Nel 1914 sembrava che niente, ormai, potesse evitare la guerra. Grazie anche allo sviluppo industriale erano state costruite ed accumulate ingenti quantità di armi micidiali. Francia e Inghilterra volevano porre termine all'insopportabile espansionismo tedesco e al suo predominio industriale e scientifico, Giappone e Stati Uniti erano impazienti di sfoggiare la loro potenza e di conquistare una maggiore considerazione tra le grandi potenze tradizionali. La Francia voleva la rivincita della botta del 1870 e intendeva riprendersi l'Alsazia e la Lorena, Austria e Russia speravano di appianare le loro difficoltà interne con una politica estera aggressiva. Le spinte indipendentiste dei popoli dominati da Russia e Austria, le mire espansionistiche della Serbia, il desiderio dell'Italia di liberare Trento e Trieste: tutto contribuiva a rendere inevitabile la catastrofe. L'occasione per l'esplosione della guerra si presentò presto. Il 28 giugno 1914, a Sarajevo, capitale della Bosnia, fu ucciso in un attentato il granduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria. Malgrado il fatto che la Bosnia fosse occupata dall'Austria e che l'attentatore, lo studente Gavrilio Princip,appartenesse a un movimento patriottico slavo, l'Austria decise ugualmente di considerare la Serbia responsabile dell'attentato perché essa dava rifugio agli indipendentisti slavi. Lo scopo dell'Austria era di dare un esempio di fermezza e severità a tutti i popoli dell'impero e di porre termine alla turbolenza della penisola balcanica intimorendo la Serbia. I generali Austriaci prevedevano una rapida e semplice campagna militare priva di ostacoli significativi. La Germania sognava la formazione di un grande stato formato da tutte le nazioni di lingua tedesca. L'impero Russo, a sua volta, ambiva a riunire sotto di sé tutti i popoli di lingua slava, quindi scese in campo in aiuto della Serbia ordinando la mobilitazione del proprio esercito. Appena l'Austria dichiarò guerra alla Serbia fu messo in moto l'automatismo delle alleanze e delle mobilitazioni: in pochi giorni ebbero luogo le dichiarazioni di guerra. A fianco di Germania e Austria si schierarono Turchia e Bulgaria, il Giapone e la Romania si schierarono a fianco della Triplice Intesa. Socialisti e cattolici si schierarono decisamente per la pace, ma non furono presi in considerazione. Non fu presa in considerazione neanche la durissima condanna pronunciata dal papa Benedetto XV, che considerò la guerra come il risultato dell'egoismo, del materialismo e della mancanza di grandi valori morali e spirituali. Soltanto l'Italia di Giolitti mantenne la calma: la Triplice Alleanza era un patto difensivo, e siccome Austria e Germania non erano state aggredite, ma avevano dichiarato guerra per prime, l'Italia sostenne di non avere alcun obbligo di schierarsi al loro fianco. Da anni gli stati maggiori di Francia e Germania si stavano preparando a una guerra che ritenevano inevitabile. La Francia aveva fortificato il confine con la Germania, quest'ultima invece aveva pronti i piani per un attacco fulmineo che portasse le sue truppe a Parigi in poco tempo, così come era successo nel 1870. Appena dichiarata la guerra ed iniziata la mobilitazione il grosso delle truppe francesi furono ammassate lungo il confine tedesco. La mobilitazione delle forze russe avveniva invece molto lentamente per la scarsezza di mezzi di trasporto e l'insufficienza di strade e ferrovie. Così la Germania pensò di riversare tutte le sue forze contro la Francia, di sconfiggerla rapidamente e poi rivolgersi contro la Russia sul fronte orientale. Per poter effettuare questo piano di guerra lampo la Germania doveva evitare le potenti fortificazioni francesi costruite sul confine: perciò l'esercito tedesco invase il Belgio, che era neutrale, per assalire le truppe francesi alle spalle. I tedeschi, dopo un mese di aspri combattimenti, giunsero a quaranta chilometri da Parigi, ma sul fiume Marna furono bloccati e respinti alla fine di una battaglia durissima. L'illusione della guerra lampo lascia spazio alla guerra di trincea. Dopo la battaglia della Marna le truppe tedesche e franco-britanniche si fronteggiarono lungo una linea che andava dalla Manica alla Svizzera. La guerra di movimento si trasformò in guerra di posizione. I soldati furono costretti a vivere dentro trincee lunghe centinaia di chilometri, nella sporcizia e sotto le intemperie, su un fronte praticamente fermo. Nel frattempo a oriente l’esercito tedesco riuscì a occupare la Polonia dopo due vittorie ottenute presso i laghi Masuri e Tannenberg. Il fronte austro-russo, a sud, si estendeva per centinaia di chilometri, senza alcun avanzamento da parte dei contendenti. Gli stati europei si gettarono nell'avventura della guerra sottovalutandone completamente i costi economici ed umani. Essi affrontarono quasi con leggerezza la tragica avventura poiché pensavano a una guerra breve come quelle che si erano combattute nell'800. Anzi ritenevano che la potenza delle nuove armi avrebbero ancora di più accelerato i tempi della conclusione. La guerra durò invece 4 anni e i suoi danni furono terribili. Altro errore di prospettiva fu quello di pensare che la supremazia in Europa avrebbe avuto di conseguenza il dominio sul mondo, ma questo calcolo ignorava la nascita di due nuove superpotenze: gli USA e il Giappone, le quali uscirono fortemente rafforzate dal conflitto, mentre l'Europa ne uscì gravemente indebolita sia per le perdite umane che per i costi economici. Si immaginava, infine, questa guerra come le altre precedenti, con vittime, costi e conseguenze gravi, ma in qualche modo limitate e prevedibili: con dei vincitori che avrebbero acquistato nuovi territori e maggiori mercati e degli sconfitti che li avrebbero perduti. Si trattò, invece, di un conflitto di dimensioni mai viste in precedenza, che:
costò milioni di morti;
produsse sofferenze gravissime e immense difficoltà economiche;
cancellò quattro grandi e potenti imperi (Tedesco, Russo, Austriaco, Turco);
favorì la nascita di nuove nazioni;
diede inizio al declino economico dell'Europa e all'affermazione degli Stati Uniti sul piano mondiale.
La maggior parte degli Italiani era per non entrare in guerra a fianco degli Austriaci che occupavano ancora i territori di Trento e Trieste. Predominante era in Italia il partito dei neutralisti, ma la minoranza interventista era comunque dell'avviso di cambiare alleanza e di schierarsi contro l'Austria. I cattolici e buona parte dei socialisti erano contro la guerra. I socialisti sostenevano che la guerra era un affare tra capitalisti che lottavano per il predominio imperialista dell'Europa, mentre i proletari di tutto il mondo dovevano sentirsi fratelli. Giolitti, che poco tempo prima aveva lasciato la presidenza del consiglio, si era impegnato per mantenere la neutralità italiana. Egli era sicuro che gran parte del territorio italiano ancora occupato dall'Austria ("parecchio", come lui stesso affermò) poteva essere ottenuto mediante trattative diplomatiche.
Erano per l'intervento italiano a fianco dell'Intesa i nazionalisti e il re che ritenevano importante combattere per inserire l'Italia tra le grandi potenze, il presidente del consiglio Antonio Salandra e i liberali che lo sostenevano, molti democratici e alcuni socialisti riformisti. Le forze interne ed esterne che spingevano l'Italia verso la guerra erano molto forti. In La grande industria vedeva nella guerra un'occasione unica e grandiosa di espansione economica grazie alle forniture per l'esercito. I maggiori quotidiani italiani cavalcavano le tesi dei nazionalisti e attaccavano in maniera violenta i neutralisti fino a definire traditore Giolitti. Molte manifestazioni di piazza si svolgevano a favore della guerra e molti interventisti tra cui Gabriele D'Annunzio vi pronunciavano infuocati discorsi patriottici. Anche dall'estero le spinte non mancavano: l'Italia importava il 90% del suo carbone dall'Inghilterra e dipendeva da Inghilterrae Francia anche per altre importanti materie prime: questo era un formidabile strumento di pressione nelle mani dell'Intesa. Nel mese di aprile 1915 il governo italiano firmò a Londra un patto segreto nel quale l'Italia s'impegnava ad entrare in guerra con Francia e Inghilterra. I giornali sottovalutavano i costi e le conseguenze della guerra. Il re era decisamente favorevole alla guerra. Il Parlamento, ancora contrario, fu praticamente obbligato ad approvare il patto di Londra. Il 24 maggio 1915 anche l’Italia entrò in guerra a fianco dell’Intesa. Il fronte italiano costituiva una linea che congiungeva il lago di Garda con Gorizia attraversando l'altopiano di Asiago, i monti del Cadore e della Carnia fino all'altopiano della Bainsizza e ai monti Sabotino e San Michele. Anche se non mancavano i volontari la grandissima maggioranza dei militari fu costituita dai richiamati provenienti soprattutto dalle regioni meridionali. Alcune brigate divennero celebri come la Brigata Sassari, la Trapani, Cosenza, Catanzaro ecc. Anche gli Italiani furono bloccati in una guerra di trincea contrassegnata da lunghe pause alternate ad assalti ferocissimi e inutili che comportavano ogni volta migliaia di vittime. Il solo risultato positivo si ebbe nel mese di agosto 1916 con la conquista di Gorizia, avvenuta dopo che i soldati italiani avevano respinto la cosiddetta "spedizione punitiva" degli Austriaci sull'altipiano di Asiago. Nel solo primo anno di guerra gli Italiani persero 250.000 uomini tra morti, feriti e dispersi.
La guerra di trincea rendeva obbligatori fronti lunghi migliaia di chilometri che occupavano milioni di combattenti. Tutti gli stati belligeranti furono costretti ad adottare l'arruolamento obbligatorio. Milioni di donne furono impiegate nelle fabbriche addette alla produzione di materiale militare. Le due grandi e sanguinosissime battaglie combattute in Francia intorno alla fortezza di Verdun e sulla Somme non servirono a far avanzare di un metro le linee dei contendenti. Avviene l'esordio, ancora non decisivo per gli esiti della guerra, di nuove armi: gli aerei, i carri armati, i gas e i lanciafiamme. Gli aerei inizialmente combattevano tra loro e mitragliavano le trincee dall'alto, rarissimamente bombardarono le città. Gli inglesi, con la loro flotta, bloccavano i porti tedeschi per impedire i rifornimenti. Una sola battaglia navale fu combattuta nel 1916 tra la flotta inglese e quella tedesca. Alla fine della battaglia la flotta tedesca rientrò nei porti di partenza. Entrambi i contendenti si dichiararono vincitori, ma il controllo dei mari continuò a rimanere nelle mani degli Inglesi. I tedeschi furono pesantemente danneggiati dal blocco navale inglese. Dopo la battaglia dello Jutland i tedeschi combatterono la guerra sui mari solo con i sottomarini e con le navi corsare. Vittime di questi sottomarini furono le navi di rifornimenti provenienti dagli USA e destinati all'Inghilterra. Questo sarà uno dei motivi che alla lunga provocherà l'intervento diretto degli Stati Uniti nella guerra.
Nel 1917 la carneficina era ormai sotto gli occhi di tutti e non si vedevano sbocchi. Niente poteva giustificare tante stragi e sofferenze. Il Papa Benedetto XV continuava a lanciare appelli per la pace e per far finire la guerra, definita vergogna dell'Umanità. La popolazione europea era stanca per la fame e le sofferenze, inoltre aveva visto le migliaia di profughi tornato a casa orrendamente mutilati. Mancavano i contadini nei campi e gli operai nelle fabbriche, le donne, i vecchi e i bambini dovevano occuparsi di tutto. Non c'era una famiglia che non lamentasse qualche vittima della guerra. Mancavano quasi del tutto lo zucchero, il burro, la carne. Il pane, la pasta, la verdura vennero razionati. Al malcontento dei familiari dei soldati si univa il morale bassissimo di questi ultimi che trascorrevano il tempo nell'attesa di sanguinosi assalti di cui non si scorgeva lo scopo visto che non ottenevano alcun risultato. Numerosi furono gli episodi di diserzione, di automutilazione e di ammutinamento, molti giovani richiamati si rendevano colpevoli di renitenza alla leva. Numerosi furono i processi e le fucilazioni di militari. In Russia, nella primavera del 17 scoppiarono diverse rivolte che costrinsero lo Zar Nicola II all'abdicazione. L'esercito stanco e sfiduciato si sfaldava, i soldati a milioni tornavano a casa. Il partito bolscevico di Lenin prendeva il potere e Lenin firmava l'armistizio di Brest- Litovsk (dicembre 1917) e poi il trattato di pace con la Germania. La Russia usciva così dal conflitto perdendo Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Finlandia. Il ritiro della Russia sembrava aver dato un duro colpo alle speranze di vittoria del fronte anglo-francese-italiano. Germania e Austria riversarono contro il fronte francese e quello italiano le truppe rese libere dal disimpegno della Russia. A questo punto avviene l'ingresso decisivo nel conflitto degli Stati Uniti d'America. Gli Americani erano rimasti molto colpiti dagli affondamenti delle navi civili operate dai tedeschi e in particolare dall'affondamentodel transatlantico Lusitania che aveva provocato la morte di 124 cittadini americani. Nel mese di aprile del 1917 il governo USA dichiarò guerra alla Germania: questo comportò l'arrivo in Europa non solo di truppe fresche, ma anche di viveri, materiali e prestiti finanziari per i paesi dell’Intesa.
L'esercito italiano era logorato dopo 12 inutili assalti sul fiume Isonzo. Il comando Austriaco scaglia contro gli Italiani le truppe che tornavano dal fronte orientale. L’attacco sfondò lo schieramento italiano a Caporetto tra il 24 e il 30 ottobre 1917. Tutto il fronte italiano dovette ritirarsi per evitare che parte delle truppe rimanessero accerchiate o isolate. Tale ritirata, non essendo stata programmata, si trasformò in una disfatta. Furono perse intere divisioni e una quantità ingente di materiali. Migliaia furono i profughi civili costretti ad abbandonare le loro case. Per fortuna, quando tutto sembrava perduto, il paese seppe reagire con fermezza. Il generale Armando Diaz sostituì il generale Cadorna, a Roma fu costituito un governo di solidarietà nazionale presieduto da Vittorio Emanuele Orlando. L'intero parlamento appoggiò questo governo, l'esercito fu riorganizzato rapidamente, l'avanzata austriaca fu bloccata sul Piave, sull'altipiano Asiago e sul monte Grappa. Ormai per l'Austria e la Germania non c'erano più speranze.
Dal punto di vista esclusivamente militare le cose per Austria e Germania non andavano male: le truppe austriache erano avanzate fino al Piave, la Russia si era ritirata con gravi perdite territoriali, il fronte occidentale era fermo. Ma era dal punto di vista delle risorse che Austria e Germania non ce la facevano più: le campagne erano state abbandonate, le materie prime mancavano, il razionamento alimentare aveva colpito anche le truppe. Senza viveri e rifornimenti Austriaci e Tedeschi furono costretti alla resa. Nella primavera del 1918 gli imperi centrali fecero un ultimo, disperato tentativo di rovesciare il destino della guerra. In Francia l'esercito tedesco riusci a raggiungere nuovamente la Marna, ma furono respinti definitivamente dalle truppe francesi e americane oltre che da cannoni, carri armati, aerei. L'esercito Italiano respinse gli attacchi austriaci e ottenne la vittoria decisiva a Vittorio Veneto. Proseguirono verso Trento e Trieste dove entrarono il 3 novembre. Il 4 Novembre fu firmato l'armistizio con l'Austria. L'11 Novembre la Germania chiese la pace. L'imperatore tedesco e quello austriaco furono costretti ad abdicare da violente rivolte popolari. La prima rilevante conseguenza di questa guerra è l’impressionante contabilità dei morti: 600.000 italiani, 1.400.000 francesi, 1.800.000 tedeschi, 1.300.000 austro-ungarici, 1.600.000 russi. La maggior parte dei caduti della “Grande guerra” sono tra i soldati mentre la seconda guerra mondiale sarà invece caratterizzata dall'enorme numero di vittime civili. Inoltre, la fine della Grande Guerra lascia irrisolti gravissimi problemi che saranno alla radice della Seconda Guerra
Il 19 gennaio 1919 si apre la Conferenza di pace a Parigi senza la partecipazione dei paesi vinti. Solo quattro stati ebbero effettivo potere decisionale: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Italia, rappresentati da Wilson, Clemenceau, Lloyd George e Orlando. I gravi problemi provocati dal crollo di quattro imperi (impero turco, russo, austriaco e tedesco) avrebbero dovuto essere risolti, in teoria, in base al principio dell'autodeterminazione dei popoli, solennemente proclamato dagli alleati durante il conflitto. Ma in diverse circostanze tale principio risultava inapplicabile. I vincitori davano alla Germania la maggiore responsabilità del conflitto, quindi pensavano che occorresse indebolirla pesantemente sul piano economico, politico e militare per impedirle di creare nuovi disastri in futuro. I francesi premevano per ottenere il totale annientamento della potenza tedesca, ma gli inglesi erano contrari ad un eccessivo aumento della potenza francese, così come contrari all'annientamento tedesco erano gli americani. Per non perdere l'appoggio di Inghilterra e Stati Uniti Clemenceau si adattò ad un compromesso che permetteva di umiliare e indebolire la Germania senza annientarla. I negoziati furono intrapresi sulla base dei 14 punti di Wilson, formulati l'8 gennaio in un messaggio al Congresso. Alcuni di questi punti non riguardavano direttamente le trattative, ma ponevano principi nuovi alla base dei rapporti internazionali: condanna della diplomazia segreta, libertà di navigazione in acque internazionali, libertà di scambio, disarmo, imparziale soluzione delle questioni coloniali. Ottimi principi a patto di eliminare le cause che avevano spinto le potenze europee ad agire in senso opposto. I principi che più direttamente interessavano le trattative erano il rispetto delle nazionalità e dell'autodeterminazione dei popoli. Inoltre Wilson proponeva una società delle nazioni che fosse sede di risoluzione pacifica delle controversie internazionali. Il rispetto delle nazionalità appariva complicato a causa delle millenarie e intricate vicende storiche che avevano creato intrecci di lingue e culture inestricabili. I principi di Wilson furono interpretati secondo gli interessi dei vincitori.I trattati di pace furono cinque. Il pacifismo di Wilson fu premiato solo dalla fondazione della Società delle Nazioni, con sede a Ginevra. Ma il congresso degli Stati Uniti rifiutò di far parte della Società delle Nazioni a causa dell'isolazionismo prevalente nella maggioranza. Fu esclusa la Germania e non fu presente la Russia in preda ai mutamenti della rivoluzione. Contro i vecchi criteri dei rapporti di forza si mossero quanti volevano nuove regole di convivenza internazionale, per evitare che si ripetesse la catastrofe da poco conclusa. In quest'ottica le potenze vincitrici dovevano promuovere un nuovo ordine per garantire la pace nel rispetto dell'autodeterminazione dei popoli e dell'equilibrio tra le nazioni. Il maggiore esponente di questa tendenza fu il presidente americano Wilson, che propose la creazione di un organismo sovranazionale deputato che risolvesse pacificamente le controversie tra gli stati membri, la Società delle nazioni, con sede a Ginevra, che venne formalmente istituita it 28 aprile 1919. In realtà la Società delle nazioni fu istituita senza convinzione e rimase priva di strumenti operativi e di un potenziale militare che le avrebbero consentito di governare le relazioni internazionali, come previsto dai suoi statuti. Prevalse invece la linea di Clemenceau, a dimostrazione del fatto che, nonostante il collasso bellico, l'Europa costituiva ancora il perno degli equilibri internazionali e gli Stati uniti non erano ancora in grado, nonostante I'indubbia egemonia economica raggiunta proprio durante la guerra, di imporsi come stato guida dei rapporti internazionali.
La Germania restituì alla Francia l'Alsazia e la Lorena , altri territori al Belgio e alla Danimarca. Alla Polonia la Germania dovette cedere l'Alta Slesia, la Posnania e un corridoio sul mare a Danzica che fu dichiarata città libera sotto il controllo internazionale. La Polonia ebbe restituiti anche territori dalla Russia e dall'Austria. Le colonie tedesche furono suddivise, sotto forma di mandati, tra Inghilterra, Francia, Belgio, Giappone, Australia. L'Italia fu esclusa dalla ripartizione. La Germania fu costretta a ritenersi responsabile dei danni di guerra causati alle potenze vincitrici e condannata a pagare una somma di 132 miliardi di marchi oro in trent'anni. Per rassicurare le preoccupazioni francesi alla Germania fu imposto di avere un esercito con massimo 100.000 uomini, di non costruire aeroplani, cannoni pesanti e carri armati. La riva sinistra del reno sarebbe stata occupata per 15 anni per essere poi smilitarizzata insieme ad una fascia di 50 chilometri sulla riva destra. Le miniere della Saar furono concesse provvisoriamente alla Francia con l'intesa che dopo 15 anni la popolazione della Saar avrebbe deciso per plebiscito il destino del territorio. Il territorio dell'impero Austro-Ungarico fu smembrato nelle diverse nazionalità. Dal'unione di Boemia, Slovacchia e Moravia nacque la Cecoslovacchia. Alla Polonia fu attribuita la Galizia. La creazione dello stato Jugoslavo creò complicazioni con l'Italia. Quest'ultima ebbe il Trentino e l'Alto Adige portando il confine al Brennero, ottenne Trieste e l'Istria, ma la Jugoslavia rivendicò per sé la Dalmazia e la città di Fiume. L’accordo di Londra del 1915 prometteva all’Italia la Dalmazia ma non Fiume. Inoltre quello di Londra era un accordo segreto: Wilson, secondo le sue convinzioni, non voleva riconoscerlo. Infine il nuovo regno iugoslavo non voleva cedere la regione dalmata e tutta la diplomazia europea era impegnata a sostenere la Iugoslavia dopo averla creata col compito di stabilizzare i Balcani. Vittorio Emanuele Orlando, per parte sua, non riuscì a far valere le richieste italiane con sufficiente capacità e determinazione. Quando vide parzialmente sconfitte le sue ambizioni abbandonò Parigi per protesta. Molti furono scontenti di questo risultato e si diffuse nel nostro paese l'idea della vittoria mutilata dalla sconfitta subita sul tavolo delle trattative. Il 12 settembre 1919 Gabriele D'Annunzio occupò Fiume alla testa di un gruppo di volontari. La questione fu risolta con il trattato di Rapallo (12 novembre 1920) e col patto di Roma 1924: la Dalmazia rimase alla Jugoslavia meno la città di Zara e il confine orientale italiano fu segnato in modo da comprendere tutta l'Istria e la città di Fiume.
Lo squilibrio creato in Austria dallo smembramento dell'impero spingeva l'Austria nell'orbita tedesca. Per evitare ciò gli alleati introdussero nel trattato una clausola che subordinava l'eventuale unione dell'Austria alla Germania all'approvazione unanime della Società delle Nazioni. La Bulgaria dovette cedere la Tracia alla Grecia - perdendo lo sbocco sul mare Egeo - e una parte dei suoi territori macedoni alla Jugoslavia. La liquidazione dell'impero ottomano creò una fonte inesauribile di dissidi nel mondo mediorientale. La Turchia conservò Costantinopoli e l'Anatolia settentrionale, mentre gli Stretti furono messi sotto controllo internazionale. Il resto dell'impero fu diviso in mandati: la Siria alla Francia, Iraq e Palestina alla Gran Bretagna. Il territorio di Smirne, già promesso all'Italia, fu dato alla Grecia. A Versailles i possedimenti tedeschi e i vasti domini territoriali turchi furono divisi tra Gran Bretagna, Francia, Belgio e Giappone, mentre l'Italia rimase esclusa dalla spartizione coloniale. Inoltre, su pressione soprattutto del primo ministro francese Clemenceau vennero imposte alla Germania clausole di pace durissime sia sul piano economico, sia su quello militare, allo scopo di impedire ogni possibilità di ripresa dello stato tedesco. La Germania restituì alla Francia l'Alsazia-Lorena e venne privata del grande polmone minerario e industriale della Saar che passò, per quindici anni, sotto il controllo della Francia. Inoltre vennero sottratte alla Germania alcune aree industriali nell'Alta Slesia a favore della Polonia, paese ricostituito entro confini che comprendevano, fra l'altro, i territori ex tedeschi della Posnania e della Prussia occidentale (tranne Danzica); per conseguenza la regione tedesca della Prussia orientale rimase territorialmente isolata dal resto della Germania. Lo stato tedesco venne inoltre obbligato a risarcimenti di guerra per 132 miliardi di marchi-oro, da pagare in trent'anni, e limitato nella sua sovranità dal divieto di ricostruire un apparato militare efficiente. Un trattamento analogo venne riservato all'ex impero austro-ungarico.
Lo stesso principio venne adottato con ancora maggiore rigidità nei vastissimi possedimenti africani e mediorientali dell'impero ottomano, dove le potenze vincitrici furono guidate dall'obiettivo pressoché esclusivo di trasformare gli ex territori imperiali in aree semicoloniali sottoposte al loro controllo. Questa strategia non teneva conto però di quanto forti e radicate fossero le spinte del nazionalismo turco e arabo, aprendo cosi la strada a numerosi conflitti, il cui esito mise in luce le difficoltà sempre maggiori della Francia e della Gran Bretagna nel mantenere un efficace controllo dei loro sterminati imperi coloniali. Secondo gli accordi di pace, alla Turchia era stato assegnato un fazzoletto di terra comprendente Costantinopoli e l'Anatolia settentrionale, mentre il resto della penisola era stato diviso tra le potenze vincitrici. Parallelamente, il resto dell'impero fu diviso in "mandati": i paesi arabi passarono sotto il protettorato francese (Siria e Libano) e inglese (Iraq, Giordania e Palestina). In Anatolia scoppiò un movimento nazionalista guidato dal generale Mustafà Kemal, il quale occupò militarmente Smirne, l'Anatolia e la Tracia Orientale sconfiggendo le truppe Greche penetrate in Turchia dietro sollecitazione della Gran Bretagna. Kemal ottenne la revisione del trattato di Sevres e la sua sostituzione col trattato di Losanna del luglio 1923. In questo trattato fu riconosciuto alla Turchia il controllo degli stretti, l'ampliamento del territorio in Tracia e nel Kurdistan, la piena autonomia economica abolendo gli antichi privilegi posseduti dagli Europei. Nello stesso tempo Kemal abolì il sultanato e proclamò la repubblica (1923) la cui capitale fu stabilita ad Ankara. Nell'ordinamento dello stato furono introdotte riforme in senso laico e moderno. Kemal, al quale fu dato il titolo di Ataturk (padre turco), rimase a capo dello stato fino al 1938, anno della sua morte. Anche in Egitto la Gran Bretagna dovette fare i conti con l'affermazione crescente del movimento nazionalista guidato dal partito Wafd. Nel 1922 il governo inglese fu infatti costretto a porre fine al proprio protettorato che aveva imposto nel 1914, dopo aver contribuito a far cadere ogni residuo controllo turco sui territori egiziani. Ma al dominio coloniale diretto la Gran Bretagna sostituì il controllo economico attraverso una oculata politica di aiuti finanziari indispensabili per avviare la difficile modernizzazione del paese voluta dal sultano Fuad, in cambio del controllo del canale di Suez, perno decisivo del commercio internazionale. Una politica analoga la Gran Bretagna sostenne in Iraq, uno dei principali paesi produttori di petrolio, che nelle zone industrializzate stava diventando una delle principali fonti energetiche; favorì la nascita di un governo costituzionale, assai debole per il peso degli scontri tra fazioni religiose e tribali, ma mantenne il controllo delle principali risorse economiche del paese.Il governo inglese aveva scelto una linea di compromesso nei confronti delle spinte indipendentiste che permeavano la società araba. La Francia invece si attenne ai classici modelli del colonialismo ottocentesco, imponendo un governo centralistico dei possedimenti coloniali che non lasciava nessuno spazio di autonomia alle nascenti classi dirigenti locali. Questo alimentò l'esplosione di sanguinose rivolte in Siria (1925-26) e in Marocco (1921-26), che l'esercito francese ebbe difficoltà a sedare, e la nascita di movimenti anticolonialisti molto accesi e cementati dalla religione islamica. Mentre il nazionalismo arabo si affermava come forza politica decisiva nella definizione di nuovi equilibri nell'area mediorientale, la progressiva colonizzazione ebraica della Palestina, sostenuta dal movimento sionista, creava un altro elemento di tensione con i paesi europei e soprattutto con la Gran Bretagna. Il governo inglese infatti nel 1917 si era fatto sostenitore delle rivendicazioni sioniste di riguadagnare la "terra promessa" e di stabilire colonie ebraiche in Palestina, abitata ormai da secoli da una popolazione araba. Nel 1921 si raggiunse un accordo che prevedeva la creazione di un piccolo stato ebraico in Transgiordania, una parte della Palestina che rimaneva in mani arabe. Questo accordo resse fino ai primi anni trenta, quando l'avvento del nazismo in Germania fece crescere a dismisura la pressione dei coloni ebrei, che fuggivano dalla repressione razziale inaugurata da Hitler. La convivenza tra arabi ed ebrei divenne sempre più difficile inaugurando una lunga stagione di conflitti e di scontri sanguinosi che dura ancora oggi, nonostante gli accordi di pace del 1994, in cui il governo israeliano ha riconosciuto il diritto dei palestinesi a occupare parte della Palestina e i paesi arabi hanno riconosciuto la legittimità dello stato ebraico.
I segni vistosi di una profonda crisi del sistema coloniale non erano però che un aspetto delle gigantesche trasformazioni che la prima guerra mondiale si lascio alle spalle. Agli inizi degli anni venti si era definitivamente compiuto il processo di spostamento del centro del mondo fuori dall'Europa, avviato sul finire dell'Ottocento. La guerra, che aveva richiesto uno sforzo immane sul piano economico e sociale, aveva accelerato il declino del vecchio continente, prosciugandone le risorse e portando la sua economia sull'orlo del tracollo. Alla fine della guerra l'Europa appariva un paese impoverito. La sua agricoltura non era più in grado di reggere i ritmi produttivi di altri paesi come gli Stati uniti o l'Argentina; il suo apparato industriale viveva una crisi gravissima. II principale fattore di crisi dell'economia europea era legato alla necessità di riconvertire in tempi rapidi la produzione industriale ai beni di consumo e a macchinari necessari in tempo di pace: durante la guerra gli impianti industriali erano stati trasformati per produrre quasi esclusivamente enormi quantità di materiale militare. Alla fine delle ostilità, venendo a cessare la necessità di questa produzione, molte aziende non riuscirono a riconvertirsi e fallirono; altre riuscirono nell'impresa ma con grande difficoltà; in ogni caso questo processo sconquassò alle radici le strutture industriali di tutte le nazioni belligeranti e soprattutto di quelle sconfitte. La crisi innescata dalla riconversione produttiva durò più del previsto: fino al 1922 si protrasse un lungo ciclo negativo alimentato da diversi fattori. La riconversione produttiva si scontrò infatti con innumerevoli difficoltà che riguardavano: l'approvvigionamento dei capitali, scarsi e costosi, soprattutto per i paesi europei gravati dai pesantissimi debiti di guerra contratti con l'estero e in primo luogo con gli Usa; il sistema degli scambi, appesantito da una crisi costante delle tariffe doganali in tutti i paesi europei, nel vano sforzo di proteggere i mercati interni dalla concorrenza; l'inflazione, alimentata dall'enorme quantità di cartamoneta, messa in circolazione negli anni della guerra per sostenere i costi smisurati del conflitto, dall'indebitamento degli stati e dal ristagno produttivo, che produssero una progressiva perdita di valore delle monete europee e un parallelo rialzo di tutti i prezzi.