Viaggiare significa andare verso il diverso da sé e il nuovo. Ciò che colpisce il viaggiatore è come in ogni luogo esistano leggi, usi, costumi e cibi diversi.
Il proverbio «Paese che vai, usanze che trovi» potrebbe essere parafrasato in «Paese che vai, Stato che trovi».
Popolo, territorio e sovranità sono i tre elementi che costituiscono lo Stato, il sistema politico che esercita la sovranità su un determinato territorio e sul popolo che vive in quel territorio.
La sovranità si sostanzia in tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario.
Lo Stato dispone inoltre, in forma monopolistica, di forze armate asservite, strumento di controllo e di difesa.
Quando si parla di Stato, ci si riferisce almeno a due nozioni differenti:
• lo Stato-comunità o nazione, concetto di natura politica utilizzato nelle relazioni internazionali, che evoca un popolo stabilito su un territorio e organizzato attorno a un potere centrale; esso ha una cultura, una storia e una lingua comuni;
• lo Stato-apparato, concetto di ordine giuridico, che richiama un potere centrale sovrano, stabile nel tempo ma organizzato secondo diverse modalità (forme di governo); tale potere è impersonale (ossia indipendente dai singoli soggetti che lo esercitano) e cogente (cioè in grado di imporre il rispetto dell'ordinamento giuridico statale su un territorio definito) perché detentore del monopolio della forza.
Lo Stato esprime sia la nozione di libertà sia quella di autorità, che corrispondono a due diversi momenti dello stesso sistema organizzativo.
Per «forma di Stato» si fa riferimento alle diverse modalità attraverso cui è possibile mettere in relazione i tre elementi costitutivi dello Stato, ovvero il popolo, il territorio e la sovranità. In particolare, in base al dislocamento del potere statale sul territorio, si distinguono due forme di Stato.
Lo Stato unitario, nel quale esiste un unico governo, attivo tanto a livello centrale quanto a livello periferico, su un unico territorio. Nell'ambito dello Stato unitario, in relazione alla dimensione dell'autonomia di cui godono le diverse componenti dello Stato stesso, si distinguono: Stati accentrati (caratterizzati dall'accentramento del potere gestito dallo Stato); Stati decentrati (caratterizzati dal decentramento di alcune funzioni, in primo luogo amministrative) e Stati regionali (con un forte decentramento sia in ambito amministrativo sia in ambito politico).
Lo Stato regionale, in particolare, pur nel rispetto dell'unità e dell'indivisibilità dello Stato, lascia alle Regioni ampia autonomia e vasti ambiti di competenza politica, amministrativa e legislativa. Un esempio di Stato regionale è l'Italia.
Lo Stato federale, nel quale, oltre al Governo centrale, esistono diversi Governi locali, a ciascuno dei quali corrisponde uno Stato (si crea quindi uno "Stato di Stati").
Lo Stato federale è il prodotto della successiva integrazione di più Stati sovrani (per esempio, come è avvenuto negli Stati Uniti e in Germania), oppure di un decentramento che ha dato luogo a forti autonomie (per esempio, come è avvenuto in Brasile e in Austria). Sul piano del diritto internazionale, viene riconosciuto quale soggetto del diritto lo Stato federale e non i singoli Stati membri.
Lo Stato federale è, infatti, titolare di personalità giuridica e, conseguentemente, è legittimato a compiere atti giuridici a livello internazionale (stipula di trattati internazionali, sottoscrizione di accordi ecc.) che vincolano i suoi Stati membri.
Altresì, la forma dello Stato dipende dal rapporto tra governanti e governati. In relazione a tale aspetto, nel corso delle varie epoche storiche si sono succedute e sono coesistite differenti forme di Stato:
Lo Stato assoluto, derivato dallo Stato moderno delineatosi in Europa nel corso del Quattrocento, si evolve progressivamente fino a raggiungere forma compiuta nel Settecento, per poi entrare in crisi verso la metà del secolo successivo.
Lo Stato assoluto si afferma in un periodo storico caratterizzato da due spinte accentratrici che giocano in favore del potere centrale: lo sgretolamento del sistema feudale e la subordinazione della Chiesa allo Stato.
In quest'ottica, l'autorità del sovrano diventa gradatamente illimitata: egli è il titolare di ogni forma di potere, che esercita legittimamente tramite gli strumenti caratteristici dello Stato assoluto, ossia la burocrazia, la polizia e l'esercito.
Proprio quest'ultimo costituisce un punto di forza del potere assoluto del sovrano, in considerazione dei numerosi conflitti bellici che affliggono l'Europa del tempo.
In effetti, questi, comportando l'accumulo di ingenti debiti, richiedono una crescita esponenziale del prelievo fiscale, attuato da un'efficiente amministrazione centrale e grazie all'intervento statale in economia.
Lo Stato di polizia (dove il termine «polizia» deriva dal greco politeia e ha il significato di «costituzione», «ordinamento della città», «amministrazione interna») rappresenta la più compiuta forma evolutiva dello Stato assoluto e monarchico, poiché si basa sullo ius politiae, cioè sul diritto esercitato in funzione del benessere dei sudditi, individuato nella sicurezza e nella prosperità (nonostante l'accezione innegabilmente negativa di "polizia" in termini di repressione).
In effetti lo Stato di polizia (detto anche Stato paternalistico) si sviluppa, principalmente in Prussia e nell'Impero austriaco, nel XVIII secolo, quando in Europa si afferma l'Illuminismo, il movimento che promuove i valori della ragione, dello spirito critico e della circolazione democratica del sapere, al fine di migliorare la vita associata degli uomini.
Di fatto, le politiche riformatrici dei sovrani "illuminati" continuano a essere operate dall'alto e interessano principalmente la dimensione patrimoniale dell'emergente ceto borghese che, non ricevendo l'ambito riconoscimento di un ruolo politico conseguente all'accresciuto benessere economico, diviene ben presto il principale sostenitore delle rivoluzioni liberali della fine del Settecento e della prima metà dell'Ottocento.
Lo Stato liberale nasce dalle rivoluzioni di fine Settecento e della prima metà del secolo successivo (Guerra d'indipendenza americana, 1775-83, e Rivoluzione francese, 1789-99).
Nello Stato liberale i poteri pubblici sono assoggettati alla legge e finalizzati alla tutela delle libertà e dei diritti fondamentali dei cittadini.
Si definisce quindi lo Stato liberale come uno Stato di diritto, basato cioè non sulla volontà di un sovrano bensì sulla supremazia della legge.
Quello liberale è uno Stato "minimo", fondato cioè sull'idea che lo Stato non debba intervenire negli ambiti sociale ed economico: la domanda e l'offerta dei mercati devono raggiungere un equilibrio autonomamente, senza alcun intervento esterno.
Un esempio di Stato liberale è lo Stato costituzionale, fondato appunto su una Costituzione.
Lo Stato democratico (il termine «democrazia» deriva dal greco démos, «popolo», e kràtos, «potere», ovvero «governo del popolo») si afferma come risposta all'accresciuta esigenza di legittimazione da parte del potere centrale nel primo e soprattutto nel secondo dopoguerra.
Le forme di Stato democratico trovano origine nello Stato di diritto, nel quale, in contrapposizione allo Stato assoluto, il potere centrale è sottoposto alla legge.
Quelli che nell’Ancien Régime erano «sudditi» divengono a tutti gli effetti «cittadini».
Se nello Stato assoluto la sovranità del re discendeva da Dio e nello Stato liberale il sovrano era investito del potere dalla nazione, nello Stato democratico i poteri derivano dal popolo.
La società, in particolare nelle democrazie occidentali, dà vita a partiti burocraticamente strutturati e a sindacati organizzati.
Le principali caratteristiche dello Stato democratico sono le seguenti:
un'economia di tipo misto, che prevede l'integrazione tra intervento pubblico e iniziativa privata, la declinazione dei diritti economici nella dimensione sociale (che dunque conserva un particolare riguardo per i singoli individui) e lo sviluppo di una normativa a tutela del lavoro e della sicurezza;
una costituzione rigida in «senso forte», che raccoglie i principi e i valori condivisi da una società pluriclasse in un atto che possa essere modificato solo attraverso una procedura aggravata rispetto a quella con cui si modificano le leggi ordinarie, e che introduce il controllo di legittimità costituzionale delle leggi.
In forza del quale esse non devono porsi in contrasto con i princìpi e i valori costituzionali; in caso contrario è lecito ottenerne l'eliminazione dall'ordinamento giuridico;
l'affermazione della sovranità popolare attraverso l'introduzione non solo di forme di democrazia rappresentativa, ma anche diretta (referendum e iniziativa legislativa) e diffusa (formazioni sociali quali associazioni, partiti, sindacati ecc. ;
il pluralismo, un indirizzo politico fondato sul riconoscimento e sullo sviluppo delle autonomie e del decentramento, secondo il quale lo Stato governa e media gli interessi di una pluralità di realtà intermedie, in particolare formazioni sociali ed enti collettivi, garantendo la loro partecipazione alle sue funzioni (autonomia partecipativa).
Lo Stato sociale nasce nella seconda metà del secolo scorso in Europa ed è una forma di Stato costituzionale che, oltre a garantire l'uguaglianza formale dei cittadini di fronte alla legge, intende attenuare le disparità sociali, intervenendo in favore dei ceti deboli, per garantire a tutti i cittadini un'esistenza dignitosa (sulla distinzione tra uguaglianza formale e sostanziale).
Lo Stato sociale ritiene che la regolazione dell'economia sia una delle sue principali funzioni e che essa abbia lo scopo di assicurare una distribuzione più equa del prodotto nazionale, rispetto a quella prospettata dal libero gioco dell'iniziativa economica dei privati. La profonda crisi economica scoppiata all'inizio del terzo millennio ha reso necessari l'alleggerimento della presenza dello Stato e dei suoi costi in economia e la ricerca di nuovi e più sostenibili equilibri economico-finanziari.
Negli ultimi anni, le democrazie occidentali si sono trasformate sotto la spinta della globalizzazione e del turbo-capitalismo, ossia di un capitalismo sfrenato che si è imposto molto rapidamente.
Nelle nuove forme di Stato è il mercato a determinare gli orientamenti politici ed economici, mentre i cittadini vengono coinvolti in modo crescente nelle nuove forme del consumo globale.
Lo Stato proletario è un modello di Stato che si è affermato nel xx secolo, parallelamente al fiorire delle democrazie occidentali, con lo scopo di porre fine alle disparità sociali ed economiche.
Esso è infatti finalizzato alla realizzazione della «dittatura proletaria» (i proletari sono coloro che non posseggono nulla all'infuori dei figli), in base alla quale lo Stato deve essere «democratico in senso nuovo», perché deve tutelare i proletari e i non possidenti in generale, e allo stesso tempo «dittatoriale in senso nuovo», perché si pone in contrapposizione agli interessi della borghesia. L'esperienza dello Stato proletario ha dato luogo allo Stato comunista, cioè a un modello di Stato amministrato e governato da un solo partito, ideologicamente allineato con la filosofia marxista-leninista.
Questo modello si è esteso dalla Russia all'Europa orientale, in Asia e a Cuba, per poi conoscere una grave crisi negli anni Novanta, dovuta alla sua stessa mancanza di flessibilità, che lo ha reso incapace di sostenere la competitività (in primo luogo a livello economico e, secondariamente, sul piano politico e militare) dei Paesi capitalisti.
Le principali caratteristiche dello Stato comunista sono le seguenti:
l'assegnazione forzata alla collettività (dunque allo Stato) della proprietà dei mezzi di produzione, che lascia spazi limitati alla proprietà personale e all'iniziativa privata;
la pianificazione economica centralizzata, manifestazione di un'economia dirigistica (nella quale lo Stato influenza i settori produttivi);
la funzione centrale del Partito comunista, unico attore politico, i cui vertici hanno il potere di derogare alla legge ogni volta che lo ritengano conveniente e i cui dirigenti, in quanto funzionari di partito, determinano gli orientamenti di tutte le amministrazioni;
la subordinazione delle libertà e dei diritti fondamentali ai fini del socialismo, per cui, anche se formalmente riconosciuti, questi vengono negati quando esercitati in opposizione al Partito.
Per le ultime due caratteristiche sopra indicate, molti studiosi ritengono che l'esperienza comunista rientri nel totalitarismo.
Lo Stato totalitario è un modello di sistema politico, comparso nel xx secolo, nel quale rientrano l'esperienza nazista, quella fascista e quella comunista.
Il regime imposto nello Stato totalitario si basa sul controllo capillare esercitato dall'unico partito di governo in ogni settore della società.
Il partito, oltre a imporre le proprie direttive, intende anche cambiare il modo di vivere e di pensare dei cittadini in base all'ideologia cui si ispira.
Oggi, la maggior parte delle dittature comuniste sono cadute, eccezion fatta per la Cina, il Vietnam, il Laos, la Corea del Nord e Cuba.
Sotto molti aspetti, per i Governi di Cina, Vietnam e Laos si tratta di un comunismo di facciata, in quanto tali Stati aderiscono a riforme ispirate all'economia del libero mercato.
Le principali caratteristiche dello Stato totalitario sono le seguenti:
la concentrazione dei poteri politici nella persona del leader;
la progressiva abolizione dei diritti di base attraverso la revisione degli istituti dello Stato liberale (per esempio, durante il fascismo le elezioni furono progressivamente abolite, analogo processo riguardò la separazione dei poteri, la soggezione dei poteri pubblici alla legge, il rispetto delle minoranze e delle autonomie ecc.);
l'esasperata celebrazione della nazione, con il corrispondente svilimento dell'individuo, reso un semplice mezzo al servizio della prima;
il culto del leader, indicato come vero e unico interprete delle autentiche volontà della nazione;
il monopolio del partito unico, che inquadra e indottrina le masse, alle quali è imposta l'assoluta condivisione degli orientamenti del Governo. Le strutture del Partito si sovrappongono a quelle dello Stato e i suoi funzionari sono nominati dirigenti degli enti statali.
Per definire la forma di governo si fa riferimento alla modalità di organizzazione dei poteri pubblici all'interno di uno Stato. Si usa distinguere tra:
forme di governo pure, quali la monarchia assoluta e la dittatura, ove i poteri di governo fanno capo a un solo soggetto (re, imperatore o dittatore), in quanto erede del precedente (per esempio, nel caso della monarchia ereditaria) oppure in quanto eletto da una ristretta oligarchia (per esempio, nel caso della monarchia elettiva: il papa è un monarca eletto);
forme di governo miste, ovvero quelle nelle quali i poteri di governo competono secondo diverse modalità a differenti organi dello Stato, che nella pratica collaborano tra di loro.
In particolare, l'Italia è una Repubblica democratica, in cui dunque la sovranità appartiene al popolo, e ha una forma di governo parlamentare: il Parlamento, i cui componenti vengono eletti direttamente dai cittadini, ha la preminenza sugli altri organi costituzionali presenti all'interno dello Stato, quali il Governo e il Presidente della Repubblica, con i quali collabora e che con diverse modalità elegge.
Diversa dalla repubblica parlamentare è la repubblica presidenziale (per esempio, è questa la forma di governo adottata negli Stati Uniti), dove il capo dello Stato e il capo del Governo coincidono nella figura del Presidente.
Il Presidente è eletto direttamente dai cittadini e non deve dunque chiedere la fiducia al Parlamento, che collabora comunque con il Presidente in quanto organo legislativo.