La volontà di rinnovare ogni aspetto della vita umana che animò gli illuministi ebbe ripercussioni anche nel campo delle arti. Se ancora sopravvivevano espressioni artistiche legate allo stile tardobarocco e rococò, andavano tuttavia emergendo nuovi orientamenti stilistici.
Uno di essi era volto al recupero del mondo classico, inteso non soltanto come ripresa di un repertorio di forme e modelli perfetti, bensì soprattutto quale riferimento agli ideali dell’età antica per una rinascita del mondo presente, che doveva ritrovare l’originaria semplicità naturale.
Definito neoclassicismo alla fine del XIX sec., tale indirizzo stilistico era denominato dai protagonisti del tempo come il "risorgimento delle arti", il risorgere cioè a nuova vita della pittura, della scultura e dell’architettura, dopo secoli di produzioni vuote di contenuti morali, di ideali civili e di semplice purezza di forme.
Il riferimento alla Natura quale esempio sommo di bellezza era ritenuto indispensabile per ogni artista, che, nell’accingersi a compiere la sua opera, doveva tenere ad esempio l’equilibrio e la regolarità, che soli appagano la mente e l’occhio.
A cogliere i disequilibri e le irregolarità del mondo naturale, che pure esistono, furono per primi i pittori inglesi della seconda metà del Settecento, la cui sensibilità per tali aspetti li portò a creare composizioni ispirate più dall’immaginazione e dal sentimento che dalla razionalità.
La passione per gli aspetti suggestivi della Natura, definiti "pittoreschi", quelli che suggeriscono la potenza e l’incommensurabilità di ciò che circonda l’uomo e lo rende impotente, diverrà l’elemento fondamentale della poetica artistica del romanticismo che si sviluppò nei primi anni dell’Ottocento.
Tuttavia, le sue radici affondano nel fertile clima culturale del secondo Settecento, che ha consegnato alla storia dell’arte protagonisti assoluti quali William Blake e Heinrich Füssli.
Heinrich Füssli
Pittura e teatro si incontrano nell’opera del pittore svizzero Johann Heinrich Füssli, spirito solitario e personalità eccentrica della storia dell’arte.
Avviato alla pittura dal padre Caspar, che lo introdusse ai principi estetici di Winckelmann e di Mengs, di moda all’epoca, dopo un soggiorno a Parigi e a Londra si trasferì nel 1770 a Roma, stimolato dal decisivo incontro con Joshua Reynolds, il quale lo convinse della necessità di un soggiorno formativo in Italia. Affascinato dai monumenti e dalle opere dell’antica Roma, alle serene e impassibili bellezze teorizzate da Winckelmann egli preferì elaborare uno stile altamente personale, reinterpretando il repertorio classico con forme distorte, ironiche e spesso grottesche.
Le fisionomie dei personaggi raffigurati sulla tela, deformate fino alla caricatura, colpirono i contemporanei, che ravvisarono subito le doti di originalità e di grande fantasia dell’artista.
Tipico 'figlio' dell’età dei Lumi, sperimentatrice e curiosa di ogni aspetto della mente umana, Füssli rappresentò una figura di artista desiderosa di indagare il mondo dell’inconscio, dei sogni e della libido sommersa in ciascun individuo.
Le tragedie di William Shakespeare , il grande drammaturgo di epoca elisabettiana, fornirono al pittore l’ispirazione per composizioni affollate di fate, di personaggi dell’allegoria e di apparizioni spettrali caricate fino al limite della tensione espressiva.
Il suo lavoro sui temi shakespeariani era iniziato fin dalla giovinezza, già prima del viaggio a Londra. In circa cinquant’anni di carriera furono circa 220 i disegni e i dipinti legati a questi soggetti.
Il Macbeth, da lui tradotto in lingua tedesca a soli 17 anni, fu la fonte di maggiore ispirazione.
Gli incubi dei protagonisti, le scene di stregoneria, l’intenso conflitto drammatico della tragedia non potevano che esaltare la sua fantasia e stimolarlo a creare stravaganti capolavori in cui le figure emergono drammaticamente
dall’oscurità.
William Blake
Dopo le utopie coltivate dalla filosofia illuminista sulle possibilità della ragione di affrontare ogni situazione, le incertezze tipiche della natura umana tornarono prepotentemente a farsi sentire negli ultimi anni del Settecento.
Alcuni artisti si distaccarono dalla realtà e ricercarono la bellezza non più nelle statiche forme compassate del neoclassicismo, ma nelle pieghe più nascoste dell’anima.
I sogni, con le loro irrazionali implicazioni, divennero fonte di ispirazione per dipinti fatti di figure terribili, visionarie e di luci balenanti.
Verità e illusione, fantasia e realtà si confondono nell’opera dell’inglese William Blake, poeta e pittore, che, riprendendo la tradizione medievale dei manoscritti miniati, fuse nelle sue opere immagini e parole, illustrando egli stesso i propri libri.
"L’immaginazione è il mio mondo" affermava egli stesso, ispirato nella sua arte dalle letture filosofiche, dai testi mistici, dall’arte dell’antichità e dai dipinti del manierismo italiano.
Universalmente ritenuto uno dei più grandi artisti di ogni tempo, colui che con la sua opera divenne l’ispiratore ed il precorritore dell’arte moderna, Francisco José Goya y Lucientes nacque nel 1746 in un piccolo e isolato villaggio della campagna di Saragozza da un maestro doratore di origini basche.
Il giovane aragonese mostrò presto un’inclinazione alla pittura, subito coltivata dal padre, che, da buon artigiano, aspirava per il figlio ad una brillante carriera artistica.
Seguì gli studi di pittura presso un pittore locale, ma guardava alla capitale, dove gli artisti dell’Accademia godevano di onori e privilegi.
Quando però nel 1765 arrivò a Madrid, più che le sue doti di pittore mise in mostra le sue qualità di cavaliere e di avventuriero, tanto che l’Accademia respinse per due volte la sua ammissione.
Erano gli anni madrileni di Tiepolo e di Mengs, che teneva le redini dei circoli artistici; forse, proprio per suo consiglio, Goya partì nel 1770 per un soggiorno a Roma.
Quando fece ritorno in Spagna nel 1772 ebbe la commissione di cartoni per la manifattura reale degli arazzi di Santa Barbara e finalmente, nel 1780, l’Accademia lo accolse tra i suoi membri.
Attento osservatore della realtà, amò il mondo gaio della Spagna settecentesca, dipingendo la società madrilena, i personaggi illustri, i popolani e la gioiosa gioventù nei suoi passatempi preferiti.
Dopo essere stato chiamato a corte dal re Carlo IV nel 1789, la sordità, che lo colpì in seguito ad una grave malattia, depresse il suo spirito e la sua arte ne risultò influenzata.
Continuò a lavorare, ma in modo sempre più distaccato, come dimostra il ritratto della famiglia reale eseguito nel 1800 che segna l’apice della sua carriera di ritrattista e, insieme, il suo estraniamento.
L’invasione napoleonica e poi la restaurazione del 1814 allontanarono Goya dalla corte e dalla Spagna.
Morì nel 1828 a Bordeaux dove si era ritirato.
Inizialmente ispirato dai grandi maestri della pittura del Seicento, Velazquez e Rubens, nonché dagli italiani Giaquinto e Tiepolo, che nel corso del Settecento avevano rinnovato il clima artistico spagnolo, Goya sviluppò un linguaggio figurativo particolarissimo, unico e perfettamente calato nella realtà del tempo.
In un’Europa scossa dalla Rivoluzione francese e dall’ascesa rapidissima di Napoleone Bonaparte, in una Spagna sconvolta dalla guerra d’indipendenza che minò la politica antiliberale del re Fernando VII, l’artista traspose nella sua opera i turbamenti di un complesso periodo storico, in cui il Settecento illuminista preannunciava la nascita del mondo moderno.
Pur essendo quasi contemporaneo di David, niente è più lontano del neo classicismo francese dalla figura e dall'opera pittorica di Francisco Goya. Al decoro perfetto e alla precisione accademica del disegno delle opere degli artisti neoclassici, Goya contrappone una sorprendente libertà espressiva: alle levigatezze plastico-lineari di David il singolare artista spagnolo contrappone una spiccata accentuazione cromatica sostenuta da un segno quasi ad abbozzo.
Inoltre Goya, pur fedele agli ideali illuministi, pare respingere lo stile artistico che deriva dalla fede nella ragione che ha segnato il neoclassicismo, diffuso in Spagna in parallelo alle vicende politiche che coinvolsero la nazione nell'espansione imperiale napoleonica e poi nella sua catastrofe.
Estraneo a ogni influenza della moda, a ragione dunque Goya è considerato il pittore più nuovo e più rivoluzionario del suo tempo.
Si mosse infatti in completa libertà, piuttosto attratto dai maestri del passato. La Spagna raccontata nei suoi quadri e nelle sue incisioni è una terra tragica e crudele dove si consumano feroci vessazioni, sopportate senza più fiducia.
Con Goya l'arte diventa lo specchio tormentato dei sentimenti ed è a partire da questa svolta importante che prenderanno avvio le ricerche e i movimenti salienti dell'arte moderna.
Tale rivoluzione stilistica e poetica cominciò nel 1792, all'indomani di una malattia che portò l'artista spagnolo alla sordità.
Protetto dall'aristocrazia, amico di intellettuali, nel 1799 Francisco Goya divenne primo pittore di corte presso Carlo IV, ricoprendo una posizione di privilegio che gli consentì di conoscere e commentare tutti i principali avvenimenti pubblici.
Suo malgrado si trovò così a perpetuare una tradizione che non riconosceva e che lo voleva erede ufficiale dell'altro grande maestro che prima di lui aveva ricoperto incarichi tanto prestigiosi: Velazquez.
Goya però non sentì alcuna remora per il posto rivestito soffermandosi a indagare e a sottolineare con il suo stile crudo l'indebolirsi della fede nell'autorità assoluta dei reali e l'aperta crisi in cui stavano entrando istituzioni secolari. Nella trattazione di un soggetto classico come il ritratto equestre di un re (Ferdinando VII a cavallo, 1808), a esempio, Goya riesce a creare un'immagine che si allontana sottilmente dal registro dell'ufficialità, mostrando alcune connotazioni assai significative: le pose del cavaliere e del cavallo paiono quasi goffe, e si stagliano su un paesaggio arido.
Goya è un pittore di corte che si permette di rappresentare senza alcun abbellimento, spietatamente, una società in declino, basti osservare l'aria spaurita dei giovani nella Famiglia di Carlo IV e quella tronfiamente vuota del re.
Dalle incisioni dei Capricci a quelle della Tauromachia, fino alla serie dedicata ai Disastri della guerra, Goya alternerà sempre la sua mansione di pittore di corte a quella di artista più autonomo, concentrato maggiormente sulle sue esplorazioni dell'irrazionale, dando libero sfogo alla sua fervida immaginazione e componendo dei veri commentari sociali dove testimonia lucidamente le contraddizioni che si addensano come nubi minacciose sulla propria epoca dolorosa.
Il sonno della ragione genera mostri è il titolo di una celeberrima incisione di Goya, compresa nella serie dei Capricci, elaborati dall'artista spagnolo negli ultimi anni del Settecento. Foschi presagi di malasorte si addensano come sinistri volatili dietro la figura di un uomo che giace addormentato sul proprio tavolo di lavoro.
Questa identificazione della presenza umana sprofondata nel sonno con la sospensione dell'esercizio della ragione colpì l'immaginario di molti artisti interessati al visionario come i simbolisti, quale Odilon Redon e persino i surrealisti.
La scelta del titolo di origine italiana e settecentesca della celebre serie, che già in sé richiama soggetti stravaganti, si confà ai temi scelti da Goya, ironiche satire politiche o situazioni che generano paura e ribrezzo.
Anche lo stile potenzia l'effetto: l'incisione di Goya è infatti ricca di toni contrastati e combina abilmente le tecniche con grande spregiudicatezza, sull'esempio di un grande incisore del passato come Rembrandt. L'acido dell'acquatinta smorza gli sfondi accentuando le oscurità, la puntasecca invece acuisce i contorni lineari.
Ugualmente la sua pittura risulta di grande efficacia, costruisce le masse plastiche sferzando la luce e lavorando il colore con pennellate decise e robuste.
Un percorso di ricerca che si approfondisce ulteriormente venti anni dopo, durante il soggiorno di convalescenza per la malattia che gli farà perdere l'udito nella dimora madrilena denominata "Quinta del sordo".
Qui Goya lavora a una serie di quattordici opere per arredare gli ambienti della casa, caratterizzate da immagini tragiche e ossessive, note con il nome di "pitture nere".
La tonalità cupa, a tratti claustrofobica, e la trepidante disperazione che si incarna nelle figure dipinte da Goya costituiranno i presupposti stilistici per artisti come Daumier, Courbet, Manet.
Le celebri Maja desnuda e Maja vestida,mentre ricordano capolavori di predecessori come la Venere allo specchio di Velazquez e la Venere di Tiziano, mostrano una originalità nell'impostazione che avrebbe destato l'ammirazione di artisti che si impegneranno, come il Manet dell'Orympia, in una evidente rilettura dei capolavori del maestro spagnolo.