Non diversamente dagli omologhi e contemporanei movimenti filosofici, artistici e letterari, il romanticismo musicale si impose come una tendenza mirante al superamento ed alla rottura degli schemi precedenti.
Era contro l’accademia, a Parigi simbolicamente contro l’Accademia musicale diretta dall’italiano Cherubini per due lunghi decenni dal 1822 al 1842, che la rivolta romantica si indirizzava. Premevano in questo senso forze oggettive.
Da qualche tempo infatti la musica non era solo svago e piacere per corone ed aristocrazie, ma aveva cominciato a rivolgersi ad un uditorio più vasto. Ciò aveva posto il problema del pubblico. Parallelamente, il musicista aveva maturato una sensibilità sociale e una consapevolezza del proprio ruolo in forme prima non conosciute.
Anche da qui, secondo i dettami del linguaggio romantico, circolava l’immagine dell’artista come eroico, se non titanico, interprete della realtà. Oltre che sul piano civile, la rivolta romantica si esprimeva soprattutto su quello formale-musicale.
Si cercava un linguaggio musicale fortemente innovatore. La volontà di indipendenza e libertà dalle regole armoniche del passato, il fluire incessante delle modulazioni, l’apparire di dissonanze non risolte e non sempre preparate, l’inclinare verso il gusto timbrico e verso il colore marcavano una considerevole distanza rispetto agli aristocratici minuetti o alla regolarità, magari squisita ma algida, della musica religiosa del Settecento. Alla passionale atmosfera dell’arte e della letteratura romantica corrispose quindi una musica altrettanto adeguata ai tempi.
Uno studioso come Massimo Mila ha scritto che "A questa umanità tormentata, presa tra l’ebbrezza dei sensi e l’angoscia dell’infinito, perduta nell’impossibile aspirazione ad un accordo cosmico tra il finito dell’io e l’infinito del divino, malata di misteriose vertigini, di morbido misticismo e d’inquietanti fantasie, la musica contribuì largamente".
Se anche Beethoven ne aveva anticipato l’affermazione, si dovette ad un’intera generazione di musicisti di tutt’Europa se la musica romantica costituì un fenomeno fra i più rilevanti e generalizzati dell’intera storia musicale.
Innovazioni armoniche e formali, protagonismo dei soggetti, perfezionamento del gusto timbrico con una sorta di rivincita del colore sullo schema costituirono alcune costanti internazionali.
Questo soggettivismo era aperto, almeno, a due vie di fuga: da un lato, verso una frammentazione impressionistica, dall’altro, verso un descrittivismo e una riduzione (come accadde con la "musica a programma") in direzione di una musica di mera illustrazione.
Sul più lungo periodo, inoltre, esso preparò l’avvento della musica contemporanea. Nei primi decenni dell’Ottocento, però, e sia pur ognuno con le proprie caratteristiche ed i propri moduli, la musica romantica echeggiava costante nei vari teatri d’Europa.
Karl Maria von Weber (1786-1826) modulava in musica il patriottismo tedesco. Franz Schubert (1797-1828) dava voce con le sue Lieder, più di seicento, alla ricchezza dell’ispirazione romantica, oscillante fra l’elegia e la nostalgia. Robert Schumann (1810-1856) fu il rappresentante di un romanticismo quasi esasperato, con il suo carattere fra il vago e l’indefinito.
Felix Mendelssohn-Batholdy (1809-1847) assoggettò l’impostazione romantica ad un gusto raffinato e sicuro, quasi pacificato, dove il fantastico del romanticismo perdeva d’angoscia e sfociava in composizioni dal tono magicamente irreale.
Hector Berlioz (1803-1869) preferì grandi complessi orchestrali, anche se le sue composizioni apparivano più costruite che passionali.
Franz Liszt (1811-1886) sembrò anticipare, con il suo virtuosismo, l’impressionismo musicale che si avvicinava.
Su tutti, forse, fu Fryderyck Chopin (1810-1849) a rappresentare la perfezione, o quanto meno la compiutezza, dell’ispirazione romantica. Le forme brevi delle sue composizioni, il ricorso virtuosistico al pianoforte, i suoi lati lirici (i Notturni) come quelli più patriottici (le Polacche), ne fanno un interprete totale del romanticismo musicale.
Nato a Zelazowa Wola, vicino a Varsavia, il 1° marzo del 1810, da padre francese e madre polacca, Fryderyk Chopin iniziò giovanissimo lo studio del pianoforte, che sarebbe diventato la voce della sua più intima e vera espressività.
Conclusi brillantemente gli studi al conservatorio, egli lasciò Varsavia per cercare altrove più ampie possibilità professionali. Si fece presto conoscere a Vienna e in Germania con le sue prime composizioni per orchestra (i due Concerti per pianoforte), rivelandosi come concertista e compositore in grado, come intuì Liszt, di "aprire una nuova fase nel sentimento poetico, a fianco di felici innovazioni nella forma dell’arte".
Nel 1831 si stabilì a Parigi, capitale artistica del continente, che elesse a sua patria adottiva. Qui entrò in contatto con i migliori musicisti della generazione precedente, come Cherubini e Rossini, e strinse una viva amicizia con Liszt, Berlioz e, nel corso d’un viaggio in Germania, con Mendelssohn e Schumann.
Ben accolto nei salotti aristocratici, dove la sua figura delicata e sensibile e una raffinata educazione lo resero accetto e amato, egli riservò il proprio talento di pianista a questo pubblico esclusivo, limitando le apparizioni pubbliche a poche straordinarie occasioni: nella città francese Chopin condusse però anche una disordinata vita di società che ben presto danneggiò la sua cagionevole salute.
La sua produzione musicale è quasi interamente dedicata al pianoforte, lo strumento più congeniale allo spirito romantico, che gli consentì di esprimere in tutta la sua immediatezza il proprio lirismo, condensato perlopiù in brevi aforismi: i Notturni, gli Improvvisi, i Preludi.
Dietro l’ineffabile bellezza di questi lavori si cela un’ardita ricerca armonica e ritmica che trova la prima matura affermazione negli Studi, mentre le Ballate e gli Scherzi mostrano profonde innovazioni tecniche e timbriche. Negli stessi anni Chopin abbracciò anche motivi popolari che trovarono compiuta espressione nelle Mazurche e nelle Polacche, testimonianza di un profondo legame con le tradizioni della madrepatria, pervase di nostalgia e patriottismo: libera da ogni formalismo, la sua musica vibra di una poesia intensa e profonda, insuperabile espressione di un romanticismo vissuto come categoria dello spirito.
Minato dalla tisi, si spense a Parigi il 17 ottobre 1849 dopo uno sfortunato soggiorno a Londra che ne prosciugò le residue energie fisiche e mentali. Le sue spoglie riposano al cimitero del Père-Lachaise, ma il suo cuore è conservato a Varsavia.
Il canto dei tasti
Il pianoforte fu lo strumento che, più di altri, Chopin fece cantare. Con esso diede forma ai suoi sogni romantici e alla sua romantica esaltazione di un’eredità musicale nazionale.
Con i tasti del pianoforte, che nel frattempo veniva tecnologicamente migliorato, Chopin fece correre il dinamismo tipico del romanticismo musicale con il suo fluire incessante di modulazioni e con le sue consonanze e dissonanze, non sempre risolte né preparate, ma proposte per esprimere un sentimento e con l’effetto di disgregare l’armonia classica precedente.
Chopin seppe modulare la propria ispirazione romantica tanto sulla linea individualistica e malinconica dei Notturni (per la quale è stato da taluni accostato a Leopardi) quanto su quella della ripresa, e reinvenzione, della linea musicale nazionale-popolare delle Mazurche e delle Polacche (per le quali invece qualcuno l’ha avvicinato a Delacroix), chiaramente dirette ad un pubblico nazionale.
In entrambi i casi, le sue composizioni, spesso brevi, misero in evidenza la sua padronanza del pianoforte, che gli permise un completo controllo delle forme, all’insegna di una perfezione definita "da cesellatore".
Notturno in si min. op. 9 n° 1
Durante gli anni del suo soggiorno parigino Chopin si dedicò ad alcune composizioni di circostanza, la cui stesura era dettata perlopiù dal gusto e dalle consuetudini della buona società: a questa tipologia appartengono i Notturni, nei quali tuttavia Chopin trasfigura gli echi di un sentimentalismo di maniera e il gusto un po' dolciastro della musica da salotto in una nuova, intensa pagina del suo diario spirituale.
Questo genere era stato inventato da un allievo di Clementi, l'irlandese John Field, il quale aveva piegato a fini espressivi la tecnica pianistica conferendo ai propri Notturni quel tono malinconico e "crepuscolare" che ben si riassume nella parola spleen, tanto cara all'animo e alla poesia romantica d'oltre Manica.
Quelle che in Field erano brevi composizioni in tempo lento o moderato, di carattere lirico e sognante, divennero però in Chopin un genere compiuto e autonomo, nelle cui partiture erano condensati sentimenti e stati d'animo affidati a brani di intensa carica emotiva - seppur mascherati da una facile cantabilità melodica di gusto operistico - e piegati a esigenze espressive che imponevano l'adozione di ardite novità timbriche e ornamentali.
Questa "personalizzazione" di forme e motivi di diversa provenienza è uno dei tratti distintivi dell'arte di Chopin, la cui grandezza si è espressa proprio nella capacità di plasmare la materia musicale piegandola alla propria visione del mondo e trasfigurandola in un nuovo universo poetico.
Franz Peter Schubert nacque il 31 gennaio 1797 a Lichtental, allora sobborgo di Vienna, nella casa di Nussdorfer Strasse all’insegna del Gambero rosso (Zum roten Krebsen) oggi adibita a museo, da famiglia numerosa (il padre ebbe due mogli): l’infanzia fu modesta ma ricca di calore.
A impartigli i primi rudimenti musicali fu il padre omonimo, maestro di scuola e violoncellista dilettante (anche il fratello maggiore Ferdinand Lukas fu compositore); in seguito ebbe nozioni di canto, organo, pianoforte e armonia da Michael Holzer, organista e maestro del coro parrocchiale di Lichtental.
Nel 1808, a undici anni, divenuto cantore nella cappella di corte, fu accolto nell’imperialregio Stadtkonvikt di Vienna, ove poté compiere studi regolari e perfezionare la propria preparazione musicale sotto la guida dell’organista di corte Wenzel Ruczicka e del noto compositore Antonio Salieri.
Alle esercitazioni musicali per la scuola appartengono le prime composizioni, dedicate anche alla cerchia familiare, ove - data la professione paterna - l’attività musicale era fervente: i primi quartetti giuntici, scritti per essere eseguiti in famiglia col padre e i fratelli, sono degli anni 1811-12.
Nel 1813, abbandonati gli studi, scelse di praticare temporaneamente la professione del padre divenendone l’assistente nella sua scuola. Il cruciale 1814 segna l’incontro del diciassettenne Franz con la poesia di Goethe, avviando il suo rapporto col Lied, interrotto solo dalla morte: nel 1815 scrisse il celeberrimo Erlkönig e prima della fine del 1816 compose oltre 500 Lieder per voce e pianoforte.
Nel 1816 lasciò la famiglia paterna, contando per il sostentamento sull’aiuto di Franz von Schober e poi d’una più vasta cerchia d’amici affezionati, che continueranno a finanziarlo per tutta la vita, non bastandogli per la sussistenza né le lezioni di musica né gli scarsi proventi della cessione di proprie partiture agli esosi editori viennesi, dato anche che dal 1808 aveva posto definitivamente fine agli infruttuosi tentativi di seguire la carriera paterna.
Del gruppo degli amici e sostenitori di Schubert fecero parte, fra gli altri, l’avvocato ed ex-violinista Joseph von Spaun, il poeta Johann Mayrhofer, i pittori Leopold Kupelwieser e Moritz von Schwind, il pianista Anselm Hüttenbrenner, Anna Frölich e Michael Vogl, il cantante dell’opera di corte che fece conoscere alla società viennese i Lieder dell’amico.
Tutti protagonisti e testimoni delle celebri "schubertiadi", gioiose serate nelle quali ognuno si esibiva insieme agli amici in ciò che sapeva fare, suonando, cantando, ballando o recitando, mentre Franz presentava le sue nuove composizioni, in particolare danze, ripagando la generosità degli amici col dono della musica.
Nel 1818, con la Piccola, si conclude il ciclo, iniziatosi nel 1813, delle prime sei sinfonie, opere contenute sia nelle dimensioni che nell’organico, ancora ispirate a Haydn e Mozart, mentre al 1819 appartiene il Forellenquintett, suggello del primo periodo dell’opera di Schubert, dominato dalla Hausmusik, la musica d’intrattenimento e di compagnia.
Il 1820 segnò lo spartiacque fra gli anni della fervida formazione e quelli della breve ma intensissima maturità: anni, questi, di ricerca e sperimentazione, mentre s’intensificava l’interesse per la musica strumentale, come testimoniano i numerosi abbozzi di sinfonie accantonati, lavori incompiuti come il Tempo di quartetto del 1820 e la Sinfonia in mi minore del 1822, la celebre Incompiuta.
La popolarità derivatagli dalle schubertiadi permise all’artista di pubblicare a stampa nel 1821 i primi Lieder, tra i quali Der Erlkönig e Gretchen am Spinnrade, ma al successo non corrispose la fortuna finanziaria e Schubert continuò a non poter contare sul proprio lavoro di musicista, salvo in saltuarie occasioni: come quando, nelle estati del 1818 e del 1824, soggiornò a Zseliz in Ungheria, quale maestro di musica delle due figlie del conte Johann Karl Esterházy.
Si esibì poi in tournée con l’amico cantante Michael Vogl, portando i propri Lieder in varie città austriache, in particolare nel corso di due viaggi, nel 1819 e nel 1825, in Alta Austria, nelle terre natali di Vogl. Non riuscì mai, tuttavia, a imporsi al grande pubblico, né conseguentemente a stringere soddisfacenti contratti con gli editori, che ottennero sempre i suoi spartiti per pochi soldi.
Anche nel campo della musica teatrale, malgrado la qualità tutt’altro che trascurabile dei Singspiele Alfonso e Estrella (1821-22) e Fierabras (1823), il disinteresse dei contemporanei - pari solo a quello dei posteri - fu tale che nessuna delle sue opere venne accettata dai teatri viennesi (se si eccettuano l’ouverture e le musiche di scena per Rosamunda, principessa di Cipro del 1823).
Nel 1822 Schubert contrasse una sifilide che ne minò la salute in modo irreversibile e ancor più ne pregiudicò lo stato d’animo, soggetto a frequenti depressioni. Malgrado ciò, il lavoro degli anni precedenti dette i suoi frutti e l’artista inanellò una serie di capolavori: la Wanderer-Phantasie del 1822, elaborazione d’un tema d’un suo popolarissimo Lied, la Sonata in do maggiore per pianoforte a quattro mani del 1824, le tre sonate in la minore, re e sol maggiore del 1825-26, la Grande e le tre sonate in do minore, la e si bemolle maggiore del 1828, manifestando una nuova sensibilità lirica negli Improvvisi e nei Momenti musicali per pianoforte.
L’ultimo anno di vita vide nascere, accanto ai Klavierstücke, pubblicati postumi da Brahms, gli estremi, sublimi Lieder su testo di Heine, anch’essi postumi.
Morì di febbre tifoidea a Vienna il 19 novembre 1828, un anno e mezzo dopo Beethoven.
Esaudito nel desiderio di riposare accanto all’ammirato collega, fu sepolto a pochi passi da lui nel cimitero di Währing, dove Schumann rese omaggio alle tombe disadorne dei due confratelli: nel 1888 le spoglie di Schubert furono traslate, insieme a quelle di Beethoven, a Vienna, nel Zentralfriedhof di Simmeringer Hauptstrasse, dove riposano nel settore delle tombe d’onore accanto a Gluck, Brahms, Strauss padre e figlio, Suppé, Wolf e Schönberg.
Nato a Zwickau (Sassonia) l’8 giugno 1810 da un editore divenuto celebre per aver pubblicato un'edizione tascabile dei classici della letteratura mondiale, il piccolo Robert a sei anni iniziò la sua istruzione, avvicinandosi inizialmente alla poesia, cui affiancò ben presto anche l'interesse verso l'attività pianistica, coltivata da autodidatta nel "culto" di Beethoven, la cui titanica figura dominava l'orizzonte musicale delle giovani generazioni.
Tra le sue letture egli amò particolarmente il Faust di Goethe, le poesie di Heine, i poemi di Byron e i romanzi di Scott e dell’amatissimo Jean Paul Richter (ai romanzi del quale paragonerà elogiativamente la "divina lunghezza" della musica di Schubert), che durante gli anni del liceo lo avvicinarono maggiormente alla letteratura.
Nel 1828 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza di Lipsia, ma l'assidua frequentazione del "cenacolo" di Friedrich Wieck, cui partecipavano organisti e compositori di discreta levatura, risvegliò in lui un interesse musicale che pareva sopito; abbandonata Lipsia, l'anno successivo si trasferì a Heidelberg, inseguendo i fermenti culturali cui il suo spirito inquieto anelava.
Nel 1830, dopo avere assistito a un concerto di Paganini, Schumann decise di dedicarsi interamente alla professione d’interprete pianistico, che dovette però interrompere due anni dopo a causa della paralisi dell’anulare della mano destra (sconsideratamente procuratasi legandolo per migliorare il proprio tocco), concentrandosi da allora in poi sulla composizione e sulla critica musicale.
In quegli anni Schumann si dedicò allo studio del contrappunto, affidandosi all'ideale magistero di Bach, il cui Clavicembalo ben temperato divenne la "grammatica musicale" e il nutrimento morale sui quali si sviluppò gran parte della sua opera successiva.
Fu quello un periodo di intensa e fervida attività, durante il quale Schumann creò le sue opere più felici (Carnaval, Phantasiestücke, Kinderszenen, le sonate op. 11 e 22, Kreisleriana, Novelletten e 4 fascicoli di Lieder): al 1840 risale il suo matrimonio con Carla Wieck, pianista di valore che gli fu preziosa compagna negli anni successivi, quando maturarono i sintomi dell'alienazione mentale che ne segnò il declino fino alla morte avvenuta nel manicomio di Endenich, vicino a Bonn, il 29 luglio 1856.
Lampi d'emozione
Parlando romanticamente di sé, il giovane Schumann scrisse di pensare a se stesso come ad una immaginaria "Lega dei fratelli di David", impegnata nella lotta romantica al tradizionalismo musicale: della Lega avrebbero fatto parte un Florestano ardente e focoso, un Eusebio malinconico ed un Maestro Raro, esperto nella perfezione della dottrina e della tecnica musicale. I tre immaginari personaggi in cui egli scomponeva la propria personalità rappresentavano le tipiche figure dei sentimenti romantici in concorde lotta fra loro. Schumann fu un compositore del tutto calato nel nuovo clima romantico, che operò dall’interno e andò al di là dei tradizionali schemi classici. Il suo Concerto in la minore (1841-45) e, a loro modo, le sue quattro sinfonie (fra 1841 e 1851) lo dimostrano. Più che nelle grandi composizioni però l’ispirazione romantica fa breccia e brilla nelle più brevi sonate e nei pezzi più raccolti, dove fulminee notazioni raffigurano ora gli impeti ora gli scoramenti, ora le esaltazioni ora gli struggimenti del clima romantico. Le sue stesse composizioni per bambini (come le Kinderszenen, 1838) o la sua trasfigurazione della natura (l’Uccello profeta, 1848-49) rimangono piccoli classici romantici.
Concerto in la min. op. 54
Universalmente riconosciuto come uno dei vertici del romanticismo musicale tedesco, il concerto in la minore per pianoforte e orchestra op. 54 fu scritto tra il 1841 e il 1845: la sua genesi copre dunque un arco di quattro anni e muove da una Fantasia del 1841 che diventerà il primo movimento del concerto.
All'epoca l'affezione di Schumann per le libertà stilistiche e strutturali delle partiture pianistiche frenava ancora il musicista nell'affrontare la forma del concerto classico, i cui canoni maturarono in lui nel corso degli anni con l'avvicinamento al genere cameristico e soprattutto alla musica sinfonica.
È solo nel 1845 che, consolidata la propria adesione ai generi tradizionali, egli mette mano di nuovo alla Fantasia, concependone un organico ampliamento con l'aggiunta di due movimenti, un Intermezzo e un Finale, e giungendo così alla struttura tripartita tipica del concerto.
Dal punto di vista stilistico la Fantasia utilizza una forma ciclica alla quale fa da cardine un tema sottoposto a ripetute trasformazioni, il cui sviluppo conduce a una serie di episodi distinti, come brevi composizioni a sé stanti.
Confluita nel concerto, tale animazione mostra un'apparente dissonanza con il timbro cameristico dell'Intermezzo e la gioiosa festività del Finale, nei quali il fitto dialogo tra gli strumenti integra invece in maniera perfetta solista e orchestra.
La composizione trova però compiuta realizzazione unitaria grazie alla coerente espressività di Schumann, che rifugge nella sua partitura dal virtuosismo esibizionistico e trasforma il concerto in una sorta di sinfonia con pianoforte, senza concedere spazio a gratuiti arabeschi estetici: tale coerenza, manifestata in tutte le sue opere, rappresenta in Schumann un leitmotiv artistico che piega la materia sonora a una visione etica della musica, diametralmente opposta allo stile piuttosto vacuo del contemporaneo concertismo Biedermeier.