La formazione e lo sviluppo della Lega anseatica rappresentano un’altra significativa testimonianza dei profondi mutamenti economici e sociali che interessano l’Europa nell’autunno del Medioevo, determinando la crisi dell’universalismo e dei suoi istituti, con particolare riferimento al Sacro Romano Impero.
Alla metà del XIII sec., nell’ambito d’una generale aspirazione all’autonomia espressa dalle città nordiche, nella Germania settentrionale si forma la Lega anseatica (dal termine tedesco Hans che significa "gilda", "associazione mercantile"): ne fanno parte le città d’Amburgo, Brema e Lubecca. Quest’ultima, fondata nel XII sec., dotata di privilegi dal Barbarossa e dichiarata nel 1226 libera città imperiale da Federico II, è amministrata da un consiglio oligarchico che ne favorisce la crescita, permettendole d’assumere un importante ruolo commerciale nel Baltico e nell’Europa settentrionale, fondando colonie ed empori al di là dell’Elba e dell’Oder, sino in Estonia e in Lettonia.
In un primo momento è l’impero stesso a favorire lo sviluppo della città, come di altri centri baltici: ben presto però, col crescere del volume dei traffici, il controllo imperiale si fa soffocante, tramutandosi in un ostacolo. Contemporaneamente agli scambi, cresce nelle città nordiche una classe borghese mercantile, anche se non dotata di grande respiro finanziario, sempre più desiderosa d’autonomia e libertà.
Talché le città baltiche, sull’esempio dei comuni italiani, sono costrette a costituire una lega autonoma a carattere militare e commerciale: dopo il patto stretto nel 1241 fra Lubecca e Amburgo, nel 1358 nasce la Lega anseatica vera e propria, cui aderiranno ottanta città dislocate fra il Reno e l’Elba. In breve, l’Hansa s’assicura il monopolio dei traffici nel Baltico, mantenuto sino alla fine del Quattrocento, commerciando in grano, pellicce e miele dalla Russia, legname, catrame, pesce secco, lana e sale.
Per difendere i propri interessi, la Lega conduce azioni militari in proprio, come quelle contro la Danimarca, che la vedono imporsi e ottenere, nella pace di Stralsunda del 1370, il diritto d’intervenire nella successione del regno danese
Fra il XIV e il XV sec. l’Europa è insanguinata, da un capo all’altro, da innumerevoli sommosse contadine, particolarmente cruente in Francia, dove sono dette jacqueries dal tradizionale nomignolo del contadino, Jacques Bonhomme. Le rivolte, sovente vaste e durature, oltre che d’un diffuso disagio sociale sono la conseguenza di condizioni di vita spesso al disotto dei limiti della sussistenza, sullo sfondo di guerre interminabili, carestie ed epidemie come la peste nera che decima l’Europa attorno alla metà del Trecento, raggiungendo nel 1348 l’acme della virulenza in Italia.
Le jacqueries rappresentano in generale una conseguenza del trapasso da un’economia rurale chiusa di stampo feudale ad un’economia precapitalistica, in cui si espandono sempre più i margini del mercato e s’acuisce il fabbisogno di stati sempre più complessi ed esigenti.
I signori locali cercano di scaricare sui ceti inferiori il peso delle crescenti imposizioni fiscali o delle crisi economiche, provocandone la ribellione. Le sommosse contadine nascono così come movimenti spontanei di rivolta contro l’inumano sfruttamento imposto dai proprietari terrieri, che aumentano i canoni d’affitto delle terre, l’imposizione fiscale e il carico delle corvées, escludendo i più poveri dall’usufrutto di terre comuni, pascoli e foreste.
Le rivolte, sfociate in assalti alle case dei ricchi e in saccheggi dei magazzini di derrate alimentari, si concludono pressoché immancabilmente con violentissime repressioni ed esecuzioni di massa dei ribelli. Le campagne sono battute da bande di contadini trasformatisi in briganti di strada che taglieggiano i viaggiatori, ingaggiando vere e proprie battaglie con le milizie dei signori.
Alle rivolte contadine, finalizzate perlopiù al ripristino di diritti consuetudinari infranti dai potenti, si accompagnano spesso sommosse del proletariato urbano, fra cui quella dei Ciompi fiorentini del 1378.
Fino all’inizio del XV secolo, la maggior parte della lana europea, la più preziosa e abbondante materia prima del continente, è importata in Italia, tessuta in pannilana, e poi esportata come prodotto finito a nord delle Alpi. Durante il Quattrocento, si manifesta progressivamente la tendenza a lavorare la lana sul luogo di produzione e a venderla sui mercati locali. In Spagna l’allevamento delle pecore merino, celebri per la qualità della loro lana, raddoppia.
Con le guerre d’Italia, la struttura produttiva dei grandi nuclei manifatturieri del centro nord subisce danni più o meno gravi, soprattutto nel lanificio; molte città non riescono più a raggiungere i livelli di esportazione quattrocenteschi, mentre il setificio è in espansione.
Cresce infatti la domanda di tessuti pregiati; i gentiluomini si vestono di velluti, lampassi, broccati e damaschi, ne adornano i loro palazzi, e anche la Chiesa, nella rinnovata liturgia dopo il concilio di Trento, non perde il gusto per i paramenti preziosi. D’altra parte, per effetto dell’incremento demografico che coinvolge soprattutto le città, aumenta la richiesta di tessuti meno pregiati e meno costosi.
Sono l’Inghilterra, la Francia, le Fiandre a sviluppare la produzione di questo tipo di merci destinate a mercati lontani; ed è in quelle aree che si verifica un parziale spostamento del ciclo produttivo verso le campagne.
Le vicende della holding medicea costituiscono un capitolo fondamentale nella storia non soltanto economica, ma anche politica e culturale europea. Personaggio di spicco in questa dinastia di uomini d’affari è Giovanni di Bicci, a capo del "banco" di famiglia nel 1397, che trasforma una florida attività finanziaria in una delle maggiori imprese bancarie europee. Giovanni sa scegliere con cura i propri collaboratori, tratta gli affari con discrezione e ha la reputazione di essere affidabile. Ha l’accortezza e la previdenza di coltivare l’amicizia di Baldassare Cossa, che, salito al soglio pontificio col nome di Giovanni XXIII, lo fa nominare depositario della Camera apostolica.
Malgrado il Cossa venga deposto quale antipapa, il rapporto frutta ai Medici l’amministrazione delle finanze del papato, trasformatasi in monopolio; il banco mediceo si occupa di impiegare le ingenti somme di denaro di cui la Chiesa dispone, grazie a decime e donazioni, traendone alti profitti. Il rapporto col papato s’incrina e si spezza nel 1478, quando Sisto IV, avversario dei Medici, li sostituirà quali amministratori coi Pazzi, loro rivali e autori di una congiura ai loro danni.
Il banco dei Medici ha filiali in tutta Europa, guidate da amministratori fidati, come i Portinari a Bruges, che sono perlopiù soci di minoranza della famiglia fiorentina, la quale coordina le operazioni da Firenze e spartisce i profitti tra i partner. Accortamente, ogni filiale è giuridicamente autonoma, con un amministratore e registri contabili propri, cosicché un eventuale rovescio finanziario non si ripercuota sulle altre e sulla casa madre.
Oltre ai Medici, un’altra dinastia di banchieri gode di larga fama in Europa; anche se, a differenza dei colleghi fiorentini, non avrà in sorte la signoria e il principato. Originari di Augusta, nella Germania meridionale, i Fugger si affermano progressivamente come mercanti e banchieri durante il XV secolo.
È solo nell’ultimo quarto del secolo che Jakob Fugger crea la grande dinastia commerciale e bancaria, riuscendo a trarre profitto dalle nuove opportunità offerte all’Europa dalla scoperta dell’America.
Come impongono la morale e la religione dell’epoca, elemosina e carità sono d’obbligo; intorno al 1520, Jakob fonda un quartiere di cinquantatré case (divenute in seguito un centinaio) destinate ai poveri, i cui inquilini versano un affitto simbolico e devono recitare ogni giorno un Pater, un Ave e un Credo per le anime dei fondatori e della loro famiglia.
Diventato banchiere di principi, sovrani, uomini di Chiesa, ottiene in cambio dei suoi prestiti alcune importanti concessioni minerarie per l’estrazione dell’argento, del rame e del ferro, dalla Slesia al Tirolo e alla Spagna. Il nipote Anton sposta il centro operativo della compagnia ad Anversa. Gli interessi della famiglia sono a questo punto vari; comprendono il trasferimento del denaro degli ecclesiastici residenti nel nord e il finanziamento del commercio portoghese delle spezie.
Il nome dei Fugger è legato agli Asburgo, di cui determinano il destino fin dall’elezione imperiale di Carlo V. Prestare ai sovrani ingenti somme comporta però anche dei rischi; l’indebitamento di Carlo V è vorticoso e così il suo successore, Filippo II, nel 1557 deve dichiarare la bancarotta della corona spagnola, provocando danni irreversibili ai Fugger. Da quel momento, l’alta finanza passa nelle mani di altre famiglie, soprattutto genovesi.