Pur avendo un carattere essenzialmente sociologico, l'opera di Max Weber (1864-1920) ha un considerevole rilievo anche filosofico.
Recependo le intuizioni fondamentali del neokantismo e dello storicismo, essa configura, sul piano teorico, una determinazione epistemico-metodologica delle scienze storico-sociali che rimane a tutt'oggi fondamentale e, su quello storico, una ricostruzione delle linee di sviluppo della società moderna che sfocia in una diagnosi del mondo contemporaneo e della sua crisi.
Nato a Erfurt il 21 aprile 1864, figlio di un deputato del partito nazional-liberale, Weber studiò diritto a Heidelberg e a Berlino, dove ebbe come docenti Th. Mommsen, H. von Treitschke, o. von Gierke, e dove conseguì nel 1889 il dottorato.
Nel 1888 aveva aderito al «Verein für Sozialpolitik», un'associazione fondata nel 1872 dai cosiddetti «socialisti della cattedra» (G. Schmoller, A. Wagner, L. Brentano), partecipando alle discussioni da essa promosse.
Conseguita nel 1891 la libera docenza, fu nominato professore di economica politica a Friburgo (1894), poi a Heidelberg (1896).
Qui la sua casa divenne un importante punto di incontro di intellettuali, letterati e pensatori (E. Troeltsch, G. Jellinek, K. Jaspers, E. Lask, poi S. George, G. Lukacs, E. Bloch).
Tra il 1897 e il 1903 fu costretto a interrompere l'attività a causa di un esaurimento nervoso. Dopo essersi candidato per il Reichstag, ma senza successo, compì nel 1904 un viaggio in America assieme a E. Troeltsch.
Nello stesso anno fondò con W. Sombart la rivista «Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik».
Dopo la guerra fu consigliere nella stesura della costituzione prevista per la Repubblica di Weimar.
Nel 1919 venne nominato successore di L. Brentano nell'università di Monaco, dove nel gennaio di quell'anno aveva tenuto due celebri conferenze: La scienza come professione e La politica come professione. Morì a Monaco il 14 giugno 1920 in seguito a una polmonite.
Oltre che di indagini di storia economica e sociale, Weber è autore di studi di sociologia della religione, tra i quali spicca Die protestantische Ethik und der «Geist» des Kapitalismus (L'etica protestante e lo «spirito» del capitalismo, 1904), che gli valse la notorietà; inoltre di saggi sulla logica e la metodologia delle scienze storico-sociali: Die «Objektivität» sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntnis (L'oggettività della conoscenza delle scienze sociali e della politica sociale, 1904); Uber einige Kategorien der verstehenden Soziologie (Su alcune categorie della sociologia comprendente, 1913); Der Sinn der «Wertfreiheit» der soziologischen und ökonomischen Wissenschaften (Il senso dell'«avalutatività» delle scienze sociologiche ed economiche, 1917); infine di opere di sociologia, la maggiore delle quali venne pubblicata postuma: Wirtschaft und Gesellschaft (Economia e società, 1922).
Al centro dell'opera teorica di Weber sta il problema della comprensione e della definizione epistemologica delle scienze storico-sociali, del loro metodo e del loro oggetto, che egli tratta in stretto riferimento all'orizzonte problematico e concettuale del neokantismo (specialmente di Rickert) e dello storicismo.
In particolare egli si preoccupa di definire le condizioni dell'oggettività del sapere da esse prodotte.
Weber ritiene insufficiente, al fine di garantire tale oggettività, sia la soluzione del positivismo sociologico, sia la spiegazione storicistica prospettata da Dilthey con l'analisi psicologica all'esperienza vissuta (Erlebnis), che è sempre soggettiva.
Per Weber, invece, si ha scienza, cioè oggettività del sapere, quando si produce un sistema di spiegazioni causali, cioè quando si stabiliscono connessioni logiche tra cause ed effetti - ovvero tra mezzi e scopi, che sono i termini della causalità propria dell'agire umano.
Solo che, nelle scienze naturali, attraverso la spiegazione causale i fenomeni vengono visti nella loro «conformità generale», cioè vengono sussunti in un sistema di leggi universali, mentre nelle scienze storico-sociali, il cui oggetto ha una natura individuale, la causalità mezzo-scopo è individualizzante, cioè coglie connessioni causali che, pur avendo, in quanto scientifiche, valore oggettivo e universale, connettono eventi individuali.
La possibilità di stabilire connessioni causali, cioè di produrre sapere scientifico, è legata alla selezione che deve orientare la ricerca, separando ciò che è rilevante da ciò che non lo è, evidenziando o scartando un elemento piuttosto che un altro.
Ora, nelle scienze storiche il principio di selezione è dato per Weber dalla relazione a valori (Wertbeziehung), intesi però non - come in Rickert - in senso assoluto e incondizionato, ma nel senso di criteri di scelta e di selezione prospettica per individuare i problemi e gli elementi rilevanti per la ricerca scientifica.
La relazione a valori non ha dunque un senso etico, ma un senso logico, e i valori sono dei princìpi di scelta assiologicamente neutri, che rendono possibile formare il punto di vista dell'analisi scientifica.
Nell'orizzonte formato da tale punto di vista si formano quelli che Weber chiama tipi ideali.
Essi sono configurazioni concettuali - come, ad esempio, cristianesimo, feudalesimo, capitalismo - le quali, costruendo per astrazione una certa figura o forma storica nel suo stato puro (che come tale non è mai data in realtà), servono a organizzare e a ridurre la complessità dei dati empirici e quindi a comprenderli.
La costruzione della scienza in quanto sistema di spiegazioni causali è allora determinata dall'interesse del soggetto che, in base alla relazione a valori, sceglie e determina il punto di vista e la prospettiva dell'analisi scientifica, a partire da essa costruisce per astrazione i tipi ideali e stabilisce infine connessioni causali.
E la razionalità della scienza è una razionalità formale, non materiale, perché consiste nella forma pura della relazione causale.
Va visto in questo contesto il principio fondamentale della concezione weberiana della scienza, cioè l'avalutatività (Wertfreiheit), la libertà rispetto ai valori, considerata come un carattere costitutivo del sapere scientifico.
La scienza descrive infatti ciò che è, e non prescrive ciò che dovrebbe essere; indaga l'essere e non valuta il dover essere; formula proposizioni assertorie e non impartisce imperativi e normative.
La scienza è cioè un conoscere descrittivo, oggettivo, neutrale, e non può essere condizionata da valutazioni etiche, politiche, religiose, ideologiche e dai valori ad esse corrispondenti.
L'avalutatività della scienza - che Weber sostenne assieme a W. Sombart contro G. Schmoller, L. Brentano e i «socialisti della cattedra» - esplicitando la sua libertà da legami dogmatici e ideologici rende possibile l'affermazione piena della sua razionalità.
La tesi dell'avalutatività non contraddice - come in un primo momento potrebbe sembrare - all'assunto della «relazione a valori» che orienta la ricerca scientifica, perché tale relazione non ha valore etico, ma è soltanto un criterio euristico-metodologico di selezione, necessario alla formazione della prospettiva di ricerca.
Sulla base di questa «dottrina della scienza», in Economia e società, la sua «summa sociologica», Weber prospetta una teoria generale dell'agire sociale.
La sociologia è infatti la scienza che studia le regolarità dell'agire sociale.
La particolarità di tale oggetto è che esso è congiunto a un senso soggettivo e che quindi la sua dinamica propria non può essere colta da una spiegazione meccanica, ma solo mediante la comprensione del senso soggettivo che la motiva e che ne determina la razionalità specifica.
Ad esempio, l'azione di aprire l'ombrello quando piove non è colta nella sua razionalità specifica con la spiegazione meccanica dei movimenti del braccio, ma solo con la comprensione dell'intenzione di senso del soggetto agente.
Weber definisce pertanto la propria sociologia una sociologia comprendente.
In essa l'agire sociale - che è definito come tale in quanto è dotato di senso ed è riferito all'agire di altri individui, e orientato in conformità - viene distinto in quattro tipi, a seconda della diversa razionalità che lo motiva:
1) l'agire razionale rispetto a uno scopo (che consiste nella ricerca dei mezzi adeguati a conseguire lo scopo);
2) l'agire razionale rispetto a un valore (che è determinato dalla fede nel valore, a prescindere da ogni altro fattore e ogni altra conseguenza);
3) l'agire affettivo (determinato dagli affetti e dai moti d'animo);
4) l'agire tradizionale (cioè determinato da consuetudini e costumi).
Il secondo elemento che definisce l'agire sociale è il riferimento all'agire di altri individui, ossia la relazione sociale.
Tra le relazioni sociali ha un particolare rilievo quella che sta alla base della realtà dello Stato, e che viene studiata dalla sociologia politica.
Essa è la relazione di potere (Herrschaft), definita come «la possibilità di trovare obbedienza a un comando»; essa è distinta dalla potenza (Macht), cioè dalla «possibilità di far valere in una relazione sociale la propria volontà».
Weber distingue tre forme legittime di potere politico:
il potere tradizionale (fondato sulla credenza nella sacralità, nell'autorità e nelle tradizioni),
il potere razionale-legale (fondato sulla credenza nella legalità)
e il potere carismatico (fondato sulla credenza in un «capo»).
Weber ha fornito non solo un'articolata analisi sociologica della struttura dello Stato moderno, ma anche una ricostruzione razionale del processo storico della sua formazione, offrendo in tal senso una potente descrizione della modernità, alternativa all'analisi marxista del sistema capitalistico.
In particolare, lo sviluppo del mondo moderno è caratterizzato secondo Weber da un vasto e profondo processo di razionalizzazione.
I due motori principali sono lo sviluppo del sistema del denaro, cioè dell'economia e della finanza, attraverso il canale della monetarizzazione, e lo sviluppo del sistema del potere, cioè dell'apparato amministrativo dello Stato, attraverso il canale della burocrazia e del diritto.
Per questo Weber è considerato il teorico della moderna burocrazia.
Ora - come Weber mostra nelle due celebri conferenze di Monaco del 1919 - il vasto e profondo processo di razionalizzazione, che attraversa e connota la modernità, ha prodotto il «disincanto del mondo», cioè la consunzione e lo svanimento delle tradizionali immagini del mondo di tipo mitologico, religioso e metafisico.
Nel mondo disincantato della razionalità e della scienza, si produce nel campo delle visioni del mondo, costitutrici di senso, un politeismo di valori, una compresenza di scelte di fede opposte, non decidibili razionalmente.
Tuttavia, nell'erosione delle trascendenze, nel collidere della razionalizzazione con i valori della salvezza religiosa, si profila pure la possibilità di orientare l'azione umana «in modo oggettivamente responsabile».
La critica dei valori, infatti, apre la sfera dell'agire a una prospettiva più ampia rispetto a quella della tradizionale etica della convinzione (Gesinnungsethik), che si orienta solo su princìpi e valori, prescindendo dagli effetti oggettivi dell'agire; essa dischiude la possibilità di un'etica della responsabilità (Verantwortungsethik), nella quale l'uomo è oggettivamente responsabile non solo delle intenzioni, ma anche delle conseguenze, della riuscita o meno del suo agire.
Ed è questa per Weber l'etica all'altezza dei compiti posti dall'età della scienza e della tecnica.
Pertanto, nella situazione contemporanea di crisi, alla quale sta davanti non «il fiorire dell'estate», ma una «notte polare di una oscurità e rigidità glaciali», Weber fa appello al senso di responsabilità dell'intellettuale e dello scienziato.
Senza abbandonarsi irrazionalmente ad aspettative escatologiche o a nostalgie romantiche, senza compiere il sacrificio dell'intelletto, del discepolo che va al profeta o del credente che va al redentore, l'intellettuale viva virilmente il destino del politeismo dei valori, del relativismo e del nichilismo culturali della nostra epoca, seguendo, nella dedizione al compito del giorno, il «demone che tiene le fila della propria esistenza».