Johann Gottfried Herder nasce a Mohrungen, nella Prussia orientale, il2 4 agosto 1744, da una famiglia di condizioni assai modeste. Trasferitosi a Konigsberg nel 1762, insegna come maestro elementare al Collegium fredericianum (la scuola in cui aveva studiato Kant) e, dopo un fallito tentativo come studente di medicina, si iscrive alla facoltà teologica di quella università. Qui ha come maestri Kant e Johann Georg Hamann (1730-1788), destinati a esercitare grande influenza su di lui. Di Kant apprezza gli interessi cosmologici e antropologici, e in particolare la visione storica dei processi naturali che emerge dalla Storia universale della natura e teoria del cielo (1755), in cui Kant formula l'ipotesi della formazione del sistema solare a partire da una nebulosa originaria. Anche più profonda l'influenza di Hamann, che nelle sue opere (ricordiamo le Considerazioni bibliche, 1757; i Memorabili di Socrate, 1759; la Aestethica in nuce, 1762) veniva conducendo una battaglia contro le pretese conoscitive della ragione illuministica, in nome del valore di verità della Rivelazione e del sentimento e della fantasia che si esprimono nel linguaggio poetico. L'approdo di queste concezioni hamanniane sarà la Metacritica del purismo della ragione (1784), espressamente rivolta contro la Critica della ragion pura di Kant e contro la separazione kantiana di sensibilità e ragione.
Nel 1764 Herder si trasferisce a Riga, dov'è pastore e predicatore di successo nella locale scuola cattedrale. Qui scrive opere importanti sul linguaggio, la poesia e l'estetica, come i Frammenti sulla recente letteratura tedesca (Fragmente über die neuere deutsche Literatur, 1767) e le Selve critiche (Kritische Wälder, 1769), in cui studia il linguaggio come espressione diretta del pensiero e della vita spirituale di un popolo, polemizza contro l'uso del latino nella letteratura e contro il classicismo che fissa astratti modelli di perfezione. Queste riflessioni confluiranno nel saggio Intorno alle origini del linguaggio (Uber den Ursprung der Sprache, 1772), una delle opere più originali di Herder. Nel 1769 Herder compie un lungo viaggio per mare da Riga a Nantes: questa esperienza di diretto contatto con le forze della natura è descritta nel Diario del mio viaggio nel 1769 (Journal meiner Reise im Jahr 1769), in cui lo studioso Ladislao Mittner vede «la prima opera della letteratura tedesca che possa essere detta veramente ed integralmente stürmeriana». Herder vi afferma la necessità di liberarsi di «tutta la polvere dell'erudizione dei secoli passati- e di gettare via «le grammatiche e i grammatici. Bisogna adoperare sempre tutti i sensi».
In Francia Herder entra in contatto con gli enciclopedisti e poi, ad Amburgo, con Lessing. Nel 1770 è a Strasburgo, dove ha frequenti incontri con Goethe: di qui nasce la raccolta di saggi Intorno al carattere e l'arte dei tedeschi (Von deutscher Art und Kunst, 1773), che è considerato solitamente il "manifesto" dello Stürm und Drang («Tempesta e impeto»), come verrà chiamato - dal titolo di una commedia di Friedrich Maximilian Klinger - quel movimento di rinnovamento della letteratura tedesca che si sviluppò negli anni settanta e che ebbe fra i principali protagonisti, oltre allo stesso Herder, Johann Wolfgang Goethe. Influenzati da Rousseau, da Hamann e da Lessing, i giovani "stürmeriani" propongono un'estetica insofferente di ogni tradizione e di ogni regola e fondata sulla libera e piena espressione del "genio" poetico, capace di comprendere e di seguire «per suo innato, infallibile istinto, la voce della natura» (Mittner). Insieme a tematiche di carattere irrazionalistico, che si riflettono nella polemica contro la «fredda» e «disseccata» (Herder) ragione dell'Illuminismo e della scienza sperimentale (temi che prefigurano l'atteggiamento romantico), gli "stürmeriani" rivendicano peraltro, illuministicamente la difesa della libertà individuale contro ogni dispotismo ed oppressione e protestano un radicale rifiuto dell'ordine costituito.
Due esigenze fondamentali guidano la filosofia herderiana di questa fase verso una lucida meditazione sulla storia: quella di rintracciare un "filo" unitario e organico di interpretazione della vicenda dell'uomo non smarrendo però, anzi mettendo in primo piano, l'irriducibile specificità di ciascun momento di essa; e quella di delineare, attraverso la storia, un ideale etico-pedagogico per il progresso dell'umanità. Così, nel Giornale di viaggio del 1769, Herder afferma la necessità di una storia che riguardi «la totalità dell'umanità e delle sue condizioni», senza limitarsi agli aspetti politici o indugiare nei particolari. L'umanità stessa è in perenne mutamento, come mostrano le trasformazioni del linguaggio, che non è né dono divino né pura convenzione, ma espressione diretta della cultura di ogni popolo. Bisogna dunque guardare alle forme poetiche nella loro individualità storica, senza commisurarle, come vorrebbe il classicismo, a ideali astratti di bellezza e perfezione (Selve critiche, 1769). Lo stesso vale per le leggi e per la religione: la teoria di Montesquieu trasforma le leggi in concetti astratti generali, è dunque «una metafisica fatta per un morto codice», incapace di cogliere dall'interno il significato delle forme politiche che un popolo si dà e soprattutto dei suoi costumi, delle sue tradizioni e della sua cultura, ove più autenticamente si esprime l"'anima del popolo" stesso. Di qui l'importanza dello studio dei popoli selvaggi, che permette di cogliere l'origine, e perciò la genesi, del percorso storico dell'umanità nel suo costituirsi. Con uguale spirito occorre accostarsi ai documenti biblici e ai dogmi religiosi, che non vanno sottoposti a criteri valutativi astratti, frutto di una cultura posteriore, ma considerati espressioni fondamentali del rapporto dell'uomo con il divino, espressi nella forma e con il linguaggio propri dell'epoca e della cultura in cui sono stati elaborati.
Alla fase "stürmeriana" di Herder - che nel frattempo si è stabilito nel piccolo principato di Bückeburg, in qualità di predicatore di corte - appartengono altre due importanti opere, entrambe del 1774: Il più antico documento del genere umano (Älteste Urkunde des Menschengeschlechts), in cui il primo libro della Genesi è interpretato come opera storica e poetica in cui si esprime il linguaggio divino, e Ancora una filosofia della storia per l'educazione dell'umanità (Auch eine Philosophie der Geschichte zur Bildung der Menschheit), la prima opera herderiana di filosofia della storia, è un rapido schizzo della storia del genere umano dalle sue origini. L'opera tradisce sin da quell'«ancora» del titolo la sua volontà polemica nei confronti delle molte filosofie della storia settecentesche.
Animato da una violenta polemica, condotta in un registro aspramente satirico, contro il "secolo dei Lumi" (di cui condivide l'istanza critica, interpretata politicamente nel senso di un intransigente antiassolutismo, ma rifiuta il razionalismo e la sua infondata pretesa di costituirsi quale parametro di interpretazione e di giudizio dell'intera vicenda storica), è composto di tre parti.
Nella prima Herder descrive il mondo patriarcale orientale, la civiltà dei fenici e degli egizi e quella dei greci e dei romani; egli rivendica la specificità e la ricchezza di ciascuna di queste civiltà, spingendo la sua polemica ad affermare, per esempio, il valore del dispotismo orientale e del pregiudizio. in quanto elementi costitutivi della "paterna autorità" necessaria a un'umanità ancora nella sua fanciullezza. Nettissima poi la valutazione positiva del cristianesimo, «pretta filosofia morale, purissima teoria della verità e dei doveri», un avvenimento storico «grandioso», uno «strumento della Provvidenza».
Nella seconda parte Herder tratteggia il periodo che va dalla fine del mondo antico all'età contemporanea: rivaluta la funzione storica dei popoli barbari, che diedero nuova linfa all'esaurito mondo romano, e del Medioevo, visto come età del sentimento, dell'onore, della solidarietà e della religiosità. Dopo aver esaltato la Riforma come evento rivoluzionario (ancora una volta in polemica con il riformismo dei «placidi filosofi»), Herder sferra un duro attacco contro la civiltà contemporanea, di cui riconosce la grandezza ma depreca la cultura «meccanica» nonché la superbia, la mollezza, la superficialità (»La ragione basta a tutto!»), che mascherano sostanziali ingiustizie.
Nella terza parte, dopo altre puntate polemiche contro il cosiddetto "rischiaramento" - «Il nostro secolo si è inciso in fronte la parola filosofia con un acido che sembra agire profondamente dentro la testa stessa» -, Herder indica come grande compito quello di lavorare «con animo coraggioso e giocondo, magari in mezzo alla nube» per il grande avvenire disegnato dalla Provvidenza divina: «impareremo a tenere conto delle età che disprezzavamo, si risveglierà il senso di una comune umanità e felicità, concluderemo la storia nostra, tanto piena di rovine, indicandoci un piano dove prima non sapevamo vedere che confusione. Ogni cosa troverà il suo posto e tu, storia dell'umanità, intesa nel senso più alto, sarai infine realtà».
Egli paragona, secondo una modalità che già conosciamo, la vita dell'umanità alla vita dell'individuo. Ma l'analogia herderiana non ha carattere eminentemente metaforico, essendo legata a un'idea dell'umanità come grande organismo naturale, che si sviluppa per gradi attraverso il ciclo di vita e di morte percorso da ogni individuo e da ogni popolo.
Inoltre, questa analogia non serve più a Herder per rivendicare la superiorità dei "moderni", ma piuttosto per rivendicare il carattere specifico e peculiare di ogni epoca e di ogni popolo all'interno del percorso della specie.
Nella visione dello Herder del periodo di Bückeburg questo percorso è identificato senz'altro con «il corso di Dio attraverso le nazioni», con la linea tracciata dalla Provvidenza per il perfezionamento dell'umanità: il contributo dato da ogni popolo a tale perfezionamento è unico, insostituibile, irripetibile, ed è dunque infondata ogni pretesa di assolutizzare una fase, o il presente, per ricavarne un criterio di valutazione (come, per esempio, la razionalità). Popoli ed epoche non possono essere confrontati, ma solo compresi dall'interno.
L'interesse per la storia, vivo sin dall'inizio in Herder, si approfondisce nell'ultima fase della sua vita, che egli trascorre sempre a Weimar (salvo il rituale viaggio in Italia), dove è predicatore e sovrintendente generale, dal 1755 alla morte, avvenuta il18 dicembre 1803. Qui scrive, tra il 1783 e il 1791, i venti libri delle Idee per una filosofia della storia dell'umanità (Ideen zur Philosophie der Geschichte des Menschheit), opera, come molte sue altre, rimasta incompiuta.
L’opera ha come filo conduttore il rapporto fra natura e storia dell'uomo, che Herder tenta di legare in un grandioso affresco che va dalla formazione del mondo all'età moderna (ma l'opera si arresta al Medioevo). «Se c'è Dio nella natura - afferma Herder - c'è anche nella storia: perché anche l'uomo è parte della creazione e deve seguire leggi che non sono meno belle ed eccellenti di quelle secondo cui si muovono tutti i corpi celesti e terreni». Il mondo naturale appare a Herder ordinato secondo una gerarchia di perfezione crescente in cui ogni grado ha il compito di preparare il successivo; egualmente, la storia è un succedersi di epoche ciascuna delle quali, pur nella sua specificità, non è se non un momento di un unico disegno. L'uomo è la creatura terrena «organizzata in modo più complesso e più ingegnoso», il «termine sommo» della scala naturale; la posizione eretta lo distingue da ogni altra creatura ed è condizione della superiorità delle sue facoltà: la ragione, il linguaggio, la libertà.
L'insieme di questi elementi, e dei sentimenti e degli istinti dell'uomo, costituisce quella che Herder chiama l'umanità (Humanität). E l'umanità la grande protagonista della storia, che si sviluppa attraverso i popoli e le nazioni: «Lo scopo della nostra esistenza attuale - scrive Herder - è la formazione dell'umanità». Questa formazione è un processo continuo, giacché «noi non siamo ancora uomini, ma lo diventiamo ogni giorno». Solo la «catena della formazione» dell'umanità, in cui si realizza l'ordine divino nella natura e nella storia, permette di dare un senso all'alternarsi ciclico di vita e di distruzione che percorre la vicenda dell'uomo.
Sempre al periodo weimariano, in cui il suo pensiero appare fortemente influenzato dallo spinozismo e assai meno critico nei confronti dell'Illuminismo di quello degli anni settanta, appartengono il dialogo Dio (Gott. Eine Gespräche, 1787), le Lettere per la promozione dell'umanità (Briefe zur Beförderung der Humanität, 1793-97), in cui si delinea l'orizzonte di una società cosmopolita, «la società di tutti gli uomini pensanti in ogni parte del mondo», e l'antikantiana Metacritica sulla critica della ragion pura (Metakritik zur Kritik der reinen Vernunft, 1799), in cui Herder esprime ancora una volta il proprio dissenso dalla filosofia del grande maestro, contrapponendogli, sin dal titolo, l'insegnamento di Hamann.