Malinowski Bronislaw
Nato a Cracovia in Polonia nel 1833 e morto a New Haven negli Stati Uniti nel 1942. Dopo gli studi scientifici condotti in Austria e in Germania emigrò in Inghilterra. Dopo aver condotto una serie di ricerche sul campo presso i Mailu delle isole Trobriand in Nuova Guinea, dal 1914 al 1918, e successivamente, per qualche mese nel 1926, anche tra gli Indiani d’America, nel 1927 ottenne l’insegnamento di Antropologia presso l’università di London e, dopo il trasferimento negli Stati Uniti, dal 1937 presso la Yale University. Principali pubblicazioni: The Family among the Australian Aborigines, 1913 ; Argonatus of the Western Pacific, 1922; Crime and Custom in Savage Society 1926; Sex and Repression in Savage Society, 1927; The Sexual Life of Savage in North-western Melanesia, 1929; Coral Gardens and Their Magic, 1935. La posizione di Malinowski nella storia dell'etnologia è data dalla sua teoria funzionalista. Secondo questa teoria l’organismo sociale è un tessuto di rapporti tra organi e funzioni, rispondente ai bisogni sociali fondamentali. Malinowski distingue tre tipi di bisogni: bisogni primari (nutrizione, riproduzione, conservazione), bisogni culturali derivati (comunicazione, linguaggio, trasmissione culturale) e bisogni integrativi, il principale dei quali è la realtà religiosa. La risposta a questi bisogni è data socialmente da insiemi complessi chiamati istituzioni, realtà organiche che presuppongono un gruppo sociale di membri dell’istituzione, uno statuto, mitico o giuridico, e la possibilità di compiere azioni strumentali. Un'istituzione svela il suo senso solo se è compreso nel suo rapporto funzionale con gli altri fatti o istituzioni. Così un rituale religioso potrà essere compreso mettendo in evidenza il modo in cui è legato all'economia o alla politica e definendo dunque la sua funzione su livelli differenti. La totalità della realtà sociale acquista dunque il suo significato in relazione alla funzione che svolge nella vita della società nella quale è organicamente inserita. La definizione di cultura di Malinowski è funzionale non solo al sistema sociale ma anche ai bisogni individuali ed è vista come lo strumento principale della soddisfazione dei bisogni corporali psichici e spirituali dell’individuo. Dal punto di vista metodologico Malinowski considera indispensabile una descrizione diretta e dall’interno delle realtà culturali studiate. L’antropologo deve studiare la lingua e i costumi dei gruppi umani presso i quali effettua la sua ricerca. Postulato disatteso dagli sviluppi della metodologia strutturalista di Lévi-Strauss.
STUDI: F. CHÂTELET (a cura di), Histoire de la philosophie, vol. VII La philosophie des sciences sociales, Librairie Hachette, Paris 1973,trad. it., Storia della filosofia, vol. VII La filosofia delle scienze sociali, Rizzoli, Milano 1975, pp. 90-139; M. PANOFF, M. PERRIN, Vocabulaire d’ethnologie, Payot, Paris s.d., trad. it., Dizionario di etnologia, Newton Compton, Roma 1975.
FRANCESCO FRANCO
Lévi-Strauss Claude
Nato a Bruxelles nel 1908. Laureatosi in filosofia nel 1931, è nominato docente di sociologia a San Paolo in Brasile nel 1935, dando inizio alle sue ricerche etno-antropologiche presso gli indiani Nambikwara. Dopo essere stato per alcuni anni negli Stati Uniti, come docente prima e poi come incaricato dell'ambasciata francese, nel 1950 viene nominato direttore di studi all’Ecole Pratique de Hautes Etudes di Paris. Dal 1959 ha insegnato antropologia sociale al Collège de France. Opere principali: La vie familiale et sociale des Indiens Nambikwara, 1948 (La vita familiare e sociale degli Indiani Nambikwara, Torino, Einaudi, 1970); Les structures elementaires de la parenté, 1949 (Le strutture elementari della parentela, Milano, Feltrinelli, 1969); Anthropologie structural, 1958 (Antropologia strutturale, Milano, Il Saggiatore, 1966); Race et histoire, 1960 (Razza e Storia, Torino, Einaudi, 1967); Le totémisme aujourd'hui, 1962 (Il totemismo oggi, Milano, Feltrinelli, 1964); La pensée sauvage 1962 (Il pensiero selvaggio Milano Il Saggiatore 1964); Mithologiques 1: Le cru et le cuit 1964 (Il crudo e il cotto Milano, Il Saggiatore, 1966); Mithologiques 2: Du miel aux cendres 1967 (Dal miele alle ceneri Milano, Il Saggiatore, 1967); Mithologiques 3: L'origine des manières de table 1968 (L'origine delle buone maniere a tavola Milano, Il Saggiatore, 1969); Mithologiques 4: L'homme nu 1971 (L'uomo nudo Milano, Il Saggiatore, 1974).
Le radici teoriche del metodo di Lévi-Strauss, sono da ricercare nei suoi interessi giovanili per la geologia, la psicanalisi e il marxismo dai quali attinge elementi essenziali per la sua concezione dell’antropologia che troverà il suo modello teorico nella linguista strutturale inaugurata da F. De Saussure. Al centro della teoria saussuriana si poneva l'indicazione della langue come sistema sincronico di segni. In analogia con essa l'antropologia smette di voler ricostruire dall'interno la vita delle differenti società ma cerca di studiarle dall'esterno. Anche le culture, infatti, hanno una loro struttura e la loro struttura è permanente, quindi sincronica proprio come il funzionamento delle lingue studiato da De Saussure. Anche per l’antropologo la dimensione diacronica costituisce un aspetto secondario della conoscenza rispetto alla dimensione sincronica. La conoscenza antropologica ha raggiunto il suo obiettivo quando giunge a ricostruire le leggi di funzionamento di una data struttura, attraverso la costruzione deduttiva di modelli astratti. Il metodo strutturalista si prefigge dunque di scoprire il sistema di leggi su cui si articolano diverse forme culturali. Ma perché la dimensione sincronica ottenga un risultato altrettanto fecondo di quello ottenuto in linguistica è necessario che i modelli euristici approntati dallo studioso siano costituiti da un sistema di segni e simboli traducibile nel linguaggio di un altro sistema. Se un sistema non fosse traducibile, sarebbe euristicamente non produttivo in quanto porterebbe a una constatazione di fatto della sua esistenza ma non potrebbe essere spiegato. Un altro presupposto metodologico chiave del concetto di struttura in Lévi-Strauss è dato dal tema dell’inconscio. Richiamando un’intuizione della psicanalisi, in analogia a quanto ha fatto Jung, Lévi-Strauss concepisce la struttura parentale come innata e inconscia, come attesta il tabù dell'incesto riscontrabile in ogni gruppo umano. La struttura parentale è inconscia perché esprime delle invarianti della mente umana da cui derivano diverse combinazioni possibili di regole sociali che, in quanto strutture logico-simboliche, sono ricostruibili e spiegabili scientificamente. Questo postulato giunge però a conclusioni che superano l’aspetto puramente metodologico dello strutturalismo per giungere alla conseguenza antropologica che negli uomini agisca uno spirito immutabile che ripete in modo impersonale una serie costante di passaggi fondamentali che scavalcano l’uomo eliminando la sua autonomia. Gli aspetti principali della vita spirituale umana sarebbero dislocati sul piano dell’inconscio e sottratti alle possibilità consapevoli dell’uomo. Inoltre questo avrebbe come conseguenza un'identificazione piuttosto rigida tra scienza e principi di ordine metascientifico, come la credenza in una struttura archetipa non molto dissimile da quella junghiana e che avrebbe le stesse limitazioni sul piano scientifico di quelle fatte valere contro la psicanalisi da Popper ed altri epistemologi.
Studi: L. MILLET, M. VARIN D’AINVILLE, Le structuralisme, Editions Universitaires, Paris 1970, Città Nuova, Roma 1971, pp. 39-57; G. FORNERO in N. ABBAGNANO, Storia della filosofia, vol. IV/I, Utet Torino 1994 pp. 352-381, bibl. p. 481; F. CHÂTELET (a cura di), Histoire de la philosophie, vol. VII La philosophie des sciences sociales, Librairie Hachette, Paris 1973,trad. it., Storia della filosofia, vol. VII La filosofia delle scienze sociali, Rizzoli, Milano 1975, pp. 90-139; J. COPANS, S. TORNAY, M. GODELIER, C. BACKÈS-CLÉMENT, L'anthropologie: sciençe des sociétés primitives?, Éditions E.P., Paris 1971, trad. it., Antropologia culturale, Sansoni, Firenze 1973; M. PANOFF, M. PERRIN, Vocabulaire d’ethnologie, Payot, Paris s.d., trad. it., Dizionario di etnologia, Newton Compton, Roma 1975.
FRANCESCO FRANCO
Freud Schlomo Sigismund, detto Sigmund
Nato il 6 maggio 1856 a Freiberg in Moravia (attualmente Pribor nella Repubblica Ceca) e morto a London il 23 settembre 1939. Per motivi di lavoro il padre Jacob si trasferisce nel 1859 a Leipzig e nel 1860 a Wien dove Sigmund trascorrerà gran parte della sua vita laureandosi nel 1881 in medicina. Ancora studente universitario Freud si dedica con grande interesse alla ricerca neurofisiologica presso Ernst Brücke, entrando in contatto con Josef Breuer. Dopo la laurea abbandona l’attività di ricerca per far fronte all’imminente matrimonio con Martha Bernays. Ma prima del matrimonio, grazie a una borsa di studio, trascorre un anno a Paris dove segue gli studi di Charcot sull’isteria. Rientrato in Austria, Freud si dedica alla vita professionale quale specialista in malattie nervose per tutto un decennio che si concluderà con la pubblicazione degli Studien über Hysterie, 1895 (studi sull’isteria), seguita dalla scomparsa del padre nel 1896 che segnerà profondamente lo sviluppo delle sue teorie già in fase di avanzato sviluppo in una delle sue opere più note, Traumdeutung, 1900 (L'interpretazione dei sogni), cui seguirà la nomina a professore straordinario nel 1902 e l’iniziale interesse per le sue teorie che segnerà la nascita del movimento psicoanalitico e porterà al primo congresso del 1908, quando ormai la fama di Freud come studioso e terapeuta si è diffusa im tutto il mondo. Nel frattempo sono usciti alcuni importanti scritti teorici di Freud quali Zur Psychopathologie des Alltaglebens, 1901 (Psicopatologia della vita quotidiana), Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie, 1905 (Tre saggi sulla teoria sessuale)e i casi clinici più famosi. Nel 1910 nasce la società di psicoanalisi (Internationale Psychoanalytische Vereinigung [IPV]) sotto la presidenza di C. G. Jung, scelto da Freud per allontanare dalla psicanalisi il sospetto di giudaismo in tempi di antisemitismo crescente. Negli anni immediatamente successivi cominceranno le divisioni metodologiche e le dispute teoriche tra i diversi aderenti alla IPV e segneranno il distacco da Freud di Adler e Jung (1911-12). Negli anni successivi Freud si dedicherà all'approfondimento delle sue teorie, testimoniate dai seguenti scritti fondamentali: Totem und Tabu, 1913 (Totem e tabù), Metapsychologie, 1915 (Metapsicologia), Jenseits des Lautsprinzips, 1920 (Al di là del principio di piacere), Das Ich und das Es, 1923 (L’Io e l’Es), Hemmung, Symptom und Angst, 1925-26 (Inibizione, sintomo e angoscia)e Das Unbehagen der Kultur, 1930 (Il disagio della civiltà). Negli anni successivi la produzione letteraria e la ricerca saranno in larga misura condizionati dalla propaganda e dall’avvento del nazismo che nel 1933 a Berlin metterà al rogo le principali opere psicoanalitiche. Nel 1938 su pressione di diversi amici, dopo la conquista nazista di Wien, Freud abbandona l’Austria e si rifugia in Inghilterra, dopo un riscatto pagato da M. Bonaparte e dopo essere stato costretto a firmare una dichiarazione nella quale si affermava che né lui né la sua famiglia e i suoi collaboratori avevano subito danni dai funzionari del nazionalsocialismo. Muore l’anno successivo quando esce ad Amsterdam in tedesco la sua ultima opera, Der Mann Moses und die monotheistische Religion. Drei Abhanlungen, 1939 (Mosè e la religione monoteistica. Tre saggi). Le complesse vicende autobiografiche di Freud ci aiutano ad inquadrare le linee principali della maturazione della metodologia psicanalitica. Quando comincia le sue ricerche le malattie nervose sono inquadrate in una visione fisiologica dove l’elemento psichico non gode di alcuna rilevanza teorica. Per Freud diventano rilevanti proprio quegli elementi che erano stati trascurati dalle metodologie psichiatriche tra le quali il lapsus e soprattutto il sogno. Le premesse di questo rinnovamento sono da riscontrare nell'importante periodo parigino del giovane Freud che può verificare l'importanza delle tecniche ipnotiche con le quali il prof. Charcot cerca di studiare l’isteria. Negli anni successivi Freud giunge alle seguenti conclusioni: in primo luogo è necessario rivalutare il rapporto tra medico e paziente, abbandonando le pregiudiziali oggettivistiche e favorendo la fiducia affettiva, il transfert, nell’analisi clinico terapeutica. In secondo luogo, nell’aver ipotizzato che le nevrosi abbiano una causa nel passato psichico del paziente. Si tratta di traumi ai quali il paziente tenta di sfuggire mediante la rimozione dalla coscienza del ricordo dell’evento traumatico. Per spiegare la malattia nervosa è dunque necessario ammettere un lato oscuro e inconscio della psiche dal quale affiorano in modo latente ricordi più o meno oscuri dell’evento traumatico rimosso. Il lavoro del medico consiste dunque nel tentativo di riportare alla soglia della coscienza gli eventi rimossi che creano i sintomi nevrotici, tentando di superare la barriera delle resistenze del paziente che non desidera ricordare ciò il cui affiorare determina la condizione patologico neurologica. Questa conclusione clinica conduce alla ricerca di una teoria generale delle nevrosi alla quale Freud giunge dopo il periodo di intensa e sofferta autoanalisi seguito alla morte del padre. La sua ipotesi si incentra nelle prime fasi della vita pulsionale del bambino legata al genitore del sesso opposto. Poichè il bambino non ha una chiara differenziazione tra immaginario ed empirico, la dimensione affettiva del rapporto col genitore di sesso opposto sconfina nel racconto di avvenimenti incestuosi o, comunque traumatici, tra adulti e bambini attestati in quasi tutti i pazienti presi in esame. Pertanto, scartata l’ipotesi iniziale di fatti reali legati ad esperienze di violenza sessuale infantile, Freud considera le nevrosi causate dai conflitti determinati dal desiderio scatenato dalla pulsione e dai divieti sociali che ne inibiscono il soddisfacimento. In questo quadro teorico, dove coscienza ed esperienza vengono affiancate da fantasia e inconscio, si colloca anche la scoperta dell’importanza analitica del sogno che per Freud è un veicolo speciale nel quale i contenuti rimossi si presentano alla coscienza. Il compito dell’analista è quello di saper leggere il contenuto latente del sogno attraverso quello manifesto ricordato dal paziente; perché il sogno possa farsi espressione della nevrosi è necessario infatti che le resistenze all’affiorare dei contenuti rimossi siano in parte aggirate attraverso la simbolizzazione onirica dei materiali inconsci. La psicoanalisi deve dunque mettere a punto degli strumenti euristici e conoscitivi per comprendere l'apparente irrazionalità del sogno a vantaggio di una migliore comprensione dei meccanismi primordiali dell’io. Meccanismi che Freud individua nella sessualità infantile che approfondisce nei Tre saggi sulla teoria sessuale, nei quali ipotizza il piacere come principio guida della dimensione emozionale umana già dall'infanzia. Già dalla nascita esistono meccanismi del piacere che secondo Freud si identificano in tre fasi distinte di sviluppo sessuale: orale anale e fallica. L’energia sessuale si affaccia attraverso le mucose della bocca per spostarsi su quelle anali e stabilizzarsi, intorno al terzo anno di vita, in quelle genitali che contraddistinguono la fase fallica. In questa fase si consumano anche i conflitti sessuali con il genitore del sesso opposto che Freud definisce complesso di Edipo. Il superamento delle passioni edipiche determinato dai meccanismi sociali è ottenuto attraverso la rimozione che fa scattare i meccanismi di sublimazione delle pulsioni originarie. Se la sublimazione è ottenuta attraverso un quadro sociale troppo rigido si svilupperanno le nevrosi, mentre in un quadro troppo blando di sublimazione si verificheranno le perversioni. Su queste basi Freud può indicare gli elementi determinanti della sua antropologia divisa nelle due topiche: inconscio, preconscio e coscienza (1900-1920); Es, Io e Super-io (1920-1939). Nella prima topica, dunque, Freud individua, affianco alla dimensione pulsionale che spinge l’energia sessuale inconscia, una dimensione preconscia che, piuttosto che con le immagini e l’onirico, fa affiorare la struttura primaria dell’Io mediante il linguaggio e il ricordo. Questa dislocazione tripartita trova una sua precisazione proprio nella formulazione della seconda topica dove Freud identifica l’Es con i contenuti dell’inconscio e con i suoi meccanismi di rimozione e l’Io con il delicato equilibrio caratterizzato dalla dialettica tra rimozione, censura e sublimazione che determina lo scarto tra normalità e patologia. In questo complesso meccanismo si insinua secondo Freud il Super-io che rappresenta la dimensione sociale della inibizione di quelle pulsioni che sarebbero pericolose per la convivenza sociale. Questa formulazione del Super-io riceverà importanti approfondimenti nei saggi della maturità, particolarmente in Il disagio della civiltà (1930), dove Freud approfondisce la sua concezione dei meccanismi di censura sociale del Super-io che determinano i conflitti con cui l’Io si organizza rispetto alla sfera del desiderio dell’Es. Il punto centrale di questa formulazione della maturità è legato agli sviluppi teorici più recenti che affiancano al principio del piacere il principio di morte: Eros e Thanatos. Il dualismo dei principi conduce Freud a considerare l'istanza inibitiva e censoria non più solo legata all'esterno ma già presente nella dinamica pulsionale dell’Io. L'istinto di morte rappresenta infatti una forma di aggressività verso l’esterno che i meccanismi del Super–io utilizzano in rapporto all’Io, sviluppando il senso di colpa che secondo Freud non riguarda il rimorso per un atto realmente commesso ma la conflittualità e la tensione presente nella lotta tra l'Io e il Super-io, tra piacere, aggressività e censura. Il senso di colpa è pertanto direttamente proporzionale alla felicità a cui si rinuncia dal punto di vista pulsionale a vantaggio della convivenza civile. Per cercare di ovviare al senso di colpa Freud ipotizza che si possano sublimare i conflitti attraverso l’attività intellettuale ed artistica, con cui l'uomo trasforma la sua comprensione della realtà. Diverso è invece il giudizio sulla religione che egli considera illusoria e consolatoria: La dottrina religiosa mortificherebbe l'intelligenza umana costringendola in una concezione della realtà inattendibile come attesta la stessa dottrina cristiana. Il fallimento del cristianesimo, secondo Freud, è dato dall’impossibilità di praticare quella dottrina dell’amore del prossimo che, sebbene sia un valido strumento di difesa dall'aggressività individuale e sociale, non tiene nel debito conto le istanze di felicità provenienti dall’Io e l'impossibilità di un controllo efficace delle istanze pulsionali provenienti dall’Es. Alla radice della religione, e particolarmente del monoteismo, c’è la dimensione edipica che fa del simbolo del padre l’incarnazione del Super-io, come attesta anche l’ultima sua opera, Mosè e la religione monoteistica. Tre saggi, pubblicata nel 1939 poco prima della sua morte.
STUDI: E. ROUDINESCO, M. PLON, Dictionnaire de la psychanalyse, Paris Fayard 1997; J.C. SEMPÉ, J.L. DONNET, J. SAY, G. LASCAULT, C. BACKÈS, La psychanalyse, trad. it. La psicanalisi, Sansoni Firenze 1972; sugli aspetti clinici della psicanalisi, E. ZETZEL, W.W. MEISSNER, Basic Concepts of psychoanalytic Psychiatry, Basic Books, New York 1973, trad. it. Psichiatria psicoanalitica, Boringhieri Torino 1976; sul rapporto con la filosofia della religione e l’antropologia, P. RICOEUR, De l'interpretation. Essai sur Freud, Du Seuil, Paris 1965, trad. it., Dell'interpretazione. Saggio su Freud, Il Saggiatore, Milano 1967 e F. RELLA, La critica freudiana, Feltrinelli Milano 1977; sulla critica dell’epistemologia contemporanea all'ambizione scientifica della psicoanalisi, K. POPPER, Conjectures and Refutations: The Growth of Scientific Knowledge, Roetledge & Kegan Paul, London 1969, trad. it. Congetture e Confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica, Il Mulino, Bologna 1972, specialmente pp. 61-115.
FRANCESCO FRANCO
Jung Carl Gustav
Nato il 26 luglio 1875 a Kesswill in Svizzera e morto il 6 giugno 1961 a Küsnacht. Dal 1895 studia medicina a Bâle e nel 1900 diventa assistente di Bleuler nella clinica di Burghölzli. Nel 1903 va a studiare con Pierre Janet a Paris e al suo ritorno, dopo il matrimonio, nel 1905 è nominato Privatdozent, nel periodo in cui con Bleuler si avvicina ai temi psicanalitici attraverso i test sull’associazione verbale. Pochi mesi dopo, nell’aprile del 1906, egli invierà a Freud i suoi Diagnostisch Assoziatiosstudien (Studi diagnostici d’associazione) da cui scaturirà un ricchissimo scambio epistolare (359 lettere). Tra il 1907 e il 1909 si colloca i periodo di più feconda collaborazione tra i due; Jung fonda la Société Sigmund Freud di Zurich e il Jahrbuch für psychoanalytische und psychopatologische e accompagna Freud nel suo giro di conferenze negli Stati Uniti. Nel 1909 lascia il suo incarico a Burghölzli per dedicarsi alla libera professione e nel 1910 viene eletto, su designazione di Freud, primo presidente della Internationale Psychoanalytische Vereinigung. Nel 1912 si evidenzia ulteriormente la frattura tra i due che giungerà alla rottura definitiva nel 1913-’14. Una rottura forse motivata anche da particolari apparentemente irrilevanti ma che ha al centro la differente concezione dell’inconscio: Jung ha infatti pubblicato nel 1912 Wandlungen und Symbole der libido, (Metamorfosi e simboli della libido). In essa Jung ribadisce la sua teoria secondo la quale la libido non è un’energia esclusivamente sessuale ma rappresenta l’energia psichica disponibile in generale. Pertanto essa non è legata semplicemente al soddisfacimento di pulsioni primarie ma è disponibile per le attività spirituali e culturali positivamente umane. Col 1914 l’attività di Jung diventa di fatto sempre più autonoma rispetto alla società psicanalitica e i suoi seguaci formano un movimento autonomo che prenderà il nome di psicologia analitica, secondo la definizione data da Jung stesso al suo metodo. La definitiva fisionomia del metodo di Jung si avrà con il 1919 quando egli individua il concetto di archetipo con il quale egli formalizza la differenza tra la sua nozione di inconscio e quella di Freud. Da queste nuove acquisizioni scaturiranno le successive ricerche di Jung attestate nelle sue opere maggiori: Die Psychologie der unbewussten Prozesse, 1917 (La psicologia del processo inconscio); Psychologische Typen, 1921 (Tipi psicologici); Die Beziehung zwischen dem Ich und dem Unbewussten, 1928 (La dialettica tra l’Io e l’inconscio); Seelenprobleme der Gegenwart, 1931 (Il problema dell’anima moderna); Einfuhrung in das Wesen der Mythologie, 1940-‘41, (Introduzione all’essenza della mitologia, scritta in collaborazione con K. Kérenyi e dedicata allo studio della mitologia); Psychologie und Alchimie, 1943 (Psicologia e alchimia, dedicata allo studio della letteratura alchimistica); Arion. Untersuchungen zur Symbolgeschichte, 1951 (Arion. Ricerche sulla storia dei simboli, studio della simbologia gnostica, cristiana e dei " mandala"). Oltre l’inconscio personale da cui affiorano le tracce del passato individuale, per Jung esiste anche un orizzonte primordiale più vasto che egli definisce inconscio collettivo, una sorta di deposito nel quale si trovano i meccanismi emotivi e affettivi dell’umanità intera, composto da un immaginario primordiale collettivo, l'archetipo, che si manifesta nei sogni, nell’arte e nelle rappresentazioni religiose. L’esistenza degli archetipi dell'inconscio collettivo è mostrata, secondo Jung, dal fatto che nel sogno non si trovano solo esperienze rimosse ma anche vere esperienze originali che non possono essere ricondotte alla storia precedente individuale. Gli archetipi, paragonati talvolta alle idee platoniche o alle categorie kantiane, sono all'origine del movimento evolutivo mediante il quale il bambino vede emergere la sua personalità da uno stadio primitivo in cui egli si identifica con l’archetipo individuale. Ma la teoria riconosce che lo stesso movimento dell’inconscio collettivo è un complesso divenire dal quale solo di recente è emersa la coscienza. Lo sviluppo della personalità infatti non è altro per Jung se non il processo mediante il quale ogni individuo conquista la sua personale consapevolezza affrancandosi dall'originario inconscio collettivo. Coscienza ed inconscio fanno parte della stessa energia psichica primordiale da cui sfocia la personalità concreta di ciascuno. In questa fase di sviluppo si evidenziano particolarmente l’archetipo chiamato Ombra che rappresenta il lato oscuro della personalità umana nel suo emergere ed individuarsi. Assieme a questo primo archetipo giocano un ruolo fondamentale nella teoria di Jung i due archetipi che regolano la differenziazione maschile e femminile, chiamati rispettivamente Anima o Eros (principio femminile passivo) e Animus o Logos (principio maschile). Questi archetipi si trovano nel sesso opposto rendendo l’uomo capace di sviluppare una forte capacità di relazione (Eros) e la donna capace di ponderazione e riflessività (Logos). La fase culminate di questo processo è data intorno ai quaranta anni quando l'individuo raggiunge la piena coscienza personale e una vita relazionale socialmente soddisfacente, grazie all'archetipo del Sé. Esso si personifica al maschile nell’immagine del vecchio saggio e al femminile nell’immagine della magna mater. La teoria degli archetipi e le sue distinzioni conducono Jung, diventato presidente nel 1933 della società tedesca di psicoterapia, ad assumere posizioni teoriche psicologiche a sfondo antisemita e nazista, soprattutto in un famoso articolo del 1934 nel quale difende la diversificazione che gli archetipi avrebbero avuto tra le diverse razze umane sostenendo che l’archetipo del nomade tipicamente giudaico impedisce alla cultura ebraica di costruire valori duraturi e pertanto risulta inferiore alla cultura ariana. Sebbene Jung non abbia mai utilizzato per fini direttamente politici la sua teoria, ha certo contribuito a rafforzare il totalitarismo culturale nazista nella psicologia tedesca.
Studi: E. ROUDINESCO, M. PLON, Dictionnaire de la psychanalyse, Paris Fayard 1997; S.Vegetti Finzi, Storia della psicoanalisi, Mondadori Milano 1989.
FRANCESCO FRANCO
De Saussure Ferdinand
Nato a Genève nel 1857 e morto a Vufflens nel 1913. Studiò a Genève, Leipzig e Berlin, ottenendo giovanissimo, nel 1881, la cattedra di grammatica comparativa alla École des Hautes Études di Paris. Nel 1891 si trasferì all’Università di Genève dove insegnò fino alla sua prematura scomparsa. Saussure ha lasciato poche ma fondamentali opere. Il suo primo lavoro, nel quale si delineano già le principali caratteristiche della sua innovativa concezione linguistica, è scritto attorno ai vent’anni, Mémoires sur le système primitif des voyelles dans les langues indo-éuropéennes, 1878. Dopo quest'opera così promettente Saussure non pubblicò più nulla, se si esclude la sua dissertazione di dottorato nel 1881, L’impiego del genitivo assoluto nel sanscrito. Il suo libro più famoso, il Cours de linguistique générale, è in realtà una sintesi del pensiero saussuriano operata dai suoi ex-alunni ginevrini sulla base dei propri appunti e di quelli di altri cinque allievi e del materiale manoscritto dello stesso Saussure divulgato più per esteso da R. Godel nel 1957, col titolo, Les sources manuscrites du Cours de linguistique générale de F. De Saussure. Grazie a questo materiale documentario è stato possibile ricostruire tre versioni del Cours, basate su diversi corsi universitari: il primo 1906-1907, il secondo 1908-1909 e il terzo 1910-1911.
Ciò che colpisce nel metodo saussuriano è la serie dei dualismi concettuali metodologici che egli utilizza come criteri procedurali, sebbene siano riportate tutti all’unità della lingua. La prima grande antinomia concettuale è quella di langue e parole: la langue, distinguendosi dal linguaggio, che è facoltà comune a tutti gli uomini, è il prodotto sociale della facoltà del linguaggio, quale si realizza in una data comunità, ma viene acquisita e interiorizzata passivamente dalla collettività, cioè è una facoltà inconscia. La parole costituisce viceversa un atto individuale della volontà e dell'intelligenza, e possiamo allora aggiungere che la langue non è altro che la cristallizzazione sociale dei vari atti di parole. Langue e parole sono due entità ben distinte tra loro, ma la seconda va subordinata alla prima, sia pure nell'ambito di un rapporto dialettico costante. Perciò l’oggetto della linguistica propriamente detta, è la langue, indagata in sé e per sé. Tuttavia, ogni innovazione linguistica è di origine individuale, poiché è intuitivo che niente entra nella langue senza prima essere stato nella parole. D'altra parte, la variazione individuale è a sua volta condizionata dalle possibilità contenute nel sistema della langue, che in quanto tale è depositaria di forme già classificate e preordinate. La dicotomia langue/parole si può perfettamente esprimere in linguistica in termini di codice/messaggio, dove il primo è l'organizzazione e il termine di confronto costante per la formulazione del secondo.
La seconda fondamentale dicotomia saussuriana è quella fra diacronia e sincronia; in particolare, egli propone di distinguere l'asse delle simultaneità, o asse sincronico, concernente i rapporti simultanei tra elementi coesistenti, da cui è escluso ogni intervento del fattore temporale, e l'asse delle successioni, o asse diacronico, nel quale è possibile considerare solo un elemento alla volta, e tuttavia contiene tutti gli elementi del primo asse coi loro cambiamenti nel tempo. Da questa dicotomia deriva la distinzione tra una linguistica sincronica, che ha per oggetto l'asse delle simultaneità, cioè la lingua sottratta all'azione del tempo e si occuperà dei rapporti logici e psicologici che collegano termini coesistenti, così come sono percepiti dalla coscienza collettiva, e una linguistica diacronica, che studia viceversa la lingua secondo l'asse delle successioni, ossia secondo i rapporti che collegano termini successivi nel tempo il cui campo è offerto dal cambiamento linguistico, cioè dall'evoluzione di una lingua nel tempo. Saussure afferma che l'aspetto sincronico domina su quello diacronico, perché esso è la realtà linguistica della massa parlante. Tutta la linguistica successiva ha dovuto fare i conti con questo assunto metodologico saussuriano che troverà un'interpretazione più equilibrata in Jakobson e Martinet, partendo dalla constatazione che in una lingua la dimensione sociale (langue) è strettamente correlata con l'aspetto individuale (parole), e il funzionamento sincronico non può essere rescisso se non per motivi puramente metodici dalla sua evoluzione diacronica.
La terza dicotomia saussuriana si trova nella teoria del segno la cui definizione lo riconosce come dotato di due facce: il concetto e l'immagine acustica, più precisamente, il significato e il significante, che non sono legate tra loro da alcun rapporto di necessità. Infatti, il primo carattere del segno è l'arbitrarietà, in quanto il segno è immotivato, nella misura in cui il rapporto significante significato non ha di per sé motivazioni esterne d'ordine naturale. In questo il segno linguistico si differenzia dal simbolo che implica un legame tra significante e significato. Il secondo principio del segno è la linearità del significante che, essendo di natura acustica o grafica, si svolge solo nella linea tempo-spazio: i suoi elementi si presentano uno dopo l'altro, e formano una catena lineare. Un punto essenziale della concezione saussuriana è dato dal carattere differenziale del segno. Tenendo presente l'arbitrarietà dei segni linguistici, è evidente che il riconoscimento di un segno si basa sempre e solo sulla sua non-coincidenza con gli altri, sulla differenza concettuale e fonica che permette di distinguere un segno da tutti gli altri. Pertanto, arbitrario e differenziale nel segno sono due qualità correlative. Questo criterio di fondo viene esteso anche al concetto di fonema, inteso da Saussure, non senza oscillazioni e incertezze, come l’elemento sonoro basico di cui una lingua dispone per comporre le sue parole; e poiché i fonemi hanno la proprietà-base di non confondersi tra loro, essi sono costituiti da entità oppositive, relative e negative nella misura in cui sono riducibili a pure differenze reciproche.
Partendo da questi assunti metodologici Saussure giunge a concepire la lingua come sottoposta alle leggi collettive della langue e costituita di segni convenzionali. La lingua è dunque una forma che si struttura attraverso la coppia sistema e valore, l'uno imprescindibile dall'altro. Per Saussure, infatti, la lingua è la mediazione tra pensiero e suono, il suo campo d'azione è la zona in cui gli elementi dei due ordini si combinano, e questa combinazione produce una forma. Il valore è dato nello scambio tra segni in quanto la lingua è un sistema i cui termini sono tutti solidali tra loro, e in cui il valore dell'uno non risulta che dalla presenza simultanea degli altri e dalle relazioni intercorrenti tra di loro. Se si assume la parola comunemente intesa come unità di misura del sistema linguistico, si può notare come essa sia fornita di un valore differenziale (o oppositivo) rispetto alle altre parole. Pertanto, per un verso essa rientra nel sistema linguistico e per l’altro il sistema linguistico esiste proprio in virtù di questi valori differenziali nella loro totalità. Su questa scia arriviamo al famoso paragone istituito da Saussure tra la lingua e il gioco degli scacchi, per dimostrare che entrambi sono «sistemi» in questo senso. Infatti, così come il gioco degli scacchi si basa tutto sulla combinazione dei vari pezzi, anche la lingua è un sistema tutto basato sull'opposizione delle sue unità concrete.
STUDI: J. LYONS, Introduction to Theoretical Linguistics, Cambridge University Press, 1968, Laterza, Roma-Bari 1971, 19752; L. MILLET, M. VARIN D’AINVILLE, Le structuralisme, Editions Universitaires, Paris 1970, Città Nuova, Roma 1971, pp. 9-22; F. RAVAZZOLI, Linguistica, Accademia, Milano 1975, pp. 13-28.
FRANCESCO FRANC0
Barthes Roland
Nato a Cherbour nel 1915 e morto a Paris nel 1980. Laureatosi in Lettere e discipline classiche, dopo la guerra, tra il 1947 e il 1950, ha insegnato in Romania e in Egitto e dal 1950 al 1952 ha diretto la sezione delle relazioni culturali con l’estero nel Ministero degli Affari Esteri in Francia. In questi anni comincia la sua collaborazione con le più importanti riviste francesi, «Esprit», «Arguments» «Critique», e la sua frequentazione delle avanguardie letterarie quali Blanchot, Klossowski e Sollers. Dal 1960 è stato docente dell’Ecole Pratiques des Hautes Etudes e dal 1976 ha insegnato al Collège de France, dov’era stata creata per lui la cattedra di semiologia letteraria. Le sue opere principali sono: Mythologies, Paris 1957; Essais critiques, ivi 1957; Éléments de sémiologie, ivi 1964; Critique et vérité, ivi 1966; Le degré zéro de l'écriture, ivi 1966; Système de la Mode, ivi 1967; Sade, Fourier, Loyola, ivi 1971; Le plaisir du texte, ivi 1973; Fragments d’un discours amoureux, ivi 1977. Si è anche occupato, in diversi interventi, di esegesi strutturalista biblica. Il punto teorico centrale dello strutturalismo di Barthes è dato dal rovesciamento dell’ipotesi di De Saussure che vedeva la linguistica come una branca speciale di una semiologia universale, una scienza generalizzata dei segni che prendeva spunto dalla sua teoria del segno. Per Barthes ogni indagine semiologica giunge a mostrare la paradossale posizione dei segni che non possono essere pienamente afferrati se non li si considera come un insieme significativo, come un linguaggio. Solo se gli insiemi semiologicamente rilevanti acquistano un’associabilità paragonabile a una grammatica possono sperare di diventare strumenti di un messaggio socialmente fruibile. Così la linguistica viene ad occupare il centro dell’indagine semiologica, perché solo se diventano segni, nel senso della teoria di De Saussure, gli oggetti possono diventare capaci di comunicazione. Solo a queste condizioni la semiologia si attua come disciplina che studia il senso dei differenti livelli di comunicazione sociale, dal cibo alla moda sino ai mass media, e rileva le dimensioni ideologiche dei miti costituiti dalla fruizione sociale di massa. Negli ultimi scritti Barthes ha comunque attenuato la dimensione oggettivante e di critica dell’ideologia della semiologia per riconoscere una dimensione più estetica e ludica al lavoro di critica testuale. Le idee di Barthes sulla letteratura riprendono le analisi sviluppate dai formalisti russi e dalla scuola di Jakobson per giungere a una visione della letteratura che privilegia, con De Saussure, la langue sulla parole. La letteratura viene dunque paragonata al gioco delle strutture significanti di una lingua: se, infatti, la produzione letteraria è paragonabile alla parole di De Saussure, cioè all’atto individuale di discorso, la letteratura nel suo insieme è invece paragonabile alla langue, cioè a un sistema coerente di elementi dati. Così il metodo dell’analisi letteraria non va più alla ricerca di un senso oltre il testo ma è nello stesso linguaggio, nel gioco dei segni che si afferra il senso del testo: l’analisi letteraria diventa una sintassi organizzatrice del testo. Il metodo letterario strutturalista ha avuto grande influsso sull’esegesi biblica a partire dagli anni settanta, quando sono cominciati i primi congressi e studi sul metodo strutturalista e sulle sue conseguenze di ordine teologico ed esegetico. A questi primi lavori ha partecipato lo stesso Barthes.
STUDI: L. MILLET, M. VARIN D’AINVILLE, Le structuralisme, Editions Universitaires, Paris 1970, Città Nuova, Roma 1971, pp. 101-118; G. SCHIWY, Strukturalismus und Christentum, Freiburg i. Br. 1969, Strutturalismo e cristianesimo, Brescia 1970; G. SCHIWY, Neue Aspekte des Strukturalismus, München 1972, Nuovi aspetti dello strutturalismo, Città Nuova, Roma 1973; sul rapporto strutturalismo esegesi si veda anche P. RICOEUR, Contribut d'une réflexion sur le language à une théologie de la parole, in «Revue de theologie et de philosophie» 1 (1968) p. 333-348, trad. it. in, F. FRANCO (a cura di), P. RICOEUR, Testimonianza, Parola e Rivelazione, Dehoniane, Roma 1997, pp.51-71.
FRANCESCO FRANCO