Alla morte di Lenin si era scatenata la lotta per la successione alla guida dell'Unione Sovietica. Questa si era conclusa con la sconfitta di Trotskij, espulso dal Partito comunista nel 1927 e costretto all'esilio. Stalin, eliminato il più pericoloso concorrente con l'appoggio degli altri dirigenti bolscevichi, volle costruire "il socialismo in un Paese solo" facendo diventare l'arretrata Unione Sovietica una grande potenza industriale. Per centrare questo obiettivo organizzò rigidamente l'economia secondo piani di sviluppo stabiliti dallo Stato.
Il piano di sviluppo economico guidato dallo Stato, impostato su 5 anni con inizio nel 1928, doveva avere il completo controllo di ogni attività produttiva. Per questo fu subito abbandonata la NEP, la nuova politica economica voluta da Lenin per uscire dalla crisi del "comunismo di guerra" che prevedeva anche la libera iniziativa dei contadini proprietari di terre e dei piccoli industriali. Con Stalin nelle campagne fu abolita la proprietà individuale e venne attuato un piano di collettivizzazione forzata della terra. Nacquero i kolchoz, grandi aziende agricole affidate a cooperative di contadini, e i sovchoz, aziende gestite direttamente dallo Stato che salariava gli agricoltori come operai delle campagne. I contadini che possedevano terre, i kulaki, si opposero al passaggio allo Stato di ogni loro proprietà e alla trasformazione in operai. Molti reagirono non seminando più i campi e macellando il bestiame per vivere: nel 1931 i bovini erano diminuiti di quasi 30 milioni di capi e i cavalli della metà. La Russia ritornò ad una situazione simile al "comunismo di guerra". La reazione del governo comunista fu durissima: quasi due milioni di kulaki furono deportati nei campi di lavoro in Siberia o uccisi in caso di resistenza armata. Nel 1934, al termine del primo piano quinquennale, i 25 milioni di poderi della piccola e media proprietà contadina non esistevano più, sostituiti da 200 000 aziende collettive. Questo programma attuato con la forza non raggiunse però i risultati produttivi sperati da Stalin, dato che i contadini impiegati contro la loro volontà nelle fattorie statali lavoravano con il minimo impegno. La produzione industriale invece quasi triplicò nel quinquennio, in particolare i settori dell'industria pesante (metallurgica, meccanica, mineraria) su cui si concentrarono investimenti e sforzi produttivi.
La produzione di beni di consumo (alimentari, vestiti, scarpe, casalinghi, automobili ecc.) venne lasciata in secondo piano e penalizzata: i prodotti erano di qualità scadente e spesso insufficienti di fronte alle richieste, e questo alimentava il malcontento tra la gente. L'obiettivo di Stalin fu comunque raggiunto: nel 1939 l'URSS si era trasformata in un Paese altamente industrializzato; la sua produzione era più che quadruplicata in soli dieci anni e corrispondeva al 17% di quella mondiale. Ma per raggiungere tale risultato fu creato un regime fortemente centralizzato, autoritario e repressivo nei confronti di ogni dissenso.
Stalin aveva progressivamente accentrato il potere nella sua persona, grazie al pieno controllo della potente nomenklatura, la burocrazia del Partito comunista. Servendosi della potentissima polizia segreta, eliminò tutti gli oppositori, tra i quali molti protagonisti della rivoluzione d'ottobre del 1917. Nel 1934 Stalin prese a pretesto la misteriosa uccisione del suo collaboratore Kirov per scatenare le "grandi purghe", che ebbero il culmine tra il 1936 e il 1939: centinaia di migliaia di militanti comunisti e soldati dell' Armata Rossa furono messi sotto accusa come "nemici dello Stato", incarcerati, costretti a confessare colpe inesistenti e condannati a morte o al lavoro forzato. Bukharin, Kamenev, Rykov e Zinoviev, condannati alla fucilazione, furono le più celebri vittime delle epurazioni staliniane.
Trotskij, acerrimo oppositore di Stalin anche dall'esilio, fu rintracciato in Messico da agenti della polizia segreta sovietica e assassinato nel 1940. È difficile calcolare quanti morti provocò il terrore scatenato da Stalin negli anni Trenta in tutti i settori della società, ma si può parlare di alcune centinaia di migliaia di persone. Tra i 15 e i 20 milioni furono invece i deportati nell'arcipelago dei campi di lavoro, il Gulag. Questo sistema carcerario, controllato direttamente dalla polizia segreta, era formato da almeno 160 campi di prigionia dislocati prevalentemente nella Russia siberiana. Vi furono rinchiusi oppositori veri o presunti del regime, trotskisti, kulaki; alcuni milioni erano i deportati di nazionalità non russa, appartenenti a popoli che reclamavano maggiore autonomia da Mosca, come i Cosacchi del Don, i Tatari di Crimea e gli Ucraini. Con identica brutalità il regime staliniano eliminò ogni forma di libertà religiosa: fu imposto l'insegnamento dell'ateismo, le Chiese cristiane e le comunità ebraiche vennero perseguitate. Il Gulag fornì a Stalin una massa di manodopera forzata impiegata nella costruzione di grandi opere - canali, strade, ferrovie - e nelle industrie, impegnate a centrare gli obiettivi prefissati dai piani quinquennali.
Tutto impegnato nello sforzo produttivo e nella repressione interna, in politica estera Stalin si limitò inizialmente ad un ruolo da spettatore.
Il sostegno dato ai repubblicani spagnoli nella guerra civile ebbe come rovescio della medaglia la lotta per l'egemonia sulle altre forze della sinistra. Stalin non ammetteva che il movimento operaio avesse un punto di riferimento diverso dal Partito comunista sovietico, e volle che la Terza Internazionale fosse sempre allineata alle sue posizioni. Ma il dittatore piegò sempre gli aspetti ideologici alla ragion di Stato: l'accordo con Hitler nel 1939 è un clamoroso esempio di spregiudicato realismo politico. Con il Patto Molotov-Ribbentrop, Stalin credeva di ottenere una serie di vantaggi concreti: conquiste territoriali in Polonia e Paesi baltici, e la garanzia di pace che gli era necessaria per proseguire lo sviluppo economico previsto dal terzo piano quinquennale. L'uomo che non si fidava di nessuno diede credito a Hitler, o pensò di aver visto più lontano. Ma ormai il Fuhrer era pronto per scatenare la nuova guerra in Europa.
Il clima di terrore che caratterizzò lo stalinismo contrasta con l'immagine pubblica che il dittatore volle dare di sé. Nei manifesti Stalin è al fianco di minatori e contadini sorridenti, felici di contribuire alla riuscita dei piani quinquennali. I bambini lo adorano e gli offrono fiori in segno di omaggio e riconoscenza per il bene che ha fatto alla nazione. Grandi ritratti di Stalin bonario e rassicurante si vedevano negli uffici pubblici e sulle piazze. La propaganda comunista alimentò un vero e proprio "culto della personalità" staliniana: la sua immagine fu esaltata ed egli fu celebrato come la guida salda e ferma del Paese, che aveva aperto la via dello sviluppo e avviato l'URSS a divenire una grande potenza mondiale. Dopo la seconda guerra mondiale l'esaltazione di Stalin fu amplificata dalla vittoria militare sul nazismo e si allargò al di fuori dell'Unione Sovietica tramite i Partiti comunisti dei vari Paesi.