La pittura italiana dell'800
La pittura italiana fra scapigliatura e macchia
L’arte italiana dell’Ottocento, pur interessante, non poté non essere influenzata dalla divisione della penisola in piccoli stati regionali e dall’angusta atmosfera della restaurazione.
Peraltro, non si può dire che mancassero i legami con le esperienze artistiche, anche con quelle più avanzate, degli altri paesi europei: mancò tuttavia il grande personaggio, il grande artista.
Anche per questo la partecipazione dell’arte italiana al movimento pittorico romantico è stata definita quindi fiacca e incerta. A Milano operò Francesco Hayez (1791-1882), forse l'esponente più in vista della scuola romantica italiana, incline al quadro davidiano di ambientazione storica.
Un romanticismo moderato e accademico caratterizzò i quadri di molti artisti, fra cui Bezzuoli, Ciseri e Ussi. Ai paesaggisti guardò G. Carnevali, detto il Piccio (1804-1873), che dovette conoscere le tele di un Cozens e di Constable e che si interrogò attorno alla "macchia", pur senza mai raggiungerli. Un altro paesaggista importante fu Antonio Fontanesi (1818-1882).
Il gruppo della scapigliatura lombarda, fra cui Tranquillo Cremona (1837-1878) e Daniele Ranzoni (1843-1889), ebbe una certa notorietà, dovuta anche al suo interpretare un certo sentimentalismo ribelle del tempo: il suo prodotto migliore fu però solo assai più tardo e fu uno scultore più che un pittore, Medardo Rosso (1858-1928).
Qualche pittore lombardo, come Eleuterio Pagliani (1826-1903) e Federico Faruffini (1831-1869), ebbe tendenze realistiche di tipo courbettiano: analogamente Giuseppe (1812-1888) e Filippo Palizzi (1818-1899) furono in contatto con i Barbizon.
Oggi però vengono spesso menzionati più che altro per amor di patria. Peraltro, l’azione di questi artisti avvenne in ritardo rispetto a quella degli ispiratori d’oltralpe, come più tarda e sostanzialmente postunitaria fu l’opera del napoletano Domenico Morelli (1826-1901).
Un movimento più compatto e numeroso, e nell’insieme caratteristico, fu invece quello dei macchiaioli, sviluppatosi in Toscana a partire dagli anni Cinquanta. In loro romanticismo e realismo si incontrarono, assieme ad alcune riflessioni originali appunto sulla "macchia": per essi il vero si vedeva come un contesto di macchie di colore e di chiaroscuro, non per precisione della visione.
Il più notevole fu Giovanni Fattori (1825-1908), di cui possono essere ricordati i dipinti, al tempo stesso macchiaioli e patriottici, di argomento militare.
Il purismo e la pittura di storia
È nella prima metà del secolo che l’ideale neoclassico di bellezza viene progressivamente avvertito come non più adatto a soddisfare le nuove esigenze estetiche che si fondano adesso sulle suggestioni del sentimento, delle passioni, degli ideali.
Le fascinazioni mitologiche per un passato interpretato come grande bagaglio culturale a cui attingere continuamente vengono sostituite nella prima metà del secolo da soggetti desunti dalla storia vera, in cui lo svolgimento narrativo acquista adesso una funzione pedagogica e politica.
Da queste premesse e dalla rivalutazione del sentimento religioso sorgerà in Italia il purismo, contraddistinto da una predilezione per la pittura antica italiana vista come l’età d’oro dell’arte e dello spirito.
Alla pittura del Raffaello del periodo romano aderirà in una rievocazione non solo formale Mussini e, sebbene in forme più naturalistiche, Bartolini: artisti questi ultimi per i quali sarà fondamentale la conoscenza delle opere di Ingres, a lungo in Italia, e buon amico di Bartolini.
Più vicino invece alle novità del romanticismo europeo appaiono le appassionate rievocazioni storiche di Hayez, così ricche di sentimenti esibiti, di esortazioni alle virtù civili, di allusioni patriottiche, ma anche di immagini sensuali, di soggetti amorosi e patetici.
Nella prima metà del secolo l'ideale neoclassico di bellezza viene progressivamente avvertito come non più adatto a soddisfare le nuove esigenze estetiche che si fondano adesso sulle suggestioni del sentimento, delle passioni, degli ideali. Le fascinazioni mitologiche per un passato interpretato come grande bagaglio culturale a cui attingere continuamente vengono sostituite nella prima metà del secolo da soggetti desunti dalla storia vera, in cui lo svolgimento narrativo acquista una funzione pedagogica e politica. Da queste premesse e dalla rivalutazione del sentimento religioso sorse in Italia il purismo, contraddistinto da una predilezione per la pittura antica italiana vista come l'età d'oro dell'arte e dello spirito. li Manifesto del purismo, steso nel 1842 dal letterato e pittore Antonio Bianchini e firmato dallo scultore Pietro Tenerani, da Tommaso Minardi e da Overbeck, sosteneva infatti la purificazione formale e morale dell'espressione artistica sulla scorta del contemporaneo dibattito linguistico che proponeva il ritorno al toscano trecentesco, cioè alla lingua "primitiva". In pittura tale programma si tradusse nell'adozione di uno stile piano e semplificato nelle forme, sapiente nella composizione accuratissima, dal disegno impeccabile e dalle stesure eli colore unito e smaltato, espressione eli equilibrata naturalezza e eli profòndo sentimento religioso. Manifesto pittorico eli questi principi si rivelò il quadro Musica sacra del toscano Luigi Mussini, oggi all'Accademia di Firenze. il pittore condusse una rievocazione non solo formale della pittura del Raffaello del periodo romano, cui si rifece, sebbene in forme più naturalistiche, anche Bartolini. Per entrambi fu fondamentale la conoscenza delle opere eli Ingres, a lungo in Italia e buon amico eli Bartolini, che esercitò una forte influenza sulla corrente purista, mitigando con tocco atmosferico e soffice il calligrafico stile dei nazareni.
Hayez e Bartolini
Dopo l’iniziale soggiorno romano che consentì ad Hayez di conoscere l’opera di Raffaello, quella di Ingres e di frequentare lo studio di Canova è a Milano che l’artista giunse a d una compiuta maturazione artistica.
A Milano, infatti, Hayez trovò non solo un pubblico entusiasta dei suoi lavori, ma anche un ambiente fervido e culturalmente vivo e moderno.
Nei temi storici trattati dal pittore si poteva infatti riconoscere uno spirito patriottico, appassionato e carico di suggestioni, ma anche la forza di un naturalismo nuovo condotto sugli esempi della pittura veneta del Cinquecento: per i capolavori della fine degli anni Venti, come Pietro l’eremita e i Profughi di Parga, si parla di "pittura civile".
Dagli anni Quaranta prevarranno invece i soggetti orientali ed ellenistici con la serie delle odalische e degli harem, ed i suoi dipinti storici, che ora sembrano recuperare la tradizione veneta settecentesca, eserciteranno per molti anni una forte suggestione sul pubblico europeo.
Da analoghe premesse neoclassiche prese avvio anche la cultura artistica di Bartolini. Per lo scultore toscano fu determinante il soggiorno parigino, dove frequentò l’atelier di David ed entrò in contatto con Ingres. L’interesse per le opere del Quattrocento toscano lo portarono a superare ben presto i dogmatismi formali del Neoclassicismo.
Più che nelle opere del periodo napoleonico, ancora assai legate agli esempi di Canova, questa tendenza si rivelerà pienamente nell’Ammostatore, scolpito a Firenze nel 1818, e nella Carità educatrice del 1824, opere nelle quali Bartolini dichiara la sua ricerca di un "bello naturale", la tensione verso un rapporto diretto con la natura, e che da un punto di vista formale si esprime nella viva rappresentazione dei suoi modelli, nella spontaneità delle pose.
Ne è un esempio chiaro il tardo monumento funebre di Sofia Czartoryska, nel quale la vacua compostezza del volto della donna, immagine di una pace raggiunta, è contrapposta al tormento della coperta, come a ricordare l’ormai trascorso dramma dell’agonia.
La scapigliatura
Nata a Milano come movimento letterario intorno agli anni Sessanta alla scapigliatura partecipano artisti accomunati dalla ribellione alle convenzioni borghesi per una vita ispirata alla bohème francese, che si contrappongono alle regole accademiche con una pittura d'atmosfera, che rinuncia al disegno per puntare a un suggestivo sfumato.
Dopo inizi romantici, ispirati ad Hayez, fu l'esempio del Piccio a indicare a Tranquillo Cremona la strada verso una pittura vaporosa, radicalmente sfumata, senza disegno e senza contorno, una pittura sfatta, tutta giocata su tocchi imprecisi e pur studiatissimi di pennello, su bagliori perlacei che sembrano come risaltare da un indefinito atmosferico.
I temi trattati - Silenzio amoroso, Amor materno - rivelano spesso una velata inquietudine e un sentimentalismo esibito, in linea con quell'atteggiamento appassionato e intenso, quel gusto per una vita vissuta fino in fondo, tipico degli artisti della scapigliatura.
Sulla scorta dell'opera di Cremona e attraverso una formazione influenzata dalle opere di Fontanesi ed esemplata forse sullo studio dello sfumato leonardesco, Daniele Ranzoni definì il proprio stile, caratterizzato anch'esso da un'accentuata scomposizione formale.
Ranzoni dipinse soprattutto ritratti: immagini di donne pensose, di fanciulli dagli occhi grandi e sorpresi, di personaggi malinconici e assorti in un loro misterioso mondo interiore.
La sua pennellata è vaporosa e vibrante, palpita con delicatezza sino a sembrare pastello e ottiene una pittura data "col fiato", come diceva lo stesso Ranzoni: l'effetto è quello di una nebbia indistinta da cui appare l'immagine solo se osservata dalla giusta distanza come a sottolineare la difficoltà a penetrare nell'interiorità dell'altro.
Per generare questi effetti gli scapigliati dipingevano indietreggiando dall'opera e utilizzando anche lunghi pennelli adatti a mostrare subito gli effetti delle pennellate vaporose.
Antonio Fontanesi
Altra figura di rilievo nel panorama artistico delle regioni settentrionali è Antonio Fontanesi, che fu il tramite per l'accostamento del paesaggismo italiano ai francesi della scuola di Barbizon e a Corot verso le più moderne interpretazioni romantiche della natura.
Nel quadro Alla sorgente l'artista pare sensibilmente colpito dalla semplicità della vita contadina e dalla serena dipendenza che lega l'uomo alla natura.
Sembra sovente privilegiare immagini nelle quali la luce gioca un ruolo primario, si insinua nei toni caldi e terrosi fino a smaterializzare le forme.
Numerosi i tramonti, ma anche i paesaggi appena velati dalle prime luci dell'alba: situazioni di luce tenue. che caricano la veduta naturale di accenti lirici, di una struggente emozione visiva che molto deriva dalla sensibilità romantica, per un paesaggio sentito come specchio dell'anima e rivelazione dell'infinito.
Con il viaggio a Londra del 1866, e con la conoscenza delle opere di Constable e Turner, ancora più decise appariranno le scelte verso la rappresentazione di un paesaggio trasfigurato fin quasi all'informe, tutto risplendente di luci dorate.
Medardo Rosso
Verso la fine del secolo, le ricerche sulla resa degli effetti luminosi che pregiudica una ripetizione pedissequa e imitativa del veduto saranno ancor più estremizzate nelle opere di Previati e Segantini e nelle dissoluzioni formali dello scultore Medardo Rosso.
Questi loro esiti costituirono in Italia le premesse dello sperimentalismo delle avanguardie del Novecento. Vicini alle disgregazioni formali che Cremona e Ranzoni in pittura e Grandi in scultura proponevano fin dagli anni Settanta, gli esordi di Medardo Rosso sono da collocare nell'ambiente della scapigliatura milanese.
Già nelle opere precedenti il soggiorno parigino del 1889 (Gli innamorati sotto il lampione, Lo scugnizzo), la scultura di Medardo Rosso rivela una ricerca condotta verso soluzioni plastiche prive di contorni definiti, quasi abbozzi evanescenti, condotti come impressioni di luce e ombre per i quali dunque acquisisce un valore vitale l'ambientazione luminosa (La portinaia, 1883).
Per questo Rosso lavorò soprattutto la cera e il bronzo, i materiali più adatti per creare tali effetti di fragili apparenze (Età dell'oro, 1885).
Il lungo soggiorno parigino gli consentì di accostarsi in maniera quasi naturale al mondo dei pittori impressionisti: con loro condivise la poesia di un attimo fuggevole, l'emozione irripetibile di un'impressione, l'evocazione sottile di sentimenti interiori. Aveva detto: "Noi non siamo che scherzi di luce"; e quindi anche la sua scultura vive questa precarietà dell'esistenza, di un mondo concepito come una continua apparizione.
Il divisionismo
L'affermazione del movimento del divisionismo avviene durante la Triennale di Brera del 1891, nella quale furono esposte Maternità di Previati e Le due madri di Segantini.
È quindi di poco successivo alle prime opere dipinte da Seurat con la tecnica delpointillisme,ma ha un'origine indipendente che si fonda sullo studio del Piccio e di Fontanesi, e sui caratteri della pittura scapigliata milanese.
Riguardo ai contenuti figurativi gli artisti divisionisti mossero verso un graduale allontanamento dalla concretezza della realtà, che si accompagnò all'affermarsi di temi simbolisti, ricchi di allusioni letterarie e, dal punto di vista stilistico, all'uso della tecnica divisionista con le sue vibrazione luminose e le sue astrazione formali.
La tecnica consisteva nella scomposizione e nell'accostamento dei colori primari per mezzo di piccoli tocchi, - puntini o brevi tratti - che l'occhio ricomponeva nella sintesi della percezione.
Ne derivava una inedita intensità luminosa, nel rifiuto del tradizionale chiaroscuro e dell'indagine sui dettagli.
I divisionisti italiani non ebbero mai il rigore scientifico dei pittori francesi, fondato su teorie specifiche dell'ottica e della percezione, ma obbedivano piuttosto a una istintiva inclinazione.
Segantini e Previati privilegiarono presto un'attitudine idealizzante e simbolista, mentre Pellizza da Volpedo e Morbelli rimasero maggiormente legati a temi sociali.
In questo movimento avviarono le proprie sperimentazioni i maggiori pittori futuristi, come Balla e Boccioni.
Giovanni Segantini
Le prime opere di Segantini si muovono in un ambito strettamente milanese, tra l'esperienza della scapigliatura e l'ormai tradizionale verismo aneddotico, ma dal 1880 il pittore si aggiornò sulle novità della pittura europea.
Alla freschezza impressionistica dei primi anni Ottanta farà così seguito la svolta in senso divisionista.
Nel dipinto come Alla stanga, del 1886, si possono già rilevare quelle che poi saranno le caratteristiche della "poetica della montagna" presente nelle opere negli anni successivi: la natura alpina nella sua imponenza e nel suo suggestivo silenzio, la pienezza della luce del sole che rende chiarissimo il paesaggio.
Il dipinto costituisce uno dei primi esempi di quel particolare naturalismo sotteso alla pienezza dell'impressione naturale raccolta dall'artista e intriso di simbolismo, poiché nella raffigurazione cromatica della luce, divisa e accentuata rispetto alla realtà, ha l'intenzione di manifestare l'idea di infinitezza sovrumana insita nel paesaggio alpestre: l'anima infinita della natura che ispira la fase centrale dell'attività di Giovanni Segantini. In questo periodo il pittore guarda con particolare interesse all'opera del francese Millet, grande interprete della vita contadina.
E infatti Alla stanga è una sorta di raffigurazione emblematica dell'epopea della vita contadina, del duro e tenace lavoro quotidiano scandito dai ritmi della natura. Eseguito a Caglio, in Lombardia, il dipinto nasce da una lunga elaborazione condotta dipingendo all'aria aperta, nel corso di sei mesi di lavoro.
Le montagne, la pianura e l'altopiano sono disposti su piani paralleli di differente intensità luminosa. La sobria gamma cromatica impostata sui verdi, sui marroni e sui gialli è esaltata dagli effetti lurninistici.
Il cielo è ridotto a una linea orizzontale da cui si dipartono i raggi del sole che scendono perpendicolari sul paesaggio, creando un caldo effetto di controluce.
La tecnica divisionista impiegata da Segantini, consistente nell'applicare il colore puro in piccole macchie e in sottili filamenti, dona una particolare vibrazione alla superficie pittorica, che, come nei quadri puntinisti, anche se con diverso effetto, cerca di dare il valore di un'affermazione luminosa in atto, nel momento del suo prodursi.
Intorno al 1890, per la suggestione delle opere dei preraffaelliti inglesi e dei pittori della secessione viennese, Segantini volse verso tematiche di tipo simbolista, raffigurando complesse invenzioni allegoriche, miste di spiritualismo letterario e di un vago misticismo.
I Macchiaioli
Il termine "macchiaioli" venne usato per la prima volta nel 1862 sulla "Gazzetta del Popolo" di Firenze in accezione negativa per indicare un gruppo di artisti che, secondo le parole di Signorini, dipingevano con una forte "accentuazione del chiaroscuro pittorico".
Ciò a cui tendevano era "ottenere gli effetti del vero", cioè costruire l'immagine con fedeltà all'impressione visiva.
La forma, non più definita mediante il disegno ma per semplici masse cromatiche, acquistava solidità e concretezza attraverso il contrasto netto tra macchie di colore, tra zone in luce e zone in ombra.
Tuttavia non si può parlare di soluzioni unitarie in quanto, pur in uno stretto giro di anni, le varianti personali furono molte, sia da un punto di vista stilistico, sia riguardo alla scelta dei soggetti da raffigurare.
Tutti accomunati da ideali politici repubblicani e da una forte passione patriottica, si incontravano in una saletta del Caffè Michelangelo a Firenze, nella quale artisti, letterati e intellettuali liberali, provenienti un po' da tutta Italia, discutevano ognuno portandovi idee e aggiornamenti sulle novità conosciute all'estero.
Diego Martelli che fu animatore e teorico di questo consesso di provenienza eterogenea, riunito a Firenze anche a causa dei rivolgimenti politici, commentava:"Non si era mai sentito parlare a quel modo e per la prima volta si discorreva di tocco, di impressione, di valore, di chiaroscuro".
Gli anni Sessanta furono il periodo di maggior fervore creativo.
Qualcuno nel frattempo si era anche recato a Parigi e al Caffè si iniziava a parlare anche del ton gris e "del vecchio nero che, decolorando il variopinto aspetto della natura, permette di afferrare più prontamente la totalità del chiaroscuro, la macchia".
I macchiaioli fiorentini lavoravano all'aperto, riuniti in piccoli gruppi, insieme ai compagni provenienti da altre aree d'Italia, come Costa, Cabianca, De Nittis, Boldini e Zandomeneghi, che poi sceglieranno strade diverse. Fondamentale per il movimento fu anche la presenza in Toscana di due francesi: di Degas che nel 1858 soggiornò a Firenze presso gli zii e di Marcellin Desboutin, acquafortista che risiedette nel 1854 presso la villa dell'Ombrellino a Bellosguardo e promosse un cenacolo di artisti.
Luoghi storici delle riunioni macchiaiole, per dipingere dal vero, furono dapprima Staggia, nella campagna senese, dove andavano a dipingere Serafino De Tivoli, Ademollo, Altamura, successivamente intorno al 1854, Piagentina, un sobborgo alla periferia di Firenze, e quindi Castiglioncello, nei pressi di Livorno.
Dall'estate del 1861 Abbati, Sernesi, Fattori, Signorini, cominciarono le frequentazioni di Castiglioncello, richiamati dal critico e collezionista Diego Martelli che aveva lì una sua casa di villeggiatura.
Nella vasta tenuta del mecenate potevano trovare un paesaggio incantevole e incontaminato.
Nacquero opere straordinariamente evocative accomunate dalla sensibilità ai valori atmosferici, dall'attenzione alle variazioni luministiche, dalle vedute dilatate e limpide spesso dipinte su tavolette lunghe e strette.
A Piagentina si era ritirato per primo Lega, ospite della famiglia della fidanzata che in quel sobborgo aveva la propria residenza. Fu seguito dapprima da Signorini, poi da Abbati e Sernesi.
Rispetto all'intensità della natura di Castiglioncello, a Piagentina i macchiaioli trovavano una campagna umile e modesta che fece volgere i loro interessi verso immagini di dolce malinconia, di ritmi lenti e pacati, di interni quieti nei quali rappresentare l'intimità dei sentimenti e degli affetti domestici.
Giovanni Fattori
La passione per la letteratura romantica, lo studio degli antichi maestri del Quattrocento toscano, un alunnato segnato dall'accademismo di un artista come Giuseppe Bezzuoli esercitarono un influsso duraturo sullo stile di Fattori e sulle sue scelte tematiche.
Fino all'inizio degli anni Sessanta, infatti, il pittore si dedicò soprattutto a soggetti storici e militari, sulla scia di Morelli, raggiungendo importanti riconoscimenti ufficiali.
Le sollecitazioni dell'amico e pittore Costa e la frequentazione dell'ambiente del Caffè Michelangelo, in cui circolavano le prime teorie sulla cosiddetta pittura "di macchia", portarono anche Fattori a dedicarsi ai paesaggi, nei quali l'artista livornese cominciò a sperimentare il nuovo modo di dipingere, basato sui contrasti tonali fra zone luminose di colore e zone in ombra e sulla resa di atmosfere inondate da una calda luce dorata.
Fin dal moderno bozzetto presentato con successo al concorso indetto nel 1859 da Bettino Ricasoli per quattro dipinti celebrativi di altrettante battaglie risorgimentali vinto con Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta, Fattori propose un rinnovamento del tema di storia, condotto sia attraverso una raffigurazione di carattere realista e dipinta con tecnica semplificata ispirata dal vero - si recò anche sul luogo della battaglia - sia nella scelta di momenti non convenzionali e narrativi. Appassionato lettore di romanzi storici, Fattori si era interessato alle ricostruzioni di Rugo (di cui illustrerà Notre-Dame), di Guerrazzi e Grossi (a cui si ispirò per una Ildegonda).
Sulla fine degli anni Cinquanta, si entusiasmò per uno degli scrittori più importanti della letteratura inglese di epoca romantica: Walter Scott.
E nel 1861, portò a compimento proprio una tela tratta da un suo romanzo L'abate, intitolata Maria Stuarda al campo di Crookstone.
Lo spunto era preso in prestito da uno degli episodi più noti della storia nazionale inglese, l'epilogo della battaglia di Langside nei pressi di Glasgow, dove nel 1568 le truppe di Maria Stuarda furono sconfitte dal reggente Moray che la stessa Maria Stuarda, abdicando, aveva posto sul trono di Scozia.
Nel periodo in cui dipinse alcuni fra i capolavori della pittura macchiaiola, come Le macchiaiole, La rotonda di Palmieri e La signora all'aperto, Fattori continuò a lavorare a grandiosi dipinti con scene militari.
Nel 1868 terminò la grande tela Ultimo assalto alla Madonna della Scoperta, capolavoro di organizzazione spaziale e di abilità compositiva.
Negli anni Settanta il rigore visivo e il perfetto ritmo cromatico, luminoso e intenso, dettero vita a dipinti come In vedetta e Barrocci romani.
Nelle opere successive Fattori tenderà a una accentuazione grafica e coloristica delle forme, parallela alla sua attività di acquafortista, e allo studio del movimento, caratteristico di opere come Lo staffato e Lo scoppio del cassone.
Con La rotonda di Palmieri l'artista raggiunse una nuova sintesi formale e quell'equilibrio e misura fra chiaro e scuro riconosciutogli da Martelli. La scena è ambientata sulla celebre rotonda in riva al mare dei bagni Palmieri di Livorno, in una giornata luminosissima.
Figure, volti, vesti, cappelli, sono nette macchie di colore che si stagliano contro lo sfondo di un cielo chiarissimo, oppure, poste le une accanto alle altre, sono risolte nel calibrato alternarsi di toni chiari e scuri, così ponderato da generare un "miracolo di gusto e misura" come ha osservato un artista di una generazione molto più giovane e rivolta alle novità astratte, Ardengo Soffici.
Boldini e De Nittis
La pittura italiana di questo periodo ha le sue personalità più note a livello internazionale in Boldini e De Nittis i quali, dopo gli esordi italiani, conquistarono una vasta rinomanza a Parigi e a Londra.
Entrambi avevano trascorso gli anni della formazione artistica a Firenze durante gli anni Sessanta, nell'ambiente dei pittori macchiaioli. Giovanni Boldini,nelle opere della fine di questo periodo (Le sorelle Laskaraki, 1867, Ritratto di Diego Martelli, 1865, e le decorazioni murali della villa La Falconiera presso Pistoia) rivela già uno stile vibrante, condotto con pennellate insistite e veloci.
Il successivo trasferimento a Parigi, nel 1867, gli aprì le porte della mondanità internazionale, di cui divenne l'incontrastato ritrattista.
Questo fu il genere a lui più congeniale, nel quale raggiunse i risultati pittorici più elevati - famosissimo il ritratto di Giuseppe Verdi del 1886 - tuttavia Boldini dipinse anche un buon numero di vedute di Parigi, condotte sempre con un tratto straordinariamente spigliato e mosso, spesso acceso da tocchi di colore pungente, così da ottenere immagini di eleganza svagante.
Analogamente a Boldini, nato a Ferrara, anche il pugliese Giuseppe De Nittis riscosse notevole successo oltralpe.
Dopo la breve ma fondamentale esperienza napoletana nella scuola di Resina e dei primi paesaggi dipinti all'aperto, il soggiorno fiorentino rappresentò anche per De Nittis la conferma di una comunanza di intenti con i pittori della scuola di Piagentina, e con Signorini in particolare, a favore di una pittura tesa all'evocazione di sottili sensazioni atmosferiche.
La traversata degli Appennini del 1867, esposto a Firenze, riscosse successo per l'accuratezza quasi fotografica della resa atmosferica e per la sua sensibilità cromatica.
Il primo piano è interamente occupato da una strada larga e fangosa sulla quale le ruote dei carri hanno lasciato solchi profondi, come anche verosimilmente la carrozza gialla vista di tergo mentre si dirige verso un gruppo di case scure e deserte.
Poche altre annotazioni si trovano nel dipinto: un albero spoglio e solitario sul margine destro della strada e un uomo che cammina sul lato opposto, a fianco di un muretto ai piedi del quale sopravvivono poche tracce di neve.
Su tutto incombe un cielo reso in modo straordinario, con strati di nuvole giocate sull'intensità dei grigi, e con un'apertura più in basso che lascia intravedere un po' di chiaro e crea sulla strada un riflesso dorato.
Nei primi anni francesi, De Nittis dipinse soprattutto scene di genere in costume che gli procurarono un rapido successo, grazie anche al contratto stretto con la casa di vendite Goupil, che durò dal 1868 al 1874.
Le critiche dell'amico Adriano Cecioni a questa sua attività che lo aveva allontanato dalle ricerche avviate nell'ambiente macchiaiolo comportarono per il pittore una momentanea pausa di riflessione, il rientro in Italia, e il recupero della primitiva vocazione per la pittura di paesaggio.
Attraverso Degas, conosciuto nel 1873, l'artista pugliese si era intanto accostato agli impressionisti fino a esporre con loro alla prima mostra del gruppo tenuta presso il fotografo Nadar nel 1874.
Il suo Che freddo! ebbe un tale successo che decretò la sua affermazione sulla scena artistica parigina.
Queste scelte comportarono la rottura con Goupil e l'esodo verso i mercati londinesi.
Le sue vedute inglesi sono caratterizzate da una pittura dai delicatissimi accordi cromatici, dalle cadenze eleganti e quasi vezzose, consapevole dei preziosi linearismi giapponesi.