Gabriel Marcel (1889-1973) può essere considerato il principale esponente di un esistenzialismo teistico, anche se egli stesso rifiutò come «orribile vocabolo» la designazione di «esistenzialista».
Nato a Parigi il 7 dicembre 1889, dopo aver studiato alla Sorbona e avere conseguito l'aggregazione con L. Lévy-Bruhl, insegnò nei licei e si dedicò essenzialmente alla propria attività di scrittore e drammaturgo, coronata da numerosi premi letterari, tra i quali quello dell'Accademia Francese (1949). Del 1929 è la sua conversione dall'ebraismo al cattolicesimo.
Le sue opere principali sono: Journal métaphysique (Diario metafisico, 1927, scritto tra il 1913 e il 1922), Etre et avoir (Essere e avere, 1935), Du refus à l'invocation (Dal rifiuto all'invocazione, 1940; ristampato nel 1967 col titolo: Essai de philosophie concrète), Homo Viator (1945), Le mystère de l'étre (Il mistero dell'essere, 1951), L'homme problématique (L'uomo come problema, 1955), Présence et immortalité. Journal métaphysique (Presenza e immortalità. Diario metafisico, 1959; scritto tra il 1938 e il 1943), En chemin, vers quel éveil? (In cammino, verso quale risveglio?, 1971).
La filosofia di Marcel è essenzialmente contenuta in sottili analisi fenomenologiche dell'esistenza umana e del mistero che essa rappresenta, che si dipanano tra il tema della «oscura notte del corpo» e quella dell'essere quale trascendenza che nell'esistenza si manifesta, ma che infinitamente la oltrepassa. In questo senso, poiché, muovendo dall'esistenza, la sua analisi si protende verso l'essere, Marcel respinge la designazione di esistenzialismo.
Marcel si propone di considerare "l'uomo concreto"; per questo preferisce l'analisi letteraria ed evita la filosofia sistematica, e soprattutto rifiuta ogni forma di pensiero oggettivizzante (e quindi in primo luogo la scienza), che esclude il punto di vista del soggetto. Oggettivizzante è il pensiero che tende a conclusioni valide per tutti, e che perciò riduce ogni realtà ad un oggetto ben determinato, da studiare coi mezzi dell'analisi e della verifica. Ora, né Dio né l'uomo, secondo Marcel, si possono ridurre a oggetti e studiare con questi procedimenti; essi richiedono un approccio radicalmente diverso. Marcel chiarisce tale diversità mediante la distinzione tra i due concetti di problema e di mistero.
Problema è la difficoltà posta al pensiero da un oggetto determinato, che si risolve riconducendolo ad altri dati conosciuti. Questo procedimento, però, non può essere applicato all'essere nel suo complesso, perché l'uomo non può porselo davanti come un oggetto, né ricondurlo ad altri dati, anzi ne è lui stesso avvolto e coinvolto, e in questo senso (non nel senso soprannaturale) non può che avvertirlo come mistero. Grave colpa del pensiero occidentale è appunto per Marcel (come per Heidegger e per Jaspers) l'aver ridotto l'essere a un problema. Alla riduzione del mistero a problema si accompagna, secondo Marcel, un atteggiamento verso le cose di dominio e di possesso, per il quale «il mondo tende ad apparire come un semplice cantiere di sfruttamento». «Al limite però - sostiene Marcel - l'avere in quanto tale tende ad annullarsi nella cosa inizialmente posseduta, la quale però assorbe ora colui stesso che credeva di disporre di essa», generando una situazione di dispersione e di alienazione. «La struttura del nostro mondo è tale - conclude Marcel - che la disperazione assoluta vi sembra possibile».
Proprio la disperazione, tuttavia, secondo Marcel può condurre l'uomo a un rivolgimento interiore dall’avere all’essere, cioè ad un atteggiamento di genuino coinvolgimento nella realtà, di genuino rapporto col mondo, con gli altri uomini e con Dio.L'essere a cui l'esistenza mira non è un qualcosa che possa essere oggettivato e reificato, e nemmeno contemplato o ammirato come uno spettacolo, ma è trascendenza assoluta alla quale ci si può aprire e che può essere intuita nell'esperienza esistenziale come ciò che dà fondamento all'esistenza stessa. L'uomo è così esposto all'alternativa tra essere o avere: o l'attaccarsi alla dimensione dell'oggettività, delle cose materiali, del potere della tecnica, oppure il lasciarsi coinvolgere nel mistero che rimanda dall'esistenza immanente all'essere trascendente.
Per fare questo bisogna superare quella che viene chiamata la riflessione primaria, cioè il modo di ragionare analitico dell'io-penso, dell'io astratto, del cogito cartesiano, che sbocca nella produzione di un conoscere scientifico, e praticare la riflessione secondaria, la quale si apre al mistero dell'io-singolo, cioè dell'esistenza unica e insostituibile della persona. Per Marcel bisogna superare le filosofie dell'io-penso in una filosofia del noi-siamo. Essa, sostiene Marcel, parte dall'accettazione del corpo in cui è incarnato («Nulla esiste per me, se non è in qualche modo unito a me come il mio corpo»); ma conduce alla trascendenza in virtù di sentimenti come l'amore e la fiducia, che postulano sempre l'altro. Questa forma di riflessione si realizza per Marcel - che è qui sensibile specialmente all'influsso di Buber - soprattutto nell'ambito dell'intersoggettività, cioè nell'amore, e poi anche nella speranza e nella fede in Dio, definito come il «Tu assoluto». Il mistero dell'essere, però, non può essere conosciuto, ma solo riconosciuto: a Dio, secondo Marcel, ci si può rapportare solo attraverso l'invocazione.