Mentre artisticamente il neoclassico imperava, già profonde correnti romantiche avevano permeato l’arte e la cultura europea. Esse si fecero ancora più chiare dopo il 1815.
Quella di "romantico" era stata nel Settecento una definizione tutto sommato dispregiativa, che invece gli artisti dell’età successiva assunsero con orgoglio.
Tipico è il caso di Delacroix, guida riconosciuta del romanticismo artistico. Le fondamenta dell’arte romantica non sono diverse da quelle del pensiero romantico, cui si rinvia.
A livello artistico deve però essere specificato che per quanto i romantici si opponessero ai neoclassici, in fondo molte delle radici erano comuni ai due movimenti: la lotta per la libertà dalle regole dell’accademia, ad esempio, o l’esaltazione della vita e dell’uomo.
Ambedue i movimenti sono inconciliabili con il naturalismo e con l’impressionismo, cui cederanno il passo e che demarcheranno una fase nuova della storia dell’arte europea.
Quello romantico fu un movimento molto articolato.
In primo luogo, ebbe diversità di ispirazioni nazionali: schematizzando molto fu detto, ad esempio, che il romanticismo tedesco passò dal liberalismo al legittimismo conservatore, mentre quello francese seguì un andamento opposto.
In secondo luogo, vide una certa differenziazione fra artisti più anziani e artisti più giovani.
In terzo luogo, si potrebbe notare una diversa ispirazione, o attitudine, a seconda della fase: se sino al 1848 prevaleva un’impronta più attivistica e insofferente, dopo la rivoluzione finì per prevalere una sorta di adagiamento interiore dell’arte romantica ed una sua accettazione dell’esistente, talora risoltasi in manierismo.
Infine, e non deve apparire sorprendere in un movimento che esaltava l’individuo e l’individualismo, ebbe tratti spesso assai diversi da artista ad artista.
Il sublime
In Germania la volontà politica di ritrovare le origini della civiltà tedesca incoraggiò il revival del Medioevo e l'affermazione del romanticismo, intesi in un'ottica nazionalista. Gli ambienti filosofici dettero un contributo importante all'elaborazione delle nuove teorie artistiche.
A Jena i fratelli Schlegel teorizzarono una nuova concezione dell'arte, intesa come dono divino.
Il filosofo Schelling nel saggio Le arti figurative e la natura, del 1807, teorizzò un nuovo rapporto tra arte e natura, secondo il quale la produzione artistica avrebbe il ruolo essenziale e vitale di permettere il legame attivo fra anima e cosmo esterno.
All'artista si offrivano dunque nuovi universi di sperimentazione, poiché si riteneva che il paesaggio veduto nascondesse dimensioni intime e infinite e la pittura, come la musica e le parole poetiche, potesse avere la facoltà di indagare questa realtà ulteriore, di cavare l'invisibile dal visibile.
Nei paesaggi di Caspar David Friedrich le teorizzazioni della scuola di lena trovarono la maggiore compiutezza: negli orizzonti infiniti su cui minuscole presenze umane misurano la loro contemplazione sembra raggiunto un punto di armonia dell'assoluto, quello che Kant nella Critica del giudizio definisce sentimento del sublime. Quando le forze della natura tendono a imporsi in fenomeni sovrastanti, suscitando nel contempo una sorta di esaltazione estetica, allora prevale il senso del sublime che caratterizza, a esempio, le tempeste di mare di Turner e i ghiacciai o le vedute di alta montagna dipinte da Friedrich.
Friedrich
Sulla base dei presupposti filosofici emersi con il romanticismo, il paesaggio, come la descrizione dell'ambiente naturale, diventa il soggetto preferito da molti pittori.
Uno dei principali interpreti del paesaggismo romantico è il tedesco Caspar David Friedrich.
Le grandi foreste coperte di neve, il mare del Nord in tempesta costituirono gli spunti poetici per numerosi suoi dipinti, eseguiti con cura rivolta alle gradazioni atmosferiche e all'ampiezza degli orizzonti piuttosto che alla rigorosa costruzione disegnativa propria dei neo classici.
Gli effetti atmosferici e climatici vengono resi con una più libera stesura del colore, accentuando i toni luministici e il controluce.
Ben presto Friedrich entrò in contatto con i poeti romantici: Novalis, Tieck e, più tardi, Goethe, autore della Teoria dei colori, pubblicato fra il 1808 e il 1810, dove sostiene il valore psicologico del colore e la sua capacità di modificare lo stato d'animo dell'osservatore.
Il temperamento di Friedrich si rivelò completamente nel 1808, nella Croce sulla montagna, dipinto che suscitò polemiche per l'audacia antiaccademica con cui l'espressione dei contenuti simbolici e religiosi viene affidata al paesaggio.
Dal 1810 si dedicò all'insegnamento e, pur continuando a condurre vita appartata, chiuso in un progressivo isolamento, ottenne i primi successi.
I suoi paesaggi appaiono pervasi da un senso panico della natura e dal sentimento di solitudine eroica dell'uomo romantico di fronte alle vertiginose vastità dello scenario naturale (sentimenti forse alimentati dalle vicende biografiche dopo la perdita di alcuni familiari, della madre e di un fratello, morto da bambino in un incidente accaduto dinanzi ai suoi occhi mentre pattinavano assieme su un lago ghiacciato).
In opere come Naufragio, del 1822, o La grande riserva, del 1832, il valore simbolico del quadro si fa ancora più evidente nella scelta del soggetto trattato con una semplificazione delle forme che viene spinta fino a una radicale rarefazione del motivo naturalistico.
La scelta di ritrarre le figure di spalle, frequente nei suoi dipinti, accentua il senso di religioso raccoglimento di fronte alla natura, intesa come luogo di manifestazione del Divino.
Il romanticismo occupò praticamente lo scenario dell’arte europea per tutta la prima parte dell’Ottocento. Tuttavia non riuscì ad essere riassuntivo dell’intero panorama. Come abbiamo già visto si trattò di un movimento artisticamente assai composito e articolato, che diede origine o spazio a tendenze certo minoritarie ma significative della non esaustività romantica.
In alcuni casi, queste tendenze potevano dirsi estremizzazioni della fede artistica romantica, in altri casi esse prepararono la via al superamento del romanticismo verso il naturalismo e l’impressionismo.
Fra queste tendenze, correnti o piccoli gruppi, può essere ricordata quella dei nazareni, un’aggregazione di artisti riunitisi attorno a Overbeck (1789-1869) e Pforr a Vienna e poi stabilitisi a Roma.
In essi l’identità di arte e vita proclamata dai romantici doveva tendere a recuperare una certa ascetica ispirazione.
Più importante fu la confraternita dei preraffaelliti, nata in Inghilterra attorno a Dante Gabriel Rossetti (1828-1882), tesa a ribadire i valori della tecnica nell’arte e del mestiere accurato e severo del pittore.
Traspariva, da queste tendenze, una certa protesta (dalle colorazioni anche religiose) contro la modernità o meglio contro l’industrialismo.
Nei preraffaelliti, chiari sin dalla denominazione del loro gruppo, erano, ad esempio, significativi il ritorno all’ideale cavalleresco ed un esplicito revival cattolico.
Altro gruppo importante fu quello francese dei paesaggisti di Barbizon.
I Nazareni
In un generale ritorno romantico al passato della nazione, alle sue radici e origini, il recupero storiografico dell'età di mezzo compresa tra Medioevo e Rinascimento generò un rinnovato interesse per l'arte di quel periodo.
Sulla scorta degli studi e delle idee di uno storico amico di Goethe, Herder, questo ritorno al passato assunse in Germania una sfumatura fortemente nazionale.
In questo clima a Vienna, nel 1809, un giovane protestante tedesco convertitosi al cattolicesimo, Friedrich Overbeck, dette vita alla confraternita di San Luca, costituita da un gruppo di giovani artisti che, assumendo come patrono il santo evangelista Luca, anch'egli pittore, promuoveva l'esigenza di rinnovamento dell'arte in chiave antiaccademica rivalutando la pittura, soprattutto religiosa, dei primitivi italiani.
In un sodalizio di fraternità monacale e di comunismo mistico, il gruppo di giovani pittori di nazionalità tedesca scelse di aderire entusiasticamente alle teorie propugnate da Wilhelm Heinrich Wackenroder in un libro che ebbe larga eco nella formazione del gusto artistico e letterario della nuova cultura romantica: Gli sfoghi del cuore di un monaco amante dell'arte (1796).
Loro obiettivo era infatti celebrare, sullo sfondo di un Medioevo idilliaco e del tutto improbabile, il mito dell'artista umile e pio che annulla la sua personalità nelle imprese collettive cercando nelle proprie opere una comunione perduta con il Verbo e con la Fede.
Fu proprio il desiderio di mettere in pratica nello stile di vita e di lavoro questa immagine antistorica dell'artista primitivo che spinse, nel 1810, Overbeck e Franz Pforr a trasferirsi da Vienna a Roma; l'abitudine di portare i capelli molto lunghi in segno di disprezzo verso le convenzioni (e similmente a come li portava Raffaello) fece guadagnare loro il nome di "nazareni", in accordo al taglio dei capelli derivato da Gesù di Nazareth, ma anche agli ideali religiosi professati con passione.
I nazareni si trasferirono a Roma a causa dell'ostilità degli ambienti accademici viennesi, ma anche per ricongiungersi idealmente all'ambiente che più evocava il passato rinascimentale raffaellesco che avevano a modello.
Ancora oggi a Roma resta traccia del loro passaggio nel nome di una via, chiamata "via degli Artisti". Grazie alle simpatie del direttore dell'Accademia di Francia presero dimora nel convento abbandonato di Sant'Isidoro, vicino al Pincio.
Ben presto altri pittori, cattolici o convertiti al cattolicesimo che soggiornavano a Roma, si unirono a Overbeck e Pforr, nel comune intento di ricondurre la pittura alle forme insieme grandiose e sobrie del Quattrocento italiano.
Un'ideale galleria di artisti del passato che comprendeva Perugino e Pinturicchio, Angelico e Signorelli, il Francia e Garofalo, divenne così il punto di riferimento costante al quale personalità come Peter Cornelius, Philipp Veit, Julus Schnorr von Carosfeld, e altri ancora, guardarono per l'ispirazione e la realizzazione delle loro opere.
Tanto che i loro lavori appaiono come vere e proprie esercitazioni di stile, sostenute da una minuziosa perizia tecnica: calchi ottenuti talvolta scomponendo e ricomponendo all'infinito i capolavori dei maestri del passato.
I cicli nazareni a Roma
Eseguite tra il 1816 e il 1817, le decorazioni di casa Bartholdy, dimora del console prussiano sistematosi nel palazzetto Zuccari a Trinità dei Monti, furono la prima commissione ricevuta a Roma dai nazareni.
Il console prussiano aveva deciso di far decorare alcuni ambienti della dimora ad affresco per rinnovare i fasti di una tecnica così onorata dagli artisti italiani del passato e i giovani artisti tedeschi colsero con entusiasmo questa occasione, che permetteva loro di recuperare abitudini e tradizioni tecniche delle epoche passate. Overbeck scelse il soggetto della decorazione rifacendosi alla vita di Giuseppe in Egitto.
Gli affreschi vennero staccati alla fine del XIX secolo per essere trasportati a Berlino. Tra il 1818 e il 1830 i nazareni lavorarono agli affreschi della casa-giardino del marchese Carlo Massimo presso il Laterano, il Casino Massimo, che costituiscono la loro opera più significativa.
L'idea iniziale era scaturita dal proposito di far decorare le tre stanze di questa villa con un programma iconografico che narrasse l'epopea della poesia italiana attraverso le figure di Dante, Tasso e Ariosto.
La commissione fu affidata ai nazareni che avevano acquisito fama di decoratori ad affresco neorinascimentali.
A Cornelius venne riservata la sala più impegnativa, quella dedicata a Dante, ma il pittore non condusse a termine la decorazione degli otto scomparti delle pareti che venne ultimata dai più giovani
Joseph Anton Koch (che eseguì sulle pareti l'Inferno e il Purgatorio) e Philipp Veit (che dipinse il Paradiso sul soffitto), mentre ghirlande e festoni a cornice tra le varie scene vennero dipinte da Franz Horny.
A Overbeck toccò la stanza del Tasso, immortalato attraverso l'illustrazione degli episodi più celebri della Gerusalemme liberata, che l'artista condusse a termine con molte interruzioni lungo l'arco di un decennio e senza completarli.
La stanza più ampia, dedicata all'Ariosto e all'Orlando furioso, venne infine approntata dal più giovane dei nazareni, Julius Schnorr von Carolsfeld.
La commedia umana nella pittura di Gericault
Esercitandosi alla copia dei grandi maestri del passato durante le assidue frequentazioni del Louvre, tra il 1808 e il 1812, Gericault studia pittura, prima nello studio di Vernet, poi in quello di P. N. Guerin, allievo di Jacques Louis David.
Fin da questi primissimi anni di attività si rivela la passione per i cavalli, di cui esegue numerosi studi e che in seguito saranno tra i suoi soggetti prediletti.
Negli anni 1816-17, in Italia, studia soprattutto Michelangelo e Caravaggio, interpretando in forme del tutto nuove e di grande libertà pittorica il mondo classico e quello popolare di Roma.
Emblematici al riguardo i molti studi dedicati ad una manifestazione del carnevale romano, la corsa dei cavalli bradi da piazza del Popolo a piazza Venezia, preparatori per un grande dipinto che non viene poi realizzato (Corsa dei cavalli berberi).
A Roma, conosce il suo connazionale Jean-Auguste-Dominique Ingres, mentre, ritornato in Francia, nel 1817, incontra Eugène Delacroix e incomincia poco dopo a documentarsi sull’avvenimento di cronaca dal quale realizzarà studi per la sua opera più celebre, la Zattera della Medusa (1818-19), ispirata ad un naufragio realmente avvenuto nel 1816.
Da questo momento gli avvenimenti della realtà contemporanea diventano il suo soggetto privilegiato. Tra il 1820 e il 1821 Géricault è in Inghilterra, dove ha modo di conoscere l'opera di John Constable e Joseph Mallord William Turner e ritrae soprattutto soggetti sportivi (Il Derby di Epsom).
Costante nelle sue opere è il tema dell'energia, simboleggiata in un primo tempo soprattutto dal cavallo. In seguito essa si esprime anche come affermazione dell'individuo in un contesto di oppressione sociale, evidente nei ritratti di alienati mentali, realizzati dopo il ritorno a Parigi (Alienata con monomania del gioco). Un identico precoce realismo, d'impegno sociale caratterizza i vari disegni e dipinti di figure di negri, testimonianza della sua attenzione al tema della schiavitù (Ritratto di negro).
Allievo come Géricault del pittore neo classico Guérin, agli inizi Eugène Delacroix studiò con grande interesse l'opera di Antoine-Jean Gros e dello stesso Géricault, pittore di cui diventerà presto amico.
Altrettanto importante per la sua formazione fu lo studio di Michelangelo e di Pieter Paul Rubens così come di grandi maestri del passato italiani, Veronese e Tiziano, che preferì studiare al Louvre piuttosto che seguire la moda diffusa di concorrere al Prix de Rome.
In questi anni formativi Delacroix si impegnò anche nell'esercizio delle tecniche dell'acquerello e dell'incisione. Nel 1822 il giovane artista esordì al Salon esponendo La barca di Dante del Louvre, quadro che suscitò scalpore per la resa drammatica e agitata della discesa di Dante e Virgilio agli inferi.
Vi si riconosce uno stile già assestato sulla linea cromatica a contrasti di luci e una composizione studiata sul vero di drammatica evidenza, strada già avviata da Géricault.
Vi si individua anche la lezione assorbita da Gros, dei cui quadri concitati Delacroix diceva: "attirano l'attenzione dell'occhio e dello spirito su ogni lato, nello stesso tempo". Due anni più tardi dipinse Il massacro di Scio, la sua vera e prima opera romantica, in cui affronta un episodio di storia contemporanea, relativo alla guerra di liberazione dei greci contro i turchi.
Più tardi tornerà a ispirarsi alla storia contemporanea, con le sue contraddizioni e le sue speranze, ne La Libertà che guida il popolo, grande tela dedicata alle tre giornate rivoluzionarie del 1830.
Ingres e Delacroix: il conflitto tra classico e romantico
Il Salon del 1824 rappresentò, e non solo per il panorama francese ma più in generale europeo, l’occasione per vedere compiutamente a confronto le diverse direzioni che, in quegli anni intensissimi, l’arte stava prendendo.
Segnata dalla prematura morte di Gericault, fu un’esposizione ricchissima, nella quale l’arte inglese di paesaggio suscitò notevole impressione e che spinse ad esempio lo stesso Delacroix a rivedere all’ultimo momento la sua opera Il Massacro di Scio alla luce delle novità stilistiche introdotte da Constable.
Ma l’opposizione più evidente apparì certamente quella scaturita dal confronto Delacroix-Ingres, in una riattualizzazione del grande antagonismo antico-moderno, sotto le etichette di "classico" e "romantico". Delacroix, che, assieme a Victor Hugo per la letteratura e Hector Berlioz per la musica, faceva parte della grande triade dei romantici francesi, nel dipinto Il Massacro di Scio si era indirizzato verso un tema desunto dall’attualità, i cui orrori da cronaca rivaleggiavano con quelli che avevano ispirato un altro grande capolavoro storico: Il Naufragio della Medusa di Gericault.
In quest’opera Delacroix fornisce il resoconto dell’artista che ricostruisce con l’emozione di un reporter un esempio della degradazione umana consumatasi durante la guerra greca per l’Indipendenza, riuscendo a prodursi in un’evocazione immaginaria, e sorretta con lirica fantasia, dell’ambiente esotico e affascinante che fu teatro di quegli avvenimenti cruenti.
Da contraltare all’opera e alla linea perseguita da Delacroix, fece un’altra tela che suscitò altrettanto accese polemiche tra entusiasti ammiratori e furenti detrattori: Il voto di Luigi XIII presentato da Ingres.
Al suo apparire quest’opera divenne il simbolo stesso di quanti si richiamavano ai valori della tradizione, sia dell’arte che dell’ancien règime, e che si proclamavano soprattutto fermi oppositori dei giovani Gericault e Delacroix tacciati di voler propagandare con la loro pittura un culto per la bruttezza, la violenza, il disordine.
Anche il dipinto di Ingres prende le mosse da un’evocazione storica (Luigi XIII che, nel 1638, pone la Francia sotto la protezione della Vergine Assunta) che però si stempera nella trattazione stilistico-formale del soggetto.
Partendo dal convincimento che alcune verità eterne dell’arte potessero al massimo essere con rispetto riaffermate, il suo recupero delle armonie ideali e delle ampie superfici di Raffaello (la Madonna e i putti sottostanti si richiamano ad una vera e propria parafrasi del capolavoro raffaellesco della Madonna Sistina), sono intrise di un nuovo gusto (l’apparente fissità degli sguardi insieme rigidi e sensuali) che rivela le premesse naturalistiche di questa eclettica ricostruzione del passato.
L'oriente di Delacroix
Un viaggio in Inghilterra, intrapreso nel 1825 con Bonington e Fielding, due amici anch'essi pittori, impresse una svolta significativa al percorso stilistico di Delacroix.
L'accostamento a Shakespeare e alla letteratura romantica inglese, da Byron a Walter Scott, così come alle opere di Goethe - tra l'altro illustrò il Faust, guadagnandosi l'apprezzamento dell'autore - caratterizzò questo suo viaggio e determinò un'ulteriore maturazione della sua sensibilità romantica, affinata anche dalla frequentazione dei circoli letterari.
Tornato in Francia, strinse relazione con Victor Rugo e con gli ambienti letterari e musicali parigini; furono le suggestioni letterarie ad alimentare la sua nuova passione per le scene orientaleggianti.
Delacroix cominciò a dipingere una serie di odalische, la cui intensa sensualità è accentuata da raffinati giochi cromatici su gradazioni schiarite.
Ai temi ispirati al mondo orientale e alla storia millenaria di quei popoli si rifà un'altra opera importante della stagione giovanile dell'artista, La morte di Sardanapalo del 1827, ispirata all'omonimo dramma di Byron.
La fine del re, che decide di morire con tutte le sue concubine, i suoi cavalli, i suoi cani favoriti, offre all'artista francese lo spunto per adottare una pittura fremente e accesa con tocchi saturi di tinte alla Rubens.
Nel 1832, l'ammirazione per il mondo esotico indusse Delacroix a compiere un viaggio nell'Africa mediterranea che risultò cruciale per l'evoluzione della sua ricerca pittorica.
Insieme alla luce e ai colori dei paesaggi africani, il pittore studiò le popolazioni locali, i costumi, i comportamenti.
Testimoniano questa suggestione del mondo orientale i numerosi schizzi raccolti nei taccuini di viaggio e i dipinti eseguiti dopo il rientro a Parigi: Incontro di cavalieri maori (1833, Baltimora,The Walters Gallery); Donne d'Algeri (1834, Parigi, Louvre); Festa di nozze ebraica in Marocco (1839, Parigi, Louvre).
In questi quadri, pieni di colori caldi e sontuosi, si conservano ricordi della pittura veneziana del Cinquecento uniti alle luci dorate che Delacroix aveva sperimentato in Africa e che provava a riprodurre e a esaltare, sperimentando per la prima volta la scomposizione dei colori.
Nelle Donne d'Algeri si ritrova il fascino degli ambienti misteriosi, che vivono oltre le porte socchiuse degli edifici orientali, un mondo caratterizzato e così lontano dalle tradizioni occidentali.
In primo piano si dispiega tutta la composizione, che si perde nell'oscurità dell'harem e comunica il senso dell'intimità nascosta, di un luogo proibito all'occhio estraneo e straniero.
Anche la cornice rossa della porta socchiusa, ben evidente nel suo disegno geometrico, allude a ulteriori ripari segreti. Al Salon del 1834 il dipinto mosse l'attrazione per l'Oriente anche del sovrano, Luigi Filippo, che l'acquistò.
La maturità di Delacroix
Tornato in Francia, Delacroix inaugurò un periodo di intensa attività, dedito allo studio dei colori e a prestigiosi incarichi ufficiali, favoriti probabilmente dall'amicizia che lo legava ad Adolphe Thiers che era un profondo ammiratore del suo lavoro fin dagli esordi al Salon del 1824 e che dal 1832 ricopriva la carica di ministro dell'Interno.
Presto a Delacroix giunsero le commissioni per alcuni impegnativi cicli decorativi: le Allegorie della sala del Re e dei soffitti della biblioteca di palazzo Borbone; le decorazioni della biblioteca del palazzo del Lussemburgo; il soffitto centrale della galleria d'Apollo al Louvre e gli affreschi della cappella degli Angeli, nella chiesa di Saint-Sulpice.
La tecnica messa a punto da Delacroix per le pareti era a base di colori a olio mescolati con cera, una mistura che gli garantiva una brillantezza tonale impossibile per l'affresco, che era a base d'acqua e subiva un abbassamento di tono asciugandosi.
Da anni l'artista si dedicava alla sperimentazione cromatica, come dichiara il Journal, il diario che scrisse tra il 1822 e la fine del 1824 e dal 1847 alla morte. Su questo argomento aveva anche pubblicato uno studio specifico nel 1839, intitolato Cerchio cromatico dei colori.
Gli aspetti che vi analizza sembrano testimoniare una precocissima conoscenza delle teorie del chimico Eugène Chevreul o addirittura una ricerca parallela con esiti analoghi, preludio alle novità della pittura impressionista.
Egli infatti procede nell'analisi dei colori complementari, nella considerazione delle ombre come zone di colore non meno delle parti in luce.
Giunge così a conclusioni sorprendentemente moderne, consapevole che la risultanza luminosa e l'effetto di freschezza cromatica di un quadro aumenta molto quando si rinuncia alle mezze tinte e al contorno dei volumi per tocchi non fusi, ma accostati secondo la loro complementarità che sfrutta la legge di simpatia e di naturale sintesi ottica.
Secondo le nuove ricerche cromatiche Delacroix conduce le opere successive al 1840: ancora soggetti storici e mitologici, una serie di opere ispirata al mondo naturale raffiguranti mazzi di fiori, marine e paesaggi, studi di animali, prevalentemente selvatici.
Nel gruppo delle cacce al leone il tema acquista la massima tensione poiché si incentra sull'animale ritenuto più feroce in assoluto.
Lo spirito tormentato dell'artista nutre la sua ispirazione con gli eccessi cromatici, ottenuti con pennellate che sembrano rialzare la tela, in un'esecuzione giudicata da qualcuno barbara, ma che esaltò Baudelaire che la definì "caos di colori che mai più intensi hanno penetrato l'anima attraverso gli occhi".
La passionalità tipica del romanticismo si attenuava in molti artisti nel paesaggismo. D’altronde, che la natura avesse un ruolo di tutto rilievo nella pittura romantica non stupisce, visto le premesse filosofiche del movimento.
Nel paesaggio, i romantici ritraevano la forza e la varietà della natura.
Attraverso il paesaggismo, peraltro, il romanticismo avviava il suo stesso superamento ed il passaggio al naturalismo e al realismo.
Fra i paesaggisti francesi Camille Corot (1796-1875) fu forse il massimo rappresentante, mentre fra quelli inglesi si distinsero John Constable (1776-1837) e William Turner (1775-1851).
Interessante fu il gruppo francese detto di Barbizon, dal nome di un villaggio ai margini della foresta di Fontainebleau, dove alcuni pittori, fra cui Théodore Rousseau (1812-67), andarono radunandosi.
Essi furono impressionati dalla mostra dei paesaggisti inglesi tenuta a Parigi nel 1827 e da questi, in particolare da Constable, presero la tecnica della "macchia" di colore, blot: con essa, e non con la precisione del contorno, essi davano l’impressione della figura attraverso i toni dei colori e dei rapporti cromatici.
Anche per questa via, interrogandosi non sul fondamento scientifico della visione ma su quello psicologico della percezione, non solo ci si allontanava dal neoclassicismo, ma, soprattutto, ci si avvicinava all’impressionismo.
Turner, Constable e la scuola di Norwich
I due maggiori interpreti della pittura inglese di paesaggio furono J. Constable (1776-1837) e J. M. W.Turner (1775-1851).
Anche se comune fu la base di partenza - l’elezione, cioè, del paesaggio a tema principale e pressoché unico nelle loro opere - profonde furono però le differenze tra questi due artisti: più interessato al rigore oggettivo della tradizione paesaggistica olandese, Constable; affascinato dalle composizioni classiche di Lorrain e al vedutismo di Canaletto, Turner.
In Constable è la natura nel suo affascinate e variegato insieme ad irretire lo spettatore, mentre l’osservazione e la descrizione rivivono nella tela mediante una suggestiva tecnica di stesura del colore, impiegato per tradurre sul piano cromatico la registrazione sensibile dei dati che lo hanno più colpito: ad esempio la luce della brughiera in una determinata stagione, come essa si staglia sugli alberi, sul terreno incolto e zuppo d’acqua dopo una pioggia.
Diversamente in Turner è la grandiosità imprescrutabile della natura nel suo insieme ad interessarlo.
La rappresentazione sulla tela perde così progressivamente riferimento consistente e riconoscibile con gli elementi reali.
Il rapporto dell’uomo con la natura vede perciò come annullata la presenza umana di fronte al maestoso vortice di eventi naturali e forze cosmiche che producono un dinamismo violento e irrefrenabile.
La pittura di paesaggio inglese e la tradizione olandese
Dall’idea dell’arte come imitazione fedele della natura all’idea dell’arte come risultato di una "scelta" che l’artista opera sulla realtà, nel complesso tutta la storia della pittura di paesaggio si informa a queste due diverse attitudini.
La pittura di paesaggio fiorita nel XVII secolo in Olanda costituì un modello essenziale di confronto e di ispirazione per gran parte dei paesisti inglesi di primo Ottocento.
Se un allievo della scuola di Norwich come Bonington era stato visto da Delacroix copiare diligentemente i capolavori dei pittori fiamminghi conservati al Louvre, non meno casuale appare l’interessamento che altri artisti, su tutti Constable, mostrarono verso le larghe vedute luminose di Ruysdael, di Hobbema.
Anche la moda di raccogliere in "diari pittorici di viaggio" le suggestioni evocate dall’ambiente e dalla natura durante i viaggi in continente, diffusasi negli anni Venti tra i pittori inglesi, deriva dagli album di incisioni olandesi del Seicento, vero prototipo dello studio naturalistico.
Mentre a poco a poco l’impressione della realtà prenderà il sopravvento sulla ricostruzione minuziosa ed oggettiva in una linea ideale che congiungerà i paesaggisti inglesi a quelli dell’impressionismo, passando attraverso la pittura "vera" di Courbet.
La scuola di Barbizon
Fra i numerosi gruppi di pittori che trovarono nel paesaggio un paradiso rurale, emerse la Scuola di Barbizon, il cui nome divenne presto sinonimo dell’idillio della natura, dell’uomo e degli animali, non contaminati dalla vita e dalla città moderna.
Situato abbastanza vicino alla capitale, Barbizon divenne, a partire dal 1830, il luogo simbolico di quei pittori che, lontano da Parigi volevano immergersi nello spettacolo della natura.
La contemplazione del paesaggio naturale veniva introdotto nei dipinti mediante una tecnica di osservazione accuratissima che prevedeva una rapida stesura del soggetto da rappresentare tramite disegni, bozzetti ad olio, acquerelli.
La Scuola di Barbizon non era ristretta alla regione geografica del luogo, e ben presto Corot e T. Rousseau cominciarono a viaggiare molto nelle provincie della Francia: dalle montagne dell’Auvergne e del Jura, alle paludi della Vandea alle campagne della Normandia.
Stabilitosi a Barbizon nel 1835 T. Rousseau può a ragione essere considerato, assieme allo stesso Corot, a François Daubigny, Costant Troyon, Jules Dupré, Jean-François Millet, l’esponente più importante di questo indirizzo artistico.
La natura in Rousseau
Nel 1842 dopo una lunga serie di scoraggianti rifiuti da parte della giuria del Salon di Parigi, che giudicava i suoi dipinti brutti a causa del loro stile (pennellate a macchia e composizioni poco idealizzate), Rousseau parte per un viaggio nella provincia di Berry di cui ci resta testimonianza nel celebre Sotto le betulle.
I colori freddi e rossastri dell’autunno, la luce scintillante di tardo pomeriggio impressa sulla corteccia degli alberi, la figura appena accennata di un uomo (un curato) che si scalda agli ultimi bagliori del sole fanno di questo dipinto un’opera indubbiamente emblematica, non solo per comprendere a fondo la direzione e gli intenti percorsi da Rousseau e più in generale dagli altri pittori di Barbizon, ma anche per illustrare meglio i futuri sviluppi che da lì a non molto conoscerà la pittura di paesaggio degli impressionisti.
Così come accade per un’altra tra le opere più significative del pittore, Gruppo di querce: esposta per la prima volta all'Esposizione Universale di Parigi del 1855.
In un'atmosfera calma, uomini e animali popolano il paesaggio dominato dall'imponente gruppo di querce.
Il pittore osserva gli alberi dal lato in ombra e riesce a rendere con abilità l'effetto di controluce determinato dalla posizione in cui si trova.
Tutto il paesaggio è immerso nella luce in contrasto con l'ombra sotto gli alberi in primo piano. Le querce si stagliano su un cielo estivo e solare, in uno spazio dilatato fino alla linea dell'orizzonte, che distingue nitidamente terra e cielo.