Il carattere predominante della politica in Italia nel corso del '400 fu l’impossibilità di raggiungere una qualche forma di unificazione. Signorie e stati regionali componevano il quadro politico della penisola; erano soprattutto quattro i soggetti a disputarsi la scena in una serie interminabile di conflitti, di alleanze e di ribaltamenti: il ducato di Milano, signoria prima dei Visconti e poi dal 1450 della famiglia Sforza; la "Serenissima" Repubblica di Venezia; lo stato fiorentino dei Medici, signoria "mascherata" dal persistere di strutture organizzative di tipo repubblicano; il Regno di Napoli, che nel 1442 era passato dalla dinastia francese degli Angiò a quella spagnola degli Aragona.
A questo panorama vanno aggiunti il dominio del papa nell’Italia centrale e gli stati e staterelli minori gravitanti nell’orbita politica e dinastica di questa complessa trama di poteri territoriali.
L’estrema frammentazione e i numerosi conflitti sembrarono trovare un punto di equilibrio intorno alla metà del secolo, quando, in seguito alle ripercussioni di importanti avvenimenti internazionali, come la fine della guerra dei Cent’anni e la caduta di Costantinopoli per mano dei turchi, si raggiunse a Lodi (1454) una pace che sembrò assicurare per alcuni decenni durature condizioni di stabilità.
Nella seconda metà del '400, l’Italia poté godere così di un periodo ininterrotto di pace che assicurò le necessarie condizioni di prosperità per quella straordinaria fioritura di civiltà che va sotto il nome di Rinascimento.
Sul piano politico, l’interprete principale di questo contesto di equilibrio fu Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico, splendido esempio di principe rinascimentale, amante delle arti e delle sottigliezze della politica. Alla fine del secolo, il fragile equilibrio iniziò però a mostrare delle crepe sempre più evidenti e la debolezza politica dell’Italia non resse il confronto con nuovi agguerriti soggetti.
È merito di Luigi XI (1423-83), figlio e successore nel 1461 di Carlo VII, il re incoronato nel 1429 dalla pulzella d’Orléans, mettere a frutto la favorevole conclusione della guerra dei Cent’anni riunificando la Francia sotto il proprio scettro. Dopo aver combattuto i grandi feudatari riuniti nella cosiddetta Lega del bene pubblico (1465), sconfigge anche Carlo il Temerario, duca di Borgogna, alla morte del quale (1477) occupa gran parte dei territori borgognoni.
Nel 1481 eredita beni e diritti della casa d’Angiò, rafforzando il potere della corona che ormai detiene saldamente il controllo di quasi tutto il territorio nazionale, eccettuata la Bretagna. Toccherà al figlio Carlo VIII (1470-98), succedutogli, appena tredicenne, nel 1483, guadagnare anche questo importante lembo di terra grazie al matrimonio con Anna di Bretagna (1491).
La pacificazione e la solidità del regno gli consentono di guardare al di là dei confini, ed egli tenta di approfittare della precarietà dell’equilibrio politico italiano per radicarsi nella penisola protesa nel Mediterraneo, rompendo l’accerchiamento dei suoi scomodi e potenti vicini.
L’Italia, con le sue ricchezze e le sue profonde divisioni, apparve come una terra di conquista che non mancava di suscitare le mire dei suoi potenti vicini, i quali, come nel caso della Francia e del suo sovrano, potevano vantare interessi non trascurabili nella penisola: in primo luogo, la parentela coi Visconti gli vale diritti di successione sul ducato di Milano usurpato da Lodovico il Moro; inoltre, dell’eredità di casa d’Angiò fanno parte i diritti feudali sul regno di Napoli, in mano agli aragonesi; in secondo luogo, l’Italia poteva diventare la principale base di operazioni per organizzare una nuova crociata contro l’incombente pericolo turco nel Mediterraneo.
Furono però le complesse trame della politica italiana a richiedere direttamente l’intervento di Carlo VIII. Le morti di Lorenzo il Magnifico e di papa Innocenzo VIII nel 1492, seguite nel 1494 da quella di Ferdinando d’Aragona, re di Napoli, minano definitivamente l’equilibrio politico italiano. Ludovico Sforza detto "il Moro", divenuto signore di Milano a spese dell’erede legittimo, suo nipote Gian Galeazzo, morto in circostanze poco chiare nel 1494, chiese l’aiuto del re di Francia per difendersi dalla minaccia degli aragonesi di Napoli, che vantavano diritti sul ducato per via del matrimonio di una loro esponente, Isabella, proprio con il defunto duca.
Lodovico il Moro, in cambio del riconoscimento del proprio diritto al ducato milanese, assicura a Carlo VIII, ribattezzatosi d’Angiò per sottolineare i propri diritti sul napoletano, appoggio e via libera attraverso le sue terre. Il re francese, rotti gli indugi, valica le Alpi -non senza aver fatto concessioni territoriali a Ferdinando il Cattolico di Spagna (trattato di Barcellona 1493) e all’imperatore Massimiliano d’Austria (trattato di Senlis 1493) e aver ammansito l’ostilità del re d’Inghilterra Enrico VII (trattato di Étaple 1492) con elargizioni di denaro - per impossessarsi del regno di Napoli. Complice anche la neutralità di papa Alessandro VI Borgia, ufficialmente alleato degli aragonesi.
La discesa di Carlo VIII in Italia, alla testa di un potente esercito accompagnato da apparati di artiglieria mai visti sino allora, provocò, a partire dal settembre 1494, un vero e proprio terremoto politico-militare.
La discesa lungo la penisola verso il nuovo regno è poco più di una passeggiata; il re supera le Alpi al Monginevro con un esercito di 40.000 uomini, imperniato sulla cavalleria, in possesso di pezzi di artiglieria pesante da campagna e di un corpo dotato di nuove armi da guerra costruite in seguito all’invenzione della polvere da sparo.
Accolto trionfalmente a Milano, l’esercito francese si diresse poi verso il meridione. Il passaggio dalla Toscana e da Firenze, provocò un'insurrezione generale e la cacciata dei Medici da Firenze; dopo dieci giorni la lascia in mano al Savonarola.
Occupata Roma senza colpo ferire, il 22 febbraio 1495 entra da trionfatore a Napoli, dov'è incoronato il 12 maggio. In soli 13 giorni, l'esercito francese occupò, praticamente senza incontrare resistenza, il Regno di Napoli.
Nella città campana, la sifilide prende a serpeggiare tra i francesi, che diffondono il contagio in tutta Italia allorché sono costretti a una precipitosa ritirata dal costituirsi della "Lega di Venezia".
Infatti, la fulminea vittoria francese provocò una situazione di allarme e una serie di reazioni a catena: gli stati italiani - in particolare Venezia, lo Stato Pontificio e la stessa Milano - si strinsero in una lega che vide la partecipazione dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo e soprattutto del re di Spagna e di Sicilia, Ferdinando il Cattolico d'Aragona, entrambi preoccupati di un predominio francese in Italia e, allo stesso modo, assai interessati ad intervenire nelle vicende politiche della penisola.
Per evitare di rimanere intrappolato, Carlo VIII risalì rapidamente la penisola per rientrare in Francia; rischiò la disfatta a Fornovo sul Taro, nei pressi di Parma, chiave dei passi appenninici, dove lo attendeva l’esercito della Lega comandato da Francesco II Gonzaga.
Grazie alla potente artiglieria l’esercito francese riuscì faticosamente a rompere lo schieramento avversario e a mettersi in salvo ad Asti. È il 6 luglio 1495: solo a stento i francesi riescono a riparare in Francia, abbandonando, per il momento, i progetti di conquista.
Tre giorni dopo Ferdinando d’Aragona rientra a Napoli, mentre Carlo torna a casa con un pugno di mosche, morendo di lì a poco. L’avventata impresa italiana di Carlo VIII ha minato per sempre l’equilibrio della penisola.
Morto senza eredi diretti Carlo VIII, a soli ventotto anni, gli succede sul trono di Francia il cugino Luigi XII (1498-1515), figlio di Carlo duca d’Orléans e di Anna di Clèves. In un primo tempo questi ha contrastato la reggenza istituita in nome del tredicenne Carlo VIII; ma, sconfitto nella battaglia di Saint-Aubin-du-Cornier (1488) e fatto prigioniero, è stato in carcere per tre anni.
Graziato, e nominato governatore di Normandia, segue Carlo VIII in Italia, dove con un colpo di mano tenta di conquistare il Milanese per proprio conto, ma fallisce. La morte di Carlo VIII gli apre la via della successione al trono di Francia.
Soprannominato "padre del popolo", assai popolare per i suoi provvedimenti fiscali, ottiene — grazie alla connivenza di Alessandro VI Borgia — l’annullamento del primo matrimonio con Jeanne, sorella del predecessore, e sposa la vedova di questi, Anna di Bretagna, per conservare alla corona il potente ducato.
Il nuovo sovrano riprese i progetti del predecessore sull’Italia, ancora più convinto che fosse facile trarre profitto dalle divisioni e dalle inimicizie degli stati italiani. Il primo obiettivo era ancora una volta il ducato di Milano, di cui il re di Francia rivendicava il possesso, essendo imparentato con i Visconti, la famiglia signorile spodestata dagli Sforza nel corso del XV sec.
Tornato in Italia, nel 1499 strappa il Milanese a Lodovico il Moro; ma i milanesi insorgono, e Lodovico torna nel 1500. Ma Luigi, facendo ampie concessioni territoriali agli stati confinanti, torna all’assalto e l’impresa francese si risolse in un facile successo che portò alla cattura e all’imprigionamento di Ludovico il Moro (1500) che, portato in Francia, muore nel 1508 in un sotterraneo del castello di Loches.
Successivamente le mire di Luigi XII si rivolsero al regno di Napoli che venne occupato in breve tempo. L’accordo con il re di Spagna Ferdinando il Cattolico, sulla base del trattato segreto di Granada (1500), alla prova dei fatti venne però meno: il progetto di spartizione del mezzogiorno fra i due sovrani (la Campania e l’Abruzzo alla Francia, la Puglia e la Calabria alla Spagna) fu rimesso in discussione, provocando un conflitto militare che si risolse nel 1504 (armistizio di Lione) con la vittoria della Spagna, che rimase padrona dell’Italia meridionale. La Francia manteneva invece il controllo sullo stato milanese.
È da collocare nella guerra franco-spagnola in Italia meridionale il celebre episodio della "disfida di Barletta" (1503), quando un gruppo di 13 cavalieri italiani al servizio della Spagna, guidati da Ettore Fieramosca, sconfisse in duello altrettanti cavalieri francesi che li avevano ingiuriati.
Nel 1506 i francesi sono cacciati una seconda volta da Napoli.
Nonostante la presenza di spagnoli e francesi, la situazione italiana rimaneva estremamente fluida sul piano politico. La morte di papa Alessandro VI della famiglia iberica dei Borgia (1492-1503) significò anche la fine repentina dello stato personale che suo figlio Cesare, detto il Valentino, era riuscito a costituire nell’Italia centrale, a cavallo fra la Romagna e le Marche.
La riorganizzazione dello Stato della Chiesa, attuata dal nuovo ed energico pontefice Giulio II (1503-1513), della famiglia Della Rovere, portò inevitabilmente allo scontro con la Repubblica di Venezia, che, alla caduta del Valentino, aveva occupato alcuni territori romagnoli e importanti città sull’Adriatico. Il papa si fece quindi promotore di una lega anti-veneziana, che fu stipulata a Cambrai, nelle Fiandre, nel 1508: vi aderirono la Francia, l’imperatore Massimiliano d’Asburgo e la Spagna.
L’esercito della "Serenissima" venne duramente sconfitto nella battaglia di Agnadello (1509) e le sorti stesse della repubblica sembrarono segnate; solo un’accorta politica di paci separate e di ampie concessioni territoriali agli avversari garantì la sopravvivenza dello stato veneziano.
A questo punto, riemersero i conflitti fra i recenti alleati; il papa temeva la preponderanza francese in Italia e il nuovo avversario divenne Luigi XII.
Quest’ultimo non reagì solamente sul piano politico, ma portò il conflitto anche sul piano religioso, convocando a Pisa un concilio che avrebbe dovuto provocare uno scisma per deporre il pontefice. La risposta, oltre alla scomunica del sovrano e alla convocazione di un concilio in Laterano, portò alla costituzione nel 1512 di una Lega Santa in funzione anti-francese, cui aderirono la Spagna, Venezia, l’Inghilterra e i cantoni svizzeri, tutti più o meno interessati a circoscrivere la potenza francese in Italia e ad approfittare sul piano territoriale di un’eventuale sconfitta. L’esito della guerra, nonostante la vittoria nella battaglia campale di Ravenna (11 aprile 1512), volse negativamente per la Francia, che, dopo ripetute sconfitte militari, fu costretta a ritirarsi dall’Italia, perdendo anche il ducato di Milano, che tornò a Massimiliano Sforza (1512-1515), figlio di Ludovico il Moro. Nel frattempo, anche Firenze era stata punita per la sua alleanza con i francesi; infatti sempre nel 1512 era caduta la repubblica e, dopo 18 anni di esilio, i Medici erano rientrati al potere al seguito di un potente esercito spagnolo-pontificio.
Battuti a Novara nel 1513, i francesi sono cacciati dall’Italia. Rimasto vedovo di Anna, Luigi sposa Maria d’Inghilterra, sorella sedicenne di Enrico VIII; sua figlia Claude si marita con Francesco d’Angoulême, che nel 1515 succederà al suocero col nome di Francesco I, riportando la guerra in Italia.
Il suo scontro con gli Asburgo in Italia perde il carattere di conflitto territoriale di conquista per diventare lotta per la supremazia e la sopravvivenza.
Nel 1515, a Marignano, il fuoco francese ha ragione della fanteria svizzera, e Francesco è di nuovo padrone del Milanese e arbitro d’Italia. Ma il tentativo di succedere a Massimiliano I nell’impero fallì e fu eletto Carlo V, contro il quale, nel 1521, iniziò una guerra che, salvo brevi interruzioni (1529-34; 1538-42; 1544-47) durò per tutta la sua vita.
Il nuovo rivale, Carlo V, che allo scettro imperiale unisce la corona di Spagna, forte dei crediti dei Fugger e dei metalli preziosi che affluiscono dalle Indie occidentali, riprende la lotta. Alla guerra Francesco prese personalmente parte e a Pavia, nel 1525, cadde prigioniero. Trasferito a Madrid, firmò un pesante trattato di pace col quale, oltre a concessioni politiche e territoriali, barattò la propria libertà con quella dei figli Francesco e Enrico, inviati ostaggi in Spagna. Si profila l’egemonia spagnola, che vede Carlo dominare, oltre al Milanese, anche il regno di Napoli, stringendo la Francia in una morsa, mentre gli stati italiani sono ridotti al ruolo di comprimari.
Dopo i convulsi decenni delle guerre d’Italia, nello scenario del confronto per l'egemonia in Europa tra Carlo V e Francesco I, che si concludono con la pace di Cateau-Cambrésis nel 1559, la Spagna possiede il ducato di Milano, i regni di Napoli, di Sicilia e Sardegna, e lo Stato dei Presidi, cioè un territorio in Toscana formato da porti e fortezze importanti nel sistema di comunicazione tra la Spagna, l’Italia meridionale e Genova. La pace segna un momento di stabilizzazione del sistema degli stati italiani e di definitiva affermazione dell’egemonia spagnola.
La fine delle "libertà d’Italia" coincide con un periodo, la seconda metà del Cinquecento, di relativa quiete e di cambiamenti. Anche se non direttamente posti sotto il dominio spagnolo, tutti gli stati italiani si trovano entro un orizzonte politico e anche culturale occupato dalla presenza spagnola.
I valori, i costumi, la mentalità, oltre alle forme della politica spagnole, penetrano profondamente negli stati della penisola. La monarchia spagnola adatta le scelte politiche e istituzionali alla variegata situazione dei singoli domini attraverso legami di fedeltà creati tra i principi e i ceti dirigenti, a cominciare da quelli posti sotto il suo dominio.
Principi, aristocratici e funzionari vengono perfettamente integrati entro il sistema attraverso alleanze matrimoniali e concessioni di onori e feudi; laddove maggiore è la pressione fiscale - frutto inevitabile della politica imperiale - le ricchezze vengono ridistribuite tra le famiglie detentrici del potere.