La situazione della Chiesa alla fine del Medioevo era del tutto particolare. La più grande autorità spirituale dell’Occidente cristiano aveva uno stato vero e proprio in Italia, mentre possedeva, sparsi in tutta Europa, feudi e conventi, che costituivano il più vasto patrimonio terriero del continente.
I pontefici amministravano quindi un immenso potere spirituale e temporale e la corte papale di Roma rispecchiava certamente questa straordinaria potenza. Anche se i nuovi stati nazionali che andavano affermandosi in Europa mal sopportavano una presenza così invadente sul proprio territorio, papi come Sisto IV, Alessandro VI e Giulio II gestivano il potere temporale non diversamente dai sovrani del loro tempo: promuovevano o disfacevano alleanze militari con i vari stati europei e cercavano di ingrandire la potenza territoriale della Chiesa o di creare un dominio per i propri familiari.
Naturalmente, queste esigenze avevano accresciuto enormemente le necessità finanziarie della corte pontificia: di qui un uso sempre più spregiudicato delle prerogative spirituali svendute per motivi di lucro. Non solo la vendita delle indulgenze, ma anche il commercio più indecoroso delle alte cariche ecclesiastiche, non esclusa quella di pontefice, spesso demandata ad accordi di tipo politico o a durissimi giochi di scambio diplomatico.
In questo contesto di decadenza "spirituale", che coinvolgeva gran parte degli apparati, è ovvio che venissero meno la credibilità e la dignità del clero. Si fecero così sempre più frequenti le voci che, dall’interno del mondo cattolico, denunciavano la necessità di una riforma morale della Chiesa.
Secondo la dottrina cristiana, il papa, come rappresentante di Cristo sulla terra, aveva la possibilità di annullare, in tutto o in parte, le penitenze temporali previste in remissione dei peccati, in cambio di un’opera buona compiuta su richiesta della Chiesa. Il potere di annullamento veniva appunto chiamato indulgenza.
Il ricorso all'indulgenza venne legittimato, fra il XIII e il XIV sec., dalla dottrina del cosiddetto "tesoro" dei meriti accumulati da Gesù e dai santi: in sostanza, si credeva che la Chiesa potesse attingere liberamente a questo patrimonio di meriti, evitando le pene più gravose (digiuni, pellegrinaggi e flagellazioni) per quei peccatori che si fossero pentiti e debitamente confessati.
Le indulgenze, utilizzate inizialmente per spingere i cristiani a partecipare alle crociate, ebbero in seguito un vasto campo di applicazione, legandosi sempre di più alla concessione di elemosine in denaro, utilizzate a fini assistenziali o per la costruzione di opere pubbliche con finalità religiose.
Le credenze relative alle indulgenze divennero sempre più abusive alla fine del Medioevo; il potere remissorio fu esteso dalla colpa alla pena, dalle pene temporali inflitte dalla Chiesa a quelle da scontare in purgatorio; dalle colpe proprie a quelle dei parenti defunti. La vendita delle indulgenze si trasformò, progressivamente, in un vero e proprio mercato della remissione a pagamento dei peccati.
Come un goccia che progressivamente si ingrossa fino a diventare un fiume impetuoso, le 95 tesi che un oscuro monaco tedesco affisse nel 1517 alla porta della cattedrale di Wittemberg per condannare la pratica e il commercio delle indulgenze, provocarono la più drammatica divisione conosciuta dall’Occidente cristiano. Il monaco si chiamava Martin Lutero (Eisleben 1483-1546) ed era originario della Sassonia.
La famiglia era di modeste origini, ma godeva di una certa agiatezza. Dopo un’infanzia caratterizzata da un’educazione familiare piuttosto rigida e autoritaria, fu avviato agli studi e si trasferì all’università di Erfurt. Nel 1505, dopo essere scampato alla caduta di un fulmine, fece voto di farsi monaco, entrando nel convento degli agostiniani di Erfurt, dove nel 1507 fu nominato sacerdote. Incaricato dal suo ordine dell’insegnamento della teologia e della filosofia, venne distaccato presso l’università di Wittemberg.
Nel 1511 fu inviato dall’ordine in missione a Roma, dove, entrato in contatto con gli ambienti vaticani, rimase dolorosamente colpito dallo sfarzo e dalla vita mondana che caratterizzava la curia romana. Ne conseguì un periodo di grande travaglio interiore e di profonde meditazioni sulle Sacre Scritture; è in questi anni infatti che maturano le basi rivoluzionarie del suo pensiero e della sua teologia. I pilastri fondamentali della sua dottrina possono essere sintetizzati nei seguenti principi: a) il "libero esame" delle Sacre Scritture, che contengono l’unica verità e sono il dono di Dio per la salvezza degli uomini. Ciascuno deve avere quindi la possibilità di leggerle e di interpretarle secondo la propria coscienza. b) La fede è l’unico mezzo per la salvezza eterna, che dipende solo dalla volontà divina.
Tutte le pratiche terrene, a partire da quelle controllate dalla Chiesa, sono completamente inutili. c) Affermazione del carattere mondano e negazione dell’origine divina della Chiesa e rifiuto della sua esclusività nell’opera di intermediazione fra Dio e l’uomo. L’affermazione di questi principi, espressi fin dalle tesi del 1517 e ribaditi negli scritti successivi, minavano alla base il potere e il ruolo millenario della Chiesa cattolica: il contrasto teologico divenne così insanabile.
I giudizi sulla figura di Lutero hanno risentito a lungo delle profonde divisioni e degli odi feroci che questa ha suscitato negli opposti schieramenti: monaco corrotto e dissoluto per gli uni, uomo di intensa spiritualità e di integerrimi principi per gli altri. Sgombrato il campo dalle passioni di basso profilo, la figura di Lutero va invece analizzata nel contesto e nelle contraddizioni di un’epoca segnata da grandi processi di cambiamento.
Nel 1520 si consuma irrimediabilmente il distacco di Lutero da Roma. La pubblicazione di tre opere fondamentali del pensiero luterano (Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, scritta in tedesco, Della cattività babilonese della Chiesa e Della libertà del cristiano, entrambe in latino) sembrò frustrare definitivamente ogni tentativo del pontefice Leone X - che Lutero appellava pesantemente come l’"Anticristo in persona" - di riportare all’ortodossia il monaco tedesco.
Anche la bolla papale Exurge Domine (15 giugno 1520), con cui lo condannava per le sue tesi e lo invitava a ritrattare, cadde nel vuoto (anzi nel fuoco visto che il monaco la distrusse pubblicamente). Inevitabilmente giunse la scomunica, diramata il 3 gennaio 1521: il movimento di riforma però aveva ormai iniziato a fare presa e a diffondersi sempre di più. Il nuovo imperatore Carlo V indisse, nell’aprile 1521, una dieta dell’impero a Worms, per cercare di ottenere una pubblica ritrattazione da parte di Lutero, ma ottenne solo un deciso rifiuto a rinnegare i propri principi.
La messa al bando del frate e la condanna del suo pensiero come eretico lo ponevano a rischio della vita; si mosse allora il principe di Sassonia, Federico III, che prese sotto la sua protezione Lutero e lo ospitò per circa un anno nel castello di Wartburg in Turingia, dove il frate iniziò la sua monumentale opera di traduzione in tedesco della Bibbia (completata nel 1534), che segnò una tappa fondamentale anche per l’unità linguistica di una regione drammaticamente divisa.
Nonostante i tentativi di contrastarne l’avanzata, le dottrine luterane si diffusero rapidamente soprattutto nella Germania settentrionale, dove trovarono terreno fertile nell’appoggio garantitogli dai principi tedeschi. Questi infatti vi riscontrarono un mezzo efficace per incamerare i beni ecclesiastici e per indebolire i vincoli di dipendenza dall’imperatore, che, per indole personale e per considerazioni di carattere politico, rimaneva saldamente legato alla Chiesa di Roma e ai suoi interessi.
Dopo la cosiddetta "Rivolta dei Cavalieri", un’ampia sommossa della piccola nobiltà contro le proprietà ecclesiastiche guidata dall’umanista Ulrich von Hutten e da Franz von Sickingen e domata nel sangue nel 1523, un incendio ben più grave ed esteso sconvolse i territori germanici nei primi anni Venti. Dalle pieghe delle difficili condizioni economiche e dal penetrare della predicazione luterana, che richiamava allo spirito della semplicità evangelica, prese corpo un esteso movimento di rivolta contadina, che faceva dell’egualitarismo e della critica sociale i propri vessilli per reclamare migliori condizioni di vita e di lavoro.
Trovata una guida nel monaco agostiniano Thomas Müntzer (1467 ca.-1525), già seguace di Lutero e personalità intrisa di forte misticismo che portò la predicazione evangelica su posizioni molto più radicali, il movimento, sorto nel 1523 nell’area della Selva Nera, si diffuse rapidamente in Svevia e nella Germania centro meridionale, coinvolgendo un territorio che andava dalla Turingia al Tirolo, dall’Alsazia alla Svizzera. Furono contagiate dal vento di rivolta anche alcune popolazioni urbane, come quelle di Magonza e di Colonia.
Non mancarono gli eccessi di violenza, che portarono al saccheggio delle proprietà della Chiesa, di chiese e conventi e di castelli e residenze signorili. All’inizio del 1525, il movimento si diede un’organizzazione più efficace - furono create anche delle "alleanze" locali -, puntando verso obiettivi comuni che furono sintetizzati nei cosiddetti Dodici articoli. Si trattava di una serie di rivendicazioni che mostravano come, assieme alla riforma della religione, il programma volgesse anche verso un sovvertimento dell’ordine sociale ed economico: abolizione di qualsiasi servitù personale, secondo i principi originari del Vangelo, abolizione delle decime, possibilità di eleggere e destituire i parroci e ritorno ad un libero uso delle foreste, dei boschi e dei pascoli secondo i diritti consuetudinari.
L’abbattimento dell’ordine costituito provocò la violenta condanna da parte dello stesso Lutero, che, pubblicata un’opera dal titolo significativo Contro le empie e scellerate bande dei contadini, si fece promotore presso i principi tedeschi della necessità di soffocare la rivolta. Nel maggio del 1525 le truppe inviate dai principi tedeschi incontrarono nei pressi di Frankenhausen, in Turingia, l’esercito contadino di Müntzer forte di circa 10.000 uomini, annientandolo completamente. La rivolta fu soffocata nel sangue: si calcola che furono decine di migliaia coloro che morirono in battaglia e che furono massacrati, torturati e bruciati nella successiva repressione, a cominciare dallo stesso Müntzer.
Convinto che ogni autorità derivasse da Dio, Lutero si mostrò sempre favorevole all’assolutismo dei principi e al fatto che la riforma religiosa di un territorio dovesse dipendere dall’autorità sovrana che lo governava. Di qui il carattere di religione di stato che assunse, fin dall’inizio, il movimento luterano; proprio questo suo carattere e il forte accento germanico, che significava anche l’allontanamento da condizionamenti sovranazionali, ne favorirono la diffusione e il successo nelle corti principesche e nei governi municipali della Germania.
La predicazione luterana ebbe poi una forte presa sulla popolazione, scendendo dal piedistallo delle dispute teologiche per venire incontro, evidentemente, ad esigenze e sentimenti piuttosto diffusi in ambito germanico e acuiti dalle particolari condizioni sociali, politiche e culturali dell’epoca. Le idee di Lutero furono accolte con favore da tutti gli strati della società tedesca e iniziarono rapidamente ad essere applicate.
Risposero con entusiasmo alla predicazione anche le frange più povere del proletariato urbano e gli stessi contadini che, impressionati dalla violenta condanna di ogni sfruttamento, interpretavano l’esaltazione luterana della libertà interiore come un invito alla libertà da qualsiasi oppressione.
I ceti dirigenti apprezzarono soprattutto il rassicurante richiamo a vivere dignitosamente la propria vita, l’accento posto sul rispetto e l’obbedienza alle autorità e la salvaguardia dell’ordine sociale costituito, ma guardarono anche con favore ai vantaggi economici offerti dal distacco da Roma: si sarebbe interrotto il fiume di denaro che, attraverso le tasse, scorreva verso l’Italia, mentre le vaste proprietà ecclesiastiche sarebbero state un bottino particolarmente appetito.
Quest’ultimo punto era apprezzato dagli stessi governanti, che intravedevano l’occasione per impadronirsi e riconquistare un vastissimo lembo del proprio territorio, fino allora di proprietà di uno stato lontanissimo ma influente. La predicazione luterana contro Roma risvegliò probabilmente nel popolo tedesco sentimenti sopiti di orgoglio germanico e un certo fervore di tipo nazionalistico che, se non aveva la possibilità di coagularsi sul piano politico, trovò però i canali per esprimersi sul piano religioso e culturale.
La lotta contro l'imperatore
Naturalmente la divisione religiosa, che andava a sommarsi alla frammentazione politica, non poteva che entrare in conflitto con l’idea di impero universale del cattolicissimo sovrano Carlo V. Alla fine degli anni Venti del '500, l’imperatore si pronunciò ancora contro la rivolta, rinnovando la condanna di eresia e convocando a Spira, nell’aprile 1529, una dieta imperiale, in cui invitava i principi e le città che avevano abbracciato il luteranesimo a rinunciarvi, estendendo a tutta la Germania l’editto di Worms.
Cinque principi e quattordici città, però, non si sottomisero e protestarono contro le decisioni dell’imperatore (da qui il termine "protestanti" che accomuna i fedeli del luteranesimo). Un nuovo tentativo di riunificazione ad Augusta, l’anno successivo (giugno 1530), nonostante il ruolo direttivo assunto dall’umanista Melantone, seguace di Lutero ma rispetto a lui assai più conciliante, si risolse ancora in un insuccesso per l’abbandono delle trattative da parte dei protestanti.
I principi che avevano abbracciato la fede luterana, guidati dal langravio d’Assia, Filippo I, detto il Magnanimo, fecero blocco contro le imposizioni dell’imperatore, costituendo, nel 1531, un’alleanza militare detta Lega di Smalcalda (da una località della Germania centrale). Gli anni successivi videro incrudelire il conflitto sul piano politico: la componente protestante strinse accordi diplomatici con Francesco I di Francia, avversario irriducibile di Carlo V.
Il ricorso alle armi rimase infatti l’unica strada percorribile, vista la ormai inevitabile scissione fra cattolici e protestanti, palesatasi in tutta la sua gravità dopo il fallito tentativo di indire un concilio della Chiesa aperto a tutte le componenti per riconciliare le parti. La guerra ebbe vicende alterne: nel 1547 l’imperatore ottenne una grande vittoria nella battaglia di Mühlberg, ma alcuni anni dopo subì una serie di sconfitte che, sommandosi all’andamento negativo dei conflitti contro i turchi e i francesi, lo convinsero a stringere accordi con la Lega di Smalcalda.
Nel 1555 fu quindi firmata la pace di Augusta, che sanzionò la divisione religiosa dell’Europa: secondo il principio Cuius regio, eius religio, il diritto di scegliere la fede religiosa veniva infatti riservato al sovrano di un determinato territorio.