Nato intorno al mille e morto nel 1083. Monaco nell'abbazia di Marmoutier, era figlio del visconte di Tours. È diventato monaco verso il 1064 in tarda età dopo essersi dedicato all'attività politica e amministrativa. All'epoca della famosa disputa con Anselmo, alla quale deve la sua notorietà teologica, aveva circa settantacinque anni. La sua opera principale è quella dedicata alla disputa con Anselmo intitolata Quid ad haec respondeat quidam pro insipiente, più noto come Liber pro insipiente. Le acute osservazioni di Gaunilone si appuntano su due questioni centrali dell'argomentazione di Anselmo. Infatti, mentre per Anselmo è quasi scontato che vi sia una relazione determinante tra parole e cose, per Gaunilone l'inferenza è molto meno evidente di quanto possa sembrare, visto che non è affatto scontato che chi ascolta la definizione anselmiana per cui Dio è ciò di cui non si può dare niente di maggiore ne comprenda con chiarezza il significato e ne possieda il concetto in modo pertinente. In secondo luogo, non è affatto chiaro nemmeno quanto sia attendibile il passaggio che Anselmo compie dall'essere nell'intelletto all'essere reale nelle cose stesse. Sul primo punto Gaunilone osserva che anche ammettendo, come fa Anselmo, che solo rifiutando il passaggio dalle parole al significato a cui esse si riferiscono l'insipiente avrebbe ragione di negare la realtà di Dio, di fatto esiste la possibilità della falsità di un enunciato o della sua erroneità che rimetterebbe in gioco la sicurezza dimostrativa dell'affermazione di Anselmo e la sua relazione immediata tra parola e cosa significata. Perciò poiché Dio è termine che rimanda a una cosa significata, esso è pienamente intelligibile solo se di Dio si ha una qualche esperienza. Sul secondo punto Gaunilone obietta che dall'esistenza nell'intelletto non deriva univocamente la realtà della cosa, come già affermato nel primo punto, perché se così fosse basterebbe una definizione di perfezione per giungere alla realtà della cosa perfetta. Una definizione di perfezione dunque non è sufficiente per la realtà in sé della cosa stessa, perché sarebbe come ammettere che se noi avessimo l'idea di un'isola perfetta da essa discenderebbe la sua stessa realtà.
STUDI: G. D'ONOFRIO, Anselmo d'Aosta, in Storia della teologia medievale, op. cit., vol. I, I Principi, pp.509-513; F. CORVINO, Anselmo d'Aosta, in M. DAL PRA (a cura di) Storia della filosofia, op. cit., vol. V pp. 188-191.
FRANCESCO FRANCO