Dopo la Germania, la Riforma trovò un terreno particolarmente favorevole in Svizzera. Le vicende che avevano caratterizzato lo sviluppo politico delle vallate svizzere erano state abbastanza singolari.
Risaliva alla minacciosa espansione degli Asburgo, verso la fine del XIII sec., la federazione tra i cantoni rurali di Uri, Schwyz e Unterwalden, ai quali, dopo i primi successi militari, si associarono altri cantoni e città come Lucerna, Zurigo e Berna.
La Confederazione condusse una durissima lotta per affermare la propria esistenza e la propria autonomia e, nel corso del XIV sec., ottenne infine il riconoscimento da parte del potere imperiale e degli Asburgo.
Particolarità del piccolo stato fu anche la sua affermazione come forza militare nel corso del '400; la fama di guerrieri disciplinati ed efficienti che caratterizzò le schiere di fanteria armate di picca si sparse dopo la grande vittoria di Nancy (1477) contro l’esercito borgognone di Carlo il Temerario.
Gli svizzeri divennero molto richiesti dai principi e dai sovrani, che li assoldarono come mercenari, e dominarono la scena militare almeno fino alla sconfitta nella battaglia di Marignano (1515) e all’affermazione delle armi da fuoco.
Nel momento di maggior splendore, la Confederazione si era espansa territorialmente a spese dei Savoia, dell’Austria e del ducato di Milano. Fu proprio in Svizzera, nella sua particolare conformazione politica fatta di autonomie e di federazioni cantonali, che la Riforma protestante da fatto tedesco divenne un fenomeno europeo.
Mentre il luteranesimo progrediva in Germania, anche in altre località si respirava una forte ansia di riforma della Chiesa. L’esigenza di base era sempre la stessa: tornare alla purezza del messaggio evangelico. Le conseguenze, in molti casi, erano assai più radicali rispetto a quelle luterane: gli apparati ecclesiastici progressivamente venivano smantellati ed i riti esteriori sempre più criticati. In Svizzera vi furono molti fermenti.
Ulrich Zwingli nacque nel 1484 da una famiglia contadina, ma compì studi filosofici e teologici a Vienna e a Basilea. Ordinato sacerdote nel 1506, si dedicò allo studio delle Sacre Scritture, accostandosi anche al pensiero umanista di autori come Pico della Mirandola ed Erasmo da Rotterdam.
Diventato canonico della cattedrale di Zurigo, cominciò a predicare un ritorno alla semplicità della Chiesa primitiva, condannando, al pari di altri umanisti, le eccessive manifestazioni esteriori del culto. La sua polemica progressivamente si estremizzò, portandolo su posizioni simili a quelle di Lutero, cui però arrivò in maniera autonoma.
Anche lui riteneva che la salvezza fosse soltanto opera della grazia, che la fede consistesse dunque nella fiducia illimitata nella misericordia di Dio e che l’unica autorità in materia religiosa derivasse dalle Sacre Scritture. L’impostazione razionalista proveniente dalla sua formazione di umanista lo portò, infine, al contrasto con lo stesso Lutero, in particolare sulla concezione dell’eucaristia e sulla questione dell’effettiva presenza della divinità nell’ostia, un gesto da lui considerato esclusivamente simbolico e commemorativo del sacrificio di Cristo.
L’opera di Zwingli, incoraggiata dalle autorità cittadine zurighesi, si dispiegò pienamente nella riforma della Chiesa della sua città. Vennero eliminate numerose pratiche rituali, considerate superstiziose dal suo cristianesimo razionale (come le processioni, i digiuni e il culto delle immagini sacre), mentre furono riformati numerosi altri aspetti attinenti alle consuetudini religiose, abolendo il celibato dei preti, sopprimendo il sacramento dell’eucaristia e smantellando i conventi, i cui beni vennero destinati alla pubblica assistenza. Anche in ambito civile si dispiegò la sua azione, ottenendo l’abolizione della pratica del servizio militare mercenario, a cui si dedicavano i contadini svizzeri più poveri. Proprio quest’ultima riforma, toccando un punto essenziale dell’organizzazione elvetica, suscitò apprensione e paura nei cantoni cattolici, dove era presente un’influente aristocrazia militare fornitrice di truppe mercenarie.
La paura era che l’esperimento di Zurigo, che già mostrava i sintomi di espandersi nei cantoni dominati dalla borghesia mercantile, si estendesse a tutta la Confederazione: nel 1531 un esercito cattolico in marcia verso Zurigo si scontrò nei pressi di Kappel con le truppe protestanti, riportando la vittoria e bloccando, per il momento, la diffusione della Riforma. Nella battaglia lo stesso Zwingli trovò la morte.
Sconfitto il movimento di Zurigo guidato da Zwingli, la Riforma riemergeva a Ginevra, dove per merito di Giovanni Calvino si svolse una fondamentale esperienza di governo civile e religioso, uno stato-chiesa che incarnava il modello di società da lui teorizzato. La riforma di tipo svizzero nel giro di pochi anni venne rilanciata fino a diventare il fulcro della trasformazione del movimento riformatore in un fenomeno europeo e non più solo germanico.
Il ruolo principale in questa seconda fase della storia della Riforma fu svolto dal francese Jean Cauvin il cui nome fu italianizzato in Giovanni Calvino (Noyon 1509 - Ginevra 1564). Nato in una famiglia borghese devota alla Chiesa, il giovane Calvino, seguendo le orme paterne (il padre era notaio), intraprese la carriera giuridica, conseguendo il dottorato di giurisprudenza.
Nella sua formazione parigina non mancarono una solida cultura umanistica e approfonditi studi ecclesiastici. Avvicinatosi, intorno al 1533, ai circoli "evangelici" parigini, che intendevano rinnovare la Chiesa da posizioni più concilianti rispetto a quelle luterane, fu costretto a fuggire dalla città in seguito alle persecuzioni di re Francesco I. Dopo varie peregrinazioni fra Italia e Francia, finalmente, nel 1536, si stabilì a Ginevra, chiamato da Guillaume Faurel per organizzare i simpatizzanti della Riforma.
Nello stesso 1536 pubblicò a Basilea la prima edizione in latino dell'Istituzione della religione cristiana, un'opera che, tradotta in varie lingue, di edizione in edizione ottenne grandissimo successo e diffusione, diventando una sorta di "summa" teologica della Riforma.
I rapporti di Calvino con Ginevra non furono facili; nel 1538 fu costretto ad abbandonare la città, dove poté tornare solo tre anni dopo (durante il soggiorno a Strasburgo sposò Idilette de Bure e continuò i suoi studi biblici).
Pur non facendo mai parte formalmente del governo cittadino, Calvino riuscì negli anni, con un'attività instancabile, a rendere il piccolo centro di Ginevra (circa 13.000 abitanti) una sorta di "stato-chiesa", capitale morale della Riforma e incarnazione del modello calvinista di società.
Costantemente sotto la minaccia degli eserciti cattolici, soprattutto quelli guidati dal duca Emanuele Filiberto di Savoia, il suo governo si segnalò per la forte impronta autoritaria: non erano ammessi dissensi dalla dottrina ufficiale, che era improntata ad un deciso rigore fisico e morale, vi furono esili e persino condanne a morte, la più clamorosa delle quali fu quella che colpì il predicatore antitrinitario, il medico spagnolo Michele Serveto. Consumato dall'asma e dai disturbi digestivi, colpito dalle febbri malariche nel 1558, Calvino morì a Ginevra nel 1564 e fu seppellito in una fossa comune.
Il diverso modo di organizzare la società riformata costituì una delle differenze più marcate fra le teorie di Lutero e le esperienze svizzere di Zwingli e Calvino. Per il primo, l'organizzazione della riforma doveva essere affidata all'autorità costituita; per i secondi, doveva nascere e svilupparsi nella comunità stessa dei fedeli, in maniera tale da modellare il contesto politico sulla base dei principi religiosi.
Il modello di società teocratica attuato da Calvino, che trovò espressione soprattutto nelle Ordinanze ecclesiastiche, si imperniava sull'idea di predestinazione, vera pietra angolare della riflessione calvinista. La volontà imperscrutabile di Dio predestinava alcuni eletti alla salvezza eterna, mentre riservava a tutti gli altri la dannazione. Non era questione di meriti personali, ma dell'opera misericordiosa della grazia divina. Il compito del fedele era quello di non rassegnarsi al proprio destino, ma di cercare incessantemente dentro di sé i segni dell'appartenenza al consesso degli eletti.
La vita di ogni giorno, il lavoro, il compimento del proprio dovere, tutto diventava terreno di questa ricerca costante, quasi un rito religioso per celebrare la gloria del Signore. Dal momento che il successo e persino l'arricchimento, in quanto espressioni della vocazione personale, mostravano i segni della predestinazione, la nuova etica del lavoro riservava un ruolo attivo e importante per l'uomo nella società.
Il modello di società organizzato da Calvino a Ginevra costituì una sintesi tra potere temporale ed ecclesiastico: se gli strumenti della politica potevano essere finalizzati al controllo della religione e della morale, l'autorità ecclesiastica aveva il potere di indicare la via da seguire per obbedire alla parola di Dio, che trovava la sua espressione nella Bibbia, unico fondamento della teologia e di ogni istituzione umana.
La sintesi fra i due poteri trovò la sua realizzazione in un organismo misto, il Concistoro, in cui trovarono posto sia ministri laici (gli anziani o presbiteri) che ecclesiastici (i pastori, dediti alla predicazione, e i teologi). Tale organismo vigilava quindi sulla condotta dei cittadini, sulla loro rettitudine morale, sulle questioni dottrinarie e su quelle relative alla disciplina ecclesiastica.
Ginevra si avviò a diventare una sorta di "città-chiesa", spazzata da un vento moralizzatore che non risparmiò la vita pubblica e privata dei cittadini: proibiti i divertimenti, il lusso, gli spettacoli e le taverne. I peccatori venivano esclusi dalla comunione e di conseguenza subivano l'emarginazione sociale.
La Riforma ebbe un'ampia diffusione in tutta l'Europa. Il luteranesimo si impose soprattutto nell'Europa centro-settentrionale, passando dall'area linguistica e culturale tedesca a quella scandinava e penetrando con successo in Svezia, Norvegia, Danimarca, Finlandia e Islanda.
Il calvinismo trovò invece un terreno fertile per diffondersi nelle aree in cui era venuta sviluppandosi una nascente borghesia legata ai commerci e alla produzione artigianale, soprattutto nel settore tessile.
I richiami al lavoro, all'attività dell'uomo per migliorare la sua condizione e alla creazione, attraverso questi principi, del regno di Dio sulla terra ebbero evidentemente una forte presa sui ceti mercantili più dinamici, presenti in numerose realtà urbane dell'Europa, diffondendosi dalla Svizzera ai Paesi Bassi, dalla Francia alle Isole Britanniche.
In Francia, i seguaci del calvinismo furono chiamati "Ugonotti", dal termine tedesco "Eidgenosse" ("confederato", che faceva riferimento alle origini del calvinismo nella Confederazione svizzera). Cresciuti rapidamente di numero e organizzatisi anche militarmente, gli ugonotti divennero ben presto un grave problema politico per l'unità del paese e per la stessa corona, dando origine ai gravi conflitti militari che sconvolsero la Francia nella seconda metà del '500.
Il fermento di idee e progetti che accompagnò il fenomeno complesso della Riforma fu però assai variegato, fatto di tante storie diverse e di un fluire di eventi che la rottura degli argini della protesta contro Roma aveva inesorabilmente aperto ad uno scorrere impetuoso.
L'esigenza di un rapporto più diretto con Dio e di una fede personale, la critica al ritualismo e alle gerarchie ecclesiastiche e il recupero di un cristianesimo più puro portarono, nel variegato mondo che emerse dal clima infuocato della Riforma, a posizioni che si fecero sempre più estreme, venandosi di forti connotazioni antigerarchiche ed egalitarie. L'esperienza di Thomas Müntzer e della guerra dei contadini non fu un caso isolato.
Gruppi religiosi caratterizzati da simili aspirazioni si diffusero, a partire dagli anni '20 del '500, in Germania, in Olanda, in Svizzera e in Austria. Un termine spregiativo, usato sia dai cattolici che dai protestanti, per unificare qualsiasi gruppo radicale di tendenza eterodossa, pur nelle evidenti differenze che li caratterizzava, fu quello di "anabattista" (dal greco anabaptìzein, cioè "immergere di nuovo, ribattezzare").
Seguaci intransigenti del Vangelo, essi negavano il fondamento biblico del battesimo dei fanciulli per l'incapacità dei medesimi di poter esprimere una libera scelta religiosa, opzione riservata solamente alle persone adulte come conseguenza di una fede liberamente accolta e come volontà di essere membri, dopo un nuovo battesimo, di perfette comunità evangeliche.
I contenuti sociali della loro predicazione, l'opposizione alle gerarchie ecclesiastiche e al potere civile in materia religiosa ne decretarono la condanna come eretici e sediziosi e portarono alle persecuzioni e alle condanne a morte, sia in campo luterano che cattolico (spesso, in quanto "ribelli", erano mandati a morte senza processo religioso).
Oltre a Müntzer, vi furono altri predicatori più radicali di ispirazione anabattista, come ad esempio Jakob Hutter, fondatore dei "fratelli hutteriti", caratterizzati da tendenze comunistiche, e soprattutto Giovanni di Leida (l'olandese Jan Bockelson), un sarto che si proclamò sovrano della città renana di Münster in Westfalia, che nel 1534 venne ribattezzata "Nuova Gerusalemme" e che fu per circa due anni il centro del movimento anabattista.
Vi si praticavano la poligamia e la comunanza dei beni e si cercava di applicare le regole del Vangelo nella vita pubblica e privata, per una trasformazione rivoluzionaria della società. Lo spavento al di fuori fu grande: si parlò di aberrazioni sessuali e la città fu dipinta come il regno di Satana. Aiutato anche dai principi luterani, il principe vescovo della città riuscì a riconquistarla nel 1536, dopo 16 mesi di assedio seguiti da un orrendo massacro. I capi, fra cui Bockelson, furono catturati e rinchiusi in gabbie di ferro, in cui furono lasciati morire sotto gli occhi di tutti.
In Inghilterra l'ostilità contro il papato, che covava da secoli, trovò motivo per esplodere a causa delle vicende matrimoniali del re Enrico VIII Tudor (Londra 1491 - 1547). Il rifiuto, nel 1529, di papa Clemente VII), di sciogliere il matrimonio che legava il sovrano a Caterina d'Aragona per poter sposare la dama di corte Anna Bolena (rifiuto ispirato politicamente da Carlo V, parente della regina), porterà il re sulla strada della separazione da Roma.
Fatta infatti dichiarare la nullità del matrimonio dai vescovi inglesi, il re celebrò le nuove nozze nel 1533. Alla scomunica papale il re rispose con l'Atto di supremazia del 1534, in base al quale si fece proclamare dal parlamento capo supremo della Chiesa d'Inghilterra, sciolto dai vincoli di obbedienza nei confronti del papato. La nascita della Chiesa anglicana, una Chiesa separata da Roma più che riformata, fu accompagnata da massicce confische di beni ecclesiastici, che andarono ad incrementare la ricchezza immobiliare dello stato. Questo, a sua volta, provvide a redistribuire le terre ai privati, creando solidi legami fra la corona e il ceto dei proprietari che si erano arricchiti grazie a queste vendite. Gli oppositori furono perseguitati duramente; la vittima più illustre fu il cancelliere del re, l'umanista Thomas More, amico di Erasmo da Rotterdam ed autore della celebre opera in latino Utopia (1516): avendo rifiutato di aderire allo scisma, mantenendosi fedele al cattolicesimo, abbandonati gli incarichi pubblici, fu imprigionato nella Torre di Londra e poi decapitato nel 1535.
Per il momento, la Chiesa inglese, dal punto di vista religioso e teologico, più che di una riforma fu protagonista di uno scisma, perché mantenne in vigore gran parte degli apparati dogmatici e sacramentali del cattolicesimo. Il distacco, che fu più che altro di natura politica, ebbe effetti solo sul piano organizzativo di una Chiesa nazionale; in questo senso, l'innovazione più rilevante fu l'abolizione della lingua latina e l'adozione dell'inglese nelle cerimonie liturgiche.
Solo alla metà del '500, sotto Edoardo VI, figlio e successore di Enrico VIII, per iniziativa dell'Arcivescovo di Canterbury Thomas Cranmer, la Chiesa anglicana iniziò a spostarsi decisamente sul piano dottrinario e liturgico verso l'area protestante, combinando elementi diversi provenienti dal composito universo culturale della Riforma. La nuova fede religiosa venne condensata nel Libro della preghiera comune (Book of Common Prayer) e negli articoli della "Professione di Fede" del 1553.
In Scozia, grazie alla predicazione del riformatore John Knox (Haddington 1513 ca. - Edimburgo 1572), prevalse nettamente il calvinismo. Knox, che era un ex sacerdote cattolico, negli anni ’40 era diventato seguace del riformatore scozzese George Wishart, condannato a morte per eresia.
Arrestato a sua volta nel 1547 dai francesi, poté far ritorno in patria per intercessione del re d’Inghilterra Edoardo VI, che lo coinvolse nella riforma della Chiesa anglicana (fu tra gli estensori del Book of Common Prayer). In seguito all’ascesa al trono della cattolica Maria Tudor (1553), Knox riparò nel continente e soggiornò a Ginevra, la capitale morale della Riforma, dove conobbe Giovanni Calvino (pubblicando, fra l’altro nel 1558, l’opera Il primo squillo di tromba contro l'orribile regime delle donne, dedicato alla situazione scozzese).
Rientrato in patria nel 1559, fu tra i principali animatori della rivolta protestante contro la corona cattolica che, per motivi dinastici, era sostenuta dagli eserciti francesi. Il partito protestante, che aveva fatto presa soprattutto sulla piccola nobiltà terriera, avversa alla grande proprietà ecclesiastica e feudale, alla fine riuscì a prevalere prendendo il controllo del governo, grazie anche al sostegno della corona inglese che, con Elisabetta I Tudor, si era ormai decisamente schierata nel versante anti-cattolico.
Il 17 agosto 1560, la Professione di Fede dei riformatori protestanti, scritta soprattutto da Knox e largamente ispirata alle idee calviniste, fu adottata dal parlamento scozzese e rimase, per circa due secoli, la dottrina autorizzata della Chiesa presbiteriana.
Tra l’altro Knox, negli ultimi anni della sua vita, sentì il bisogno di fissare la memoria delle vicende che avevano accompagnato la penetrazione delle idee protestanti in Scozia, attendendo a comporre un’opera storica che uscì postuma, nel 1586, con il titolo Storia della riforma della religione nel regno di Scozia.
In Italia e in Spagna le idee della Riforma ebbero maggiori difficoltà di penetrazione. Nella penisola iberica infatti, che usciva dalle secolari lotte contro gli arabi, i sentimenti religiosi di matrice cattolica si erano rafforzati e avevano costituito un forte elemento di coesione per l’idea di unità nazionale.
In Italia, la presenza dello Stato Pontificio e la crescente supremazia politica della Spagna impedirono alle idee protestanti, avvertite genericamente come un moto di rivolta contro le tradizioni culturali e religiose del mondo latino, di affermarsi pienamente. Inoltre, in questi paesi la repressione fu particolarmente attenta e pronta a stroncare qualsiasi propaganda anticattolica.
Nella penisola italiana, tuttavia, si affermarono soprattutto movimenti che, partendo da esigenze di rinnovamento evangelico di origine erasmiana, si caratterizzarono per una spiritualità ai limiti dell’eresia. I centri di maggiore sviluppo furono Venezia, Napoli e la Toscana, in particolare Lucca e Firenze. Anche altri stati e città però, in opposizione al potere temporale della Chiesa, crearono le condizioni per una certa tolleranza, soprattutto nel decennio che precedette il Concilio di Trento (1545-1563).
Fra i protagonisti da ricordare, si può menzionare il letterato e teologo spagnolo Juan Valdés (1490-1541), sfuggito all’Inquisizione spagnola, che fu l’animatore, a Napoli, di un movimento evangelico caratterizzato da forte misticismo e da una certa impronta luterana e che fece proseliti anche fra le alte gerarchie ecclesiastiche e intellettuali della città.
Dopo la sua morte, i suoi seguaci furono perseguitati e alcune città della Calabria, che avevano abbracciato le sue idee, furono sottoposte ad una durissima repressione intorno al 1560. Altri personaggi di rilievo del movimento ereticale italiano furono i senesi Socini, Lelio (Siena 1525 - Zurigo 1562), teologo e umanista di rilievo europeo, convinto assertore della libertà di pensiero dei teologi e studioso critico della dottrina della Trinità, e soprattutto il nipote Fausto (Siena 1539 - Luslawice, Polonia 1604).
Quest’ultimo, partendo dagli scritti dello zio, approdò ad una teologia più radicale che fu denominata, successivamente, "socinianesimo", una dottrina che negava il dogma trinitario e la divinità di Cristo. Perseguitato dall’Inquisizione, viaggiò lungamente in Europa e partecipò a numerose dispute dottrinarie con esponenti della Riforma: è ricordato anche per le sue opere di condanna dell’intolleranza religiosa.