La gloriosa rivoluzione inglese

La restaurazione degli Stuart

Alla morte di Oliver Cromwell, avvenuta nel 1658, il successore designato dallo stesso Lord Protettore - che aveva rifiutato la corona reale offertagli dalla ricostituita Camera Alta - era suo figlio Richard, che però non seppe continuare la politica paterna e, nel giro di pochi mesi, venne destituito dal generale Giorgio Monk, che restaurò sul trono d’Inghilterra la vecchia dinastia degli Stuart nella persona del figlio del sovrano decapitato, Carlo II.

Tutti si aspettavano il ripristino dell’equilibrio tra monarchia e parlamento, ma il giovane sovrano, a lungo vissuto in Francia, instaurò invece un rigoroso assolutismo.

Ottenendo l’appoggio del cosiddetto parlamento cavaliere, composto per lo più da proprietari terrieri, egli ripristinò la chiesa anglicana con il suo episcopato, introdusse la censura sulla stampa, ed abrogò le leggi introdotte negli anni della rivoluzione, facendo condannare a morte i responsabili dell’uccisione del padre.

Sposatosi nel 1662, con la principessa cattolica portoghese Caterina di Braganza, da cui ebbe in dote le città indiane di Bombay e Tangeri, egli promulgò nel 1672 una dichiarazione di tolleranza nei confronti dei cattolici, suscitando, come immediata risposta dal parlamento, la pubblicazione dei Test Acts (1673) e dell’Habeas Corpus Act (1679), contro gli arresti arbitrari e la violazione della libertà personale. Carlo II non ebbe figli e la successione sul trono spettava pertanto al fratello del sovrano, Giacomo cattolico di recente conversione.

Questo provocò all’interno del parlamento il formarsi di due diversi schieramenti: coloro che erano favorevoli alla successione furono poi detti tories, conservatori e tradizionalisti, espressione del ceto nobiliare legato alla proprietà terriera; i contrari furono invece denominati whigs, progressisti e fautori di una monarchia controllata dal parlamento, espressione dei ceti imprenditoriali e mercantili.

Nel 1685, alla morte di Carlo II, a succedergli fu effettivamente Giacomo II. Questi aveva sposato in seconde nozze, la principessa Maria Beatrice d’Este da cui nel 1688, nacque inaspettatamente un erede, colui che sarebbe poi divenuto il re Giacomo III.

La ''gloriosa rivoluzione''

Salito al trono grazie al prevalere in parlamento dello schieramento tories, Giacomo II avviò una politica di aperta restaurazione religiosa di stampo cattolico che si manifestò, fra l'altro, nella ripresa di buoni rapporti diplomatici con la Santa Sede.

Temendo una restaurazione assolutistica e papista, i capi del parlamento si rivolsero allo Stathouder d’Olanda (cioè la massima autorità militare della confederazione delle Provincie Unite), Guglielmo d’Orange, affinché intervenisse a difesa delle libertà religiose e politiche inglesi. I legami di sangue di Guglielmo d’Orange con la corona inglese erano duplici.

Era nipote per parte di madre di Carlo I Stuart perché suo padre Guglielmo II di Nassau, principe di Orange, aveva sposato Maria Stuart, figlia del re d’Inghilterra. Aveva poi sposato nel 1677 una figlia di primo letto di Giacomo II, Maria, di fede protestante e sua cugina. Il progetto di Giacomo II - di restaurare in Inghilterra una monarchia assoluta di fede cattolica - ricompattò, in brevissimo tempo tutto il parlamento, al di là delle suddivisioni di partito.

La situazione precipitò e Giacomo II fu costretto a fuggire in Francia, mentre Guglielmo d’Orange, sbarcato in Inghilterra nel novembre 1688 veniva proclamato re col nome di Guglielmo III. Fu una rivoluzione incruenta, consumata nel giro di pochi mesi senza combattere e, che per questo, fu definita "gloriosa".

Prima dell’incoronazione, Guglielmo III e Maria Stuart si sottoposero ad un giuramento, impegnandosi con la Dichiarazione dei diritti, il Bill of Rights, a rispettare tutte le prerogative del parlamento, e a riconoscergli la piena autorità a deliberare.

Questo atto solenne segnava la fine della monarchia assoluta e l'avvio della monarchia parlamentare costituzionale. Nel 1689, venne emesso il Toleration Act, l’editto di tolleranza grazie al quale tutti i dissidenti religiosi, con l’eccezione dei cattolici, ricevevano l’amnistia dalle condanne subite.

Il pensiero politico inglese

Se l’assolutismo regio trovò nel filosofo Thomas Hobbes il suo teorico più prestigioso, la nascita della monarchia costituzionale trovò i propri fondamenti teorici nel pensiero di John Locke. Il pensiero di Hobbes, precettore del re Carlo II durante il regime repubblicano, era impregnato di un profondo pessimismo antropologico.

Nel pensiero hobbesiano gli uomini sono tutti portati a prevaricarsi gli uni sugli altri in una "guerra di tutti contro tutti" e, soltanto rinunciando ai loro diritti a favore di un sovrano assoluto, essi possono aspirare alla quiete e alla salvaguardia della loro vita. Il terribile mostro biblico Leviatano, dalla forma di serpente tortuoso, era la metaforica rappresentazione dello Stato assoluto, costituito da una moltitudine di individui, riuniti insieme a formare una sola persona.

Pubblicato a Londra nel 1651, il libro nacque in un’epoca di profonda crisi delle istituzioni politiche inglesi e illustrava il pensiero politico del filosofo secondo cui l’assolutismo era l’unica salvezza per gli uomini, lacerati da innumerevoli forze contrastanti.

Non tanto sostenitore degli Stuart, quanto convinto della necessità di liberare l’uomo dall’anarchia connessa al godimento dei diritti naturali, Hobbes teorizzava la necessità di un "contratto sociale", in virtù del quale tutti i diritti individuali sono trasferiti allo stato.

Anche la verità religiosa deve avere come unico fondamento le scelte del sovrano, il cui potere assoluto non discende da un diritto divino, bensì da quel contratto che ha liberato l’uomo dalla precarietà dello stato di natura, caratterizzato dall’incontrollata manifestazione degli istinti vitali dei singoli individui.

Dallo stato di natura e dall'origine contrattuale dello Stato muove anche il pensiero filosofico di John Locke, il quale, tuttavia, approdò a conclusioni molto diverse.

Soltanto una parte dei diritti naturali di cui gode ciascun individuo sono alienabili in favore dello Stato, sulla base, unicamente, di principi di utilità e di convenienza. Quando l’istituzione travalica i limiti del suo potere, è necessario per l’uomo resistere e ribellarsi.

Nei due Trattati sul governo, editi nel 1690, Locke ribadisce che la sovranità deve essere fondata sul consenso dei sudditi, non sulla loro passiva accettazione. La massima autorità politica risiedeva dunque nel popolo, il quale, non potendo gestirla fattivamente, la delegava al parlamento.

Era, tuttavia, il popolo il giudice del governo stesso che quindi poteva anche essere con una rivoluzione, quando esso avesse derogato ai propri compiti commettendo abusi, prevaricazioni e inganni.

Le interpretazioni della rivoluzione inglese

Gli avvenimenti politici accaduti in Inghilterra nel corso del '600 appassionarono fin da subito gli storici. Come legare lo straordinario sviluppo economico e commerciale della nazione con decenni di lotte politiche, guerre civili, anarchia, divisioni religiose?

Se alla metà del '500 il commercio estero inglese era in gran parte ristretto al Nord Europa e si incentrava prevalentemente sull'esportazione dei panni lana, all'inizio del '700 era ormai un commercio di dimensioni mondiali che interessava ogni genere di prodotti, supportato da una flotta senza pari e da un impero coloniale che aveva basi in tutti i continenti.

L’economia interna del paese si mostrava, al contempo, estremamente dinamica, come è dimostrato dai profondi processi di cambiamento che interessarono l'agricoltura (diffusione delle foraggere e dell'allevamento, processo delle recinzioni delle proprietà private).

Altrettanto significativo lo sviluppo generale delle attività manifatturiere (che si diffusero anche nelle campagne sotto forma di lavoro a domicilio o "protoindustria"), e quello delle attività industriali, in particolare quelle siderurgiche ed estrattive (con un sfruttamento sempre più intensivo dei giacimenti di carbone).

In sostanza i rivolgimenti politici accompagnarono il decollo internazionale dell’Inghilterra destinata a divenire la prima potenza del mondo.

Il problema storiografico era di capire come collocare le esperienze rivoluzionarie in questo contesto di sviluppo: lo avevano favorito oppure in qualche modo rallentato, erano state espressione dei rivolgimenti economico-sociali oppure avevano costituito la premessa necessaria all'affermazione internazionale dell'Inghilterra? Naturalmente, dal XVIII secolo ad oggi, le interpretazioni si sono moltiplicate.

Fra quelle di maggior successo si possono individuare le seguenti: quelle che hanno insistito sulla matrice religiosa, parlando di "rivoluzione puritana", cioè di una tensione ideale in grado di promuovere le libertà civili, la tolleranza religiosa, la divisione dei poteri e il progresso sociale (la cosiddetta tradizione "whig"); quella di origine marxista che tendeva a legare gli eventi rivoluzionari all'affermazione di una classe borghese e alla nascita del capitalismo.

Non sono mancate, infine, soprattutto in tempi più recenti, nuove correnti storiografiche che reagendo all’ideologia marxista hanno abbandonato il binomio evoluzione politica - progresso economico e civile, per dedicarsi esclusivamente ad un'analisi fattuale delle circostanze che portarono e accompagnarono quella che per molti è una "guerra civile" piuttosto che una "rivoluzione".