L'idea di progresso non entra a costituire il quadro mentale e la visione del mondo degli antichi. Questo non significa che non vi siano nella cultura greco-romana casi di interpretazione della storia dell'uomo in termini di progresso da uno stato originario di ferina barbarie a una condizione di sviluppo delle arti e della vita sociale, come nella versione protagorea del mito di Prometeo o nel libro quinto del De rerum natura di Lucrezio. Ma la mentalità antica è piuttosto dominata dall'idea di decadenza e di decrepitezza del mondo; ne Le opere e i giorni di Esiodo, il mito delle razze create da Zeus per punire il furto del fuoco descrive la caduta dell'uomo dall'età dell'oro a quella dell'argento, del bronzo, degli eroi, del ferro (in cui Esiodo colloca il proprio tempo) sino alla futura sesta età in cui l'uomo non conoscerà che sofferenze e mali. Lo schema delle sei età avrà lunga persistenza: lo troviamo per esempio in Agostino, attraverso la metafora delle sei età dell'uomo (infanzia, fanciullezza, adolescenza, giovinezza, maturità, vecchiaia) e in Isidoro di Siviglia (VII secolo), che individua sei età nella storia del mondo: da Adamo a Noè, da Noè ad Abramo, da Abramo a David, da David alla cattività babilonese, da questa all'incarnazione del Salvatore, sino all' età presente, che durerà sino alla fine del mondo. In generale, la visione cristiana della storia, elaborata da Agostino attraverso il modello delle "due città" e dominante nel Medioevo, delinea la vicenda dell'uomo in una prospettiva escatologica, dal Paradiso terrestre alla caduta, alla salvezza e resurrezione, mentre la storia mondana è sovente letta in termini di decadenza e sempre interpretata alla luce del piano tracciato dalla provvidenza divina. Di fatto, però, il cristianesimo inaugura una visione della storia alla luce di un senso e di una direzione determinati, dunque una "filosofia della storia", il cui esempio più insigne in età moderna è il Discorso sulla storia universale di Bossuet (1681).
La dicotomia fra storia sacra e storia profana, la generale svalutazione della dimensione mondana e materiale rispetto a quella morale e spirituale, la credenza in un ordine immutabile delle cose fissato da Dio, la venerazione per le auctoritates del passato, sono tutti elementi della mentalità medievale sfavorevoli al diffondersi di un'idea di progresso, benché non manchino, anche in questo caso, intuizioni dj segno contrario: come in Bernardo di Chartres (XII secolo), per il quale gli uomini del presente sono come «nani sulle spalle dei giganti, cioè degli antichi, il che permette loro di vedere più lontano.
Nell'Umanesimo vi è bensì l'idea di un progresso, di una netta discontinuità storica rispetto alle "tenebre" del Medioevo, accompagnate da una forte rivalutazione della dimensione mondana dell'uomo, ma inquadrata all'interno di una concezione ciclica che vede negli antichi un modello di perfezione insuperabile al quale ispirarsi: il progresso si configura appunto come "rinascenza", come restituzione, anche filologica, del primato del mondo classico.
La negazione del carattere esemplare della civiltà classica è invece un tratto distintivo della nascente idea moderna di progresso, frutto di un riorientamento complessivo del quadro mentale: all'idea di una decadenza da una primitiva età dell'oro (idea vigorosamente contestata, per esempio, da Bodin), si sostituisce quella del tempo come fattore di accumulo di esperienze e di conoscenze. Ben prima della Querelle des anciens et des modernes (fine Seicento), la vecchia metafora che assimila la storia dell'umanità alla vita dell'individuo serve a Bacone per indicare i limiti della cultura antica, corrispondente alla immatura giovinezza del mondo; la verità è figlia del tempo, non dell'autorità, e cresce con il tempo. Concetti analoghi si ritrovano in Pascal e in Cartesio, per il quale "non c'è ragione di venerare gli antichi a causa della loro antichità, perché al contrario noi moderni possiamo essere considerati più antichi di costoro", in quanto abitanti di un mondo più vecchio e più ricco di esperienze. Questa visione generale, che affida al tempo un ruolo di sviluppo, non di decadenza, ha la sua origine nel progresso scientifico del XVII secolo: qui infatti diviene percepibile il carattere cumulativo del sapere e insieme, superata la visione "magica" del sapere iniziatico, il suo carattere di pubblicità, di patrimonio universalmente costruito e condiviso: «Sulla base di una nuova immagine della scienza come costruzione progressiva - una realtà non mai finita ma sempre perfezionabile - si viene formando anche un nuovo modo di considerare la storia umana. Essa può apparire ora come il risultato dello sforzo di più generazioni, ciascuna delle quali utilizza le fatiche delle generazioni precedenti» (Paolo Rossi).
Altri elementi contribuiscono poi al pieno affermarsi dell'idea di progresso nella cultura illuministica: la laicizzazione dei valori, che esalta le conquiste mondane e tende a respingere sullo sfondo la visione trascendente della storia; la polemica contro la tradizione e le auctoritates; una nuova impostazione della ricerca storica, che mira a ricostruire il percorso della ragione nel tempo; il contatto con i popoli "selvaggi", nei quali si tende a scorgere uno stadio precedente dello sviluppo; infine, la fiducia nella perfettibilità dell'uomo e nella possibilità di un miglioramento progressivo e potenzialmente illimitato delle sue facoltà. Sono temi che, con varie modulazioni, vengono sviluppati da tutti gli illuministi, da Voltaire e dagli enciclopedisti, da Lessing e da Kant, da Turgot e da Condorcet: è quest'ultimo, nell'Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano (1793), a formulare la più compiuta teoria settecentesca del progresso, concepito come sviluppo lineare, irreversibile e indefinito della conoscenza, cui dovrà corrispondere un adeguato miglioramento dei costumi, della vita civile, dell'istruzione, e quindi una riduzione della diseguaglianza fra gli uomini. Anche Rousseau, il quale interpreta il progresso scientifico ed economico come corruzione e perdita della originaria dimensione naturale, assume a fondamento della sua antropologia il concetto di "perfettibilità" (perfectibilité) e assegna alla stipulazione di un nuovo contratto sociale il compito di una rigenerazione morale dell'uomo.
Ma è nell'Ottocento che l'idea di progresso si impone assolutamente, soprattutto a opera del positivismo, sino a divenire elemento costitutivo della mentalità diffusa dell'epoca. L'impulso in questa direzione è dato dal rapido sviluppo della civiltà industriale e delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, nonché dalla fiducia, caratteristica del positivismo, di poter applicare i modelli conoscitivi elaborati dalle scienze della natura alla descrizione e quindi all'orientamento dei fenomeni sociali. Il progresso è ora concepito come necessario e se ne ricercano le leggi invariabili: la filosofia della storia di Auguste Comte (Corso di filosofia positiva, 1830-42) individua "tre stadi" (teologico, metafisica, positivo) che lo sviluppo della conoscenza e della società devono necessariamente attraversare per giungere all'applicazione del metodo scientifico (o "positivo") a tutte le attività umane. L'idea della storia umana come prolungamento dell'evoluzione biologica, presente già in Comte, si rafforza nella seconda metà del secolo sulla scorta della teoria di Darwin: l'evoluzionismo di Herbert Spencer, cogliendo in ogni aspetto della vita naturale e sociale un necessario progresso dal semplice al complesso, dall'omogeneo all'eterogeneo, è l'espressione più organica della "metafisica" positivistica del progresso. Nella stessa epoca, tuttavia, si manifesta anche la crisi di questa idea: le contraddizioni della società capitalistica, i conflitti fra le potenze, la grande guerra e poi l'avvento dei regimi totalitari sono i fattori storici che dissolvono l' ottocentesca fiducia nel progresso, mentre, sul piano filosofico, autori come Friedrich Nietzsche, Max Weber e Oswald Spengler conducono, anche se da diversi punti di vista, una radicale critica dei valori della società industriale e tecnica. La discussione epistemologica e storiografica novecentesca, infine, ha messo in discussione il fondamento stesso di una idea indifferenziata e totalizzante di progresso, concentrando l'attenzione sul rapporto fra discontinuità e permanenza nei diversi settori della vita dell'uomo.