Le armi da fuoco si affermarono sempre di più nel corso delle guerre del '500. In conseguenza del sempre più massiccio ricorso ad esse, il modo di fare la guerra, le tattiche, la stessa architettura militare e la cantieristica navale subirono dei notevoli cambiamenti.
I mezzi da lancio, le bombarde prima e i cannoni poi acquisirono, nel corso del XVI sec., una sempre maggiore efficienza.
L'uso delle artiglierie si estese alle operazioni in campo aperto, non limitandosi più ad essere soltanto un mezzo sussidiario delle operazioni di assedio.
Se nelle campagne di terra permanevano ancora notevoli problemi di mobilità e di imprecisione, sempre più importante si rivelò invece l'inserimento delle artiglierie a bordo delle navi. Nella guerra marittima e negli stessi viaggi di esplorazione, l'armamento delle flotte costituì un elemento di cambiamento decisivo.
La diffusione delle armi da fuoco individuali e portatili ebbe ripercussioni ancora maggiori. I primi reparti di archibugieri erano stati inizialmente inseriti all'interno di truppe di fanteria, in cui convivevano assieme ad altri reparti specializzati nelle armi da lancio (arcieri e balestrieri), appoggiando le file di picchieri e alabardieri, il vero nerbo della fanteria della seconda metà del '400.
Il ruolo dei reparti con le armi da fuoco diventò però sempre più importante. Nel 1508 la Repubblica di Venezia decise di sostituire tutte le balestre con archibugi e fu seguita su questa strada dagli altri stati. C'era da considerare l’aspetto non secondario della più facile e rapida istruzione di un archibugiere rispetto ad un balestriere o ad un arciere; infatti, in pochi giorni, un novizio poteva arrivare a sparare in maniera efficace, mentre erano necessari molti anni o addirittura uno stile di vita per produrre un arciere capace.
I reparti equipaggiati con le armi da fuoco, nel corso delle guerre d'Italia, passarono da un ruolo complementare ad elemento decisivo per le sorti di una battaglia, come dimostrarono quella di Marignano (1515), della Bicocca (1522) e di Pavia (1525), che vengono considerate le prime battaglie moderne della storia.
La crescita di importanza fu dovuta in gran parte ai progressi tecnici e ai miglioramenti degli archibugi e dei moschetti: si ebbero armi sempre più maneggevoli e precise, la cui cadenza di fuoco aumentava sempre di più (il meccanismo di sparo a miccia venne dapprima sostituito da quello a ruota e poi da quello a pietra focaia).
I mutamenti tecnici, ovviamente, comportarono dei cambiamenti nelle modalità di combattimento e sul piano della tattica. Il declino della cavalleria, soprattutto di quella pesante, caratteristica dell'età feudale, era già iniziato nel corso delle guerre del XIV sec. La fanteria, progressivamente, era diventata l'elemento decisivo delle battaglie.
Nel corso della seconda metà del '400, il modello dominante era diventato quello svizzero, caratterizzato dalla presenza di quadrati di fanti (in genere alcune migliaia di uomini) disposti in file serrate e armati di lunghe picche. Anche i lanzichenecchi tedeschi modellarono le loro formazioni e i loro armamenti su questo modello vincente.
All'inizio del '500, con l'affermarsi delle armi da fuoco la falange di tipo svizzero, per la sua scarsa manovrabilità e vulnerabilità di fronte al fuoco degli archibugi, iniziò ad entrare in crisi, come dimostrò anche la battaglia di Marignano (1515).
La ricerca di formazioni tattiche più adeguate alla nuova situazione portò a coniugare i nuovi strumenti di guerra all'interno della fanteria; il modello vincente fu quello dei cosiddetti "Tercios" dell'esercito spagnolo, un modello elaborato da grandi condottieri come Consalvo di Cordoba e, soprattutto, il marchese di Pescara: si trattava di formazioni miste di circa 3000 uomini, in prevalenza spagnoli, la cui composizione prevedeva picchieri, archibugieri e soldati armati di spada e che si dimostravano assai più equilibrate e agili da manovrare.
In un'epoca di eserciti quasi esclusivamente professionali, dominati da grandi schiere di mercenari (si pensi solo agli svizzeri e ai tedeschi) e di dimensioni non eccessive (si parla di medie che andavano dai 10.000 ai 20.000 uomini), un elemento decisivo del successo spagnolo fu probabilmente la motivazione nazionale di questi soldati, reclutati quasi esclusivamente nelle aree rurali della Spagna.
La nuova guerra delle armi da fuoco e dei cannoni comportò anche significativi cambiamenti nell'architettura militare e nelle tecniche di costruzione delle fortificazioni per reggere l'urto degli assedi.
Mura più basse e più spesse, fossati più larghi, inserimento di artiglierie e torrette di difesa, ma soprattutto un largo uso dei "bastioni" rivoluzionarono l'ingegneria militare per garantire le città di circuiti murari e di massicce fortezze che potessero sostenere l'assedio delle micidiali artiglierie.
Nella prima metà del '500, l’industria estrattiva e quella siderurgica vissero una fase nettamente ascensionale ed estremamente dinamica. Il consumo di ferro crebbe rapidamente, alimentato soprattutto dalle esigenze belliche.
Il controllo delle miniere per la disponibilità del minerale e degli impianti produttivi per la fusione (la cui localizzazione non poteva prescindere da una larga disponibilità di acque e di boschi) assunse una rilevanza strategica di primaria importanza.
I progressi tecnici cercarono di corrispondere ai nuovi e crescenti fabbisogni degli eserciti e delle marine e di alimentare consumi e utilizzazioni sempre più estesi. In questo periodo, si assiste anche ad importanti modifiche nelle tecniche siderurgiche, con il passaggio dal cosiddetto metodo diretto al metodo indiretto.
In pratica, mentre in precedenza i forni venivano accesi solamente in funzione della fusione di determinati quantitativi di minerale di ferro, con il metodo indiretto i forni iniziarono a rimanere accesi per più cicli di fusione.
Ciò comportò delle innovazioni sulle tecniche costruttive, sullo stoccaggio e il trasporto del minerale e sulla localizzazione degli impianti. Le trasformazioni degli altoforni, tra il '500 ed il '700, consentirono dei sensibili aumenti della produzione.
In particolare, migliorò il tiraggio ed aumentarono le dimensioni, che in media passarono dai 1,1-1,7 metri cubi del '500 ai 3,4-4,5 metri cubi del '700. Di conseguenza, la produzione unitaria salì dai 1200-1300 Kg del '500 ai 1800-2100 Kg del '700.
Anche il consumo di carbone, grazie alle migliorie, risultò dimezzato, mentre la durata media del giorno fusorio passò dai 6 giorni nel 1450 ai 40 giorni nel '700.
Durante il XVI sec., anche le conoscenze minerarie e siderurgiche fecero significativi passi avanti, grazie soprattutto a due libri di enorme successo che costituirono la base di riferimento anche per il periodo successivo. Del primo fu autore un italiano, del secondo un tedesco.
Vannoccio Biringuccio di Siena (1480-1539), scienziato e tecnico della metallurgia, pubblicò un trattato sui metalli, sui minerali e sulle tecniche di fusione intitolato De la pyrotecnia che, uscito postumo nel 1540, ebbe larghissima diffusione e una notevole influenza in tutta Europa.
Il libro, per la sua chiarezza, per le minute descrizioni dei processi tecnologici e per le istruzioni pratiche in campo minerario e siderurgico, contrastava non poco con i testi oscuri di alchimia molto in voga all’epoca. Da giovane, Biringuccio aveva operato sotto il patronato del signore di Siena Pandolfo Petrucci (1450-1511). Inviato in Germania dallo stesso Petrucci per approfondire i suoi studi di tecnologia, rientrò in Italia nel 1513 e ricoprì incarichi di metallurgista e di fabbricante di armi dapprima a Siena, poi a Parma, a Ferrara e a Venezia. Fu al servizio anche della repubblica fiorentina nella difficile guerra contro l’imperatore; fu autore, fra l’altro, della fusione del famoso cannone fiorentino denominato il "Liofante".
Tornato a Siena nel 1530, nel 1538 passò al servizio di papa Paolo III, diventando direttore dell’arsenale pontificio.
Il tedesco Georgius Agricola, il cui vero nome era Georg Bauer (Glachau 1494 - Chemnitz 1555), fu, secondo lo stile del tempo, scienziato assai eclettico e dotato di multiformi interessi, insieme filosofo, medico e metallurgista. Compì studi di medicina e filosofia prima a Lipsia e poi in Italia, nelle università di Padova e di Bologna.
Nel 1527 fu nominato medico condotto del centro minerario boemo di Joachimsthal.
A partire dal 1533 si trasferì a Chemnitz, in Sassonia, nei pressi di Dresda, dove proseguì a coltivare i suoi interessi di mineralogia e di geologia.
La sua opera De re metallica, uscita postuma nel 1556, frutto delle esperienze personali fatte come ingegnere nelle miniere d’argento della Boemia, rimase per quasi due secoli il manuale di riferimento per gli ingegneri minerari.
Il suo lavoro, corredato di illustrazioni a stampa, riporta molte notizie sulle tecniche di scavo e di estrazione, sui modi di lavorazione dei minerali, sulla gestione delle gallerie e sull’impiego di tecniche innovative, come le pompe per il tiraggio dell’acqua e i carrelli su rotaie per il trasporto dei materiali.