Il Settecento fu uno dei secoli di maggiore riflessione intellettuale, entusiasmo e spirito di ricerca. Fu l’epoca che impostò le fondamenta del pensiero moderno, il secolo dell’Illuminismo, in cui la fiducia nel potere della ragione e nella ricerca scientifica permeò ogni attività umana, non solo filosofica, ma anche intellettuale e culturale.
In tale contesto, in tutta Europa l’interesse per l’arte si accese di nuovi spunti e brillanti interpretazioni. Non più eccesso artificioso e retorica come in età barocca, bensì leggerezza di forme, rappresentazione della bellezza della natura ed espressione dell’inventiva e degli affetti umani.
La circolazione delle idee e degli artisti tra le corti europee favorì l’internazionalizzazione della cultura. I principali interpreti dell’arte italiana seppero essere apprezzati anche all’estero, accolti col favore dovuto alla grande tradizione e alla capacità dimostrata da questi maestri di recepire le novità del gusto e di assimilare le diverse esperienze che il contatto con mondi nuovi poteva loro offrire.
Grazie al libero diffondersi delle idee, durante la prima metà del secolo si svilupparono in Europa numerose tendenze artistiche.
Assieme allo stile rococò, che segnava il trionfo del raffinato, del galante e del prezioso, persistettero forme e modi della tradizione seicentesca, mentre crebbe un nuovo interesse per la resa obiettiva degli aspetti della realtà, che porterà allo sviluppo del ritratto, della veduta e della scena di costume.
Un nuovo gusto
Negli ultimi anni del regno di Luigi XIV e durante la reggenza di Filippo d’Orléans (1715-1730), un nuovo gusto cominciò ad imporsi, scalzando la tendenza al monumentalismo barocco: il rococò. Spiccatamente edonistico, leggiadro e sensuale, rappresentava la "gioia di vivere" di un’aristocrazia cortigiana che, dopo la morte del Re Sole, voleva voltare le spalle al passato e al clima di opprimente moralismo degli ultimi anni del grande autocrate.
Il nuovo gusto divenne, soprattutto fra il 1730 e il 1745, durante il primo periodo del regno di Luigi XV, l’espressione delle classi elevate, l’aristocrazia e la ricca borghesia, che, messi da parte i motivi eroici, privilegiavano quelli idillici e pastorali, propri di una tradizione mai dimenticata. Fu Antoine Watteau (1684-1721) a sublimare questo sottile, leggero edonismo nella pittura delle fêtes galantes, ma il nuovo stile si applicò ad ogni aspetto della vita quotidiana.
Anche la letteratura del primo Settecento rientrò nella temperie culturale ed estetica del rococò.
Gli idilli galanti di Watteau
Dopo il regno di Luigi XIV, il Re Sole, improntato ad un rigido moralismo, la reggenza di Filippo d’Orléans e ancor più l’epoca di Luigi XV apportarono una ventata di mondanità e di liberalità alla vita francese. Perfettamente inserite nel clima dell’epoca sono le feste galanti di Jean-Antoine Watteau, nate dall’esperienza del teatro della Commedia dell’Arte, le quali mostrano un senso idillico della vita, anche se spesso velato di malinconia.
All’interno di magici regni della natura, boschetti dove tutto induce all’amore, il pittore ambienta le sue favole incantate, modello di una società, quella contemporanea, desiderosa di liberarsi dai moralismi e dalle austerità caratteristiche della fine del regno di Luigi XIV.
Maestro delle emozioni suscitate dall’amore, sebbene si impegnasse in tutti i generi della pittura, dalla ritrattistica al paesaggio, dalle allegorie ai temi religiosi e ai dipinti di genere, egli legò il suo nome soprattutto agli idilli e al teatro.
Molto apprezzato dai collezionisti d’arte, la sua opera influenzò numerosi artisti, soprattutto in Francia e in Inghilterra, i quali continuarono negli anni successivi alla sua morte, sopraggiunta nel 1721, a dipingere conversazioni all’aperto e concerti campestri sulla scia delle composizioni del maestro.
Vissuto soltanto 37 anni, Watteau ha lasciato di sé poche tracce: soltanto il celeberrimo quadro raffigurante Il Pellegrinaggio all’isola di Citera può essere datato con certezza. Alla sua morte "l’inimitabile" artista - secondo la definizione di Rosalba Carriera - lasciò circa duecento dipinti e un innumerevole numero di disegni, quasi sempre studi preparatori per le composizioni su tela.
François Boucher
Nato a Parigi nel 1703, François Boucher iniziò la sua attività artistica come incisore ad acquaforte e con tocco sciolto ed ispirato riprodusse le opere di Watteau, il capostipite della pittura rococò francese. Dal 1727 al 1731 soggiornò in Italia, dove, a Roma, pur non essendo borsista del Prix, meritò l’accoglienza dell’Accademia di Francia.
Al ritorno in patria la sua fama crebbe rapidamente. Professore all’Accademia dal 1737, disegnò tappezzerie, dipinse pannelli decorativi, sovrapporte, che rispondevano armonicamente ai ricchi e vivaci motivi della mobilia stile Luigi XV , e, soprattutto, quei suoi tipici quadri galanti e mitologici, di sapore italianizzante, che lo hanno reso famoso.
Ben presto Boucher fu ammesso tra gli intimi di Madame de Pompadour, della quale fece molti ritratti e che fu addirittura sua allieva nell’incisione ad acquaforte. Per lei dipinse cineserie e ideò oggetti in bisquit eseguiti dalla porcellana di Sèvres; grazie a lei visse nell’eleganza e nel lusso.
Con la morte della favorita però cambiò l’orientamento e lo stile della corte e inevitabilmente anche la fama di Boucher subì un tracollo. Negli anni '60 fu attaccato violentemente da Diderot, ma l’artista, ormai anziano e colpito da una progressiva cecità si era ormai allontanato dal mondo artistico militante, nonostante l’ammirazione che David tributava al suo talento.
Morì a Parigi nel 1770 fra l’indifferenza generale. Una viva immaginazione si accompagna nell’opera di Boucher all’ammirazione per la pittura italiana di intonazione chiara. Con il suo tratto fluido e i suoi colori solari, l’artista mostra magnificamente nelle opere più raffinate le perfette doti del decoratore.
Il felice decorativismo si esprime attraverso gli incarnati eburnei e rosa, gli squisiti atteggiamenti e gli eleganti particolari calati in una splendente luminosità.
Le vedute di campagna, regolari e composte come tutta la sua pittura, sono talvolta veramente notevoli per l’originalità dei tagli, scelti dall’artista in base alla destinazione del quadro. Il tema preferito e più riuscito di Boucher resta comunque il nudo, spesso rappresentato nelle scene mitologiche.
Nudi giovani, ridenti e briosi, scontornati morbidamente dal pennello, come nella serie di figure isolate, poste di schiena e distese semisvestite.
Boucher è estremamente preciso nella gamma cromatica e nel tocco franco del disegno. Negli squisiti interni borghesi che talvolta dipinge, si scopre un’ispirazione olandese piuttosto che italiana, soprattutto nella preziosa descrizione dei particolari.
Immagini rubate
François Boucher godette sempre della fama di pittore erotico, anche se Diderot, nelle sue pagine di critica d’arte, rimproverò all’artista di non essere mai abbastanza esplicito. Il filosofo in realtà non amò mai la sua pittura, ritenuta l’esempio della frivolezza rococò.
Tale reputazione nacque nel corso del XIX sec., quando nacque la leggenda secondo la quale egli avrebbe dipinto una serie di dipinti erotici per Madame Pompadour, che avrebbero dovuto riaccendere i sensi del suo amante, il re Luigi XV.
Pare che la favorita ricorresse ad una dieta a base di cioccolata, vaniglia, tartufi e sedani nella speranza di rianimare gli ardori affievoliti del sovrano.
A prescindere dalla veridicità di certi aneddoti, sono numerose le raffigurazioni di Boucher evocanti atmosfere di raffinata sensualità, sia quando l’artista dipinge gli amori degli dei, sia allorché raffigura privati boudoir dove, tra un disordine tutto femminile, le dame sono intente alla loro toilette.
Sotto la forma della più pura sensibilità, in queste immagini si coglie un insinuante erotismo, mai licenzioso, dal quale traluce tutto il suo amore per le donne.
Sua moglie Jeanne-Marie Buzeau posò forse per lui, esibendo le grazie del suo corpo per la celebre Odalisca bruna, un dipinto di ambientazione esotica dove una donna giace su un sofà, coricata sul ventre. L’idea che il pittore avesse potuto rappresentare così la moglie scioccò i contemporanei.
Ancora Diderot criticò questa donna completamente nuda, distesa con le gambe divaricate, che offriva allo spettatore "il volto più voluttuoso, la schiena ed i glutei più belli", invitandolo al piacere.
Artista completamente calato nella sua epoca, l’età di Luigi XV, viva, curiosa ed ottimista, Boucher dipinse con il gusto per l’opera ben fatta e con uno straordinario virtuosismo, che seppe unire natura e artificio
Chardin
La formazione di Jean-Baptiste-Siméon Chardin, il maestro della natura morta e delle scene di costume della società borghese parigina del Settecento, presenta ancora oggi lati oscuri. Figlio di un artigiano ebanista, nel 1728 egli fu ammesso all’Accademia Reale di Pittura e di Scultura quale pittore di nature morte, splendide ed essenziali, dipinte con una verità che inganna l’occhio.
Fu proprio la semplicità delle sue raffigurazioni, concepite in modo quasi casuale, come se l’artista si guardasse intorno e scegliesse le cose più banali, presentate contro sfondi uniti, astratti, spesso tagliati da un raggio diagonale di luce, ad affascinare Denis Diderot.
L’interesse e l’apprezzamento del filosofo si concentrarono soprattutto sulla raffinatissima tecnica pittorica e sulla poetica dei suoi quadri, in cui gli oggetti sono sistemati con assoluto rigore e delineati con pennellate dense di colore e di luce.
Lo stesso senso di commozione interiore che pervade le nature morte si ritrova nelle scene di interni borghesi, nei quali Chardin ricrea con cura un universo familiare. Attratto dai soggetti infantili, egli dipinse con particolare tenerezza bambini intenti nei loro giochi, senza alcun compiacimento aneddotico o falso sentimentalismo. Diderot consacrò al maestro alcune delle sue pagine più belle.
In occasione del Salon del 1763 egli scriveva: "È lui che capisce l’armonia dei colori e dei riflessi. Oh Chardin! Non sono dei bianchi dei rossi dei neri che tu stemperi sulla tua tavolozza: sono l’aria e la luce che tu raccogli sulla punta del tuo pennello e che fermi sulla tela!".
Fragonard
Nato a Grasse, in Provenza, nel 1732, Fragonard iniziò gli studi notarili, fin quando si accorse della sua predisposizione per la pittura, piuttosto che per il diritto. I genitori lo mandarono allora da Boucher, che a sua volta lo indirizzò da Chardin, suo primo maestro.
Incoraggiato a partecipare al Prix de Rome, vinse la prestigiosa borsa di studio nel 1752 e, dopo un anno preparatorio in patria, partì per Roma.
Soggiornò anche a Napoli, Venezia e in Toscana e ovunque studiò le opere dei grandi maestri e realizzò schizzi di paesaggio. Al suo ritorno a Parigi venne associato all’Accademia, nella quale espose il grande quadro storico Coreso e Calliroe che, acquistato dal sovrano, gli guadagnò anche un atelier ufficiale al Louvre. Abbandonò progressivamente la pittura accademica a favore di quadri di soggetto campestre e galante.
Nel 1771 la duchessa di Barry, succeduta nelle grazie del sovrano a M.me de Pompadour, gli commissionò per il suo nuovo padiglione di Louvenciennes la serie intitolata Risveglio dell’Amor nel cuore di una fanciulla. Dopo un secondo viaggio in Italia nel 1773, Fragonard si innamorò appassionatamente della giovane sorella della moglie, che diventò il soggetto preferito di molti suoi quadri.
Con lo scoppio della rivoluzione, grazie all’intercessione dell’amico David, ottenne alcune cariche governative secondarie, ma dipinse pochissimo, forse consapevole della distanza che divideva il suo stile dal neoclassicismo in ascesa.
Morì a Parigi nel 1806. Abbandonando il fastoso e pesante stile tardo-barocco, nelle sue opere l’artista privilegiò la luce e la grazia, il cromatismo delicato, l’ornato elegante e la rivisitazione mitologica in chiave idillica.
Pittore completamente calato nella sua epoca, l’età di Luigi XV, viva, curiosa ed ottimista, Fragonard dipinse con il gusto per l’opera ben fatta e con uno straordinario virtuosismo che seppe unire natura e artificio.
Fu amato dai collezionisti, che dei suoi quadri ammiravano la straordinaria padronanza tecnica, l’evanescenza dei colori e l’audacia allusiva delle immagini, nonché la capacità di inscenare sulla tela soggetti di vario genere con consumata perizia: scene sacre, mitologie, ritratti pitture di genere e soprattutto paesaggi, eseguiti con insuperabile maestria.
I giardini dell'eros
Nelle arti visive, così come nella letterature, i giardini assursero, nel Settecento, a luogo deputato all’amore. Molti racconti dell’epoca trovarono la loro ambientazione nei parchi, alla pari dei personaggi dei dipinti che si muovevano nella luce degli spazi verdi. La natura, che circondava ville e castelli, divenne il luogo privilegiato in cui poter ritrovare l’Eden perduto o intrattenersi con l’amante nel sottile gioco della seduzione, nascosti da occhi indiscreti. Casini di caccia e padiglioni disseminati nel parco divennero i luoghi destinati al piacere dei sensi. Scene di giardini incantati, creati appositamente per le gioie dell’amore, si moltiplicarono in pittura, dove gli artisti potevano dare sfogo alla loro fantasia ritraendo gruppi gioiosi di giovani amanti, giovani splendide ninfe in maliziosi atteggiamenti e coppie sensuali di innamorati. Pittori francesi quali Watteau, Boucher, Fragonard divennero i maestri assoluti di queste scene di seduzione all’aria aperta, creando assoluti capolavori dell’arte destinati al collezionismo privato.
Le bagnanti di Fragonard
Tra i più celebri e riprodotti dipinti di Fragonard, Le bagnanti costituiscono uno dei vertici più alti della pittura francese del XVIII sec. Realizzata forse per Madame du Barry, per lunghi anni mecenate dell’artista, la tela rivela la profonda ammirazione dell’artista per la pittura di Rubens, il cui ricordo trapela nell’ardita composizione spaziale, nella vaporosità del colore brillante, nell’energia della pennellata. Tutta la gioia di vivere di un’epoca traspare dai volti radiosi delle giovani donne, forse delle ninfe, intente a bagnarsi nelle acque di un fiume in una luminosa giornata estiva. Il naturale talento del pittore nel dipingere il paesaggio raggiunge la massima poesia con l’inserimento nella vegetazione di fanciulle allo stesso tempo innocenti e provocanti, sensuali e sbarazzine, i cui corpi bagnati brillano al sole.
La movimentata composizione del dipinto è strutturata secondo una serie di linee curve che accompagnano il flettersi dei corpi delle otto giovani donne e il piegarsi del tronco degli alberi che si affacciano sullo specchio d’acqua. L’erotismo del bagno collettivo delle fanciulle, completamente nude, si stempera nella morbidezza del colore, steso con rapide pennellate, che si sfaldano sotto la luce dorata. Il rosa, l’ambra, il verde tenue si mescolano fino a creare un tutt’uno tra le carni e la vegetazione, che cresce rigogliosa presso l’acqua. La confusione che il quadro suscita a prima vista diminuisce con un’osservazione più attenta: ogni particolare segue una propria logica, niente è lasciato al caso. A poco a poco si distinguono le due rive del fiume, le giovani intente a giocare sullo sfondo, appena delineate, le chiome degli alberi si separano dal cielo. Adesso si evidenzia la linea diagonale che struttura il dipinto, concentrando su di sé un fascio di luce che riscalda i colori e accentua il movimento dei corpi contagiando il dinamismo all’intera tela.
Hubert Robert e il paesaggismo
Considerato uno degli ultimi esponenti della pittura di paesaggio decorativa e tra i precursori del paesaggismo romantico del XIX sec., Hubert Robert presentò per la prima volta i suoi dipinti al pubblico nel Salon parigino del 1767. Accolte dalle positive critiche di Denis Diderot, i quadri piacquero per il senso di malinconia evocato dai paesaggi, nei quali si inserivano le rovine di antiche costruzioni. "Tutto si annienta, tutto perisce, tutto passa…" scriveva Diderot nella critica dell’esposizione artistica del 1767, certamente con un preciso riferimento ai dipinti di Robert. Figlio di un valletto di camera del Marchese de Stainville, crebbe assieme al figlio di questi, il futuro duca di Choiseul, ricevendo per molti anni il suo sostegno economico. Nominato ambasciatore di Francia a Roma nel 1754, il giovane duca portò con sé il pittore, permettendogli col suo appoggio di frequentare l’Accademia di Francia. Il contatto con l’ambiente romano e la possibilità di studiare i monumenti del passato, assieme all’influenza del più celebre dei vedutisti italiani del tempo, Giovanni Paolo Pannini, lo spinsero a popolare di suggestivi ruderi di fantasia le sue composizioni, tanto da meritare l’appellativo di "Robert delle Rovine". Rientrato a Parigi nel 1765, strinse una profonda amicizia con Fragonard, assieme al quale amava immergersi nella natura, passeggiare nei boschi dei dintorni della città, discutere sul modo migliore di rappresentare sulla tela il paesaggio. Il suo carattere lo portò ad imprimere sulla tela immagini paesaggistiche ariose, colorate con toni delicati e ricche di effetti luministici. In esse si conserva qualcosa di spontaneo, come di appena abbozzato
Il pastello è una polvere di gesso colorata, lavorata a forma di matita per essere impiegata come materiale da disegno. La versatilità del pastello permette il suo utilizzo in migliaia di diverse sfumature di colore. Leonardo da Vinci chiamò la tecnica "il modo di colorare a secco" e il suo impiego gli fu insegnato da un artista francese, Jean Perréal, giunto a Milano nel 1499. Si tratta di una materia estremamente fragile, il cui impiego richiede notevoli capacità.
Essa permette tuttavia al pittore di lavorare rapidamente e di riportare sul foglio l’immediatezza delle idee e delle emozioni; è inoltre facilmente cancellabile e permette ripensamenti e sovrapposizioni. La tecnica a pastello fu soprattutto impiegata nella ritrattistica.
Sin dalla fine del Seicento gli artisti si accorsero della sua estrema versatilità e delle possibilità di rendere la vaporosità e la lucentezza degli abiti, la luminosità dei volti e gli innumerevoli effetti di colore. Il Settecento fu il secolo del trionfo della pittura a pastello, grazie soprattutto a pittori quali Jean-Etienne Liotard, Jean-Baptiste Perronneau e Rosalba Carriera, che seppero creare con i loro ritratti degli autentici capolavori. Attratto dai pastelli fu pure Chardin, che nella seconda metà del secolo introdusse maggiore realismo e spontaneità ai ritratti, nonché importanti novità tecniche.
Abbandonata negli ultimi anni della sua vita la pittura ad olio, egli inaugurò un modo di disegnare a pastello fatto di strati di colore sovrapposti, non mescolati tra loro, i cui singoli tocchi, tesi a rifinire sempre più il soggetto raffigurato, si armonizzavano visti a distanza. Tale tecnica precorse di oltre un secolo la pittura degli impressionisti.
Jean-Etienne Liotard
Nato a Ginevra nel 1702 da una famiglia di origini francesi, Jean-Etienne Liotard iniziò la sua carriera artistica come pittore di storia, realizzando nel 1734 un dipinto col Re David ed il sacerdote Abimelech per essere ammesso all’Accademia Reale di pittura e scultura di Parigi. Rifiutato dalla prestigiosa istituzione, deluso preferì allontanarsi dalla Francia, iniziando una serie di viaggi che lo porteranno a Firenze, a Roma, a Napoli, in Sicilia, a Malta ed in Grecia.
Ovunque trovò committenti desiderosi di farsi immortalare dai suoi ritratti a pastelli. Fu durante un soggiorno a Costantinopoli dal 1738 al 1742 che egli si avvicinò alla cultura turca: iniziò a vestirsi secondo la tradizione di quel popolo e si lasciò crescere una lunga barba. Al suo ritorno in Europa, la stravaganza del suo abbigliamento contribuì non poco al diffondersi della sua fama.
Fattosi apprezzare alla corte viennese dell’imperatrice Maria Teresa, realizzò qui alcuni dei suoi maggiori capolavori, eleganti scene di genere realizzate a pastello nelle quali seppe magistralmente trasfondere le atmosfere domestiche, illuminate da luci vibranti e dettagliate da infiniti particolari.
Ormai divenuto il ritrattista ufficiale della corte asburgica, non ebbe difficoltà ad imporsi presso gli alti ceti di Francia, Inghilterra ed Olanda, avvicinandosi pure al genere della natura morta di fiori e di frutta. Gli aspetti più vivi ed originali della sua arte riguardano alcuni ritratti di personaggi occidentali abbigliati alla turca, splendide immagini in cui dame dell’alta società e aristocratici si lasciano raffigurare in scenari o in interni esotici, con costumi orientaleggianti.
Le tracce della sua lunga permanenza a Costantinopoli riaffiorano nelle vesti ricamate delle signore, nei turbanti maschili, nei particolari dell’arredamento, il cui ricordo rimase nell’artista sempre vivo grazie ai numerosi taccuini riempiti di schizzi e di disegni che riportavano le impressioni di viaggio.
Perronneau
Con il francese Jean-Baptiste Perronneau la tecnica del pastello raggiunse l’apice del virtuosismo tecnico. Affermatosi al Salon parigino del 1746 con un ritratto a pastello di Hubert Drouais, egli si fece immediatamente apprezzare presso l’aristocrazia e l’alta borghesia, condividendo con Maurice-Quentin de La Tour il primato di ritrattista della corte e dei circoli più alla moda di Parigi.
La sua fama si estese ben presto al di fuori dei confini della Francia: instancabile disegnatore, sempre alla ricerca di nuove commissioni, vagò per tutta Europa, dall’Italia alla Russia, all’Olanda, dove trascorse i suoi ultimi giorni.
Perronneau fu uno straordinario colorista che seppe orchestrare rare armonie cromatiche, giocate per lo più sui toni del violetto e del granato, che stagliano su sfondi di colore giallo, con tocchi di verde a suggerire le ombreggiature.
Soffici e vellutati, i suoi luminosi dipinti ci rimandano le effigi di illustri o sconosciuti personaggi dell’epoca, abbigliati secondo l’ultima moda, spesso accompagnati da attributi che ne identificano il ruolo sociale e professionale ed a volte colti in pose informali ma con lo sguardo sempre rivolto verso lo spettatore.
Rosalba Carriera
Rosalba Carriera fu una delle più raffinate interpreti del gusto rococò. Specializzatasi nella pittura di ritratto, ella fu testimone diretta della società dell’epoca, la cui conoscenza è giunta fino a noi attraverso i suoi Diari. Si tratta di preziose pagine di cronaca che, attraverso le fitte relazioni intrecciate dalla pittrice con committenti italiani e stranieri di ogni ceto e con altri artisti e uomini di cultura, ci forniscono un quadro perfetto dell’Europa del Settecento.
Nei suoi ritratti dame elegantemente abbigliate ed acconciate, spesso accompagnate da cagnolini o uccellini, occhieggiano in direzione dello spettatore, dipinte con scioltezza di tocco e accenti spontanei. I suoi pastelli rendono ancora più splendenti le immagini femminili, morbide e delicate, dalle quali esala una gioia di vivere che è propria della poetica rococò.
Gli anni di attività del pittore inglese Joshua Reynolds coincidono con quelli della fondazione della Royal Academy of Arts di Londra, istituzione creata per promuovere lo sviluppo di una scuola artistica nazionale. In qualità di primo presidente dell’Accademia, nel 1769 egli presentò al pubblico riunito per una conferenza il suo primo Discorso, nel quale spiegava come dipingere opere di classica bellezza. Sullo stesso argomento si intrattenevano gli altri quattordici Discorsi, conferenze annuali alla Royal Academy, pubblicati prima singolarmente, poi in un’ edizione completa tradotta in varie lingue.
Lo scopo di queste letture pubbliche sul tema dell’arte era quello di nobilitare l’arte inglese al cospetto di altre scuole nazionali di maggior prestigio, quali quella italiana e francese. La gerarchia delle categorie pittoriche era quella ereditata dal rinascimento italiano, per il quale la storia costituiva la categoria più elevata. Rispetto ad essa gli altri generi, come il ritratto, il paesaggio e la pittura di animali, erano considerati minori.
Le teorie enunciate da Reynolds miravano a restituire dignità a qualunque tipo di pittura, ogni qualvolta essa fosse condotta con maestria e corretta nel disegno e nell’uso dei colori. Ribadita la necessità per ogni pittore moderno di applicarsi continuamente allo studio dell’arte del passato, attraverso la quale si impara a selezionare "quanto c’è di grande o di bello nella natura", l’artista presentava la sua personalissima opinione sulle copie, assai criticata da altri pittori come l’irlandese Nathaniel Hone (1718-1784): "prendere in prestito un particolare pensiero, un’azione, un atteggiamento o una figura, e trapiantarla nella propria opera non era plagio se fatto con abilità, bensì una forma di invenzione".
Concentrate le proprie ricerche sulla composizione e sulla tecnica degli antichi maestri, Reynolds divenne il più richiesto ritrattista della colta società inglese.
Amico di aristocratici, ma anche di scrittori e attori, li effigiò in pose spesso riprese da sculture classiche o da dipinti italiani del Cinque e del Seicento, evocanti valori aulici, riferimenti letterari e dignità umana.
I ritratti di Thomas Gainsborough
Thomas Gainsborough, figlio di un agiato mercante di stoffe, nasce a Sudbury (Suffolk) nel 1727. Le buone condizioni economiche della famiglia gli consentono di sviluppare l’inclinazione artistica che manifesta fin dall’infanzia, cosicché, a quattordici anni, si trasferisce per studio a Londra, dove rimane fino al 1748, assimilando le tendenze allora in voga.
Il revival dello stile fiammingo seicentesco e il leggiadro rococò francese di Fragonard e di Watteau lo allontanano dalla sua passione per il paesaggio per farlo accostare alla ritrattistica, peraltro più remunerativa, che coltiva con grande successo.
Nel 1760 si trasferisce da Sudbury a Bath, famosa stazione termale, dove è più facile incontrare committenti facoltosi e alla moda.
Inizia allora a dipingere ritratti a dimensioni naturali per nobili o facoltosi borghesi, con ricchezza di tinte e calde atmosfere cromatiche ispirate a Van Dyck; i nuovi ricchi d’Inghilterra, che si fanno ritrarre nelle loro tenute di caccia, appaiono pratici e un poco scontrosi. La filosofia e la cultura in genere trovano nella rappresentazione delle foreste e delle campagne un nuovo equilibrio naturale, che perfettamente si concilia con la pittura sensistica dell’artista.
Lo sfondo è raffinatamente studiato nelle sue variazioni atmosferiche: cieli e piante sono abitati da brividi di vita. La celebrità di Gainsbourough cresce rapidamente e gli procura contatti sempre più stretti con gli ambienti londinesi, tanto che, nel 1774, l’uomo vive stabilmente nella capitale, dove le sue opere vengono esposte all’Accademia Reale.
I ritratti che esegue per la famiglia regnante ne fanno il vero e unico rivale del celebre Reynolds. Nel 1784, una divergenza con l’Accademia lo induce a ritirare tutte le sue opere. Da allora, e fino alla morte, sopraggiunta nel 1788, espone soltanto privatamente a Schomberg House, la sua dimora di Pall Mall. Tema prediletto da Gainsborough, riconosciuto tra i più abili ed eleganti pittori inglesi del XVIII sec., è sicuramente il paesaggio, ispirato e modellato sull'esempio dei pittori olandesi del Seicento.
Lo stile giovanile dei suoi primi ritratti, che mostrano la sobria e media classe della comunità rurale del Suffolk, è caratterizzato da una delicata acutezza d'osservazione. Gainsborough ha un pennello che si muove con grazia e che fa attenzione alla postura e ai gesti, rivelatori della posizione sociale e del tenore di vita dei personaggi. Forse il gusto compiaciuto con cui il pittore fa attenzione ai tagli degli abiti e alla resa luminosa di garze, cotoni e sete che rivestono le dame d'Inghilterra, gli proviene dalla confidenza che le sue origini famigliari hanno con le stoffe.
I toni nella produzione avanzata si fanno sempre più fragili e vaporosi, sia sui particolari degli abiti e delle acconciature che sugli sfondi paesaggistici, che restano il riflesso della sua passione più intima.
Il tocco del pittore negli anni si modifica, seguendo la fluidità dello stile rococò francese di artisti come Fragonard e Boucher e raggiungendo quella grazia vivace e quella suggestione fantastica che Reynolds, il suo rivale in pittura, definisce "fantasie pittoriche" per il tono romantico, poco naturalistico e molto poetico.