Nato intorno al 1280 ad Ockham, nella contea di Surrey in Inghilterra, e morto a München in Baviera probabilmente il 9 aprile 1347. Entrato tra i francescani studiò a Oxford dove completò i suoi studi sino a diventare lettore delle Sentenze. Nel 1319, mancando ad Oxford una cattedra disponibile, fu a London per cominciare il suo insegnamento nello studio dell'Ordine dove rimase fino al 1324. Denunciato dal Lutterel ad Avignone su 56 proposizioni sospette, vi restò per quattro anni fino al 26 maggio 1328 quando fuggì con Michele di Cesena e Bonagrazia da Bergamo. Sconfessato dall'Ordine e dal papa con gli altri due ribelli, si rifugiò prima a Pisa e poi a München. I suoi scritti si suddividono in due periodi distinti. Le opere del primo periodo riguardano particolarmente il Commento alle Sentenze di cui solo quello al primo libro, l'Ordinatio, era stato preparato per la pubblicazione mentre il resto è frutto di appunti per le lezioni ed è noto sotto il nome di Reportatio. Altrettanto importante è la Summa logicae, dove Ockham espone la sua particolare impostazione del problema degli universali. Oltre le Sentenze, egli ha commentato diverse volte la Fisica e l'Organon di Aristotele, quest’ultimo noto come Expositio Aurea, e ha lasciato, inoltre, sette Quodlibeta. Del secondo periodo vanno menzionate: Opus nonaginta dierum, Dialogus, Octo quaestiones, Breviloquium de potestate papae (o Breviloquium de principatu tyrannico) e De imperatorum et pontificum potestate.
Per comprendere le peculiarità teologiche di Ockham bisogna partire dalla sua visione logico epistemologica, affidata soprattutto alla Summa logicae. Nella recezione del pensiero di Ockham la difficoltà maggiore incontrata dai contemporanei è determinata proprio dalla puntigliosa e severa analisi dei termini logico epistemologici del discorso scientifico. La vera novità ockhamista, rispetto ai manuali in circolazione al suo tempo, è offerta dalla teoria della suppositio semplice dove Ockham nega che vi sia una qualche organica concettualizzazione universale per affermare risolutamente che la suppositio sia semplicemente un concetto mentale che sta per l'individuo concreto a cui si riferisce. Questa teoria è quella che gli è stata maggiormente contestata perché poteva apparire una distruzione radicale di ogni percorso metafisico. Analogamente alla sua visione della suppositio sul piano logico, Ockham distingue la conoscenza in intuitiva ed astrattiva definendo come intuitiva la conoscenza che giunge ad afferrare il concreto individuale mentre quella astrattiva è legata a schemi logici e linguistici che non colgono l’oggetto nella sua peculiarità. La conoscenza intuitiva non è affatto una negazione dell’intelligenza del comprendere in quanto Ockham afferma che l’intuizione deve necessariamente cogliere il reale attraverso i sensi ma la sua vera sede è l’intelletto. Partendo quindi teologicamente dalla critica della distinzione scotista tra scienza per noi e scienza in sé dei beati, considerata assurda perché noi non siamo in grado di cogliere la realtà della visione beatifica, Ockham sostiene che l'intuizione dei beati non è paragonabile alla nostra conoscenza astratta ottenuta attraverso la Rivelazione e la comprensione della realtà creaturale. Ockham non nega infatti che in linea di principio noi possiamo avere da Dio un dono particolare d'intuizione dell'essenza divina, ma afferma che normalmente la conoscenza intuitiva nell'uomo viatore è quella delle proposizioni contingenti e del rapporto reale tra soggetto e predicato nella proposizione scientifica.
Pertanto la conoscenza teologica non può contare su intuizioni previe evidenti ma solo su conoscenze astrattive che Ockham considera teologicamente possibili in quanto la conoscenza di Dio poggia non su concetti concernenti solo Dio ma su concetti comuni a Dio e alle creature, non perché tra di loro vi sia una somiglianza reale ma solo grazie alla potenza assoluta di Dio che può causare una notizia astrattiva di sé nell'intelletto umano. Perciò la teologia è contemporaneamente scienza pratica e speculativa, a seconda dell'oggetto di cui si occupa in quanto rispetto alle altre scienze ha a che fare sia con le nostre facoltà di cui deve analizzare le possibilità di recezione e comprensione del discorso su Dio - e in tal senso è scienza pratica - sia con gli elementi concettuali a lei propri con cui cerca di chiarire speculativamente la notizia astrattiva che Dio causa in noi.
Alla stessa stregua Ockham considera il rapporto tra fede e teologia guardando più agli effetti nel teologo che alle premesse: se il teologo dimostra concetti che rientrano nella tradizione ortodossa egli è certamente al centro della complessa dinamica tra assenso, atto di fede e teologia. Una dinamica che mostra la differenza radicale che intercorre tra la teologia e lo statuto epistemologico comune alle altre scienze. E se innovativa è l'immagine della teologia scientifica, originale è anche il percorso che Ockham propone del suo oggetto primo, Dio.
Ockham infatti non nega la possibilità di un discorso metafisico su Dio ma considera la definizione di Dio per eminenza ontologica distinguendo tra la definizione che vede Dio come il migliore degli enti e quella che lo vede come ciò di cui nulla è più perfetto. Nel primo caso non possiamo giungere a una dimostrazione della sua esistenza, in quanto gli attributi di perfezione di Dio sono soprattutto frutto dell’esperienza rivelata della teologia, mentre nel secondo caso Ockham ritiene si possa giungere a una dimostrazione rigorosa giustificata attraverso la realtà della conservazione nell’essere degli enti finiti i quali non possono avere la sussistenza da sé stessi. Dunque la vera novità ockhamista non è nella presunta distruzione dell’edificio teologico ma nella sua concezione dell'individuo considerato nello spirito francescano come un valore in sé: una tesi ribadita anche dalla sua negazione di un valore ontologico alla distinzione tra essenza ed esistenza, legata alla sua teoria della suppositio semplice che per il riconoscimento di fatto dell'individuo nella sua piena realtà non ha più bisogno di alcun principio d'individuazione.
Una posizione che prelude alla sua visione della libertà e dell'amore nella quale rifiuta l'intellettualismo etico di Tommaso e lo stesso riconoscimento dell'arbitrio d'indeterminazione di Scoto. Per Ockham solo la Rivelazione fa conoscere il fine ultimo e il Sommo Bene, perché dal punto di vista filosofico non vi è necessità alcuna che l'uomo elegga Dio come fine e si metta alla sequela di Cristo.
Con questo però Ockham non pensa ad un positivismo rivelato della morale che non abbia più un aggancio con la razionalità in quanto considera le argomentazioni etiche come principi che non possono fare a meno di sviluppare ed esplicitare l’agire morale. Inoltre, nonostante l’ipotesi per assurdo del Dio che potrebbe indurre al male, fraintesa dalle accuse mossegli dal Lutterel, Ockham nega che vi possa essere una qualche distinzione in Dio tra volontà e intelletto e pertanto l’idea che Dio possa fare tutto ciò che vuole tranne ciò che include una qualche contraddizione e incoerenza, di fatto collima con l’idea di un agire divino razionale, meglio ancora, sapienziale perché inserito nel quadro di quella stessa razionalità da lui voluta. Che non significa rientrare in una visione razionalistica perché l'amore e la bontà intrinseca di un atto non sono misurabili con strumenti razionali esterni all'atto stesso ma con la verità interna di quell'atto.
È nell'amore di Dio per ciascuna creatura che bisogna ritrovare l'ispirazione profonda della visione teologica di Ockham che critica la visione universalistica classica proprio perché non saprebbe rendere pienamente ragione dell'amore con cui Dio ama ogni uomo. Dal punto di vista ecclesiologico negli scritti del secondo periodo Ockham ammette il primato pontificio rispetto al concilio ma riconosce che l'infallibilità, fonte dell'autenticazione autorevole, è data attraverso la chiesa universale e il consenso dei fedeli. Dato il conflitto con Giovanni XXII Ockham cerca di creare una nozione che sia al riparo anche dagli errori, o ritenuti tali, del papa per questo considera nel concetto di chiesa universale tutto il patrimonio delle dottrine anche solo tacitamente accolte dall'intero popolo di Dio nella concatenazione storica delle generazioni credenti. Questo non significa negare l’autorità del papa ma trovare un equilibrio che renda credibili l’ecclesialità del patrimonio della fede e il dovere magisteriale dell'autenticazione. Un tema scottante nel momento della polemica sull’uso dei beni nella quale Ockham fa valere contro Giovanni XXII la sua visione francescana legata al primato della persona e dei suoi bisogni.
Studi: A. GHISALBERTI, Guglielmo di Ockham e l'ockhamismo, in Storia della teologia nel medioevo, III, pp. 463-505, bibl. pp. 510-513; F. ALESSIO, Guglielmo d’Occam, in M. DAL PRA (a cura di) Storia della filosofia, VI, pp. 321-343, bibl. pp. 508-510.
FRANCESCO FRANCO