Il ritiro delle truppe russe dal fronte proprio nel momento di maggiore crisi per entrambe le coalizioni contendenti era stato causato dalla rivoluzione di febbraio. Il regime zarista fu travolto dalla ribellione di una popolazione stremata dalla guerra, ma già da tempo oppressa da una condizione sociale insostenibile. L'immenso impero zarista comprendeva moltissime nazioni: finlandesi, russi, mongoli, polacchi, georgiani, armeni ecc. ed era guidato dalla monarchia assoluta dei Romanov. L'impero zarista era lo stato più arretrato d'Europa. La lingua e la cultura dei russi era stata imposta a tutto l'impero. Personaggi ignoranti e corrotti dominavano la corte. Il monaco Rasputin, figura tragica e grandiosa, emblema dei tempi, divenne il vero padrone della Russia approfittando della debolezza dello zar. Nei vari territori dell'impero e nella maggiori città russe frequenti erano le ribellioni. Ricordiamo in particolare le sommosse del 1905, seguite alla sconfitta contro il Giappone. Ad un certo punto le sommosse divennero molto frequenti e diffuse, coinvolsero tutti gli strati della popolazione comprese le forze armate (famoso l'ammutinamento della corazzata Potempkin). Lo zar fu costretto a concedere la Costituzione, ma il diritto di voto fu concesso a pochissime persone e il parlamento (Duma) ebbe pochi poteri. La rivoluzione del 1905 non aveva modificato nè le strutture del Paese nè il governo autocratico. Inoltre la partecipazione alla guerra danneggiò in modo disastroso il già fragile sistema economico del Paese. Lo zar Alessandro II nel 1867 aveva abolito la servitù della gleba permettendo a venti milioni di contadini liberi di riscattare la terra sulla quale lavoravano. In conseguenza di tale riforma aumentò enormemente la produzione di frumento fino a superare quella degli Stati Uniti d'America. L'esportazione del frumento a basso prezzo in Europa, dati i bassi salari dei braccianti, permise la disponibilità dei capitali necessari per investire nell'industrializzazione di un paese completamente agricolo. Gli stati industrializzati occidentali vendevano alla Russia industrie complete di tutto e funzionanti, formavano tecnici e operai e assistevano la produzione per i primi anni. I primi settori industriali che si svilupparono furono il tessile e il siderurgico. Notevolissimi furono i progressi in campo petrolifero, tanto che nel 1910 la Russia produceva un quarto del petrolio consumato nel mondo. In 60 ani, dal 1850 al 1910 la popolazione era passata da 70 milioni a 161 milioni di abitanti. Nel 1911 gli addetti all'industria raggiungevano i cinque milioni: pochi rispetto al resto della popolazione, ma comunque abbastanza numerosi in assoluto e concentrati in poche grandi città (Pietrogrado, Mosca, Kiev, Rostov, Odessa, Baku). Questi lavoratori costituivano una base molto politicizzata e sindacalizzata: saranno loro i principali protagonisti della Rivoluzione Russa del 17.
Sotto il regime zarista erano vietati i partiti e i sindacati. Nel 1911, tuttavia, 40.000 operai erano segretamente iscritti al sindacato e altrettanti al partito socialdemocratico. Nel Congresso di Londra del 1903 il partito si scisse tra menscevichi e bolscevichi. I menscevichi (che in russo significa di minoranza) erano i più moderati: sostenevano un'alleanza strategica con la borghesia per l'ottenimento di riforme politiche e sociali. Questo allo scopo di portare il Partito socialdemocratico ad essere legalmente riconosciuto e poi ad ottenere il successo in libere elezioni politiche. I bolscevichi ("di maggioranza" in lingua russa) ritenevano inattuabile il progetto del partito menscevico in un paese arretrato e quasi privo di borghesia liberale come era la Russia. A loro avviso, quindi solo la rivoluzione avrebbe potuto realizzare i cambiamenti sociali auspicati dai socialisti, per la rivoluzione avrebbe permesso di impadronirsi del potere con la forza. Il contrasto tra bolscevichi e menscevichi riproduceva il disaccordo tra riformisti e massimalisti creatosi tra i socialisti occidentali. Le somiglianze però erano solo teoriche: In Europa occidentale si erano sviluppati la borghesia e il liberalismo insieme con il sindacato e i partiti socialisti che, a costo di dure lotte, avevano ottenuto il riconoscimento e il diritto di esistere. In Russia invece tutti i poteri appartenevano alla nobiltà zarista, mentre scarso peso politico aveva la poco numerosa borghesia. Inoltre il liberalismo non aveva casa in Russia e la polizia era particolarmente spietata contro ogni forma di organizzazione politica o sindacale. La base del partito menscevico era formata da operai specializzati, tipografi, ferrovieri, piccoli borghesi della classe impiegatizia; i bolscevichi avevano la base tra gli operai generici e tra i più poveri.
Vladimiri Ulianov detto Lenin era un esponente della piccola nobiltà terriera che era diventato uno dei leaders del partito bolscevico. Egli aveva rovesciato l'idea Marxista secondo cui la rivoluzione della classe operaia si sarebbe compiuta nei paesi più industrializzati come conseguenza del crescente sfruttamento degli operai da parte della borghesia. Lenin sosteneva, al contrario, che la rivoluzione avrebbe avuto luogo nei paesi più arretrati e poveri per le insostenibili condizioni di vita dei lavoratori. Questa elaborazione del pensiero marxista venne poi definito marxismo-leninismo. Secondo Lenin la parte più politicizzata e "cosciente" della popolazione aveva il compito di guidare e di fornire i metodi e le strategie a tutti gli altri anche a costo di imporli con la forza. Il suo minuscolo partito, quindi, sarebbe diventato la guida e l'avanguardia rivoluzionaria di una nuova società comunista. La nuova società nata dalla rivoluzione si sarebbe basata sulla dittatura del proletariato (cioè sul dominio di tale classe sociale sulle altre, che avrebbero finito con lo scomparire) e sulla collettivizzazione dei mezzi di produzione. La collettivizzazione avrebbe dovuto riguardare anche le terre riscattate da milioni di contadini dopo l'abolizione della servitù della gleba. Quindi si prospettava una società senza proprietà privata, senza classi sociali e senza più religione. Escluso e lontano dall’idea rivoluzionaria bolscevica restava tuttavia il mondo contadino: un mondo disperso in un territorio sterminato, chiuso in piccole realtà separate l’una dall’altra. Nel primo Novecento i viaggi erano ancora difficili e ogni regione della Russia contadina viveva una sua vita tradizionale scandita dal ritmo delle stagioni. D’inverno l’attività agricola si riduceva quasi a nulla a causa delle proibitive condizioni climatiche, della neve e del gelo. Poi, in primavera, iniziava il disgelo e si ritornava alla vita dei campi. Ogni villaggio viveva raccolto intorno a pochi edifici: la chiesa, il mulino, l’officina, del fabbro, in qualche caso la stazione delle diligenze e poi in quella della ferrovia. Dal punto di vista economico la campagna russa presentava situazioni e figure diverse. Molti erano i braccianti e i contadini poveri, proprietari di minuscoli fazzoletti di terra che li condannavano a una vita di miseria e Stenti. Ma esistevano anche contadini benestanti, se non proprio ricchi: i kulaki. Erano proprietari di appezzamenti un po’ più grandi, di piccole fattorie, di stalle con capi di bestiame. I contadini russi erano in gran parte analfabeti e legati a una cultura orale fatta di racconti e di leggende, di favole e di avventure,erano anche fortemente tradizionalisti e molto religiosi. Fra loro la Rivoluzione di Lenin avrebbe trovato enormi difficoltà.
Coinvolto nella prima guerra mondiale, il grande impero russo aveva dimostrato la fragilità e la debolezza della sua organizzazione politica e militare. In particolare, mentre le numerose sconfitte mettevano a nudo l'impreparazione dell'esercito, la produzione agricola si riduceva sempre di più, anche perché la maggior parte dei soldati proveniva dalle campagne, che restarono alle cure delle donne e dei vecchi. Durante l'inverno 1916-17 vi fu una dura carestia e molte città rimasero addirittura prive di generi alimentari. La fame provocò sollevazioni popolari e disordini. Nel febbraio 1917 violente dimostrazioni operaie contro il governo imperiale scoppiarono a Pietrogrado. Fu questa la prima fase della rivoluzione, la cosiddetta rivoluzione di Febbraio. L'imperatore Nicola II fu costretto ad abdicare a favore del fratello Michele, il quale tuttavia rifiutò di assumere il potere. Cessò così di esistere l'impero degli zar. Dopo il crollo della monarchia zarista, due furono le forze che spontaneamente si organizzarono per prendere in mano le sorti della Russia: da una parte la borghesia liberale, dall'altra gli operai e, in parte minore, i contadini. Si formò un governo provvisorio, guidato da un principe liberale che aveva l'appoggio della borghesia. Gli operai delle fabbriche, i contadini delle zone prossime alle città e i soldati formarono dei soviet (in russo soviet vuol dire "consiglio") che avrebbero dovuto governare le fabbriche, le città, i villaggi e i reparti dell'esercito. Quella dei soviet non era un'esperienza nuova: se ne erano formati anche durante la Rivoluzione del 1905 ed erano stati sciolti quando il governo zarista aveva ripreso il controllo della situazione. Il governo borghese e il popolo dei soviet erano divisi da un profondo disaccordo su molti punti, ma in particolare sulla condizione della guerra: il governo infatti intendeva proseguire la guerra a fianco degli alleati dell'Intesa, mentre le classi popolari, quelle che avevano subito le sofferenze più dure, desideravano una pace immediata.
A metà del giugno 1917 un'offensiva dell'esercito russo fu fermata dai tedeschi e si risolse in un ennesimo disastro militare. La guarnigione di Pietrogrado si rivoltò contro il governo invitando il soviet della città a prendere tutto il potere. La rivolta fallì e molti esponenti del partito bolscevico furono arrestati. Lenin fuggì in Finlandia. La guida del governo fu affidata al socialista Kerenskij nella speranza che questi potesse riconquistare il consenso popolare. La politica di Kerenskij fu ambigua su un punto che invece era ormai decisivo per il popolo russo: la pace. Egli prese tempo, rimandando ogni decisione. Debole fu inoltre la sua posiziona nei confronti di un colpo di stato tentato dal generale Kornilov, comandante supremo dell' esercito per stabilire una dittatura militare. Il colpo di stato fu sventato dai bolscevichi che organizzarono la resistenza armata contro il generale e decisero di prendere il potere. Durante la notte fra il 6 e il 7 novembre 1917 formazioni armate bolsceviche occuparono tutti i punti strategici di Pietrogrado. L'8 novembre presero d'assalto e conquistarono il palazzo d'inverno, un'antica residenza imperiale dove era riunito il governo Kerenskij. Istituirono poi il nuovo governo rivoluzionario: il soviet dei commissari del popolo. Secondo il calendario allora in uso in Russia la data del 7 novembre corrispondeva al 25 ottobre. E' per questo che la rivoluzione iniziata in quel giorno è nota come la Rivoluzione d'Ottobre. Le prime iniziative prese dal governo rivoluzionario furono l'impegno a firmare una pace immediata con la Germania (pace di Brest- Litovsk) e un decreto che confiscava le grandi proprietà terriere. Con un altro decreto fu stabilito il controllo degli operai sulla produzione industriale.
Dopo la pace con la Germania la situazione continuò ad essere drammatica: in tutto il paese infuriava infatti la guerra civile. Contro il governo rivoluzionario si schierarono i generali rimasti fedeli all’imperatore, con le loro armate che furono dette armate bianche. La controrivoluzione trovò l’appoggio delle regioni che volevano costituirsi in repubbliche indipendenti come l’Ucraina, la Georgia, il Caucaso e l'Armenia. Le grandi potenze: Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Giappone, per evitare che la rivoluzione si allargasse fuori dai confini russi, inviarono truppe a sostegno delle armate bianche. Lenin e Lev Davidovic Trotzkij, suo strettissimo collaboratore, agirono con grande durezza e decisione. Trotzkij in persona organizzò un esercito fedele alla rivoluzione, l’Armata rossa. Lo zar, già imprigionato in una località di campagna, Ekaterinenburg, venne fucilato con tutta la sua famiglia (1918). Lenin istituì una polizia politica, la Ceka, che perseguitò in modo spietato la borghesia, i contadini e perfino gli esponenti socialisti, rivoluzionari e anarchici che non avevano aderito al partito bolscevico. La guerra civile fu crudele e sanguinosa, tanto che si è parlato di "terrore bianco" e "terrore rosso". Moltissimi pagarono con la vita , fucilati o impiccati, la scelta di sostenere l’una o l’altra parte. Il 1921 segnò la vittoria dell’Armata rossa: le truppe straniere vennero ritirate, si arresero i generali zaristi, furono sconfitti i governi autonomi che si erano formati in Ucraina, Georgia, Armenia. Nacque un nuovo stato: l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. (URSS).
Problemi enormi attendevano il nuovo governo sovietico, che aveva confiscato tutti i mezzi di produzioni (terre, industrie, macchinari, miniere) e li aveva dichiarati di proprietà collettiva. La produzione agricola era nel frattempo calata al 55% rispetto a quella degli anni precedenti la guerra, mentre quella industriale era crollata addirittura al 10% e il commercio estero quasi non esisteva più. Lenin stesso si rese conto che non era possibile creare da un giorno all'altro una vera economia comunista. Trovò quindi una soluzione di compromesso che chiamò Nuova Politica Economica (abbreviato in NEP). I contadini furono autorizzati a mantenere una certa quantità di terre in proprietà privata. Solo le proprietà che superavano certe dimensioni divennero collettive. Nei settori dell'industria e del commercio lo Stato si limitò ad appropriarsi di tutte quelle aziende che impiegavano più di 20 dipendenti per un totale di circa 37000 imprese. Restarono private quelle di dimensioni inferiori. In sostanza, restarono in mano ai privati molte proprietà contadine di dimensioni medio-piccole, gran parte del commercio interno, la piccole aziende familiari. Nonostante i severi limiti posti alle attività private, la NEP diede subito fiato alla disastrata economia sovietica: negli anni 1923-24 solo il 38,5% della produzione totale era frutto del lavoro del settore statale, mentre tutto il resto provenne dalle libere attività dei privati. La percentuale della produzione privata sul totale salì a oltre il 98% nell'agricoltura, grazie soprattutto all'intraprendenza dei Kulàki, i contadini benestanti.