"Irregolare, bizzarro, ineguale".
Innumerevoli definizioni per un termine, "barocco", che dall’iniziale applicazione al solo ambito artistico ha finito per essere esteso, con non poche approssimazioni, all’intera civiltà europea della prima metà del '600.
Si parla quindi di "uomo barocco", di "stato barocco", di "società barocca", cercando di racchiudere in un’unica definizione aspetti diversissimi e complessi.
Ma fu soprattutto nel linguaggio delle arti figurative e architettoniche, nella sensibilità letteraria e musicale che si affermò questo gusto particolare, questo uso dell’arte come mezzo efficace di persuasione e di comunicazione.
L'intensità, l'immediatezza, la cura per il dettaglio, le emozioni sembrano essere componenti fondamentali dell'arte barocca, basata su un'estetica intrisa di spiritualità e di misticismo che trovava spesso le corde migliori per esprimersi nell'accentuata tendenza al naturalismo, ad estrarre dalla realtà le emozioni del soprannaturale.
Il movimento e la tensione, i forti contrasti di luce e ombra accentuano l'effetto drammatico di dipinti, sculture e opere architettoniche.
In realtà anche in ambito artistico il termine ha finito per essere onnicomprensivo, raccogliendo esperienze, ispirazioni, tematiche talora assai diverse, il cui unico comune denominatore era l'opposizione e il superamento della compostezza del "classicismo".
In ambito pittorico abbiamo nel '600 almeno quattro artisti geniali e originali, Rubens, Caravaggio, Rembrandt e Velázquez, in grado, ciascuno di essi, di indirizzare il gusto e di incidere sull'intero movimento: pur con alcuni elementi in comune e reciproche influenze, rappresentano una somma di diversità che bene rappresenta la progressiva articolazione artistica dell'Europa.
L'architettura barocca nasce nella Roma di Urbano VIII con Bernini e Borromini. Sul piano letterario si hanno scansioni cronologiche differenti che definiscono una letteratura barocca caratterizzata da profonde differenze tra le varie realtà nazionali.
In ambito musicale, infine, si parla di arte barocca fino a tutta la prima metà del XVIII secolo.
Il linguaggio artistico barocco rappresentò un orientamento del gusto, uno stile, piuttosto che una corrente ben definita da precisi canoni interpretativi.
I messaggi pittorici degli artisti più in voga si fecero apprezzare per il carattere comunicativo, teatrale e retorico.
Nella varietà e nella molteplicità di ispirazioni, di generi e di risultati, l’unico elemento unificante dell’estetica barocca fu forse l’attenzione alla costruzione scenica dell’immagine, alla sua forza comunicativa e persuasiva. Questi furono però anche i motivi del successo e della diffusione, anche al di fuori dell’universo cattolico, dei nuovi canoni stilistici; l’assolutismo, laico e religioso, aveva trovato gli strumenti per esprimere e per legittimare la sua presenza anche attraverso la mediazione artistica.
Almeno fino alla riscoperta della compostezza classica, al trionfo dell’armonia del classicismo che si sviluppò nella Francia del Re Sole.
Nel '600 l’interesse per il mondo naturale che si manifestò nell’ambito della ricerca scientifica e filosofica determinò anche nel campo dell’arte un nuovo modo di vedere e rappresentare la natura.
La nuova scienza sperimentale copernicana e galileiana sovvertì la visione antropocentrica rinascimentale e suscitò negli artisti un nuovo spirito di libertà intellettuale.
La complessità delle scenografie urbanistiche berniniane, la dilatazione degli spazi e delle strutture architettoniche, gli sfondati delle volte dipinte da Pietro da Cortona e dal Baciccio, che evocano la vastità del cielo, sono esemplari della nuova concezione del mondo.
Anche nella pittura la natura indagata come oggetto autonomo iniziò ad essere un tema sempre più praticato dagli artisti.
Con Michelangelo Merisi detto il Caravaggio l’osservazione diretta e la resa attenta e fedele della realtà quotidiana divenne una fatto di rilevanza assoluta; il linguaggio del naturalismo, che dette l’avvio ad un nuovo corso della pittura moderna, divenne ben presto un linguaggio europeo di enorme seguito e fortuna.
Paesaggi umani e sociali, paesaggi naturali e urbani, nature morte, riempirono le tele dei pittori che adesso indagavano con l'occhio dello scienziato un volto, un'espressione, il profilo di un orizzonte, un movimento naturale, i giochi della luce e della rifrazione ottica, una composizione di fiori e o di umili cose da mangiare, cercando di fissare una realtà da scoprire ogni volta nelle sue infinite manifestazioni.
L’Italia era sconvolta da una delle più terribili pestilenze della sua storia, l’Europa era in guerra, masse cenciose di poveri si aggiravano disperate ed il processo di Galileo stava vivendo le sue fasi più tormentate. In questo clima, negli anni ’30 del '600, si è soliti collocare la nascita dell’arte barocca, figlia della Roma dei pontefici.
Quasi a volere segnare, con il suo gusto esageratamente orientato verso la magniloquenza delle forme e con la predilezione per gli effetti illusionistici e spaziali, un distacco netto da una realtà troppo dura da accettare. Ed è proprio nel campo dell’arte religiosa che il nuovo linguaggio artistico venne elaborando il suo messaggio per poi trovare i canali di diffusione che ne esportarono la sensibilità e il gusto al di fuori, influenzando numerosi aspetti di una cultura drammaticamente sospesa fra razionalismo e irrazionalismo.
Dopo l'apprendistato compiuto a Milano presso il pittore bergamasco Simone Peterzano, Caravaggio si trasferì a Roma intorno al 1593, iniziando a lavorare nella bottega del cavalier d'Arpino (1568-1640), dove dipinse quadri di fiori e frutta.
A quest’epoca risalgono alcune scene di genere con figure di adolescenti quali il Ragazzo con canestra di frutta (1593) e il Ragazzo morso da un ramarro (1593). L'anno successivo egli entrò al servizio del suo primo potente protettore romano il cardinale Francesco Maria del Monte, che gli commissionò tra il 1594 e il 1599 la decorazione del gabinetto alchimistico del proprio palazzo (Casino Ludovisi) e alcuni dipinti tra cui il Concerto, la Buona ventura, il Suonatore di liuto e probabilmente la Canestra di frutta. Tramite il suo mecenate Caravaggio fu in contatto con prestigiose e influenti famiglie romane che gli commissionarono altri importanti dipinti, quali le due versioni della Cena in Emmaus.
Tra il 1599 e il 1600 ricevette due commissioni pubbliche di grande rilievo: il ciclo di tele per la cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi (1599-1601) e un ciclo analogo per la cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo (1600-1601) a Roma.
In queste opere Caravaggio raggiunse una rappresentazione lucida e precisa della realtà naturale in scene monumentali plasmate e definite da un forte chiaroscuro.
Tra i dipinti realizzati durante il soggiorno romano vanno menzionati il Riposo nella fuga in Egitto, che rivela l'influsso della cultura lombardo-veneta nel cui ambito era avvenuta la formazione di Caravaggio, la Deposizione, la Madonna della Serpe e La morte della Vergine (1605).
Costretto a fuggire da Roma, dopo aver ucciso un uomo in una rissa, giunse a Napoli nel 1607 dove eseguì numerosi dipinti tra cui le Sette Opere di Misericordia e la Madonna del Rosario. Nel 1608 si trasferì a Malta da cui fu costretto a fuggire nuovamente dopo aver dipinto la Decollazione di San Giovanni Battista, in seguito a un litigio.
Raggiunto a Napoli dagli emissari dei Cavalieri dell'Ordine di Malta, confidando nell'appoggio del pontefice cercò di tornare a Roma; sbarcato a Porto Ercole, fu arrestato per errore e rilasciato dopo due giorni. Ammalato di malaria, morì sulla spiaggia della Maremma il 18 luglio 1610.
Figlio di un mugnaio, nato nel 1606, dal 1625 inizia l'attività di pittore indipendente. La sua prima produzione è in gran parte dedicata a temi sacri ed è caratterizzata da dinamici schemi compositivi e violenti effetti luministici che rivelano l'influsso di Caravaggio filtrato dai caravaggeschi di Utrecht (Cristo e i Pellegrini di Emmaus, Parigi, Musée Jacquemart-André).
Nello stesso periodo Rembrandt esegue numerosi studi di teste e autoritratti di grande immediatezza espressiva. Nel 1631 si trasferisce ad Amsterdam, dove si afferma proprio come ritrattista e dove, nel 1634, sposa Saskia, nipote di un ricco mercante d'arte.
Su commissione della gilda chirurgica della città, esegue la celebre Lezione di anatomia (1632, Amsterdam, Rijksmuseum) in cui l'azione è drammatizzata da un forte chiaroscuro. In questo ritratto di gruppo e nei ritratti singoli (Saskia ridente, Dresda, Gelmaldegalerie; Joannes Elison e Mary Bockemolle, Boston, Museum of Fine Arts, Uomo in costume orientale, Amsterdam, Rijksmuseum) l'artista dimostra una capacità di acuta introspezione psicologica e una padronanza dei mezzi tecnici.
Oltre ai ritratti e ai dipinti di soggetto religioso o mitologico, Rembrandt è importante anche per i disegni e le incisioni tra cui spicca la cosiddetta Stampa dei cento fiorini (Cristo guarisce i malati, 1642-45). Con la Ronda di notte, uno dei suoi più celebrati capolavori, egli raggiunge il culmine del successo.
Dopo la perdita di tre figli e della moglie, Rembrandt abbandona l'attività di ritrattista ufficiale della borghesia e, a partire dal 1650, conduce una ricerca concentrata sull'interiorità dell'individuo e sugli aspetti emotivi e spirituali della vicenda umana: nei dipinti di questo periodo la stesura pittorica diviene più libera (Betsabea, Sacra Famiglia; Cena in Emmaus, Parigi, Louvre; Aristotele che contempla il busto di Omero, New York, Metropolitan Museum; Giovane che si bagna in un ruscello, Londra, National Gallery; Giovane a cavallo, New York, Frick Collection).
Non vanno dimenticati i numerosi autoritratti di grande intensità emozionale che, insieme, a quelli realizzati nel periodo giovanile, compongono una sorta di lucida autobiografia dell'artista (Autoritratto al cavalletto).
Non fu soltanto la corte pontificia a scoprire le possibilità di diffondere i propri messaggi attraverso le manifestazioni artistiche. Anche gli altri sovrani dell’Europa seicentesca erano altrettanto avidi di ostentare il loro potere e di tramandare la loro gloria.
In un periodo caratterizzato dal costituirsi degli Stati assoluti, nelle grandi capitali, sedi delle corti e delle fastose residenze principesche, l’arte barocca si dimostrò la più adatta a tradurre visivamente e a trasmettere i messaggi del potere monarchico.
Parigi fu uno dei centri principali di questa nuova stagione artistica; se la reggia di Versailles, fu l'apoteosi finale della celebrazione scenografica dell'assolutismo, già in precedenza la produzione artistica aveva trovato un canale privilegiato per esprimersi nella committenza dei sovrani.
La corte di Madrid, in declino sul piano politico internazionale, trovò nelle arti figurative un mezzo per tentare di recuperare, almeno sul piano dell'immagine, il ruolo egemone del secolo precedente.
Nel corso del '600, gli artisti più famosi ed importanti viaggiarono molto e furono ospitati dalle principali corti europee che si contendevano accanitamente i loro servigi.
Gian Lorenzo Bernini, celebrato come scultore e architetto sublime, era accolto con tutti gli onori nella più alta società del tempo.
Fu il favorito dichiarato di otto pontefici consecutivi; per il privilegio di possedere una sua opera, gli ammiratori erano disposti a pagare cifre fenomenali. Luigi XIV lo chiamò a Parigi nel 1664 In qualità di architetto, per servirsi del suo genio.
Vi furono altri artisti a cui le doti e la buona fortuna portarono successo sociale, titoli, onori e ricchezza; primo fra tutti, Rubens, che fu ricevuto nelle più importanti corti europee con tutti gli onori e divenne il pittore ufficiale degli Arciduchi spagnoli nel periodo in cui risiedette ad Anversa.
I precoci e cospicui risultati artistici, la sua buona educazione arricchita da lunghi viaggi, procurarono a Van Dyck una posizione senza precedenti alla corte di Carlo I d’Inghilterra, dove fu elevato addirittura al rango di cavaliere.
All’età di ventiquattro anni, Diego Velázquez entrò a far parte del seguito di Filippo IV di Spagna; gli fu assegnato uno studio a palazzo, un’abitazione sontuosa, uno stipendio elevatissimo e, nel corso dell’attività, gli furono conferite numerose cariche onorifiche.
Uno dei temi fondamentali della poetica barocca fu la rappresentazione dinamica e illusionistica dello spazio. Lo si coglie pienamente nelle architetture dell’epoca, in cui gli edifici appaiono sorprendentemente diversi a seconda del punto di osservazione scelto.
Roma fu il grande punto di riferimento dell’architettura europea del '600 grazie alla politica di mecenatismo dei pontefici e delle grandi famiglie principesche che contribuirono a creare una città sempre più ricca e fastosa. Oltre all’intensa attività di Francesco Borromini e di Gian Lorenzo Bernini, anche Pietro da Cortona, pittore eccellente, particolarmente versato nella grande decorazione ad affresco, si cimentò nella realizzazione di architetture, dimostrando la felice vivacità inventiva del linguaggio barocco.
La scena veneziana fu dominata da Baldassarre Longhena, le cui opere rivelano una consumata abilità scenografica e una grande sensibilità nel dosaggio della luce del paesaggio lagunare.
Il modenese Guarino Guarini lavorò a Torino, aprendo quella straordinaria stagione di architettura piemontese che proseguì felicemente nel corso del '700.
Ma fu soprattutto nel meridione che la lezione di Roma fu recepita. Un caso esemplare è quello di Lecce dove nel corso del '600 l’edilizia si indirizzò al sacro, dopo che nel '500 era fiorita una grande architettura civile. Grazie alla committenza di conventi e ordini religiosi, prosperarono i cantieri attorno ai quali furono attivi artigiani e decoratori.
La moltitudine di edifici sacri realizzati, trasformarono Lecce in una sorta di città-chiesa, rendendola al tempo stesso il centro più significativo del barocco architettonico nell’Italia meridionale. Lo stile del barocco leccese rivela l’influsso dell’arte romana in una felice commistione con quella spagnola.
Anche lo sviluppo del barocco in Sicilia si sostanzia di varie tradizioni culturali di diversa provenienza; a Palermo furono realizzati numerosi edifici in stretto rapporto con lo stile romano del Borromini mentre le affinità con la cultura iberica sono più evidenti nel campo della decorazione plastica.
La città di Noto rappresenta infine un importante caso di omogenea progettazione urbanistica di epoca barocca; distrutta da un terremoto nel 1693, fu infatti ricostruita secondo un piano regolatore e un gusto di splendida e autonoma fioritura barocca siciliana.
Pieter Paul Rubens (Siegen, Vestfalia 1577-Anversa 1640), è stato giustamente individuato come uno dei protagonisti indiscussi della stagione barocca: la sua capacità di scorciare le figure in modo ardito e di proiettarle nello spazio con dinamico movimento gli permisero di realizzare opere di grande profondità ed impatto emotivo.
Il colore acquistò in Rubens una valenza autonoma e perse la sua funzione tradizionale di chiarire e spiegare la forma oggettiva. I frequenti viaggi arricchirono la sua formazione, fornendogli la materia che avrebbe alimentato il suo lirismo sensuale, giustificando una brusca rottura con il passato fiammingo.
Rubens conservò sempre un profondo senso dell’umano e della vita quotidiana; anche nei quadri di soggetto mitologico, le sue divinità non si spogliano mai completamente della condizione di uomini; nei suoi quadri di soggetto religioso, la santità è sempre legata a sensazioni fisiche; il dolore o la gioia che si leggono sui volti sono sentimenti che appartengono a questo mondo.
Seguendo i princìpi dell’arte barocca, Rubens introdusse nell’arte religiosa del suo tempo un’idea pagana, che prima di lui non si era mai manifestata in misura così grande: neppure in Caravaggio si era mostrata in maniera tanto naturale e con tanta sicurezza.
La sua opera creò possibilità nuove ed ebbe una tale diffusione da far si che la sua influenza superasse largamente i limiti delle Fiandre.
Il suo ruolo di artista a corte crebbe sempre più d’importanza tanto da fargli ricoprire anche incarichi di tipo diverso. Tra il 1621 e il 1633 il pittore fu inviato dai viceré del Belgio in quattro missioni segrete all’estero, tre volte in Olanda e una in Spagna.
Carriera diplomatica e pittorica si intrecciarono strettamente per un lungo periodo, influendo non poco sulla crescita culturale di Rubens e sulla diffusione del suo messaggio artistico.
Dopo aver compiuto l'apprendistato ad Anversa presso tre pittori fiamminghi minori, influenzati dal manierismo della scuola fiorentina e romana del XVI secolo, Rubens ottenne il rango di maestro pittore presso la gilda di San Luca di Anversa nel 1598, all'età di ventuno anni.
In seguito, com'era costume per gli artisti nordeuropei del tempo, Rubens viaggiò in Italia, giungendo a Venezia nel 1600 dove studiò e copiò le opere dei grandi pittori veneti del '500: Tiziano, Tintoretto e Veronese. Fu poi a Roma dove operò traendo ispirazione dalle opere di Michelangelo e di Raffaello, nonché dalle sculture dell'antichità classica.
Entrato in contatto con Vincenzo Gonzaga, al giovane artista fu offerta la carica di pittore di corte a Mantova, dove rimase nove anni arricchendo la sua cultura figurativa in contatto con la ricca collezione dei Gonzaga.
Svolse anche funzioni diplomatiche presso Filippo III di Spagna. Il suo viaggio in Italia comprese brevi soggiorni in altre città del Settentrione: Parma, Milano e soprattutto Genova.
Durante il periodo italiano risentì dell'influenza del "classicismo" di Annibale Carracci e fu fra i primi estimatori delle opere di Caravaggio (al punto di spingere i Gonzaga ad acquistare la Morte della Vergine che i committenti originali avevano rifiutato).
Tornato nelle Fiandre nel 1609, divenne pittore di corte dell'Arciduca Alberto, Viceré dei Paesi Bassi. Aprì la sua bottega ad Anversa che divenne il centro delle frequentazioni dei maggiori artisti dell'epoca; infatti, l'artista si circondò di collaboratori in grado di completare i dipinti di cui lui, solitamente, realizzava solo le parti figurate.
Le sue interpretazioni emozionanti degli eventi religiosi gli valsero importanti commissioni da parte della Chiesa fiamminga e, di fatto, il tema religioso fu al centro della sua prima produzione (il Trittico dell'Erezione della Croce, 1610-1611, la Discesa dalla Croce, 1611-1614).
Tra il 1622 e il 1630 Rubens fu impegnato in numerose missioni diplomatiche all'estero. Nel 1622, presso la corte di Francia, fu incaricato dalla regina madre Maria de' Medici di realizzare per il Palazzo del Lussemburgo, una serie di 21 grandi dipinti allegorici ispirati alla sua vita (le Storie di Maria de' Medici, 1622-1625).
Fra il 1628 e il 1629 fu presso la corte di Madrid dove ricevette alcuni incarichi e diverse commissioni, esercitando un notevole influsso sul giovane Diego Velázquez.
Fu poi a Londra dove fu nominato cavaliere da Carlo I Stuart, per il quale eseguì diversi dipinti. Gli ultimi dieci anni della sua vita li trascorse nelle Fiandre lavorando intensamente per gli Asburgo, dedicandosi ai ritratti e alla pittura di paesaggio.
Tiziano nasce a Pieve di Cadore nel 1490, ma i documenti non indicano l'anno della nascita, avvenuta probabilmente tra il 1488 e il 1490.
Artista assai precoce, giunge giovanissimo a Venezia dove ha come maestri Giovanni Bellini e Giorgione, con il quale nel 1508 collabora alla decorazione del Fondaco dei Tedeschi. Le prime opere mostrano una forte suggestione della pittura di Giorgione.
Nel 1511 soggiorna a Padova dove affresca i Miracoli di Sant'Antonio nella Scuola del Santo, nei quali alla vena giorgionesca unisce un marcato carattere narrativo.
Intorno al 1515 realizza il dipinto conosciuto come l'Amor sacro e l'amor profano, conservato alla Galleria Borghese di Roma, una delle opere più famose del maestro. Dopo la morte di Giorgione, Tiziano diviene il pittore più celebre di Venezia.
Nel 1516 riceve la prestigiosa commissione per la pala dell'Assunta, terminata nel 1518 e posta sull'altare maggiore della chiesa di Santa Maria dei Frari di Venezia.
Negli anni che seguono, grazie all'ammirazione di cui gode la sua pittura scenografica e monumentale, gli vengono commissionate numerose pale d'altare.
Fra il 1519 e il 1526 dipinge la Pala Pesaro per l'altare dell'omonima famiglia nella chiesa di Santa Maria dei Frari, mentre tra il 1520 e il 1522 porta a termine il polittico Averoldi per la chiesa dei Santi Nazzaro e Celso a Brescia.
Il maestro esegue anche molte opere pubbliche, in seguito alla sua nomina a pittore ufficiale della Serenissima dopo la morte di Giovanni Bellini (1516), delle quali pochissime sopravvissute all'incendio che nel 1567 distrusse gran parte del Palazzo Ducale di Venezia.
Artista ormai affermato è ricercato dalle corti di Ferrara, Mantova e Urbino. Per Alfonso d'Este dipinge i tre Baccanali, oggi suddivisi fra il Museo del Prado e la National Gallery di Londra. Per Francesco Maria della Rovere, nel 1538, dipinge la Venere di Urbino, oggi alla Galleria degli Uffizi di Firenze.
Felicissima è la sua vena ritrattistica, che lo rese il pittore prediletto di Carlo V e Filippo II, dei quali esegue numerosi ritratti. Da Carlo V, su invito del quale si recò due volte ad Augusta, ricevette l'importante riconoscimento dell'onorificenza di Conte Palatino dell'impero.
Nel 1545 arriva a Roma dove effigia papa Paolo III con i nipoti (Napoli, Capodimonte) e dipinge per Ottavio Farnese la Danae (Napoli, Capodimonte).
Le opere del soggiorno romano dimostrano un rinnovato interesse per il colore e la luce: la sua pittura si caratterizza ora per colori caldi e sontuosi che la luce fa vibrare con improvvisi bagliori.
La tarda attività della sua lunghissima carriera annovera opere come l'Annunciazione della chiesa di San Salvatore di Venezia, l'Incoronazione di spine dell'Alte Pinakothek di Monaco e l'incompiuta Pietà delle Gallerie dell'Accademia di Venezia.
Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, che deriva il soprannome dalla professione di tintore del padre, nato nel 1518, è strettamente legato all'ambiente pittorico veneziano, e si inserisce nella straordinaria tradizione legata a Tiziano, pur non essendo suo allievo diretto.
La sua conoscenza della cultura del manierismo toscano e romano è evidente soprattutto attraverso lo
studio di disegni ed incisioni tratti da opere di Michelangelo. Caratteristica della pittura del Tintoretto è comunque l'attenzione rivolta ai motivi architettonici e all'impianto scenografico, che insieme alla gestualità delle figure si riconosce ad esempio nella Lavanda dei piedi (Madrid, Museo del Prado) o nel Miracolo dello schiavo liberato (Venezia, Gallerie dell'Accademia), dipinto nel 1548 per la Scuola Grande di San Marco.
L'artista utilizza invenzioni altamente spettacolari, inserendo le scene in una atmosfera drammatica; a questi elementi si unisce però la conoscenza della pittura del Veronese, che è a Venezia a partire dagli anni '50, e che influenza Jacopo nel senso di un più aperto colorismo, come si nota ad esempio nel Mosè salvato dalle acque (Madrid, Museo del Prado).
Nel 1564 il Tintoretto dà avvio all'attività, protratta quasi tre decenni, per la Scuola Grande di San Rocco: un'impresa di grande impegno intellettuale e religioso cui l'artista partecipa con convinzione. All'interno dell'edificio appartenente all'importante confraternita, l'artista dipinge per la sala dell'Albergo una serie di tele tra cui il Cristo davanti a Pilato, oltre alla Crocifissione.
A partire dal 1576, ormai indiscusso protagonista della cultura figurativa nella città lagunare, Tintoretto è
impegnato in importanti commissioni di carattere pubblico per Palazzo Ducale. Qui dipinge una serie di tele mitologiche per la sala dell'Anticollegio, le pareti della sala del Collegio, i soffitti della Sala delle Quattro Porte e di quella del Maggior Consiglio.
In quest'ultimo ambiente, in cui lavora anche Veronese, si trova l'enorme raffigurazione del Paradiso, nella quale Tintoretto è a capo di un gruppo di collaboratori.
Negli ultimi anni della sua attività, Tintoretto esegue anche una serie di tele per la chiesa veneziana di San Giorgio Maggiore: la Raccolta della manna, la Deposizione e l'Ultima cena, in cui la tensione drammatica del linguaggio del maestro, ormai spogliata degli elementi più complessi e spettacolari, raggiunge vertici a volte visionari, a volte di alta concentrazione spirituale.
Nato da una famiglia di artisti (il padre è uno scalpellino), nel 1528, Paolo è ricordato nel 1541 come apprendista nella bottega di Antonio Badile.
Già nel 1548 realizza però in maniera autonoma la pala Bevilacqua per la chiesa di San Fermo a Verona (ora nel Museo di Castelvecchio), la sua prima opera di impegno. Nel 1551 lavora per la villa Soranzo a Castelfranco Veneto, dove per la prima volta si verifica quella collaborazione con gli architetti contemporanei (in questo caso con Sanmicheli) che sarà una costante nel suo operare.
Nel 1552 il Veronese si reca a Mantova a lavorare per il cardinale Ercole Gonzaga, ma già l'anno successivo è a Venezia dove dipinge uno dei capolavori della sua attività giovanile, le tele mitologiche e allegoriche per la Sala dei Dieci, in Palazzo Ducale.
Qui si notano forme ritmate solennemente nello spazio, un gusto decorativo con il quale l'artista prende le distanze dal caldo tonalismo di Tiziano o dal chiaroscuro del Tintoretto.
Dopo la maestosa pala Giustiniani in San Francesco della Vigna (1555), Veronese inizia la sua attività per la chiesa di San Sebastiano, per la quale realizza una serie di tele decorative oltre alle pale sull'altare maggiore e su due degli altari laterali.
In queste opere si evidenzia una tavolozza dai toni chiari e luminosi che creano effetti di cangiantismo nei preziosi panneggi. A conclusione di questa felice fase creativa si pongono gli affreschi di villa Barbaro a Maser, realizzati intorno al 1560 nella villa progettata da Andrea Palladio.
Nel corso del suo lungo soggiorno a Venezia, Veronese esegue molte opere destinate alle chiese della città, come la pala di san Zaccaria (Venezia, Gallerie dell'Accademia), così come soggetti storici: in questo clima si colloca ad esempio la tela con Dario e la famiglia di Alessandro (Londra, National Gallery).
Il Veronese sviluppa in queste tele una pittura decorativa e sfarzosa, in cui gli spunti naturalistici giungono ad un livello di grandiosa ornamentazione.
Questa tendenza ha la sua massima espressione nelle Cene, il soggetto preferito dal pittore fino all'esempio del Convito in casa di Levi del 1573. Qui la densità della narrazione dà uno stimolo alla capacità ritrattistica di Veronese, consentendogli la stupenda policromia delle folle ed i grandiosi impianti scenografici.
Accanto a questo capolavoro degli anni della maturità si collocano le tele con le Virtù e le Allegorie di Venezia dipinte per la sala del Collegio in Palazzo Ducale (1575-1577), mentre qualche anno dopo, nello stesso palazzo veneziano, Veronese dipinge un Trionfo di Venezia per la sala del Maggior Consiglio.
Solo nell'ultimo decennio della sua attività l'artista si avvicina nuovamente alla corrente maggiore della pittura veneziana, rendendo più morbido il colore in un modo che richiama Tiziano e Jacopo Bassano: si vedano ad esempio il Ritrovamento di Mosé (Madrid, Museo del Prado) oppure le Allegorie d'Amore per l'imperatore Rodolfo II (ora a Londra, National Gallery). Muore nel 1588.
Il secolo si aprì in Spagna con un anomalo contrasto tra il declino della politica nei rapporti e negli equilibri
internazionali, cui si contrappose e la notevole crescita delle esperienze culturali e dell’inventiva artistica. L’impulso iniziale per avviare la stagione più felice dell’arte e della letteratura spagnola, fu una riuscita combinazione di elementi italiani e manieristi, mescolati con l’originale visione artistica e spirituale di El Greco. Quello che viene chiamato il "secolo d’oro" dell’arte spagnola si realizzò soprattutto attraverso le opere di Velázquez, artista di riferimento della corte spagnola, che ne trasmise i messaggi in tutta Europa. L’arte di Velázquez merita la qualifica di "pittura pura": preoccupazioni essenziali e forse uniche dell’artista furono infatti i problemi della pittura, tanto che le sue realizzazioni possono essere considerate tra le vette dell’arte universale di tutti i tempi.
Sia che dipingesse popolani o gran signori, buffoni o "infanti", sia che riproducesse scene storiche o quotidiane, Velázquez non fu mai schiavo del soggetto; egli organizzò le sue composizioni secondo un ordine ben preciso, distribuì i colori in base ai valori che ne voleva ricavare, collocò personaggi od oggetti in modo da creare uno spazio reale.
Nella sua perfezione è la certezza, la sicurezza del pieno possesso dei mezzi tecnici, mentre tutti gli apporti esterni, sentimentali o letterari, rimangono accessori. Il dilemma che durante il '600 oppose i princìpi dell’arte barocca a quelli dell’arte classica, trovò una felice composizione nell’opera del Velázquez. Egli fu barocco nella misura in cui utilizzò certi elementi del caravaggismo, soprattutto per l’uso di un chiaroscuro ricco e naturale.
Fu classico poiché il suo senso della misura non gli consentì eccessi e gli impose di ritrovare, in ogni circostanza, un determinato ordine e di avvalersi di un rigoroso disegno.
Questa sua grande abilità gli permise di accostare i soggetti più vari senza mai cadere di livello qualitativo; pose uguale impegno nel trattare scene familiari e composizioni storiche, uguale rispetto nei ritratti di popolani e in quelli di grandi signori, la stessa scrupolosità nelle importanti scene d’insieme e nelle semplici nature morte.
Sin dalle opere giovanili Diego Velázquez, nato a Siviglia nel 1599, dimostrò una particolare predilezione per le scene di vita popolare, evidenti in opere quali il Ritratto di Madre Heronima de la Fuente (1620, Madrid, Museo del Prado).
Il grande realismo della descrizione unito a un trattamento plastico delle figure e a forti contrasti chiaroscurali denuncia l’influenza del pittore italiano Caravaggio sulla prima produzione dell’artista. Nel 1623 egli si trasferì dalla nativa Andalusia a Madrid, avendo conseguito il prestigioso incarico di ritrarre il re di Spagna Filippo IV. Velázquez divenne in breve tempo il pittore più stimato a corte, ammirazione confermata dalle successive importanti cariche ricoperte. Nel 1652 fu nominato infatti "Apodentador Mayor" con il diritto di abitare in una dipendenza del Palazzo Reale. Importanti per la sua formazione professionale furono i due viaggi di studio compiuti in Italia nel 1629 e nel 1649. Durante il primo soggiorno romano il pittore spagnolo eseguì alcuni importanti lavori tra cui la Fucina di Vulcano (Madrid, Museo del Prado), in cui egli si dimostra interprete originale degli stimoli caravaggeschi recepiti in Italia.
Nel secondo soggiorno italiano, avvenuto vent’anni più tardi con l’incarico ufficiale di acquistare opere d’arte per le collezioni reali, Velázquez trovò un’importante fonte di ispirazione nella pittura veneziana del '500. A questi influssi si deve la grande libertà cromatica che caratterizza la famosa Venere allo specchio dipinta poco prima del 1650 (Londra, National Gallery).
La fase matura dell’attività artistica del pittore, ritornato definitivamente a Madrid, è documentata da grandi tele, tra le quali una serie di ritratti reali e opere famose come Las Meniñas ovvero le Damigelle di corte e Las Hilanderas, le Filatrici (Madrid, Museo del Prado). In questi dipinti più che in ogni altra opera è evidente la grande capacità di Velázquez di cogliere il reale con occhio disincantato, senza alcuna concessione al piacevole e al pittoresco della pittura di genere e, allo stesso tempo, senza la eccessiva ricerca del realismo.
Il naturalismo infatti è espresso attraverso una grande maestria cromatica, con un impiego sensibile della luce e del colore che rende l’artista uno dei pittori più moderni e all’avanguardia tra i grandi protagonisti della coeva pittura europea.
Di origine cretese, El Greco nato nel 1541, soggiorna tra il 1566 e il 1570 a Venezia, dove ha l'opportunità di confrontarsi con Tiziano e soprattutto con Tintoretto, la cui pittura drammaticamente intensa lo influenza decisamente, come dimostra a esempio la Guarigione del cieco (Parma, Galleria Nazionale).
Nel 1570 la sua presenza è documentata a Roma e durante questo soggiorno ha modo di ripercorrere le principali vicende dell'arte italiana del '500, eseguendo opere quali il Ritratto di Giulio Clovio (Napoli, Capodimonte). Fa ritorno a Venezia nel 1573 e vi rimane fino al momento in cui, forse nella speranza di partecipare ai lavori dell'Escorial, si sposta in Spagna.
Nel 1577 El Greco fissa dunque la sua residenza a Toledo, dove rimane fino alla morte; nella città, un
centro artistico ancora ricchissimo di stimoli culturali, raggiunge l'apice della sua arte confrontandosi con l'austera cultura della Controriforma. Appartengono alla produzione spagnola di questo periodo La Trinità e il Battesimo di Cristo (entrambe aMadrid, Prado), mentre in una fase successiva intorno al 1586 si colloca una delle prove più alte della fantasia visionaria del pittore: l'Entierro del conde d'Orgaz.
Nella attività tarda El Greco approfondisce la ricerca che lo porta a un progressivo distacco da ogni residuo di cultura rinascimentale, con immagini che non sono più costruite razionalmente, ma create da violente tensioni cromatiche e luministiche.
Esempi di questo stile sono opere come l'Adorazione dei Pastori del Prado, l'Assunzione (Toledo, Museo di Santa Cruz) o la Veduta di Toledo (New York, Metropolitan Museum) cupa e notturna, emblematica della forza visionaria dell'artista.