Le libertà costituzionali

Le libertà individuali

(artt. 13, 22-23) La Costituzione, dopo aver proclamato all'articolo 2 i diritti inviolabili, disciplina in maniera più articolata i diritti di libertà, ognuno dei quali rappresenta una conquista dell'individuo nei confronti dello Stato, una tappa del lungo cammino compiuto per passare dallo Stato assoluto allo Stato democratico.

Sono diritti di libertà i diritti che garantiscono alla persona una sfera di azione libera dall'ingerenza dello Stato.

Si tratta cioè di una sorta di "libertà dallo Stato" in quanto quest'ultimo, con i poteri di cui dispone, può sopprimere tali libertà, sopraffare la collettività e instaurare la dittatura.

Le libertà e i diritti dei singoli, perciò, devono essere difesi e protetti contro tutti.

Nella Costituzione la libertà viene presa in considerazione come diritto individuale o come diritto collettivo, in quanto l'uomo è inteso come individuo e anche come persona che vive in collettività.

La Costituzione esalta la solidarietà sociale e lo spirito di partecipazione ma, allo stesso tempo, riconosce i diritti relativi alla sfera privata che, in tal modo, è rigorosamente garantita.

La libertà personale

L'articolo 13 tutela la libertà personale, intesa come libertà dell'individuo da interventi esterni che potrebbero limitare la sua libertà di movimento o di circolazione, per esempio l'arresto o il fermo.

Il primo è la restrizione della liberta personale disposta nei confronti di persone gravemente indiziate di reato, quando per esempio sussiste il pericolo di fuga, mentre il secondo è il termine che indica ratto con cui la polizia cattura le persone colte in flagranza di reato.

Dice la Costituzione che «la libertà personale è inviolabile», ovvero è un diritto naturale che deve essere garantito sia nei confronti dei privati, sia dei pubblici poteri.

La Carta costituzionale pone quindi in primo piano il rispetto della dignità e della libertà della persona e stabilisce chi può esercitare, e come, un'eventuale "azione coercitiva" per prevenire e reprimere i reati commessi da un individuo.

Le restrizioni della libertà personale

I provvedimenti relativi alle restrizioni della libertà personale come l'arresto o la perquisizione (metodo di ricerca della prova per acquisire il corpo del reato o altri indizi pertinenti) spettano alla Magistratura che, per la sua indipendenza dagli altri poteri e per la sua neutralità, rappresenta una garanzia rispetto a chi detiene il potere e potrebbe abusarne.

Non può esservi, pertanto, alcun provvedimento restrittivo senza l'ordine di un giudice.

Soltanto in casi eccezionali di necessità e urgenza (per esempio: arresto in flagranza di reato), le autorità di pubblica sicurezza possono prendere provvedimenti per limitare la libertà personale, ma tali provvedimenti devono essere convalidati dal giudice in breve tempo.

La custodia cautelare

Riguardo alla carcerazione preventiva (attualmente denominata custodia cautelare), vale a dire alla privazione della libertà personale per un imputato in attesa di processo, il testo costituzionale affida a una legge ordinaria il compito di stabilirne il limite massimo, ma ha escluso a priori che si tratti di un tempo tanto lungo da far pensare a un anticipo di pena, perché un provvedimento del genere sarebbe in contrasto con quanto previsto dall'articolo 27, comma 1, per cui «l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva».

La custodia cautelare è consentita quando sussistono «gravi indizi di colpevolezza (art. 273 c.p.p.) e «in presenza di particolari situazioni di pericolo».

I limiti stabiliti dalla legge per la custodia cautelare sono soggetti a cambiare in base alle circostanze e alle necessità.

Per un'ulteriore garanzia della libertà personale, l'imputato, direttamente o tramite il suo difensore, può rivolgersi al Tribunale della libertà (l. 532/1982) per chiedere di riesaminare il provvedimento di restrizione della libertà personale che il giudice ha emesso nei suoi confronti.

Il Tribunale, entro tre giorni, deve decidere se il detenuto in attesa di giudizio può attendere il processo in libertà.

Divieto di discriminazione e garanzia dagli abusi

Strettamente collegati all' articolo 13 sono gli articoli 22 e 23 nei quali i Costituenti hanno introdotto ulteriori garanzie per salvaguardare il rispetto dei diritti della personalità, in particolare nei confronti del potere politico (art. 22 Cost.) e della Pubblica amministrazione (art. 23 Cost.).

In base all'articolo 22 nessuno, per le proprie idee politiche, può essere privato della capacità giuridica, del nome e della cittadinanza, cioè del suo diritto di appartenenza allo Stato.

I Costituenti, con questa norma, hanno voluto scongiurare il pericolo che si possano ripetere i soprusi che si erano verificati durante il regime fascista.

Agli oppositori del regime, costretti a emigrare, era stata infatti tolta la cittadinanza italiana; agli appartenenti alle minoranze linguistiche con un cognome straniero era stato imposto di cambiarlo; gli ebrei erano stati oggetto di provvedimenti discriminatori, tra cui la privazione della cittadinanza e della capacità giuridica.

Nell'articolo 23 è invece prevista la cosiddetta "garanzia dagli abusi", in quanto preserva l'individuo da ogni possibile abuso da parte della Pubblica amministrazione: esclude cioè che lo Stato possa imporre ai cittadini prestazioni personali o patrimoniali, se non sono previste dalla legge.

Lo Stato può esigere che i cittadini svolgano determinate attività nell'interesse pubblico (prestazioni personali) e può obbligarli a versare i tributi (prestazioni patrimoniali) per «concorrere alle spese pubbliche» (art. 53 Cost.); tali sacrifici, però, possono essere richiesti soltanto in base a una legge del Parlamento, l'organo che esprime la volontà della collettività stessa.

Anche gli stranieri sono tenuti a prestazioni patrimoniali, ma limitatamente al reddito prodotto in Italia.

Per esempio l'obbligo di testimoniare a un processo è una prestazione personale legittima, mentre il pagamento dell'lva e dell'lrpef sono prestazioni patrimoniali, anch'esse legittime.

Le libertà individuali e collettive

L'inviolabilità del domicilio

L'articolo 14 amplia ulteriormente la difesa della libertà personale e, riconoscendo l'inviolabilità del domicilio, tutela il diritto alla riservatezza: la violazione del domicilio è considerata, infatti, un'intrusione nella vita della persona, in quanto le mura domestiche, dove ognuno custodisce le proprie cose e i propri pensieri, sono per certi aspetti una proiezione della persona stessa e godono quindi della stessa protezione.

L'inviolabilità del domicilio è un aspetto fondamentale della libertà personale, in quanto rendere inviolabile il domicilio significa tutelare l'intimità della casa, una sfera essenziale della vita privata della persona.

In altri termini a casa nostra possiamo far entrare chi vogliamo, ma se qualcuno si introduce con la forza viola la Costituzione e commette un reato, sia che si tratti di un ladro sia che si tratti della più alta autorità dello Stato.

Anche per l'inviolabilità del domicilio sano ammesse eccezioni: i pubblici poteri possono limitarla «nei casi e modi stabiliti dalla legge».

Pertanto, le autorità di polizia e il magistrato, se adottano le dovute garanzie previste dalla legge, possono effettuare ispezioni, perquisizioni e sequestri.

La libertà di circolazione e soggiorno

Il cittadino è libero anche di muoversi da una località all'altra: l'articolo 16 garantisce infatti la libertà di circolazione e di soggiorno, cioè la possibilità per il cittadino di spostarsi sul territorio dello Stato (libertà di circolazione) e di fissare dovunque la sua dimora (libertà di soggiorno).

Tale libertà non è riconosciuta a tutti, ma è riservata esclusivamente ai "cittadini" e può essere limitata solo per motivi di salute e di sicurezza pubblica.

Per esempio non può uscire dal territorio dove risiede chi è in attesa di processo o chi è affetto da una malattia infettiva che può provocare epidemie.

È invece espressamente esclusa la possibilità di restrizioni alla libertà di circolazione per motivi politici: durante il regime fascista tale libertà era affidata alla discrezionalità della polizia e aveva subìto forti limitazioni, per cui i Costituenti hanno voluto specificare esplicitamente che «nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche».

Un cittadino non solo può circolare liberamente sul territorio nazionale, ma è anche libero di uscire e di rientrare in patria (libertà di espatrio) purché osservi gli obblighi di legge (per esempio, munirsi del passaporto).

Ogni cittadino italiano è anche cittadino dell'Unione europea e, in quanto tale, è libero di spostarsi in qualunque Paese dell'Unione come se circolasse sul territorio nazionale, munito quindi solo di un documento di riconoscimento.

La libertà di comunicazione

La tutela della sfera intima e della riservatezza si completa con l'articolo 15, nel quale è garantita la segretezza di ogni forma di corrispondenza (scritta, telegrafica ecc.) e di comunicazione (telefonica, telematica).

In altre parole è assicurata la possibilità di inviare e ricevere qualunque tipo di messaggio, con ogni mezzo conosciuto, senza timore di intromissioni.

Si tratta di un aspetto particolare del più ampio diritto alla riservatezza che garantisce a ciascuno la libertà di comunicare il proprio pensiero soltanto a chi desidera, senza che altri possano venirne a conoscenza leggendolo o ascoltandolo.

Per meglio tutelare la segretezza delle comunicazioni telegrafiche e telefoniche, alla fine degli anni Settanta del secolo scorso è stata introdotta una legge per impedire alla polizia di dar corso a intercettazioni telefoniche senza l'autorizzazione del giudice.

Dal momento, però, che queste rappresentano un mezzo di ricerca della prova di un reato, il codice di procedura penale stabilisce quando e come è possibile eseguirle (artt. 266 e segg.).

I problemi legati alle intercettazioni telefoniche sono stati presi in considerazione anche dalla recente riforma della giustizia penale (l. 103/2017) ed è stato disposto che sia garantita «la riservatezza delle comunicazioni, in particolare dei difensori nei colloqui con l'assistito» e sia evitata la pubblicazione di intercettazioni irrilevanti ai fini dell'indagine.

Al riguardo è compito del pubblico ministero garantirne la segretezza.

La tutela della privacy

In seguito allo sviluppo delle telecomunicazioni e alla possibilità di archiviare ingenti banche dati grazie ai sistemi informatici, si è resa necessaria una normativa specifica per disciplinare la diffusione dei dati personali (l. 675/1996).

La legge, che ha istituito anche un'Autorità garante per la protezione dei dati personali con il compito di vigilare sulla corretta osservanza e attuazione delle disposizioni in materia, impone che i cittadini diano il consenso per l'archiviazione e il trattamento dei loro dati.

In breve tempo, le norme relative al trattamento di tali dati sono diventate tanto numerose e la disciplina tanto complessa da rendere necessarie la semplificazione e la risistemazione della materia.

Il 10 gennaio 2004 è entrato in vigore il codice della privacy (d.lgs. 196/2003, aggiornato al recente Regolamento UE 2016/679), che contiene importanti innovazioni sulla riservatezza e sulle comunicazioni telefoniche.

Il codice riconosce: il diritto alla protezione dei dati personali (diritto alla privacy) che ha come oggetto le informazioni su una persona che non riguardano necessariamente la sfera intima e familiare; il diritto alla riservatezza relativo alla protezione della vita privata.

L'interessato ha diritto di essere messo al corrente dell'esistenza di dati personali che lo riguardano, di conoscere le finalità e le modalità di trattamento, di ottenere l'aggiornamento e la rettifica.

La materia sulla privacy è in continua evoluzione e la sua disciplina è destinata a non essere mai interamente compiuta: per adeguare il nostro sistema normativo alle disposizioni comunitarie il codice è già stato più volte aggiornato

In armonia con quanto previsto all'art. 2 della Costituzione (cioè l'esaltazione della persona umana attraverso le formazioni sociali), gli articoli 17 e 18, pur trattando di libertà, non si riferiscono all'uomo come singolo, ma come persona che fa parte di gruppi sociali.

Questi articoli contemplano infatti il diritto di riunione e il diritto di associazione, due presupposti indispensabili per la vita di una società democratica, in quanto ogni forma di libertà collettiva è indice di pluralismo, in contrapposizione all'individualismo esaltato e sostenuto dai regimi dittatoriali.

Il diritto di riunione

La Costituzione garantisce all'art.17 la libertà di riunione, assicurando alle persone di potersi liberamente incontrare in qualsiasi luogo (per strada, in un bar, in una casa ecc.) per i motivi che preferiscono, con l'unico divieto che le persone non portino con sé armi.

Per ragioni di sicurezza, è però necessario comunicare all'autorità di pubblica sicurezza particolari forme di riunione pubblica (come per esempio cortei di protesta), che possono essere vietate solo se vi sono rischi legati alla sicurezza e all'incolumità delle persone.

Per i cortei e le manifestazioni in luoghi pubblici, come le strade e le piazze, deve perciò essere dato preavviso alle autorità di pubblica sicurezza, almeno tre giorni prima del loro svolgimento.

Si tratta comunque di un "preavviso" e non di una "richiesta di autorizzazione", per cui le autorità possono vietare o sciogliere un corteo o una manifestazione solo se sussistono fondati motivi di sicurezza o di pubblica incolumità.

Se per esempio una conferenza per celebrare i 70 anni della Costituzione viene organizzata in un teatro può svolgersi liberamente. Se invece durante un corteo si verificano tumulti o violenze le forze di polizia hanno il diritto-dovere di intervenire ed eventualmente scioglierlo.

In determinati casi la libertà di riunione è disciplinata da regole precise: lo Statuto dei lavoratori riconosce, per esempio, il diritto di riunione nel luogo di lavoro e i "decreti delegati" prevedono l'assemblea di classe e di istituto per gli studenti.

La libertà di associazione

L'articolo 18 garantisce la libertà di associazione che, diversamente dalla libertà di riunione, è caratterizzata da strutture e vincoli tra gli aderenti destinati a durare nel tempo (si pensi a un'associazione sportiva che solitamente ha un luogo di ritrovo fisso, attrezzature ecc.).

In altre parole: mentre la riunione, è un raggruppamento temporaneo di persone e costituisce un evento occasionale, l'associazione è un insieme di persone organizzate in forma stabile e ha carattere duraturo.

Nella libertà di associazione sono comprese la libertà di costituire un'associazione, di aderire o non aderire a essa e di uscire dalla stessa una volta che se ne sia fatto parte.

Dalla libertà di associazione discende l'esistenza delle confessioni religiose (art. 8 Cost.), delle organizzazioni sindacali (art. 39 Cost.) e dei partiti politici (art. 49 Cost.).

sistono tantissime forme di associazionismo tra le persone: associazioni culturali, umanitarie, ecologiche e così via.

La Costituzione però garantisce a tutti i cittadini il diritto di associarsi liberamente al fine di perseguire obiettivi leciti: per questo motivo sono state vietate quelle associazioni che hanno come oggetto la violazione di norme penali (si pensi a un'associazione finalizzata a commettere furti e rapine), le associazioni segrete e le associazioni che intendono raggiungere scopi politici con organizzazione e metodi militari.

Per esempio è vietata un'associazione che, dietro un apparente fine sportivo, ha come scopo effettivo un addestramento di tipo militare dei propri iscritti.

La libertà di religione e di associazione per fini religiosi

Art. 19 - Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di fame propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

Art. 20 - Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.

Gli articoli 19 e 20 riconoscono a tutti (italiani, stranieri, apolidi) il diritto di professare liberamente il proprio credo e di riunirsi e associarsi per fini religiosi.

Tutti, cioè, sono liberi di credere in quello che vogliono, come di non professare alcuna religione, e sono altrettanto liberi di praticare il proprio culto pubblicamente: possono fare propaganda sia individualmente sia costituendo associazioni, purché le idee e l'attività delle stesse non siano in contrasto con il buon costume.

Non sono ammessi per esempio riti macabri e sacrificali per motivi religiosi.

A dire il vero la libertà di religione poteva essere compresa nella libertà di manifestazione del pensiero prevista all'articolo 21, mentre la libertà di associazione religiosa poteva rientrare nel più generico diritto di associazione riconosciuto dall'articolo 18.

I Costituenti, con gli articoli 19 e 20, hanno però mirato a rafforzare questo diritto e salvaguardare i singoli e le associazioni da qualsiasi forma di discriminazione per motivi religiosi.

In essi, infatti, era ancora vivo il dramma degli ebrei, perseguitati in seguito alle leggi razziali naziste e fasciste, perché non sentissero la necessità di regolamentare in maniera specifica questo diritto di libertà.

Tale puntualizzazione, comunque, non è superflua, perché l'intolleranza religiosa è sempre pronta a emergere.

Il fine ecclesiastico o religioso di un'associazione o di un'istituzione non può essere causa di gravami di tipo fiscale o giuridico che rendano difficoltosa la sua costituzione o il suo funzionamento.

Lo Stato italiano ha stipulato nel 1929 appositi accordi con la Chiesa cattolica (i Patti Lateranensi) al fine di regolare in maniera dettagliata i reciproci rapporti.

Ulteriori accordi sono stati siglati anche con altre organizzazioni religiose.

La libertà di manifestazione del pensiero

Art. 21 - Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

La libertà di pensiero consiste nella libertà di far circolare le proprie idee; per questo, l'articolo 21 nel riconoscere la libertà di manifestare agli altri il proprio pensiero garantisce la possibilità di esprimerlo liberamente.

Tutti possono manifestare quello che pensano per mezzo della parola, possono comunicarlo agli altri con lo scritto (libri, giornali, manifesti, internet ecc.), stabilire un confronto, aprire un dibattito attraverso le colonne di un giornale o in una trasmissione radiofonica o televisiva: questo significa far circolare le idee e far sì che si possa formare liberamente una "pubblica opinione".

La possibilità di manifestare il proprio pensiero viene considerata la prima delle libertà, in quanto è espressione diretta della democrazia: esprimere il proprio parere vuol dire anche poter criticare e dissentire dalle idee degli altri e poterlo fare liberamente significa escludere l'imposizione del pensiero di una sola persona.

La libertà di stampa e il divieto di censura

Una conseguenza diretta della possibilità di manifestare liberamente il proprio pensiero è la libertà di stampa, da cui discende la libertà di informazione, cioè il diritto di ognuno di essere informato su tutto e di poter scegliere quali informazioni ricevere e da chi riceverle.

L'attività editoriale è libera, sottratta a qualsiasi forma di "autorizzazione" intesa come consenso preventivo dell'autorità all'uscita della pubblicazione e a ogni sorta di censura preventiva, all'approvazione da parte dell'autorità del contenuto dello scritto.

Con queste disposizioni i Costituenti hanno garantito la libertà di esprimere le proprie idee e di manifestare il proprio dissenso, ma hanno anche voluto cancellare quelle norme del regime fascista che prevedevano la "licenza" delle autorità di polizia per distribuire volantini o affiggere manifesti.

I limiti alla libertà di manifestazione del pensiero

Perché la libertà di pensiero non degeneri in un abuso sono posti due limiti riguardo al contenuto del testo: non deve essere contrario al buon costume; non deve rappresentare una violazione del diritto altrui.

Di conseguenza, non è facile individuare l'ambito preciso dell'esercizio del diritto di cronaca da parte del giornalista, in quanto può entrare in conflitto con il diritto alla riservatezza della persona cui si riferiscono i fatti resi noti.

Non è ugualmente facile stabilire dove inizia la pubblicazione indebita di atti istruttori, la rivelazione di segreti o la diffamazione. T

utto è affidato alla serietà professionale del giornalista, che deve tenere nel massimo conto il rispetto della persona, anche se per determinate notizie è previsto il segreto.

Per esempio le notizie relative alla difesa nazionale (segreto militare), alla salvaguardia della Repubblica (segreto di Stato) o all'andamento delle indagini a carico di una persona (segreto giudiziario) non possono essere divulgate.

Le minacce al pluralismo dell'informazione

Un grosso rischio per la garanzia del pluralismo delle opinioni è rappresentato dagli alti costi dell'attività editoriale che possono determinare la concentrazione delle testate giornalistiche in mano a pochi gruppi economici o politici con il pericolo che l'informazione, in evidente contrasto con l'articolo 21 della Costituzione, non rappresenti più un mezzo di conoscenza dei fatti e delle idee.

Per evitare tale pericolo e garantire libertà e autonomia a chi ha il compito di "fare informazione", senza subire condizionamenti, sono state emanate norme specifiche per disciplinare l'editoria ed è stata istituita un'Autorità per la garanzia sulle comunicazioni, che vigila e impedisce la concentrazione delle testate giornalistiche.

Per Autorità si intende un organismo o un'istituzione di natura pubblica a cui il diritto riconosce ampia autonomia dai poteri dello Stato, chiamati a controllare e a disciplinare un determinato settore della Pubblica amministrazione, quale l'energia, le comunicazioni, la concorrenza ecc.

Siccome l'informazione, oltre che a mezzo stampa, avviene anche mediante altri strumenti (radio, televisione, internet) anche per questi media, che devono garantire il pluralismo, sono state emanate disposizioni specifiche, come il testo unico sulla radiotelevisione (d.lgs. 117/2005) e le norme sulla pedopornografia su internet (L 38/2006).

Proprio in seguito alla legge 38/2006 è stato istituito, nel 2008, il Centro nazionale per il contrasto alla pedofilia on line (Cncpo) con il compito di effettuare il monitoraggio sistematico dei siti che contengono materiale pedopornografico e di inserire i siti illeciti in una black list in modo che i fornitori di connettività (internet service provider) li possano oscurare.

Nel 2016 il Cncpo ha coordinato 576 indagini cui hanno fatto seguito 51 arresti e 449 denunce.

Nella pratica, il sistema dell'informazione televisiva è oggi concentrato in poche grandi emittenti di carattere nazionale, sia pubbliche, come i canali Rai, sia private, come i canali Mediaset e La 7, e infine diverse televisioni a carattere regionale.

La comunicazione radiofonica è al contrario caratterizzata da moltissime emittenti, sia locali sia nazionali, che assicurano quindi un servizio vario e pluralista.

L'avvento di internet ha rivoluzionato il modo di fare informazione. Con internet, infatti, tutti possono aprire un blog e pubblicare notizie e opinioni; ma ciò rende molto difficile verificare la correttezza e l'attendibilità di quanto pubblicato.

La tutela giurisdizionale

Per rendere effettivi i diritti di libertà e di uguaglianza già indicati nei Princìpi fondamentali (artt. 2 e 3) e garantire una convivenza libera e democratica, i Costituenti hanno dedicato alcune norme specifiche (artt. 24-27) alle libertà giurisdizionali, cioè alla disciplina dei rapporti tra il cittadino e la giustizia, che in uno Stato di diritto come il nostro hanno un'importanza particolare.

Art. 24 - Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi [cfr. art. 113]. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.

All'art. 24 è riconosciuto a tutti, cittadini e stranieri, un insieme di diritti in materia di giustizia. Questi diritti sono:

• il diritto di agire in giudizio per ottenere il riconoscimento di un diritto o di un interesse legittimo. È come dire che ogni persona, per tutelare i suoi diritti, deve fare appello alla legge e non deve farsi giustizia da sé;

• il diritto di difesa, cioè il diritto inviolabile dell'imputato a essere assistito fin dalle indagini preliminari e dai primi accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria. Infatti, questo diritto comprende il diritto alla difesa con l'assistenza di un legale, il diritto di partecipare al processo e fornire le prove e, se l'imputato non è in condizione di affrontare le spese legali, il diritto di patrocinio a spese dello Stato (per i processi civili e amministrativi) e la difesa d'ufficio (per quelli penali);

• il diritto al risarcimento in riparazione agli errori giudiziari. Secondo l'attuale normativa, colui che è stato privato della libertà personale in seguito a una condanna, poi ritenuta ingiusta, può richiedere allo Stato il risarcimento del danno morale e patrimoniale.

L'imparzialità del giudice

Anche all'articolo 25 è stabilito un diritto inalienabile e immodificabile, in base al quale nessuno può essere giudicato da un tribunale istituito appositamente, ossia da un tribunale speciale.

Il giudice naturale, vale a dire il giudice competente a giudicare un certo fatto, è "precostituito" per legge in base a criteri astratti (la materia cui si riferisce il fatto, il valore e il territorio dove si è svolto) ed è perciò individuabile prima che il fatto si verifichi.

In tal modo, viene esclusa la possibilità di istituire tribunali speciali e viene garantita invece l'imparzialità del giudice.

Deroghe al principio del giudice naturale sono ammesse soltanto per garantire maggiormente la sua imparzialità.

Per esempio è incompatibile il giudice naturale che abbia già giudicato la stessa causa in un precedente grado di giudizio.

Il principio di legalità penale

Al secondo comma dell'articolo 25 si introduce il cosiddetto principio di legalità penale, secondo il quale una persona può essere giudicata soltanto in base a una legge entrata in vigore prima del fatto commesso e non può essere sottoposta a misure di sicurezza se non è previsto da una legge.

Una persona può dunque essere punita soltanto se ha assunto un comportamento considerato un'infrazione a una legge già esistente (principio di irretroattività) al momento del fatto.

Chi commette un reato deve sapere prima a quali conseguenze va incontro.

L'estradizione

L'articolo 26 contempla l'estradizione, consentita soltanto per reati comuni (omicidio, rapina ecc.) e nei modi previsti da accordi internazionali, che devono comunque rispettare i princìpi contenuti nella Costituzione.

Al cittadino estradato nel Paese che ne fa richiesta deve essere garantito lo stesso procedimento processuale che avrebbe in Italia, con l'esclusione in assoluto della pena di morte, assente nel nostro ordinamento.

In ogni caso, l'articolo 26 esclude l'estradizione per motivi politici.

La responsabilità penale e Il principio garantista

Nell'articolo 27, al primo comma, viene affermato il carattere personale della responsabilità penale, per cui ognuno è responsabile soltanto delle proprie azioni e non può pagare per colpe altrui.

I Costituenti, che avevano ben presenti le fucilazioni per rappresaglia di ostaggi innocenti da parte dei nazifascisti, hanno voluto in tal modo dichiarare anche l'inammissibilità delle pene collettive.

Al secondo comma, l'articolo 27 stabilisce che una persona non può essere considerata colpevole finché non sia dichiarata tale dalla sentenza di un giudice, senza possibilità di appello a un giudice superiore.

È questo il cosiddetto principio garantista per cui nessuno può essere definito colpevole finché non sia stata emessa una condanna definitiva.

In caso di condanna, poi, le pene non devono essere contrarie al senso di umanità e devono mirare soprattutto alla rieducazione del condannato (carattere rieducativo della pena).

Il carcere, infatti, non deve ridursi a una semplice privazione della libertà, ma deve essere un mezzo per riabilitare e reinserire concretamente nella società civile il colpevole.

Per esempio, in base alla riforma del sistema penitenziario (L 354/1975) all'interno delle strutture carcerarie è previsto per ciascun detenuto un programma comprendente diverse attività (educative, lavorative, religiose, sportive, ricreative, culturali), contatti con il mondo esterno (permessi), rapporti con la famiglia e, se necessario, un sostegno psicologico per favorire la sua rieducazione.

In seguito alla legge 67/2014, a partire dal 2016 sono state introdotte nuove disposizioni relative alla depenalizzazione di alcuni reati minori e all'introduzione di pene alternative al carcere.

L'obiettivo prioritario di queste misure è alleggerire il problema del "sovraffollamento delle carceri".

In particolare, determinati illeciti (guida senza patente, atti contrari alla pubblica decenza ecc.) non sono più reati penali e sono puniti con una sanzione amministrativa (da 5000 a 30.000 euro).

Altri reati (ingiuria, danneggiamento, appropriazione di cose smarrite) per i quali erano già previste pene pecuniarie, sono stati cancellati dal codice penale e trasformati in illeciti amministrativi, punibili dunque con una multa o un'ammenda (da 5000 a 50.000 euro).

Per determinati reati minori (tutte le contravvenzioni assoggettate all' arresto e tutti i delitti puniti con tre anni di carcere) sono previste le misure alternative al carcere come la detenzione domiciliare, l'affidamento in prova al servizio sociale e la semilibertà.

La detenzione domiciliare permette di trascorrere tutto il tempo della pena fuori dal carcere e in un luogo determinato (abitazione, comunità ecc.) sotto la vigilanza delle forze dell'ordine tramite il braccialetto elettronico.

L'affidamento in prova al servizio sociale assicura il maggior grado di libertà in quanto consente al condannato, osservando determinate prescrizioni, di spostarsi liberamente nell'ambito del comune di residenza.

La semilibertà, invece, prevede di svolgere un' attività fuori dal carcere per parte della giornata e di rientrare in carcere una volta cessata l'attività stessa.

La non ammissibilità della pena di morte

Infine, proprio perché la pena deve essere rieducativa, l'articolo 27, all'ultimo comma, ribadisce la non ammissibilità della pena di morte.

In verità, nel nostro ordinamento la pena capitale era già stata soppressa per legge nel 1944, ma la Costituzione consacra il principio di civiltà per cui la vita deve essere considerata sacra anche dallo Stato.

Il testo costituzionale ammetteva, al quarto comma, la pena capitale per i militari soltanto in caso di guerra, ma una legge del 1994 ha abolito la pena di morte dal codice penale militare di guerra e l'ha sostituita con l'ergastolo.

Nel 2007 la pena di morte militare è stata cancellata anche dalla Costituzione (L cost. 1/2007).

La responsabilità dei dipendenti pubblici

L'articolo 28 prevede la responsabilità personale dei dipendenti pubblici, per cui una persona che presta la sua attività alle dipendenze dello Stato, se compie atti in violazione di determinati diritti, ne risponde personalmente.

I funzionari e i dipendenti pubblici, in genere, sono responsabili sul piano penale, civile e amministrativo, ma il testo costituzionale si riferisce in particolare alla responsabilità civile, che è estesa anche allo Stato o all'ente pubblico dal quale il lavoratore dipende, per meglio tutelare il cittadino che dovesse subire il danno.

In passato, i magistrati erano assoggettati solo in parte a questa norma, in quanto erano responsabili civilmente soltanto in alcuni casi; in seguito a un referendum abrogativo, le disposizioni che prevedevano tale eccezione sono state cancellate, per cui, anche i magistrati rispondono per dolo o colpa grave commessi nell'esercizio delle loro funzioni.

In seguito, però, la responsabilità indiretta del magistrato è stata fortemente rafforzata (L 18/2015): è stata ridefinita la colpa grave, sono stati allungati i tempi (tre anni) di richiesta di risarcimento contro lo Stato e, in caso di condanna, lo Stato, entro due anni dal pagamento del risarcimento, deve esercitare l'azione obbligatoria di rivalsa nei confronti del magistrato.