La fine della cattività avignonese non ha sanato le lacerazioni della Chiesa cattolica. Alla morte di Gregorio XI, il papa che ha lasciato il Rodano per il Tevere, ai cardinali francesi, che vogliono imporre un pontefice transalpino disposto a tornare ad Avignone, i porporati italiani contrappongono un connazionale fedele a Roma.
Il dissidio è insanabile: si fronteggiano due papi, due curie e due collegi cardinalizi, finché lo scisma d’Occidente, complicato dalle rivalità fra gli stati europei, si fa addirittura tricefalo. Dopo quarant’anni d’insulti e minacce, inutili ambascerie, reciproche accuse d’eresia e scomuniche incrociate, con tre pontefici a disputarsi le chiavi di Pietro, s’avverte ovunque la necessità d’una ricomposizione.
Nel 1417 il concilio di Costanza, deposti gli antipapi, elegge Martino V: lo strumento per riconsegnare il gregge cristiano ad un solo pastore è il conciliarismo, dottrina che afferma la subordinazione del pontefice al sinodo universale. La concordia però è di breve durata: l’ansia papale di riguadagnare il primato agita il concilio di Basilea. Inoltre, se lo scisma è risolto, le ragioni del disagio della Chiesa e della cristianità non lo sono affatto: tra queste, il traffico delle indulgenze, la simonia e il nepotismo.
Alla morte di Gregorio XI, nel 1378, il conclave romano elegge Urbano VI, il napoletano Bartolomeo Prignano (1378-1389), cui i vescovi francesi contrappongono Clemente VII, al secolo Roberto di Ginevra (1378-1394), eletto a Fondi. Messo in fuga dalle truppe di Urbano, l’antipapa si rifugia ad Avignone, dando inizio allo scisma d’Occidente.
Dopo Urbano, a Roma regna Bonifacio IX Tomacelli (1389-1404), che lega alla propria causa i signorotti usurpatori di feudi ecclesiastici nominandoli vicari pontifici: imposta a Roma una costituzione senatoria papale, fortifica il Vaticano e il Campidoglio, trasformando Castel Sant’Angelo in una roccaforte, indispensabile per sventare, nel 1400, una rivolta dei Colonna.
Ad Avignone, a Clemente VII succede Benedetto XIII (1394-1417), l’aragonese Pedro de Luna, riconosciuto dal re di Francia. Alla morte di Bonifacio, il breve pontificato di Innocenzo VII (1404-6) è seguito dall’elezione di Gregorio XII (1406-15), il veneziano Angelo Correr, all’inizio sinceramente disposto ad abdicare pur di sanare lo scisma, ma impeditone poi dai re di Napoli, Ungheria e Boemia nonché dalla stessa Venezia.
Nel 1408, tuttavia, Gregorio entra in conflitto col sacro collegio, proibendo ai propri cardinali qualsiasi trattativa con la curia avignonese: tutti i porporati, meno tre, abbandonano il papa romano e si riuniscono a Pisa, da poco divenuta fiorentina, dove costituitisi in concilio generale s’appellano contro Gregorio. Benedetto XIII però, perduto il sostegno della corona francese, che lo spinge ad abdicare, è appoggiato solo da Spagna e Scozia.
Il 25 marzo del 1409 si apre a Pisa un concilio delle due "obbedienze", autoconvocatosi a cagione della congiuntura della Chiesa, nel quale si comincia a delineare il principio del conciliarismo, ossia la subordinazione del papa al sinodo universale. Il concilio rifiuta l’obbedienza sia al pontefice di Roma che a quello d’Avignone, eleggendo in loro vece Alessandro V, Pietro Philargi da Candia (1409-10).
Dato che il nuovo pontefice è riconosciuto solo da Francia, Inghilterra, Polonia, parte dell’Italia e dell’episcopato tedesco, si entra nella fase del cosiddetto "scisma tricefalo", quando i papi e le rispettive obbedienze sono addirittura tre. Giovanni XXIII (1410-15), successore d’Alessandro, è costretto dall’imperatore Sigismondo a promulgare la bolla di convocazione del concilio di Costanza, fissato per il 1° novembre 1414.
Dato il persistere dell’atteggiamento intransigente dei pontefici, il concilio di Pisa pretende l’abdicazione di tutti e tre: con enorme sforzo diplomatico, Sigismondo riesce a fare in modo che il concilio di Costanza si riunisca e deliberi, il 6 aprile 1415, la dottrina della superiorità del concilio, indispensabile per deporre gli antipapi e scongiurare nuovi scismi. Il 29 maggio Giovanni XXIII è dichiarato decaduto, Gregorio XII abdica spontaneamente e Benedetto XIII, recalcitrante, è deposto quale eretico e scismatico.
L’11 novembre 1417 il concilio procede all’elezione di Martino V (1417-1431), al secolo Oddo Colonna. La riconciliazione si accompagna alla repressione d’ogni spinta autonomista e revisionista: non si sono ancora spenti i bagliori del rogo di Jan Hus, condannato dal concilio e bruciato vivo nel 1415 col discepolo Girolamo da Praga.
A Martino V succede l’agostiniano Gabriele Condulmer, di Venezia, col nome di Eugenio IV (1431-1447): assai più battagliero del predecessore, tenta di consolidare il proprio potere contro l’anarchia dei patrizi romani e s’attira l’ostilità dei Colonna. La riforma conciliare, affermando il principio per cui la Chiesa costituita può giudicare e deporre il pontefice, se questi cessa di fare e interpretare la volontà divina, ne sminuisce l’autorità temporale e spirituale.
Il nuovo papa mal sopporta la subordinazione e si contrappone al collegio cardinalizio, talché il concilio di Basilea, apertosi il 23 luglio 1431, lo dichiara deposto: la rottura non è però definitiva. Frattanto nel 1438 si apre a Ferrara il concilio papale voluto dal pontefice Eugenio IV, designato tradizionalmente quale XVII concilio ecumenico, ma in realtà contrapposto a quello di Basilea, che proprio in quegli anni ha minacciato di riaprire lo scisma d'occidente.
Il concilio ferrarese è finalizzato a comporre lo scisma d’Oriente, che dal 1054, per iniziativa del patriarca Michele Cerulario, separa la chiesa greca da quella di Roma; i motivi della tentata riconciliazione, oltre che religiosi, sono geopolitici, legati alla minacciosa avanzata ottomana.
Alla notizia che nella città estense serpeggia la peste, Cosimo de’ Medici intuisce l’opportunità di dare a Firenze un ruolo di enorme prestigio e scrive ai propri ambasciatori a Ferrara: "Se si trattasse appresso Sua Santità o altro di eleggere terzo luogo per riduzione del concilio, aiuterete la materia che si drizzino a Firenze, allegando la sicurtà e la libertà de la città nostra, l’abondanza, la grandezza e la bellezza e comodità degli edifici".
Così è; l’arrivo a Firenze dei padri conciliari e degli altri partecipanti è un avvenimento. Come ricorda un cronista del tempo, Lapo di Castiglionchio, dietro al patriarca di Costantinopoli, Giuseppe, seguivano monaci e sacerdoti "gli uni con la barba che scendeva loro sul petto, e coi capelli folti, scomposti e arruffati, gli altri con la barba corta, col capo mezzo raso e con le sopracciglia dipinte: i più avevano un aspetto così singolare, che anche l’uomo più tristo, al vederli, non poteva trattenere le risa".
Col decretale Lætentur coeli, del 6 luglio 1439, il nuovo concilio, protrattosi fino al 1442, approva la riunificazione della chiesa greca con quella romana, già all'epoca del concilio di Basilea oggetto di trattative; un'unione formale che non avrà seguito, a causa della conquista da parte ottomana di Costantinopoli (29 maggio 1453), ultimo baluardo dell’impero bizantino.
Al di là del valore teologico e politico del concilio di Firenze, la presenza di una nutrita delegazione d’alti prelati greci nella città stimola, com'è noto, una feconda apertura culturale verso la civiltà ellenica.
La scoperta del mondo greco influenza sensibilmente lo sviluppo dell'Umanesimo, grazie soprattutto alla presenza del filosofo Giorgio Gemisto Pletone (1355 ca.-1442), che ispira a Cosimo il Vecchio la fondazione dell’Accademia platonica, e all'opera divulgativa condotta dal vescovo di Nicea, Giovanni Bessarione (1395-1472), attivo promotore della conoscenza della letteratura greca in Italia, dove si rifugerà dopo la caduta di Costantinopoli.
Frattanto, il 24 gennaio del 1438, perdurando i dissidi, il concilio di Basilea ha sospeso Eugenio IV, ribadendo, nel maggio 1439, la propria superiorità e dichiarando il pontefice romano decaduto il 25 giugno del 1439. Si registra fra l’altro l’elezione d’un antipapa, Felice V (1439-1449), nella persona del duca di Savoia Amedeo VIII, riconosciuto dalla Germania sudorientale, dalla Svizzera e dalla Danimarca, mentre Eugenio IV è riconosciuto dall’imperatore Federico III (1440-1493).
Solo con l’elezione di Tommaso Parentucelli, col nome di Niccolò V (1447-1455), l’ennesimo dissidio si placa, grazie alla sua decisa azione di riconciliazione e di pacificazione. Fra i risultati dei concili di Costanza e Basilea non v’è certo quello di porre i presupposti d’una rinascita morale e teologica della Chiesa, da più parti invocata, e in quanto occasioni mancate di rinnovamento essi rappresentano l’anticamera della Riforma.