Già durante il regno di Carlo II, l’opinione pubblica inglese si divideva in due grandi partiti: i Tories, conservatori, che rappresentavano prevalentemente l’interesse delle classi agricole, e i Whigs, liberali, simbolo della nuova borghesia commerciale. La polemica fra i due partiti era spesso molto aspra, specialmente durante la guerra di successione spagnola (1702-1713) e al momento di regolare la successione al trono della regina Anna, poiché i Tories erano contrari sia alla guerra, che pareva loro senza fine, sia al passaggio della corona. Poco prima della metà del secolo, la lotta sembrò placarsi con la vittoria dei Whigs, ma nel 1760, con l’avvento di Giorgio III e sotto la minaccia già imminente della Rivoluzione americana e di quella francese, i Tories riguadagnarono il favore perduto. In questa atmosfera di lotte politiche, aspra anche se non sanguinosa, gli scrittori inglesi del Settecento, specialmente quelli della prima metà, non potevano che prendere posizione: Swift era un acceso tory, Addison e Defoe erano invece whig. Questa lotta di parte non influì unicamente sulla loro vita, con pensioni e benefici dati e tolti, ma si insinuò spesso anche tra le righe dei loro capolavori, benché non siano necessariamente di stampo politico.
La casa regnante inglese degli Stuart aveva rischiato di estinguersi con la guerra civile del 1641-46, terminata con la decapitazione di re Carlo I. La Repubblica voluta e governata da Oliver Cromwell durò fino alla sua morte, mentre in seguito, nel 1660, la monarchia di diritto divino venne restaurata senza scosse e con libere elezioni, affinché "Dio benedicesse il paese che aveva rimesso la testa a posto". Il trono passò quindi a Carlo II Stuart, il figlio del "re martire". Poiché Carlo II, a causa della sterilità della regina, aveva messo al mondo diciassette bastardi riconosciuti ma nessun figlio legittimo, la successione passò al fratello Giacomo che però, essendo cattolico dichiarato, incorse nel veto del Parlamento. Ciò nonostante, nel 1685, il paese ebbe un re cattolico: Giacomo II d’Inghilterra, nonché re di Scozia col nome di Giacomo VII. Già vedovo e padre di principesse protestanti, Giacomo II sbalordì i suoi sudditi quando a cinquant’anni convolò a nuove nozze con Isabella d’Este, naturalmente cattolica, e lo sbalordimento lasciò posto alla costernazione quando al re nacque un figlio ed erede, Giacomo Edoardo: adesso, l’eventualità di una dinastia di "cattolici fanatici" assumeva contorni concreti.
Nel 1688, a difendere le libertà politiche e religiose dell’Inghilterra fu invocato l’aiuto dello "stathouder" d’Olanda, Guglielmo III d’Orange, marito di Maria, la figlia protestante di Giacomo II. Il sovrano, abbandonato da tutti, tentò solo una debole resistenza, poi fuggì in Francia. Il Parlamento dichiarò vacante il trono e nel 1701 con L'Act of Settlement (Atto di disposizione) ne escluse in perpetuo la linea cattolica degli Stuart, regolandone la successione prima in Maria, poi nella sorella Anna, moglie di re Giorgio di Danimarca. In caso di assenza di prole, la corona sarebbe passata alla dinastia luterana degli Hannover, che discendeva per linea femminile da re Giacomo I.
Questa "seconda rivoluzione" inglese, totalmente pacifica, non spense le speranze dei giacobiti, i fedeli di Giacomo II.
Sconvolta nel giro di pochi anni da due Rivoluzioni, l’Inghilterra assurse dalla fine del Seicento al ruolo di potenza egemone in Europa, contrastata nella sua grandezza soltanto dalla Francia del Re Sole. Allo stato assolutista francese essa contrappose un modello di monarchia parlamentare, affermando, per la prima volta nella storia, l’importanza del Parlamento nelle scelte politiche del Paese, non più delegate al solo sovrano. La monarchia inglese assunse così definitivamente una fisionomia moderna.
In questo nuovo assetto governativo, si impose anche il sistema bipartitico, in cui il partito conservatore dei Tories e quello liberale dei Whigs si fronteggiarono in civile competizione. I due schieramenti si alterneranno al potere fino ai nostri giorni, combattendosi duramente, ma lavorando altresì insieme per la grandezza della nazione. Nel 1702, alla morte di Guglielmo III, sul trono d’Inghilterra salì sua cognata Anna, figlia anch’ella di Giacomo II Stuart e sorella della moglie. Dopo lunghi negoziati tra parlamentari inglesi e scozzesi, nel 1707, con l’Atto di Unione, nacque la Gran Bretagna. Inghilterra e Scozia, già unite sotto un solo sovrano, si unirono anche da un punto di vista parlamentare ed un folto gruppo di scozzesi ebbe accesso sia alla Camera dei Lords che alla camera dei Comuni. Nel 1714, alla morte della regina Anna, figlia di Giacomo II Stuart, sul trono britannico si insediò Giorgio I di Hannover, membro della potente famiglia dei principi elettori dell’omonimo stato tedesco, la cui estraneità alla vita politica inglese accrebbe i poteri del Parlamento.
Quando alla morte di Anna salì al trono Giorgio I, elettore di Hannover, i giacobiti gli opposero Giacomo III, che nel 1715 istigò i clan scozzesi delle Highlands ad una ribellione passata alla storia come "Il Quindici". La rivolta fallì e, mentre Giacomo III trovava rifugio in Francia diventando per i suoi seguaci giacobiti "il re di là dal mare", il governo di Londra reagì in fretta e pesantemente, deportando e giustiziando i ribelli, confiscando i beni dell’aristocrazia e disarmando i clan. Le speranze di una restaurazione giacobita non morirono con l’esilio di Giacomo III ed anzi parvero risollevarsi nel 1744, quando la sua causa ottenne l’appoggio militare di re di Luigi XV di Francia, che vedeva di buon occhio sul trono d’Inghilterra, l’eterna rivale, un suo candidato, per di più cattolico. Nel febbraio, diecimila soldati francesi erano stati radunati a Dunkerque, in attesa di essere traghettati a Maldon, sulla costa dell’Essex, da cui avrebbero marciato su Londra. A rappresentare gli Stuart c’era il Principe di Galles Carlo Edoardo, il figlio di Giacomo III. Le avverse condizioni atmosferiche, che causarono la quasi completa distruzione della flotta francese, fecero rimandare il progetto d’invasione, poi decisamente cancellato con la morte di Luigi XV avvenuta quello stesso anno. Giacomo III non aveva più valore nei giochi della politica europea e passò il suo sogno al figlio Carlo Edoardo, che da quel momento fu designato nei salotti politici d’Europa come il "Nuovo Pretendente" e in quelli galanti come il "Bel Principe Carlo". Dal 1721 al 1742, il governo fu retto dai democratici whigs, avversari del partito conservatore dei tories, accesi sostenitori del costituzionalismo parlamentare e guidati da Robert Walpole. La corruzione elettorale dilagò senza freni, come pure il clientelismo nelle concessione degli uffici pubblici.
Il partito whig rimase a lungo al potere e a Walpole successe nel 1742 William Pitt, il quale restò in carica sino ai primi anni del lungo regno di Giorgio III. La malattia mentale che affliggeva il sovrano lasciò sempre maggiore iniziativa al Parlamento, che consolidò sempre più il suo potere a scapito della Corona, il cui ruolo fu scavalcato dagli altri poteri dello stato.
L’Inghilterra cominciò a solcare le acque degli oceani alla ricerca di nuovi spazi soltanto nel Seicento. Autorizzate da decreti regi, si formarono allora le grandi compagnie commerciali, come la Compagnia delle Indie orientali, fondata nel 1600.
I primi insediamenti di coloni inglesi si ebbero sul continente americano. La Virginia fu colonizzata nel 1606, le isole Bermuda nel 1612; nel 1620 un gruppo di esuli puritani sbarcati dalla nave Mayflower fondò a Plymouth, nel Massachussets, un piccolo insediamento, sottoscrivendo un patto con il quale dichiaravano di formare una "civile società politica". In queste zone, dove si concentravano gli interessi di tutte le potenze coloniali, scoppiavano spesso conflitti, che si acuivano in concomitanza con le numerose guerre europee dell’epoca. Allo scopo di mantenere i suoi privilegi, l’Inghilterra andava allestendo una flotta sempre più moderna ed efficiente, tanto da riuscire ben presto a ricacciare le forze navali concorrenti da Barbados, Antigua, Bahamas e Giamaica.
Nel 1664 la flotta del duca di York, il futuro re Giacomo II, sottrasse agli olandesi la città di Nuova Amsterdam, ribattezzata, dopo la pace di Breda del 1667, New York in onore del duca. Dall’altra parte del mondo, la Compagnia delle Indie orientali fondò scali fortificati nel Bengala, a Calcutta e a Madras.
Il matrimonio di Carlo II Stuart con la principessa portoghese Caterina di Braganza, celebrato nel 1662, procurò all’Inghilterra la città di Bombay, portata in dote dalla sposa, e le aprì la possibilità al commercio nelle colonie del Portogallo. I principali ostacoli all’espansione coloniale inglese erano costituiti dalla Spagna, che controllava la maggior parte del continente americano e dalla Francia, con le sue mire espansionistiche oltremare. Lo scoppio della guerra di successione spagnola nel 1702, a seguito della morte del re Carlo II, portò gli inglesi ad allearsi con l’Olanda per impedire che le colonie americane della Spagna cadessero in mano francese. Il Trattato di Utrecht, che pose fine al conflitto nel 1713, sancì i vantaggi della vittoriosa Inghilterra, la quale ottenne Gibilterra, Minorca, la Nuova scozia e la sovranità sulla baia di Hudson e su Terranova.
La Spagna dovette inoltre cedere alla Compagnia britannica dei mari del sud l’asiento, cioè il diritto di fornire schiavi ai propri possedimenti americani.
Declinato l’impero olandese e delimitata l’area coloniale spagnola all’America del Sud, all’inizio del XVIII sec., la Francia rappresentava l’avversario più temibile per la potenza inglese. Il principio che i problemi dei possedimenti oltremare non dovessero interferire coi rapporti diplomatici tra gli stati stava ormai venendo meno, essendo le colonie sempre più considerate parte integrante dell’economia di una nazione. La Guerra dei Sette Anni, esplosa in Europa nel 1756, divenne la principale occasione per l’Inghilterra di espandersi. Lo scontro tra Francia e Inghilterra per il controllo dei Caraibi e dell’America settentrionale fu alla base di questo conflitto, che inizialmente volse a favore dei francesi.
Con l’ascesa al potere di William Pitt il Vecchio, i rapporti di forza si invertirono e nessuno riuscì ad ostacolare l’espansione delle forze inglesi nel Nuovo Continente, che strapparono il Canada e tutte le colonie americane francesi, la Florida e numerose isole delle Antille.
Caddero inoltre in mano inglese il Senegal e l’intero Bengala. L’Inghilterra dominava ormai due vastissime regioni coloniali collocate agli antipodi: quella americana, dal Labrador alla Guyana e quella indiana, lungo tutta la valle del fiume Gange. L’indipendenza delle tredici colonie atlantiche, proclamata con la Rivoluzione americana e riconosciuta col Trattato di Versailles (1783), che restituiva inoltre il Senegal alla Francia e la Florida e l’isola di Minorca alla Spagna, fu motivo di grande umiliazione per il prestigio britannico, in parte bilanciato dalle continue acquisizioni territoriali in India e in Australia.
La potenza coloniale inglese, tuttavia, continuò ad accrescersi negli ultimi anni del secolo e nei primi del successivo. La vittoria di Trafalgar nel 1805 sancirà definitivamente la superiorità della Gran Bretagna nel dominio delle colonie.
L'Inghilterra, sostituendo la teoria del 'diritto divino' con il concetto di 'diritto naturale' suggella l’alleanza tra monarchia e borghesia e ha la meglio nella lotta per il predominio commerciale in Europa e nel mondo. Questa realtà fa sorgere un largo movimento di pensiero e di idee, che si diffonde rapidamente in tutta Europa con il preciso scopo di eliminare privilegi e soprusi e di costruire un mondo migliore e più giusto. La classe borghese costituisce il settore più attivo e operoso della società, produce e accumula ricchezza ed ha la necessaria competenza in ogni campo. È colta, aperta, concreta, impegnata, pronta a rischiare, non impastoiata dalla tradizione e dal 'voler apparire' (croce e delizia dei nobili e del clero). A ciò si aggiunge il pensiero illuminista, secondo cui è possibile liberare le menti dalle tenebre dell’ignoranza e della superstizione, facendo affidamento sulla scienza, e quindi sulla "luce della ragione".
Poiché la scienza non deve mai accettare le cose già fatte o dette, ma ragionarvi sopra e sperimentare, tutto viene sottoposto al "tribunale della ragione": le leggi scientifiche sono così applicate non solo al mondo fisico, ma anche alle questioni che riguardano l’uomo e la società. La parola d’ordine è "criticare liberamente"
per verificare quanto di vero ci sia nella tradizione, nella religione, nei principi economici e nelle teorie dei governanti. Oltre all’operosa borghesia vi era in Inghilterra un ceto sociale particolare, quello dei gentry, considerati nobili dai contemporanei, ma non ufficialmente tali.
Questa nuova classe di proprietari fondiari viveva nobilmente, tramandando le terre ai primogeniti e lasciando che i cadetti si dedicassero alla carriera militare, a quella ecclesiastica, alle professioni liberali, così come quelli dei Lord, ovvero i Pari del Regno, fino ad allora i soli aristocratici.