Il Gorgia è un dialogo diretto (a differenza di altri in cui la discussione è narrata da Socrate o riferita, a distanza di tempo, da altri personaggi). All'interno di una cornice, che consiste in un prologo iniziale e in un epilogo mitico, si succedono quattro sequenze, scandite rispettivamente dagli interventi dei tre interlocutori e da un monologo finale di Socrate.
Personaggi: Socrate; Gorgia di Lentini, retore; Polo di Agrigento, allievo di Gorgia, forse autore di un trattato sulla retorica; Callicle, politico di parte democratica e ammiratore della retorica; Cherefonte, discepolo di Socrate, politico di parte democratica; un gruppo di ascoltatori attenti e silenziosi.
Scena: ad Atene, in casa di Callicle dove Gorgia è ospite.
Datazione: è assai discussa. Il dialogo venne scritto, verosimilmente, subito prima o subito dopo il primo viaggio di Platone in Sicilia, avvenuto tra il 389 e il 387.
Data drammatica: non si può stabilire con esattezza. Certamente il dialogo si svolge fra il 427 (prima visita di Gorgia ad Atene) e il 404 (fine della guerra del Peloponneso). Nell'arco di questi 24 anni, Platone distribuisce riferimenti cronologici svariati (si accenna come a cosa recente alla morte di Pericle, avvenuta nel 429; si cita l'Antiope di Euripide, che fu rappresentata per la prima volta nel 411; Socrate ricorda che «l'anno scorso» fu pritane al processo delle Arginuse (405) ecc.). E quindi ragionevole pensare che Platone non abbia inteso ambientare il dialogo in un momento preciso, quanto in un complessivo clima culturale e storico, corrispondente alla guerra del Peloponneso, in cui più evidenti appaiono la crisi morale e politica di Atene e la funzione critica di Socrate.
arrivo di Socrate in casa di Callicle. Socrate, accompagnato dal discepolo Cherefonte, giunge a casa di Callicle, dove Gorgia ha appena terminato di tenere una brillante lezione. Socrate desidera sapere da Gorgia in che cosa consista la sua professione, e si accinge a interrogare Gorgia in proposito, purché il retore sia disposto a seguire le regole della discussione dialettica.
Socrate e Gorgia. Gorgia, incalzato dalle domande di Socrate, compie diversi tentativi di definire la retorica:
l) la retorica ha per oggetto i discorsi;
2) la retorica, a differenza delle altre arti, si esaurisce interamente nei discorsi;
3) la retorica ha per oggetto le più grandi e migliori cose umane;
4) la retorica è capacità di pèrsuadere;
5) la retorica si esercita nel tribunali e nelle assemblee e ha per oggetto il giusto e l'ingiusto. Infine, Gorgia sostiene che i suoi allievi devono sapere che cos'è la giustizia e, se non lo sanno, egli glielo insegna. Socrate rileva la contraddizione fra questa affermazione di Gorgia e una sua precedente affermazione secondo cui i retori, a volte, fanno ingiusto uso della loro arte, e si dichiara insoddisfatto delle risposte di Gorgia.
Socrate e Polo. Socrate, incitato da Polo a definire lui stesso la retorica, dichiara che essa non è un'arte (tèchne), bensì una mera pratica (empeiria), paragonabile alla culinaria. Polo si ribella di fronte a questa denigrazione della sua arte ed esalta il potere che i retori, a suo parere, detengono nelle città. Ma Socrate costringe Polo ad ammettere che il potere dei retori è solo apparente e che i tiranni non sono da invidiare ma da compatire, poiché agiscono ingiustamente. Contro il parere di Polo e contro l'opinione comune, Socrate afferma infine che «meglio è per l'uomo patire ingiustizia anziché commetterla» poiché l'ingiustizia è una malattia dell'anima.
Socrate e Callicle. Contro queste conclusioni paradossali insorge Callicle, contrapponendo alla morale socratica la legge di natura, secondo la quale il peggio che possa capitare all'uomo è essere maltrattato senza potersi difendere. Egli afferma che le norme giuridiche e morali sono un sistema artificioso creato dai deboli per tenere a freno i più forti e il loro naturale desiderio di dominare, e poiché secondo Callicle proprio l'esercizio prolungato della filosofia impedisce a Socrate di comprendere il funzionamento delle relazioni umane, gli consiglia di abbandonarla e di dedicarsi alla politica attiva. Socrate obietta a Callicle che l'essere "più forti" non dovrebbe implicare, come invece sostiene Callicle, il possedere di più; chiede inoltre a Callicle se, secondo lui, chi vuol governare gli altri debba anche saper dominare se stesso. La domanda è occasione per un confronto fra due diverse concezioni della vita: quella di Callicle basata sul piacere; quella di Socrate, sulla temperanza. Per confutare la morale proposta da Callicle, Socrate cerca di dimostrare che bene e piacere non sono la stessa cosa; Callicle si irrita di fronte alle argomentazioni dialettiche di Socrate e tuttavia ammette che vi siano piaceri buoni, cioè utili, e piaceri cattivi, cioè dannosi. Socrate osserva allora che per distinguere l'utile dal dannoso in tutti i campi della vita occorre un esperto. Tale non può essere il retore dal momento che, come si è visto, la retorica non è né una scienza né un'arte, e in particolare non ha alcuna conoscenza del bene e del male. Socrate spiega poi che il buon retore e politico dovrebbe operare tenendo gli occhi fissi a un modello ideale di giustizia. Ma a questo punto del dialogo Callicle dichiara di non voler più continuare una discussione che sente estranea e le cui conclusioni non lo convincono in profondità. Invitato da Gorgia a proseguire il suo discorso, Socrate si accinge dunque a concludere da solo.
Monologo di Socrate, con occasionali interventi di Callicle ormai disinteressato al dialogo. La retorica, ammette Socrate, può anche evitare a un uomo una condanna in tribunale e quindi salvargli la vita: lo scopo dell'uomo, però, non dev'essere quello di vivere il più a lungo possibile bensì quello di spendere in modo onesto il tempo assegnatogli dal destino. Chi dunque aspira a esercitare funzioni politiche deve dimostrare di possedere non la capacità retorica, ma l'arte di rendere migliori gli uomini: ciò non seppero fare né Cimone, né Temistocle, né Milziade, né Pericle, i politici che Callicle ammira. Socrate è consapevole che, continuando a polemizzare con gli ateniesi per renderli migliori, anziché farsi loro servo come fanno i retori, rischia di essere condannato a morte; egli è infatti l'unico in Atene a esercitare la vera arte politica, e proprio per questo, in un tribunale ateniese, potrà trovarsi nella stessa situazione di un medico accusato da un cuoco di fronte a una giuria di ragazzi golosi. Ma egli non teme la morte: ciò che infatti deve realmente spaventare l'uomo è che la sua anima giunga nell'aldilà carica di ingiustizia. Il dialogo si conclude con un epilogo mitico che descrive i premi e i castighi che le anime riceveranno nell'aldilà.
Il Gorgia rappresenta il punto di passaggio fra i dialoghi giovanili, centrati sulla figura e sull'insegnamento di Socrate, e quelli della maturità, in cui Platone sviluppa il proprio pensiero originale. Tema centrale del Gorgia è l'opposizione fra filosofia e retorica. La filosofia coincide qui con il metodo dialettico, come via per sviluppare ragionamenti scientificamente fondati, e si caratterizza, sul piano morale, come scelta di vita basata sulla giustizia. Confrontata con la filosofia, la retorica risulta squalificata sia sotto il profilo teoretico, sia sotto quello morale. Essa infatti non è scienza e neppure arte (tèchne), in quanto non possiede regole fisse né una razionale conoscenza degli oggetti che tratta, ma si muove improvvisando, in base alla semplice esperienza. La debolezza morale della retorica è legata alla sua insufficienza teoretica: non conoscendo che cos'è la giustizia in sé, e non possedendo criteri sicuri per distinguere il bene dal male, essa finisce di fatto per servire gli interessi di politici spregiudicati e corrotti.
La retorica appare nel Gorgia come il simbolo o la manifestazione più evidente di una concezione della vita umana e della politica che tende non al miglioramento dell'uomo, ma solo alla ricchezza materiale, al prestigio esteriore, al piacere. Rappresentanti di questa concezione sono i maestri di retorica (il personaggio di Gorgia), gli oratori popolari (raffigurati nel personaggio di Polo) che esibiscono la loro eloquenza per catturare i favori dell'assemblea, i politici di parte democratica (esemplificati da Callicle) che, anziché educare il popolo, lo lusingano promettendogli sempre maggiori ricchezze e rendendolo così avido e violento. A questi esponenti di una classe politica degenerata si contrappone la figura del filosofo.
Egli è diverso da costoro, poiché è l'unico che possiede la conoscenza e ha dunque davanti agli occhi quel modello ideale di armonia e di bene necessario per impostare la giusta azione di governo. «Credo di avere posto la mano, insieme a pochi Ateniesi - per non dire d'essere il solo - sulla vera arte politica, e d'essere il solo, oggi, a metterla in pratica» Con queste parole, che Socrate pronuncia nella parte finale del Gorgia, Platone espone per la prima volta un concetto che verrà ampiamente sviluppato e argomentato nella Repubblica: solo il filosofo è il vero uomo di governo, riformare gli stati è impossibile a meno che i filosofi non regnino, o che gli attuali regnanti divengano filosofi.
Il problema politico costituisce dunque il vero centro d'interesse del Gorgia. Esso emerge però esplicitamente solo nella terza parte del dialogo, quando la discussione ha già raggiunto una notevole tensione drammatica determinata dalla sempre maggiore radicalità con cui i singoli temi (la giustizia, il potere, i valori etici che debbono orientare la politica, la felicità dell'uomo in questa e nell'altra vita) vengono via via affrontati. Platone, infatti, oppone successivamente a Socrate i personaggi di Gorgia, Polo e Callicle, i quali rappresentano tre modi differenti, e sempre più spregiudicati, di intendere e di praticare la retorica.
Gorgia è il teorico, il fondatore e il maestro dell'arte: egli descrive la retorica come pura tecnica della parola, illustra l'egemonia che essa detiene su tutte le altre discipline grazie alla sua capacità di persuadere su qualunque argomento e afferma infine la neutralità della retorica, sia rispetto ai contenuti (in quanto essa non ne possiede in proprio ma li attinge dai diversi contesti in cui di volta in volta si trova a operare) sia rispetto ai valori morali.
A Polo, giovane e ambizioso allievo di Gorgia, viene affidato il compito di sviluppare le conseguenze che, secondo Platone, sono implicite nella dignitosa e impersonale "neutralità" di Gorgia. Quest'ultimo afferma che la retorica, in sé, non è moralmente né buona né cattiva e che sta all'oratore decidere come utilizzarla. Polo si spinge oltre e afferma che, in realtà, la retorica non ha nulla a che fare con la giustizia: essa è finalizzata al potere, e solo una sorta di ritegno impedisce a Gorgia di riconoscerlo apertamente. Malgrado la sua spregiudicatezza, la posizione di Polo si rivela nel corso del dialogo, piuttosto elementare e fragile.
Il giovane retore è un fanatico estimatore del potere e ammira incondizionatamente i tiranni, cui vorrebbe assomigliare. Nello stesso tempo, però, egli non mette in discussione la morale; non nega che, in una prospettiva etica, commettere ingiustizia sia cosa più brutta che subirla. Egli ritiene solamente che l'uomo abile non debba lasciarsi condizionare dalla morale, ma semmai utilizzarla come uno schermo e una copertura, dietro la quale commettere indisturbato i suoi abusi. In conclusione, quindi, Polo è scisso fra un cinismo forse più esibito che vissuto fino in fondo, e l'incapacità di trasformarlo in una personale concezione di vita e in un'alternativa coerente alla morale tradizionale.
L'inversione dei valori che Polo non è capace di operare viene compiuta da Callicle, uomo politico di parte democratica, il più coraggioso e lucido degli avversari di Socrate. Commettere ingiustizia, afferma Callicle correggendo Polo, è certamente più brutto secondo la legge degli uomini, ma non secondo la legge di natura, che proclama il diritto del più forte. E proprio la natura ci indica la morale da seguire: dobbiamo dire di sì al piacere, assecondare i nostri desideri «con coraggio e con intelligenza», non rinunciare a dominare gli altri, se ne abbiamo la forza. La discussione, che con Gorgia si era svolta sul piano della conoscenza e con Polo aveva toccato il campo dell'etica, raggiunge con Callicle il piano ontologico: alla base del pensiero di Callicle, infatti, c'è una visione della natura come divenire e continuo mutamento, che l'uomo deve riconoscere anche in sé e assecondare. A questa visione Socrate opporrà una concezione della natura come cosmo, retto da una legge d'equilibrio e di armonia, e su questa base impianterà la sua proposta etica di una vita secondo giustizia.
La successione dei tre interlocutori segna quindi nel dialogo una progressione che è logica (in quanto la discussione guadagna sempre maggior chiarezza e profondità) e drammatica (in quanto la caratterizzazione dei personaggi si fa sempre più spiccata, mentre cresce l'intensità dello scontro). Un elemento non secondario di questa progressione è il fatto che, nel corso della discussione, anche Socrate è costretto a esporsi, e ad assumere posizioni sempre più radicali. Nella prima parte del dialogo egli è ancora il grande ironico, che finge di non sapere che cosa sia la retorica e incalza Gorgia chiedendogli continue precisazioni sulla sua arte, ma già nel colloquio con Polo egli è costretto a esplicitare la propria opinione sulla retorica e a dichiarare i valori morali che lo guidano.
Infine le dure e franche critiche di Callicle, che lo invita ad abbandonare la propria solitudine di pensatore e a "sporcarsi le mani" con la politica attiva, conducono Socrate a rivisitare le motivazioni e il valore della propria vita di filosofo e, infine, a confrontarsi con l'eventualità della propria morte, che Callicle, facendosi interprete della classe politica ateniese, minacciosamente gli prospetta.
In questa progressiva radicalizzazione, noi vediamo peraltro scomparire gradualmente il Socrate storico, ed emergere il "personaggio Socrate", portavoce della filosofia platonica. Platonica è l'affermazione secondo cui il politico, per guidare bene lo stato, deve disporre di un modello ideale al quale ispirarsi; platonica è la riflessione escatologica (cioè sul destino finale delle anime nell'aldilà) che concluderà il dialogo; platonica è l'appassionata condanna della classe politica e il simbolico "trasferimento dell'autorità" da questa al filosofo. Tutti questi motivi emergono in contrapposizione con la visione di Callicle, che nega la legge umana e la morale in sintonia con le più radicali ed estreme posizioni della seconda sofistica. Platone descrive a forti tinte la figura di questo suo avversario e, non sottomettendolo fino in fondo alla confutazione socratica, ne sottolinea la forza e l'indipendenza di pensiero. Come si è già detto, infatti, Callicle interrompe il dialogo e non si lascia confutare in quanto non intende rinunciare alle proprie idee né riconoscere il mondo di Socrate, che sente del tutto estraneo. Il vigore con cui Platone tratteggia la personalità di Callicle (unico personaggio immaginario del dialogo) fa riflettere: probabilmente a ragione, alcuni commentatori hanno ritenuto che egli in Callicle abbia voluto rappresentare una parte di sé, e precisamente l'ambizione, la volontà di potenza, la passione per la politica attiva a cui Platone rinunciò dopo la morte di Socrate, e che in seguito sublimò nella grande utopia della Repubblica. Certamente egli, nel concludere il Gorgia con un lungo monologo di Socrate, che Callicle ascolta in ostinato silenzio, ha voluto mantenere viva, accanto alla figura del filosofo, anche quella del suo contrario e del suo doppio, tenendo aperta l'opzione fra i due differenti stili di vita, e lasciando al lettore una possibilità di scelta.