Fu una "controriforma" in reazione al diffondersi del protestantesimo oppure una "riforma" che accolse fermenti e aspirazioni di rinnovamento già presenti nel mondo cattolico? Probabilmente entrambe le cose. Rinnovamento e spinte repressive accompagnarono lo sforzo della Chiesa cattolica di confrontarsi con le esigenze di un'epoca che aveva visto drammatiche divisioni religiose e profondi travagli spirituali. Il rinnovamento investì sia la cultura teologica sia la vita e l'organizzazione interna della chiesa, con effetti profondi sulla società dell'epoca. Il Concilio di Trento fu un momento determinante di questa vicenda, fissando precisi elementi di carattere dottrinale, precisando tutta una serie di regole sul piano disciplinare e organizzativo. Nuovi ordini religiosi risposero all’esigenza di una riforma interna alla Chiesa, così come il fenomeno delle compagnie religiose di carattere laico imbrigliò, all'interno di canali consentiti e controllabili, l'esplosione di religiosità popolare e di devozione pubblica che seguì il concilio tridentino. Ma la Controriforma fu anche un momento di drammatiche chiusure, di reazioni violente contro ogni forma di eresia e di diversità, come dimostrarono l'attività dell'Inquisizione, l'Indice dei Libri proibiti, la persecuzione di grandi personalità del pensiero. Più che gli aspetti dottrinari e ideologici, le più recenti interpretazioni, abbandonate le rigidità del passato, tendono a mettere in risalto il processo di accentramento e consolidamento del potere temporale della chiesa, una tendenza che non fu molto diversa dal rafforzamento delle strutture dello stato che caratterizzò le vicende degli stati europei, contribuendo, attraverso un progressivo disciplinamento sociale ed ecclesiastico, al coincidere di obbedienza religiosa e civile, a definire più diffusi canali di consenso e, in ultima analisi, di identità nazionale.
L'esigenza di un Concilio generale della chiesa si era già manifestata verso la fine del XV secolo. Le tumultuose vicende dei primi decenni del '500 ne ritardarono l'attuazione per motivi complessi che non erano solo di carattere religioso; i pontefici, in particolare Clemente VII, si dimostrarono contrari per la preoccupazione che il conciliarismo mettesse in secondo piano la suprema autorità papale; la richiesta di un concilio, inoltre, era stata avanzata anche dagli ambienti della Riforma. Si cominciò comunque a parlare di un Concilio già nel 1537 ma solo nel 1542, papa Paolo III Farnese lo convocò ufficialmente. A conferma delle difficoltà politiche dell'operazione, il Concilio aprì ufficialmente le sue sessioni alcuni anni dopo, il 13 dicembre 1545 a Trento, principato vescovile indipendente del sacro romano impero, sede scelta inizialmente per venire incontro ad un dialogo con la Chiesa protestante che in realtà non ci fu. Il Concilio si protrasse, fra interruzioni e riprese, per circa 18 anni fino al 1563. Furono cinque i pontefici che segnarono le vicende conciliari, dopo Paolo III (morto nel 1549), fu la volta di Giulio III (1550-1555), Marcello II (il toscano Marcello Cervini, per soli 20 giorni nel 1555), Paolo IV (Gian Pietro Carafa, 1555-1559), Pio IV (il milanese Giovanni Angelo Medici, 1559-1565). I decreti conciliari furono solennemente ratificati da papa Pio IV il 26 gennaio 1564 mediante la cosiddetta "Professione di fede Tridentina".
Sostanzialmente il Concilio si svolse in tre fasi durante le quali si alternarono due ordini di problemi fondamentali: le questioni dogmatiche in risposta alle argomentazioni e alle critiche della teologia protestante; le questioni disciplinari e organizzative legate alla riforma morale del clero e delle gerarchie ecclesiastiche. Le prime due sessioni del Concilio, fino all'interruzione del 1552, dibatterono prevalentemente di questioni dottrinarie e in particolare dei sacramenti. L'ultima fase, iniziata nel 1562 dopo un'interruzione decennale per l'accesa conflittualità politica e per la contrarietà di papa Paolo IV Carafa, dibatté prevalentemente di questioni disciplinari e fu fortemente influenzata dal nipote del papa, Carlo Borromeo. Numerosi furono i teologi che parteciparono alle sessioni conciliari, fra cui si ricordano Reginald Pole, Girolamo Seripando, Melchior Cano, Diego Lainez e Domingo De Soto.
Fin dall'inizio il Concilio mostrò una totale chiusura verso le posizioni protestanti in materia di dottrina cristiana; infatti, i primi decreti si segnalarono per una condanna del luteranesimo. Venne riconfermato il numero e l'efficacia dei sacramenti, confermando la presenza reale di Cristo nell'eucarestia e la validità del battesimo dei neonati. Venne riconfermata l'istituzione divina del clero, la separazione e la superiorità di esso rispetto ai laici in contrapposizione con il "sacerdozio universale dei credenti" professato da Lutero. Contro le traduzioni in volgare delle bibbie protestanti secondo la dottrina riformata del "libero esame", la Chiesa riaffermò il suo ruolo di unica interprete delle Sacre Scritture, l'autenticità della versione ufficiale in latino della Bibbia (secondo la Vulgata di San Girolamo), la validità della tradizione apostolica. Si affermò che la liturgia della messa doveva essere celebrata in latino. La tesi luterana della "giustificazione per fede" venne confutata ribadendo il principio della salvezza da raggiungere non solo per mezzo della fede ma anche in virtù del valore meritorio delle opere svolte in vita, sotto l'egida e il controllo della Chiesa. Vennero inoltre ribadite l'esistenza del purgatorio, la validità delle indulgenze, il culto dei santi e della Vergine.
Importanti provvedimenti furono varati dal Concilio di Trento per quanto riguarda la riforma del clero sul piano della disciplina e dell'organizzazione. Innanzitutto fu ribadito che il clero era un'istituzione divina cui spettava l'opera di mediazione fra il cristiano e Dio, di guida del popolo dei credenti. In questo senso venne promossa l'istruzione dei parroci mediante l'istituzione di seminari diocesani in cui formare adeguatamente i nuovi "pastori" delle anime. Infatti la cura delle anime divenne l'obiettivo primario di una riconquista delle coscienze che avrebbe permesso alla chiesa di infondere nuova linfa alla sua missione millenaria. La parrocchia doveva divenire il fulcro della vita religiosa all'interno di strutture diocesane rinnovate, attente ai bisogni e alle esigenze del popolo dei fedeli. In questa prospettiva si collocano numerosi provvedimenti: furono richiamate in vita antiche prescrizioni ormai trascurate, come le visite pastorali, i sinodi diocesani e provinciali che rafforzavano il ruolo e la funzione dei vescovi; fu vietato il cumulo dei benefici per i curati, imposto l'obbligo della residenza per i vescovi e i parroci, riconfermata la proibizione del matrimonio per gli ecclesiastici e l'obbligo di vestire l'abito talare. I parroci furono investiti di una missione delicatissima e importante: il risanamento morale nel contesto di una vera e propria "riconquista" religiosa della popolazione da perseguire con la predicazione domenicale, l'insegnamento della dottrina cristiana, il controllo del territorio, delle famiglie e dei singoli individui. La penetrazione nelle strutture più profonde della società fu attuata mediante l'obbligo imposto ai parroci di tenere registri dove annotare i battesimi, i matrimoni, i funerali, così come lo stato della popolazione (i cosiddetti status animarum) colta nel momento dell'assolvimento dei precetti religiosi (come il precetto pasquale, la confessione e la comunione annuale). Dopo la ratifica dei decreti conciliari da parte di Pio IV, nel 1566 uscì il Catechismo Tridentino che condensava e rendeva accessibile a tutti la complessa materia dibattuta nel Concilio, i risultati raggiunti sul piano teologico e organizzativo, influenzando in maniera decisiva l'intero cattolicesimo moderno.
L’esigenza di una riforma morale e spirituale della Chiesa si manifestò, già prima del Concilio di Trento, con una considerevole fioritura di ordini religiosi in cui vennero ad elaborarsi, in forme collettive, le aspirazioni di un ritorno alla purezza evangelica e al ruolo caritativo e assistenziale contenuti nel messaggio cristiano. In alcuni casi questi spontanei movimenti popolari furono ostacolati dalle gerarchie ecclesiastiche, ma non di rado, invece, vennero incoraggiati portando alla formazione di nuovi ordini religiosi. I cappuccini furono fondati nel 1526 da Matteo da Bascio con l’intento di riportare i francescani alla purezza della regola di san Francesco: vestiti poveramente, dediti ad una predicazione incessante e senza fronzoli, furono costantemente al servizio dei poveri e degli ammalati. I teatini, fondati dal vescovo di Chieti ("Teate" in latino) Gian Pietro Carafa - il futuro pontefice Paolo IV - e da Gaetano di Thiene (1480-1547), formati da semplici preti che vivevano poveramente in comunità, si prefiggevano di propagandare la fede fra le masse, occupandosi in particolare della cura degli ammalati. Analoghe preoccupazioni assistenziali animarono altri ordini religiosi sorti in questo periodo come i "fatebenefratelli", i "barnabiti", i "bomaschi", mentre finalità educative animarono l'ordine degli "scolopi" dediti all'insegnamento verso i giovani. Gli stessi "gesuiti", sorti nel 1540 per iniziativa di Ignazio di Loyola, rientrano a pieno titolo in questa fioritura di ordini religiosi che precedette e accompagnò il Concilio di Trento. Notevole, infine, anche la componente femminile, sia in esperienze mistiche isolate (da Caterina Fieschi di Genova alla stessa santa Teresa d’Avila), sia nella formazione di congregazioni femminili come le Angeliche, legate ai barnabiti, le orsoline, oppure le "suore di carità".
Le confraternite religiose non erano certamente una novità del '500; al contrario le forme di associazionismo con finalità religiose e assistenziali erano una antica e consolidata tradizione di origine medievale e di ambiente urbano in particolare. Si trattava generalmente di libere associazioni di laici, sia uomini che donne, che sceglievano di impegnarsi in attività collettive di preghiera, di elevazione spirituale, di devozione pubblica (come ad esempio le processioni), oppure in manifestazioni di pietà, come l'assistenza ai malati, la cura dei funerali, l'assistenza ai condannati. Erano espressione, generalmente, delle forme di solidarietà che legavano gruppi della popolazione, più o meno omogenei dal punto di vista sociale, legati dalla vicinanza di residenza oppure dalla comunanza di mestiere. Non di rado questa variegata tipologia di organizzazioni laicali si intrometteva nella gestione stessa delle cose sacre. La grande diffusione che ebbero simili forme di associazionismo in età moderna, soprattutto in area cattolica, deve essere in qualche modo legata al forte impulso che ricevette la devozione pubblica in seguito al rinnovamento religioso che esplose con il Concilio di Trento. Le organizzazioni laicali vennero naturalmente incoraggiate anche se il rinnovamento delle forme di controllo delle strutture diocesane, significò incanalare in forme meno disordinate e trascurate la vita degli enti pii, accentuando la gerarchizzazione interna e imponendo, inoltre, l'assunzione di nuovi statuti da sottoporre all'approvazione vescovile. Alcune forme tipiche di simili confraternite - come ad esempio le "Misericordie" - sopravvivono ancora oggi.
Vi furono eroiche personalità del mondo cattolico che apportarono nuova linfa vitale alla diffusione della fede con le loro opere, con i loro scritti, con i loro insegnamenti e con il loro esempio. Rinnovarono in maniera autentica la Chiesa, la prassi religiosa, esaltando il valore della preghiera e della povertà, della carità e dell’umiltà. Furono uno stimolo esemplare per ritornare ai valori più genuini della spiritualità cristiana, dimenticati o poco apprezzati, messi in crisi dai travagli delle alte gerarchie ecclesiastiche, dalla sempre più accentuata secolarizzazione della Chiesa, dalle drammatiche divisioni che innescarono i movimenti di riforma ed ereticali. I nomi sono quelli dei grandi mistici spagnoli, Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, di Ignazio di Loyola, fervente missionario e organizzatore, di Carlo Borromeo, riformatore attento ai temi della povertà e del rinnovamento morale della chiesa, il sorridente e limpido Filippo Neri, il teologo dell'ortodossia Roberto Bellarmino. Protagonisti diversi di un medesimo contesto che significò un profondo rinnovamento spirituale della chiesa cattolica.