Alla base del fenomeno noto come “imperialismo” si pone quella progressiva espansione politica, economico-finanziaria e militare delle principali nazioni europee, degli Stati Uniti e del Giappone che si attua su scala planetaria a partire dalla metà dell'Ottocento. L'impressionante sviluppo degli apparati produttivi, verificatosi in questi paesi in particolare durante la “seconda rivoluzione industriale” a cavallo tra i due secoli, dà vita ad un'inedita fusione di varie tendenze: le mire espansionistiche dei grandi gruppi economici; l'aggressività dei governi in politica estera; il radicamento di correnti culturali apertamente prevaricatrici e razziste che, in nome di un rigido determinismo evoluzionistico, preconizzano la necessaria sottomissione di paesi e popoli più deboli militarmente ed economicamente a quelli invece più dotati ed emergenti. Rispetto al passato il nuovo modello imperialista ripercuote i propri effetti anche sulla politica interna delle varie potenze: la configurazione industriale trasforma in profondità le strutture sociali, determinando nuovi e drammatici fenomeni di urbanizzazione, di depauperamento e di oppressione classista; tutto ciò muta il panorama politico interno con la nascita ad esempio dei partiti socialisti che fanno della prospettiva rivoluzionaria il cardine della propria strategia politica. Alla vigilia della prima guerra mondiale il continente asiatico e africano risultano completamente saturati dall'espansionismo delle potenze europee e dal Giappone, mentre l'America Latina si avvia a diventare il “cortile di casa” della potenza economica e politica statunitense.
Nel 1878 alla Conferenza di Berlino venne sancito il principio di “concerto europeo”: si intendeva denominare con questi termini un'ideologia di collaborazione e unitarietà basata sostanzialmente sul riconosciuto ruolo egemonico della Germania e, più in generale, su un nuovo criterio di formazione degli stati nazionali. L'equilibrio che derivò dall'accettazione di questi principi diede vita al periodo di pace più duraturo nell'arco della storia europea. Tale clima collaborativo fu tuttavia messo in crisi in occasione delle aggressioni del Giappone ai danni della Cina, quando le varie nazioni si scoprirono in realtà disunite e potenzialmente conflittuali nelle scelte di politica estera. Inoltre il progressivo aumento dell'influenza statunitense nell'America del Sud e nel Pacifico causò per l'Europa la perdita del suo ruolo egemonico a livello internazionale. L'Africa era così rimasta l'unico continente su cui le nazioni europee potevano esercitare in modo esclusivo i propri tentativi di espansione, e proprio nell'ambito delle strategie politiche adottate nel continente africano nacquero i primi dissapori tra i paesi europei. Con le dimissioni forzate di Bismarck nel 1890 la Germania perse il ruolo di grande potenza che gli altri paesi le avevano riconosciuto, avviando un processo nel quale ciascun paese tenterà di conquistare un ruolo egemonico sugli altri.
Nei primi anni del XX secolo i movimenti nazionalisti sorti nei vari paesi europei assunsero caratteri sempre più radicali, indirizzandosi verso soluzioni autoritarie, reazionarie, classiste e auspicando la difesa dell'ordine costituito. Mentre la Gran Bretagna, grazie alla sua tradizione liberale, riuscì a limitare lo sviluppo di tali
Quando il 28 giugno 1914 lo studente nazionalista serbo Gavrilo Princip ferì a morte l'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo, destinato a succedere all'oramai anziano Francesco Giuseppe sul trono di Vienna, profonde e radicate tensioni internazionali attraversavano il globo da più di un decennio. Si tratta di un processo che condurrà Inghilterra e Germania, Francia e Austria, Russia e Turchia a combattere tra di loro, chi per la conquista e chi per la conservazione di quello “spazio vitale” economico, politico e militare che segnerà drammaticamente l'intera storia del Novecento. La corsa all'accaparramento di nuovi mercati e di copiose materie prime fu causa, all'inizio degli anni Dieci, dell'esplosione di numerosi focolai di tensione in Asia, in Marocco e in particolare nell'area balcanica, dove fin dalla metà dell'Ottocento gli attriti tra tendenze
nazionaliste e corona asburgica si erano manifestati drammaticamente. Un complesso sistema di alleanze divideva nel 1914 il continente europeo e le rispettive aree di influenza in due parti: da un lato la Triplice Intesa (Francia, Inghilterra e Russia), dall'altro la Triplice Alleanza (Austria e Germania, affiancate dall'Italia), ritenuta superiore militarmente soprattutto in virtù del prepotente sviluppo economico e tecnologico raggiunto dall'impero germanico. Quando il 28 luglio l'Austria dichiarò guerra alla Serbia, caddero una dopo l'altra tutte le tessere del domino: la Russia corse in aiuto alla Serbia, la Germania dichiarò guerra alla Russia e di conseguenza alla Francia e all'Inghilterra, passando all'offensiva in Belgio; l'Inghilterra intervenne a fianco della Francia, l'Austria contro la Russia e il Giappone si schierò con l'Intesa in funzione antigermanica in Oriente. Tutto ciò nel breve volgere di circa venti giorni. In ottobre l'impero ottomano entrava in guerra a fianco di Austria e Germania. L'Italia sarebbe intervenuta, rovesciando la propria posizione a favore dell'Intesa, il 24 maggio 1915.
I primi mesi di guerra dimostrarono drammaticamente, soprattutto sul fronte occidentale, che la natura del conflitto presente era profondamente mutata
rispetto al passato. La Germania, in particolare, aveva basato la propria strategia sul concetto di Blitzkrieg (guerra-lampo), concretatosi nel piano Schlieffen, che avrebbe dovuto condurre, a seguito di una fulminea avanzata attraverso il Belgio, alla conquista ed occupazione dell'"odiata nemica", la Francia.
Tuttavia le truppe germaniche vennero bloccate sulla Marna, a 35 chilometri da Parigi, grazie alla frenetica mobilitazione francese e all'intervento dell'Inghilterra.
Dall'altra parte, sul fronte est (che la strategia tedesca contava di aprire dopo un rapido successo ad ovest) l'esercito russo irrompeva nella Prussia orientale e nella Galizia austriaca tra l'agosto e il settembre 1914: Austria e Germania, costrette ad un repentino adattamento tattico, riuscirono a fermare le truppe zariste a Tannenberg e ai laghi Masuri, uscendo tuttavia sconfitti a Leopoli. La situazione divenne ancor più complessa quando la Turchia entrò a far parte del conflitto a fianco delle potenze centrali, bloccando così la comunicazione fra Russia e gli altri alleati dell'Intesa. Oltretutto gli imperi, nel tentativo di tagliare i rifornimenti alla Russia, si attestarono in difesa dei Dardanelli.
Nell'aprile del 1915, di fronte allo sbarco di contingenti inglesi e australiani, i turchi dettero inizio ad una strenua difesa della penisola di Gallipoli.
La battaglia, protrattasi quasi nove mesi e risoltasi in un enorme massacro, si concluse col ritiro delle truppe dell'Intesa. Dopo un anno e mezzo di guerra l'area balcanica, anche grazie all'intervento della Bulgaria a fianco degli austro-tedeschi, risultava largamente controllata dagli imperi centrali. Tuttavia, in rapporto ai piani strategici iniziali, il bilancio per il Reich e per la corona asburgica non era affatto positivo: ad ovest le operazioni si erano bloccate nel fango delle trincee, mentre ad est sia l'estensione territoriale che la conseguente inadeguatezza dei mezzi impiegati determinarono un'analoga situazione di stallo. Il fallimento della guerra-lampo sanciva così l'inizio, su entrambi i fronti, di una tragica ed inaudita guerra di logoramento.
La posizione italiana allo scoppio del conflitto risentiva del carattere difensivo dell'accordo che la legava all'Austria e alla Germania fin dal 1889: in effetti la scelta della neutralità era incentrata sulla consapevolezza da parte di politici liberali quali Giolitti e Salandra sia dell'illiceità di un intervento a fianco degli imperi centrali che, più pragmaticamente, della possibilità di poter concretizzare attraverso vie diplomatiche le aspirazioni italiane su Trento, Trieste, Istria, Dalmazia, e forse sull'Albania. Tuttavia nei dieci mesi che precedettero l'ingresso in guerra, il composito fronte interventista (nazionalisti, conservatori, democratici, irredentisti, socialisti rivoluzionari) pur minoritario nelle istituzioni e nel paese, riuscì a volgere la situazione in proprio favore, attraverso uno spregiudicato utilizzo di metodi di comunicazione politica basati su elementi irrazionali ed emotivi che ne preannunciano la nascente dimensione di massa. Nel maggio 1915, anche a causa del decisivo orientamento interventista del re, l'Italia entrò in guerra a fianco dell'Intesa: le rivendicazioni territoriali, fatta eccezione per Fiume, venivano garantite dal Patto di Londra, firmato segretamente dal ministro degli Esteri Sidney Sonnino.
Le truppe italiane, attestate su un fronte di 600 km dal Trentino all'altopiano del Carso, riuscirono, comandate dal generale Cadorna, a guadagnare posizioni, prima di subire, nel corso del 1916, la pesante Strafexpedition (spedizione punitiva) dell'ex-alleato austriaco. Anche su questo fronte le operazioni ristagnarono in un sanguinoso e snervante equilibrio, nel quale enormi perdite umane furono il prezzo per la conquista di pochi chilometri di terreno.
quale mancarono spesso di prendere coscienza. Dopo il rapido fallimento della guerra lampo, i fronti, soprattutto quello occidentale, si assestarono su linee di centinaia di chilometri di trincee, reticolati di filo spinato e fortificazioni. La strategia delle “grandi spallate”, che in Italia ebbe nel generale Cadorna il suo principale fautore, comportò perdite enormi in entrambi i campi. Dopo lunghissime e logoranti attese in mezzo al fango, i soldati venivano lanciati in giganteschi assalti sanguinosi e spesso suicidi, sotto il fuoco delle mitragliatrici, col risultato di poche centinaia di metri conquistati. Il nuovo scenario rappresentato dalla trincea costituì in tutti i sensi il “luogo” simbolo della prima guerra mondiale: se da un lato il logoramento psicologico causò numerosissimi casi di insubordinazione duramente repressi dagli stati maggiori, dall'altro il forzato livellamento delle differenti estrazioni sociali e culturali dei soldati produsse quell'identità di “camerata” che costituì nel dopoguerra uno dei principali richiami collettivi fatti propri da movimenti politici della destra eversiva come lo squadrismo fascista in Italia e i Freikorps in Germania.
La prima guerra mondiale mise i comandi militari di fronte all'evidenza di una nuova situazione bellica, della
In una delle tante lettere spedite dal fronte e censurate la guerra veniva descritta, con toni molto differenti da quelli della propaganda giornalistica tutta tesa e tenere alti gli animi della popolazione, la vita in trincea e la paura dei ‘superiori' e degli spari dei nemici: “[…] Vi voglio raccontare un pochino come me la passo io qui, come ci trattano al fronte. […] Si fa altro che maledire i nostri superiori […] che vogliono tante mondizie, dico mondizie perché è fuori di ogni immaginazione […]. Sino che eravamo al masatorio cioè in prima linea, in rischio di farci macelare ogni minuto, e ci trattavano un po' meglio perché avevano paura più di noi, e quando si fava per avanzare cridavano avanti, avanti altrimenti vi sparo. Altro che dire nella stampa, e voi certo l'avrete letto sul Corriere che spiegava quei drappelli della morte che vanno seriamente e volontariamente a quella pericolosissima operazione di mettere i tubi di alto espulzione, e di tagliare i fili; che specialmente chi va non torna più […] certo si rischia la pelle, altrimenti la pelle me la fanno i nostri superiori. […] Spera Cara Molie che vada terminata questa guerra micidiale che invece di diminuire, va allargandosi sempre più e fa piangere Madri, Padri, Molie, Figli, Fratelli e Sorelle di tutti quelli che si ritrovano in detta guerra”.