La Dichiarazione dei diritti umani
La Dichiarazione Universale dei Diritti umani non è stata il primo documento a trattare il tema della tutela dei diritti umani. Già nel XVIII secolo erano state promulgate alcune fra le dichiarazioni più importanti in questo campo: negli Stati Uniti, la Dichiarazione d’indipendenza (1776) e la Costituzione (1789); in Francia la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789). In tutti questi documenti si stabiliva che l’uomo potesse definirsi tale solo se libero, eguale, nella condizione di poter disporre dei propri beni, non sottoposto a un governo tirannico e perciò in grado di realizzarsi
pienamente.
Nel XX secolo venne affermandosi una sensibilità nuova nei confronti della tutela dei diritti umani: dapprima, a seguito della Grande Guerra, venne approvata la Convenzione di Ginevra (1929), il cui scopo era di fissare alcuni limiti di condotta invalicabili anche nelle guerre. Ma fu sulla scorta delle devastazioni della Seconda guerra mondiale che emerse con forza la necessità di fissare una sfera di diritti inalienabili per ogni essere umano.
La stesura della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani fu piuttosto rapida, ma non altrettanto semplice fu la sua approvazione. La scelta di definire i diritti umani come legati all’individuo incontrò da subito l’opposizione del blocco comunista.
I diritti umani divennero strumento di una disputa politico-ideologica, piena espressione della Guerra Fredda. I paesi comunisti riuscirono a far inserire alcune proposte nel documento finale, mentre altre furono respinte, nonostante il
favore dei paesi occidentali: tra di esse il «diritto di ribellione» contro governi oppressivi, il «diritto di manifestare nelle strade», il «diritto all’autodeterminazione» per i popoli coloniali.
Al momento della votazione i paesi del blocco sovietico si astennero: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani fu comunque approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a Parigi, il 10 dicembre 1948, con 48 voti favorevoli su 58, nessun voto contrario e 10 astenuti.
Questo documento doveva essere applicato in tutti gli stati membri, e alcuni esperti di diritto hanno sostenuto che questa dichiarazione sia divenuta vincolante come parte del diritto internazionale consuetudinario venendo continuamente citata da oltre 50 anni in tutti i paesi.
La volontà di superare le singole realtà statali e confessionali era dimostrata dalla stessa enunciazione di «dichiarazione universale», che esplicitava l’intento di individuare regole condivise e valori assoluti. La novità di questo documento consiste in due elementi: i diritti a cui fa riferimento sono legati ai singoli individui; lo Stato di appartenenza non è l’unica entità che può riconoscere i diritti dell’individuo.
È la base di molte delle conquiste civili del XX secolo. Molto rilevanti nel percorso che ha portato alla sua realizzazione sono i Quattordici punti redatti dal presidente Woodrow Wilson nel 1918 e i pilastri delle Quattro Libertà enunciati da Franklin Delano Roosevelt nella Carta Atlantica del 1941.
Malgrado i compromessi che portarono alla sua definitiva stesura, la Dichiarazione dei diritti umani, nei suoi 30 articoli, definisce i diritti dell’uomo e la loro tutela in un’ottica universale estensiva, illimitata nel tempo perché prescinde dalle contingenze in considerazione del fatto che i principia cui fa appello sono eterni.
L’accusa che la Dichiarazione rispecchi valori e concezioni troppo appiattite sul modello occidentale ha trovato nuova linfa anche prima della dissoluzione del comunismo sovietico. Nel 1981, a Parigi, alcuni paesi musulmani si fecero propugnatori di una Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo. Verso la fine degli anni Ottanta, anche in diversi Stati asiatici fu messa in discussione la concezione dei diritti umani espressa nella Dichiarazione, che fu considerata come un atto di neocolonialismo.
A tali valori si opposero dei “valori asiatici”, come la preminenza dell’interesse della comunità sull’individuo, l’anteposizione dell’armonia sociale alla libertà del singolo, la consacrazione al lavoro rispetto al tempo libero e degli interessi della comunità rispetto a quelli privati.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale ad essa sono poi seguite la Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici, elaborate dalla Commissione per i Diritti Umani ed entrambe adottate all'unanimità dall'ONU il 16 dicembre 1966.
La Dichiarazione ha costituito l'orizzonte ideale della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, confluita poi nel 2004 nella Costituzione europea.
Il testo della Costituzione Europea non è mai entrato in vigore per via della sua mancata ratifica da parte di alcuni Stati membri (Francia e Paesi Bassi a seguito della maggioranza dei no al relativo referendum), ma la Dichiarazione in ambito europeo costituisce comunque una fonte di ispirazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea proclamata per la prima volta a Nizza il 7 dicembre 2000, ed avente oggi anche pieno valore legale vincolante per i Paesi UE dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona il 1º dicembre 2009.