaggio, al comando di 17 navi, nel corso del quale scopre le Piccole Antille e Giamaica, tornando in Spagna nel 1496. Il terzo viaggio, iniziato il 30 maggio 1498 dal porto di Sanlúcar de Barrameda con sei navi, lo porta ad avvistare Trinidad (31 luglio) e a sbarcare, senza saperlo, sul continente americano, presso le foci dell’Orinoco.

Una rivolta scoppiata fra i coloni di Haiti provoca l’intervento del commissario reale Francisco de Bobadilla, che arresta Colombo accusandolo di violenze e atrocità e lo rimanda in Spagna. Liberato e scagionato, Colombo ottiene di poter compiere un quarto viaggio (1502-4) nel quale costeggia gli odierni Honduras, Nicaragua e Costarica, esplorando il golfo di Darién, in vista della Colombia. Tornato in Spagna stanco e malato, muore a Valladolid nel 1506.

Amerigo Vespucci

Amerigo Vespucci, l’uomo che ha dato il proprio nome all’America, nasce a Firenze nel 1454, da una famiglia della cerchia medicea. Ricevuta una completa educazione di stampo umanistico dallo zio Giorgio Antonio, nel 1479 compie un viaggio d’affari in Francia al seguito di un parente; al ritorno entra nella banca di Lorenzo e Giovanni di Pierfrancesco de’ Medici.

Alla fine del 1491 è inviato a Siviglia, presso Giannotto Berardi, rappresentante dei Medici, già attivo nel finanziamento e nell’organizzazione dei viaggi transoceanici; alla sua morte, verso la fine del 1495, Amerigo è il gerente dell’ufficio sivigliano, per poi divenire a sua volta navigatore.

Sul numero dei viaggi da lui effettuati v’è stata a lungo polemica. Una sua lettera, probabilmente indirizzata al gonfaloniere Piero Soderini, datata 4 settembre 1504 e pubblicata a Firenze nel 1505, menziona quattro viaggi (di questa lettera circolano due versioni latine, dal titolo Quatuor Americi navigationes e Mundus novus, o Epistola de Novo Mundo).

Ma in tre lettere private, indirizzate ai Medici, Vespucci cita solo due viaggi; e gli studiosi tendono oggi ad accreditare questa seconda ipotesi, pensando che la lettera tradotta sia il risultato di un’abile contraffazione.

Nessun dubbio sussiste a riguardo del viaggio iniziato nel maggio 1499 con una flottiglia di 4 navi al comando di Alonso de Ojeda, dal quale Vespucci si separa proseguendo per proprio conto lungo le coste della Guyana, e avvistando — ma è una congettura — le foci del Rio delle Amazzoni, ufficialmente scoperte dal portoghese Pedro Alvarez de Cabral (ca.1467-1520) che nel 1500 mette piede su una nuova terra che sarà chiamata Brasile perché ricca di legno da tintura (rosso di "brace").

In questo primo viaggio anche Amerigo crede, come Colombo, di costeggiare l’Asia; è convinto infatti che, procedendo verso meridione, si possa doppiare l’estrema propaggine del continente ed entrare nel golfo del Bengala, raggiungendo l’isola di Taprobane, l’odierno Sri Lanka. Costretto a tornare indietro, raggiunge Haiti via Trinidad, oltrepassando le foci dell’Orinoco. Tornato in Spagna nel giugno 1500, cerca di organizzare una nuova spedizione, ma il governo spagnolo gli nega i finanziamenti; saranno i portoghesi, ad accordarglieli. Nel corso del secondo viaggio, iniziato il 13 maggio 1501 da Lisbona, che verosimilmente lo porta a costeggiare il continente sudamericano dal Brasile alla Patagonia (ma l’itinerario non è certo), Vespucci si convince che le terre scoperte appartengono a un nuovo continente.

Ritorna a Lisbona nel 1502; all’inizio del 1505 la Spagna lo chiama in qualità di consulente a lavorare per la famosa Casa de Contratación de las Indias, l’istituto reale per il commercio americano. Nel 1508, per la sua chiara fama di navigatore e di organizzatore, Vespucci riceve la prestigiosa carica di piloto mayor, che contempla la responsabilità di formare ed esaminare piloti e capitani per la navigazione oceanica, oltre al compito di preparare carte e rotte sulla base dei viaggi propri e di altri navigatori. Ottenuta la cittadinanza spagnola, terrà l’incarico fino alla morte, avvenuta a Siviglia nel 1512

Nel 1507 il cosmografo Martin Waldseemüller, pubblicando il proprio planisfero, lo fa precedere da una ristampa delle Quatuor Americi navigationes, incluse in un opuscolo, scritto presumibilmente dall’umanista tedesco Mathias Ringmann, intitolato Cosmographiæ introductio: in esso si suggerisce che il nuovo mondo debba chiamarsi "ab Americo Inventore […] quasi Americi terram sive Americam".

Nel planisfero del Waldseemüller il nome America appare per la prima volta, limitatamente alla parte meridionale. Una ulteriore conferma del fatto che le terre scoperte appartengono a un nuovo continente viene dallo spagnolo Vasco Nuñes de Balboa (ca. 1475-1517), che nel 1513, percorso da una sponda all’altra l’istmo di Panamá, vede scintillare davanti ai propri occhi le acque di un ignoto e sterminato oceano. Non si tratta dunque dell’Asia, ma di un mondo nuovo; l’America.

I primi insediamenti nell'America settentrionale

Gli esploratori norvegesi, o meglio vichinghi, agli ordini di Erik il Rosso, erano giunti sulle coste atlantiche poco prima del Mille.

Dopo le prime, clamorose scoperte, l’esplorazione del nuovo mondo diviene un obbiettivo di primo piano per sovrani e ministri europei, mobilitando ingenti capitali. Purtroppo, l’Italia si limita a mettere grandi navigatori a disposizione delle altre potenze. È il caso, dopo Colombo, di Giovanni Caboto, un mercante veneziano (ma nato a Gaeta e cresciuto a Genova) che dona all’Inghilterra il continente nordamericano.

Dato che Colombo, veleggiando verso sud, non ha trovato favolose città dai mercati traboccanti di seta e di spezie, ma soltanto isolette e indigeni seminudi, Caboto sceglie di seguire una rotta più breve verso nord. Così, nel 1497, guidati da un italiano, i primi inglesi mettono piede sul suolo dell’America settentrionale, convinti si tratti dell’Asia (si è dibattuto a lungo, senza poter giungere a una conclusione, se lo sbarco sia avvenuto a Terranova o sull'isola di Cape Breton).

Tradizionalmente, al nome di Giovanni Caboto, scomparso in mare nel corso del suo terzo viaggio, viene associato quello del figlio Sebastiano, anch'egli navigatore e cartografo; ma non vi sono prove che questi abbia partecipato al primo viaggio del padre. Nel 1524 un altro italiano, Giovanni da Verrazzano, conterraneo di Vespucci, veleggia verso il nuovo mondo, inviatovi da Francesco I nel tentativo di colmare il ritardo accumulato dalla Francia sulle altre potenze atlantiche nella corsa alle nuove colonie.

La sua nave, la Dauphine, doppia Cape Fear e costeggia verso nord, sino a un’isola piatta e brulla, di scarso interesse, alla foce d’un grande fiume: si tratta di Manhattan, nell’estuario dell’Hudson, dove sorgeranno i grattacieli di New York. Proseguendo Verrazzano tocca la baia di Narragansett, giungendo sino a Terranova. Deluso da quei luoghi selvaggi e inospitali, nei successivi viaggi fa rotta a sud, verso la Florida, le Bahamas e le Piccole Antille; e mal gliene incoglie, perché qui viene catturato e divorato dai cannibali.

Nel 1584 una compagnia commerciale inglese crea una nuova colonia, la Virginia, primo nucleo di un vasto e fortunato insediamento americano e di un’attività coloniale più moderna rispetto a quella spagnola. È comunque da considerare che sia in Francia sia in Inghilterra il tempo delle scoperte è distinto da quello della conquista e dell’insediamento.

Infatti, in entrambi i casi, occorre attendere il XVII secolo per assistere a veri e propri insediamenti francesi in Canada, o di puritani inglesi in Nuova Inghilterra e nel Nord America, anche se per tutto il XVI secolo è forte l’interesse per le nuove scoperte. In Inghilterra l’interesse per le scoperte viene soprattutto dalla gentry, la piccola nobiltà rurale, che costituisce il nerbo dell’amministrazione durante il regno di Enrico VIII e di Elisabetta.

Alla gentry appartengono gli esploratori Gilbert, Grenville e Raleigh. In particolare sir Walter Raleigh è la figura più caratteristica del periodo; ideatore della spedizione in Florida, fallito l’insediamento in quei luoghi arriva in Guyana, da dove tenta la conquista del favoloso Eldorado. Ma i primi insediamenti si avranno a partire dal Seicento, e saranno originati, a differenza di quelli spagnoli, sostenuti da esigenze di cristianizzazione, da motivazioni prevalentemente economiche e speculative, cui semmai l’ideale religioso funge da appoggio.

Vasco da Gama e la circumnavigazione dell'Africa

Nel 1497-98 un altro portoghese, Vasco da Gama (1460 ca.-1524), seguendo l’intinerario di Dias, raggiunge Càlicut (Calcutta) in India. Oltrepassate le Canarie e le isole di Capo Verde, le sue navi doppiano il capo di Buona Speranza e, dopo aver fatto tappa sulla costa orientale dell’Africa per rifornimento e riparazioni, mentre la ciurma patisce lo scorbuto, ormeggiano a Melinde, l’odierna Malindi. Da qui, imbarcato un pilota locale che conosce la rotta, attraversano l’Oceano Indiano in 23 giorni e raggiungono Calcutta il 20 maggio. Lo Zamorin, il governatore indù di Calcutta, istigato dai mercanti musulmani già da tempo presenti sul posto, non si mostra amichevole, e da Gama riparte in agosto portandosi dietro cinque indigeni. Il viaggio di ritorno è difficoltoso; persa una nave e molti marinai, morti di scorbuto, da Gama fa penosamente ritorno in Portogallo. Il re Manuel I gli riconosce un titolo nobiliare e un appannaggio.

Trovata la via delle Indie, il Portogallo impianta piazzeforti e scali commerciali lungo la rotta; Goa, fondata nel 1510, diviene il più importante centro commerciale in Oriente, da dove navi lusitane raggiungono la Cina e si spingono sino al Giappone. I portoghesi non cercano in Oriente, come nelle Americhe, la conquista di vasti domini territoriali, ma lasciano indisturbati i governi locali limitandosi a creare scali ove commerciare e, in breve, una rete monopolistica di traffici.

Ma la convivenza non è sempre tranquilla; Vasco da Gama tornerà in India col grado di ammiraglio per vendicare il massacro del distaccamento portoghese di Calcutta, perpetrato dagli indiani su istigazione dei mercanti musulmani, riaffermando con mezzi sbrigativi la presenza portoghese in loco. Un terzo viaggio lo porta Goa, dove si ammala, morendo a Cochin nel 1524.

Magellano e la circumnavigazione del globo

Se, come afferma Vespucci, le terre scoperte da Colombo appartengono a un nuovo continente che si frappone tra l’Europa e le ricchezze delle Indie, per giungere alla meta occorre costeggiarlo sino all’estremità meridionale e attraversare quindi l’oceano avvistato da Nuñes de Balboa.

L’impresa riuscirà, a prezzo di sacrifici inauditi, al portoghese Fernão de Magalhães, nato attorno al 1480 da nobile famiglia e paggio della regina Eleonora. Il suo primo viaggio verso l’India, agli ordini di Francisco de Almeida, risale al 1505; dopo vari soggiorni sulle coste africane e indiane egli partecipa il 2-3 febbraio 1509 alla battaglia di Diu, che assicura ai portoghesi la supremazia su gran parte dell’Oceano Indiano.

Nel 1511 si aggrega a una spedizione che, al comando del viceré Alfonso de Albuquerque, impone il controllo portoghese su Malacca, sottraendo agli arabi un altro punto-chiave della loro rete commerciale e aprendo i mari della Malesia. Deluso dal mancato riconoscimento dei propri servigi sui mari e nelle colonie, costretto a zoppicare per il resto dei suoi giorni da una ferita ricevuta in Marocco, Magellano, accompagnato dal cartografo portoghese Rui Faleiro, pone la propria esperienza al servizio del re di Spagna, Carlo I, prossimo imperatore col nome di Carlo V.

Il trattato di Tordesillas del 1493 assegna alla Spagna le terre scoperte o da scoprire a ovest della linea di demarcazione detta raya, e al Portogallo quelle a oriente; per raggiungere le isole Maluku (ossia le Molucche, le mitiche isole delle spezie), quindi, le navi di Carlo non possono seguire la via del capo di Buona Speranza, controllato dai portoghesi (il cui impero nei mari d’Oriente è ormai un ostacolo pari a quello musulmano nel Mediterraneo), ma devono procedere verso occidente, circumnavigando il continente americano, la Tierra Firme, sino a trovare un passaggio verso l’Oceano meridionale e l’Asia, e annettendo così, astutamente, l’arcipelago all’emisfero spagnolo.

Il progetto è approvato il 22 marzo 1518; il 20 settembre 1519 il navigatore, mutato il nome in Fernando de Magallanes, salpa da Sanlúcar de Barrameda al comando di cinque navi con circa 270 uomini, fra cui un gentiluomo di Vicenza, il cavalier Antonio Pigafetta (ca. 1485-ca. 1534), che terrà il diario della spedizione.

Attraversato l’Atlantico fra tempeste, ammutinamenti e naufragi, Magellano, rimasto con tre sole navi, la Trinidad, la Concepción e la Victoria, procede indefettibile verso sud.

Il 21 ottobre 1520 doppia il Cabo Virgenes, e alla latitudine approssimativa di 52° 50’ sud entra nel passaggio che prenderà il suo nome, lo Stretto di Magellano. Il 28 le tre navi entrano nell’oceano, che per le estenuanti bonacce verrà battezzato Pacifico. Volta la prora a nord-ovest, Magellano sprona l’equipaggio, ormai esausto, e raggunge il 6 marzo del 1521 Guam, nelle Marianne, dove i marinai possono approvvigionarsi, per la prima volta dopo oltre tre mesi, di acqua e cibo fresco.

Salpato il 9, Magellano raggiunge le Filippine, dove il 27 aprile 1521 cade in uno scontro coi nativi sull’isola di Mactan. Delle cinque navi partite con lui, una sola, la Victoria, raggiungerà la Spagna l’8 settembre del 1522, carica di spezie, con soli diciassette uomini d’equipaggio, allo stremo delle forze; e quattro indiani. La nave è al comando del basco Juan Sebastián de Elcano, cui andrà parte della gloria di Magellano, del quale il Portogallo si affretta a rivendicare i natali.