Il processo di integrazione economica che ha portato all'odierna Unione europea si è sviluppato a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso ed è ancora in corso di svolgimento.
L'idea di un'organizzazione comune tra i Paesi europei occidentali nasce infatti dall'esigenza di garantire una pace duratura in Europa, per porre fine ai secoli di guerre che avevano insanguinato il vecchio continente.
Una seconda motivazione è stata quella di accrescere il peso economico e politico degli Stati europei di fronte alle due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, che dominavano la scena politica ed economica nel periodo della Guerra fredda.
Questo processo è un fenomeno di notevole importanza, di natura non esclusivamente economica.
L'idea di unità europea, che all'indomani della seconda guerra mondiale appariva un'utopia, ha preso corpo gradualmente, fino a raggiungere la situazione odierna, che lascia ipotizzare un'Unione in grado di diventare in futuro un unico Stato federale comprendente quasi tutti gli Stati europei.
Il processo di integrazione europea si è sviluppato progressivamente, sia sotto il profilo del numero dei Paesi partecipanti sia rispetto alle attività coinvolte, sebbene negli ultimi anni esso stia subendo una preoccupante battuta d'arresto.
Il processo di integrazione europea si è realizzato attraverso numerosi trattati che si sono succeduti nel tempo, allargando sempre più le competenze e l'ambito operativo degli organi comunitari.
Si è assistito a una progressiva crescita dei poteri sovranazionali degli organi comuni, evidenziata dall'attribuzione a essi della sovranità esclusiva su determinate materie, e dal progressivo allargamento del principio della maggioranza, anziché dell'unanimità, per l'approvazione delle decisioni comuni.
Nei trattati sono contenute le regole di funzionamento della UE e i princìpi cui deve ispirarsi l'azione dei vari organi. Il numero degli Stati aderenti è progressivamente cresciuto, dai sei iniziali agli attuali ventotto, con una popolazione complessiva che supera i 500 milioni di persone.
L'inizio del processo di integrazione europea risale al 18 aprile 1951, con la firma del Trattato di Parigi, istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (Ceca).
Questo trattato nacque dal proposito di creare una Comunità europea i cui membri avrebbero posto le rispettive industrie pesanti sotto un'unica gestione.
In questo modo nessuno degli Stati europei avrebbe potuto fabbricare armi da utilizzare contro gli altri.
Alla Ceca aderirono Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo.
Si trattava essenzialmente di un'unione doganale con lo scopo principale di abbattere i dazi su carbone e acciaio tra gli Stati firmatari e di imporre un'unica tariffa doganale nei confronti degli Stati terzi.
Il Trattato della Ceca è scaduto nel 2002. In seguito, i sei membri fondatori decisero di estendere la cooperazione con riferimento ad altri beni.
Nacquero così, con il Trattato di Roma del 1957, la Comunità europea dell'energia atomica (Euratom) e la Comunità economica europea (CEE), nota anche come Mercato comune europeo (MEC).
L'ambito operativo della CEE era più ampio di quello delle altre comunità: essa intendeva eliminare ogni ostacolo alla libera circolazione dei fattori produttivi e attuare una politica comune nei campi fiscale, monetario, creditizio e del lavoro.
Mettendo in comune risorse, energie e capacità, gli Stati volevano aumentare la loro forza economica e accrescere la capacità concorrenziale con il resto del mondo.
Inoltre la stretta cooperazione tra gli Stati avrebbe costituito un formidabile antidoto contro la minaccia della guerra.
Con il Trattato di fusione firmato a Bruxelles nel 1965 ed entrato in vigore nel 1967, gli organi delle tre comunità furono unificati con l'istituzione di un'unica Commissione e di un unico Consiglio.
Nel 1986 fu firmato l'Atto unico europeo in base al quale, dal 1 gennaio 1993, furono abolite tutte le barriere alla libera circolazione non solo di fattori produttivi, ma anche di tutti i beni, persone, servizi e capitali e furono inoltre potenziati i poteri degli organi comunitari.
Nell'Atto unico fu affermata la volontà dei Paesi della Comunità di creare un grande mercato interno, noto anche come Mercato unico.
Con l'Accordo di Schengen, firmato il 14 giugno 1985, Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi hanno deciso di eliminare progressivamente i controlli alle frontiere interne e di introdurre la libertà di circolazione per tutti i cittadini dei paesi firmatari, di altri paesi dell’Unione europea (UE) e di alcuni paesi terzi.
La Convenzione di Schengen firmata il 19 giugno 1990 dagli stessi cinque paesi, è entrata in vigore nel 1995. Essa completa l'accordo e definisce le condizioni e le garanzie inerenti all'istituzione di uno spazio di libera circolazione.
L'accordo e la convenzione, nonché gli accordi e le regole connessi, formano insieme l’«acquis di Schengen», che è stato integrato nel quadro dell'Unione europea nel 1999 ed è diventato legislazione dell’UE.
La Convenzione di Schengen ha creato uno spazio comune tra quasi tutti gli Stati membri delle Comunità europee (con esclusione del Regno Unito e dell'Irlanda, ma con l'aggiunta di alcuni Stati extracomunitari, come la Norvegia e l'Islanda) e ha sviluppato, a tale fine, la cooperazione degli organi giudiziari e di polizia.
All'interno della zona Schengen è stata realizzata l'abolizione dei controlli alle frontiere interne: i cittadini dei Paesi aderenti all'accordo, infatti, non hanno bisogno di un visto per muoversi da uno Stato all'altro e, allo stesso modo, i titolari di un visto d'ingresso in uno dei Paesi aderenti alla Convenzione sono autorizzati a muoversi liberamente all'interno della zona comune (per i cittadini degli altri Stati, invece, rimangono in vigore le norme e i controlli di polizia).
I paesi candidati all'adesione dell'UE devono accettare integralmente l'acquis di Schengen al momento della loro adesione.
Tuttavia, il controllo alle frontiere interne è revocato soltanto (con decisione unanime del Consiglio), dopo che una valutazione da parte della Commissione e degli esperti del paese dell’UE ha verificato la corretta applicazione delle misure di accompagnamento per l'abolizione dei controlli alle frontiere interne.
Il successivo trattato di Maastricht del 1992, entrato in vigore il 1 novembre 1993, è storicamente uno dei più importanti.
Il Trattato si prefiggeva la realizzazione di un'unità politica dell'Europa, non solo economica, e allargava notevolmente gli orizzonti dell'integrazione europea, rafforzandone i legami.
Il Trattato ha esteso le competenze della Comunità ad altri settori, oltre a quello "economico", vale a dire "politica estera e difesa" e "giustizia e affari interni".
Questi tre settori, denominati pilastri, seguivano regole profondamente diverse.
Il pilastro economico veniva sottoposto al potere sovranazionale degli organi della Comunità, che acquistavano così sovranità diretta ed esclusiva su tutti gli Stati dell'Unione, cioè la possibilità di emanare atti legislativi direttamente vincolanti per gli Stati membri, decisi a maggioranza e non all'unanimità, e di sottostare alla giurisdizione di un apposito organo giurisdizionale.
Il pilastro economico costituiva quella che venne chiamata Comunità europea (CE). Gli altri due pilastri, politica estera e sicurezza comune, il cosiddetto Pese, e giustizia e affari interni, il cosiddetto Gai, rimanevano invece intergovernativi.
Questo significa che, pur avendo previsto nuove forme di cooperazione tra i Governi degli Stati membri, in queste materie i Governi mantennero la propria sovranità, con la possibilità di sottrarsi alle decisioni comuni.
Nel loro insieme, i tre pilastri formarono l'Unione europea, denominazione che ha sostituito definitivamente tutte le altre con il Trattato di Lisbona del 2009.
Nel Trattato di Maastricht (1992), i Paesi membri fissarono anche le tappe fondamentali per giungere all'Unione economica e monetaria (Uem), con la creazione di una moneta unica europea (l'Euro) e di una Banca centrale europea (Bce), con funzioni di istituto di emissione e di autorità di politica monetaria.
Vennero indicati a questo riguardo una serie di parametri macroeconomici che gli Stati membri avrebbero dovuto rispettare per poter entrare a far parte della Uem: il tasso d'inflazione di un dato Stato membro non doveva superare di oltre l'1,5% quello dei tre Stati membri più virtuosi; il rapporto tra il disavanzo pubblico annuale e il Pil non doveva oltrepassare il 3% alla fine dell'ultimo esercizio finanziario concluso; il rapporto tra debito pubblico lordo e Pil non doveva superare il 60% alla fine dell'ultimo esercizio di bilancio concluso; infine dovevano esserci normali margini di fluttuazione tra le valute per almeno due anni.
L'Unione economica e monetaria sancita con il Trattato di Maastricht si è poi realizzata, attraverso varie fasi successive, con la nascita dell'Euro, la cui emissione - insieme alla politica monetaria comune - è stata affidata alla Bce.
L'Euro equivaleva al momento del cambio di moneta a 1.936,27 lire italiane.
Non tutti gli Stati membri della UE fanno però parte della Uem, talvolta per scelta, talvolta per mancanza dei requisiti. Attualmente 19 dei 27 membri dell'Unione sono membri della Uem e costituiscono la cosiddetta Eurozona.
Il Trattato di Amsterdam (giugno 1997) ha posto al centro degli obiettivi dell'Unione l'occupazione e la tutela dei diritti dei cittadini e ha apportato modifiche per migliorare il funzionamento degli organi comunitari e rafforzare la posizione dell'Unione nello scenario internazionale. Alcune materie appartenenti al terzo pilastro (immigrazione, asilo, cooperazione giudiziaria in materia civile ecc.) vennero ricondotte nell'ambito della Comunità europea e diventarono di competenza sovranazionale. Nello stesso anno, con atti comunitari veniva approvato il Patto di Stabilità e Crescita (Psc, 1997) che stabiliva sanzioni per gli Stati che non rispettavano i parametri di Maastricht.
Con il Trattato di Nizza del 2001, entrato in vigore nel 2003, sono state modificate le regole di funzionamento delle istituzioni europee in previsione dell'allargamento dell'Unione a nuovi Stati membri (dai 15 di allora ai 25 e più previsti).
In particolare, è stato rivisto il sistema decisionale in modo da far prevalere il principio della maggioranza su quello dell'unanimità.
A Nizza è stata anche approvata la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
Composta da un preambolo e da cinquantaquattro articoli, la Carta enuncia e difende i diritti civili, politici ed economici dei cittadini europei, distinguendoli in sei categorie: dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia.
Il Trattato di Nizza non riconosceva però alla Carta un carattere giuridico effettivamente vincolante e dunque essa non era una vera Costituzione europea.
Il Consiglio europeo di Nizza ha dato l'avvio a un profondo progetto di riforma dei trattati della Comunità europea, volto a emanare un nuovo Trattato dell'Unione che avrebbe dovuto consistere in una vera e propria Costituzione europea, sostitutiva di tutti i trattati esistenti.
Il 29 ottobre 2004, gli allora 25 Stati dell'Unione sottoscrissero a Roma il Trattato e l'atto finale per stabilire una Costituzione per l'Europa, per unificare in un documento organico tutti i precedenti trattati.
Per entrare in vigore, tuttavia, essa avrebbe dovuto essere ratificata da tutti e 25 gli Stati membri, secondo procedure differenti da Stato a Stato, con approvazione parlamentare o con referendum popolare.
I referendum francese e olandese del 2005 diedero però esito negativo e i due Paesi non ratificarono il Trattato di Roma, bloccando così il processo di riforma.
Possiamo forse individuare in questo rifiuto i primi segnali di una crisi del processo di integrazione europea.
Il processo è ripreso con la firma, nel 2007, del Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1 dicembre 2009.
Il Trattato di Lisbona non sostituisce i precedenti trattati, ma li modifica allo scopo di dotare l'Unione del quadro giuridico e degli strumenti necessari per far fronte alle sfide del futuro e rispondere alle aspettative dei cittadini.
Il Trattato di Lisbona è composto in effetti da due trattati: il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (Tfue), che rappresenta un'evoluzione del Trattato di Roma del 1957; il Trattato sull'Unione europea (Tue) che modifica il Trattato di Maastricht del 1992.
Con il Trattato di Lisbona gli organi e le procedure della UE sono stati definìtivamente modernizzati e uniformati, ed è sparita la tradizionale suddivisione nei tre pilastri introdotta dal Trattato di Maastricht: la UE diventa l'unica persona giuridica.
Nel corso degli ultimi anni, nelle popolazioni dei vari Paesi membri della UE è cresciuto un sentimento ostile al processo di integrazione europea, genericamente chiamato euroscetticismo. Diversi partiti politici in tutti gli Stati dell'Unione hanno impostato i loro programmi ispirandosi a questo sentimento, riscuotendo un certo successo elettorale, sia alle elezioni politiche nazionali sia a quelle europee.
Pertanto, anche all'interno delle istituzioni europee è forte la presenza di coloro che vedono con sfavore o in modo fortemente critico l'idea dell'Unione. Ricordiamo per esempio il partito Ukip di Nigel Farage nel Regno Unito; Il Fronte nazionale di Marine Le Pen in Francia; il Partito per la Libertà (Pvv) olandese; l'Alternativa per la Germania di Bernd Lucke; Alba dorata in Grecia; il Partito Austriaco della Libertà (Fpo): La Nuova Alleanza Fiamminga (N-Va) in Belgio; il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord in Italia.
Le posizioni critiche non sono tuttavia tutte uguali: si passa dal vero e proprio antieuropeismo, una posizione estrema di rifiuto dell'idea stessa di UE, che vorrebbe l'uscita dello Stato dall'organizzazione o addirittura di scioglimento dell'Unione stessa, a posizioni di euroscetticismo più moderato, che criticano soprattutto l'attuale gestione e organizzazione dell'Unione e chiedono una correzione delle politiche adottate.
Alla base dell'euroscetticismo c'è anzitutto l'idea, talvolta espressione di veri e propri sentimenti nazionalistici, che l'Integrazione europea indebolisca gli Stati membri.
La perdita di controllo in determinate materie, affidate agli organi comunitari, comporterebbe il sacrificio degli interessi nazionali, un'indebita intromissione negli affari interni.