“Cogito cum digito”
Francesco Manzo
Prima di discutere le strategie didattiche e gli argomenti da trattare, è importante iniziare definendo gli obiettivi dell'insegnamento della matematica (e della fisica) nella scuola nelle sue varie declinazioni.
La matematica svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo delle capacità di ragionamento, ma questo si può dire di molte altre attività. Quello che rende la matematica speciale è il suo ruolo di linguaggio per descrivere la realtà, utilizzato nelle scienze fisiche, nell'economia, nella statistica e in molte altre discipline. È proprio in questa funzione di linguaggio che la matematica assume un'importanza cruciale nella società. Tuttavia, spesso vediamo che gli studenti hanno difficoltà nell'applicare le competenze e le conoscenze matematiche per modellizzare e risolvere problemi, perdendo di vista il legame tra il linguaggio matematico e la realtà che esso descrive.
Se l'obiettivo dell'insegnamento è quello di utilizzare la matematica per descrivere la realtà, credo che la prospettiva giusta sia quella di pensare alla matematica come ad un linguaggio, ed insegnarla come una lingua straniera.
Per apprendere una lingua, è necessario studiarne la grammatica, leggere opere letterarie e poetiche, ascoltare e soprattutto esercitarsi nella pratica orale e scritta. Allo stesso modo, per la matematica abbiamo una parte grammaticale, una parte lessicale, ma soprattutto una parte espressiva. L'obiettivo finale dovrebbe essere quello di mettere gli studenti in grado di esprimere pensieri originali utilizzando il linguaggio matematico o almeno di comprendere i discorsi degli altri.
Nel corso del tempo, ci siamo concentrati molto sull'insegnamento della grammatica e del lessico matematico, ma abbiamo trascurato l'aspetto espressivo. Spesso abbiamo formato eccellenti risolutori di esercizi che poi si trovano in difficoltà nel modellizzare problemi reali o nel comprendere formule fisiche.
Pochi hanno un lavoro che richieda di risolvere equazioni, ma la grande maggioranza dei lavoratori ha a che fare con numeri, grafici, modelli.
L’esercizio matematico dovrebbe servire a vedere fino a che punto lo studente si è impadronito del linguaggio. Invece nell’immaginario comune l’esercizio è diventato un fine: impariamo la matematica per risolvere gli esercizi, invece di fare gli esercizi per vedere se abbiamo capito la matematica.
Io credo che siamo arrivati a questo punto perché gli esercizi sono oggettivi, sono facili da correggere, sono facili da reperire.
Brutto dirlo, ma invece di essere noi insegnanti di matematica a muoverci nella direzione dell’insegnamento della lingua matematica, sono gli insegnanti di lingue a muoversi verso test grammaticali preconfezionati e di immediata correzione.
Di questo non siamo responsabili, ma invece siamo responsabili della deriva che ha preso l’insegnamento della fisica, proposto sempre più spesso tramite esercizi (anche alla maturità scientifica). Nascondendo il rapporto con l’esperimento, il metodo scientifico, la modellizzazione. “Fossilizzando” l’insegnamento della fisica, per dirla come Lucio Russo. Nascondendo il rapporto tra matematica e realtà tangibile, tra il modello e il fenomeno che lo ha motivato. Cioè la maggior parte degli aspetti che rendono la fisica interessante per uno studente che non sceglierà di continuare lo studio delle materie scientifiche.
Percepisco un grande sforzo di rinnovamento nell’insegnamento della matematica, ma non altrettanto per la fisica. I miei figli e i loro compagni in generale apprezzano la fisica meno di quanto era ai miei tempi di studente delle superiori, e credo che questo sia dovuto alla scomparsa degli aspetti di esplorazione e di scoperta nella pratica dell’insegnamento, soprattutto al liceo scientifico.
Rifacendoci al titolo di questa tavola rotonda, toccare con mano serve a consolidare il legame tra linguaggio e contenuto, risponde agli obiettivi di una didattica della matematica mirata a fornire un mezzo espressivo, a formare studenti in grado di utilizzare la matematica per comprendere la realtà. L’insegnamento della matematica ha bisogno di un contesto sia per facilitare l’apprendimento sia perché è in un contesto reale che le competenze dovranno essere spese.
Tramontata l’idea Piagettiana di un pensiero logico come naturale punto di arrivo delle fasi dello sviluppo cognitivo, le scoperte delle neuroscienze suggeriscono l’esistenza di un “pensiero plurale”, che coinvolge contemporaneamente tutti i piani, da quello sensoriale a quello più astratto. Per essere efficace, l’insegnamento della matematica dovrebbe essere altrettanto plurale: offrire stimoli tattili e visivi attraverso oggetti concreti da manipolare, per poi procedere in un percorso di modellizzazione e astrazione.
Toccando con mano si apprende meglio e più volentieri. E’ più facile ricordare, associando l’esperienza sensoriale alle nozioni apprese. A patto che lo studente faccia uno sforzo di astrazione e di sistemazione che alle superiori non è né facile né scontato. Se alle elementari la regola è dietro l’angolo, alle superiori, soprattutto in Fisica, c’è spesso un grande lavoro da fare per andare al significato delle esperienze.
Io insegno meccanica quasi esclusivamente attraverso esperimenti, cui i ragazzi partecipano con grande entusiasmo e grande impegno. Il lato negativo è forse l’apprendimento a lungo termine delle leggi fisiche. Il lato positivo è la comprensione del metodo sperimentale, la capacità di distinguere scienza e non-scienza, lo sviluppo delle competenze di modellizzazione e la comprensione dei limiti del ragionamento sui modelli.
Insegnando matematica, cerco di creare contesto in tutte le maniere possibili: toccando con mano, ma anche proponendo gli sviluppi storici del pensiero matematico, collegando la matematica con le altre discipline, inserendola nel suo ruolo naturale nella storia del pensiero. In generale, cerco di
passare continuamente tra i vari piani, dal concreto all’astratto;
presentare oggetti tangibili;
spiegare il problema prima di dare la soluzione;
creare contesto, inquadrando storicamente gli argomenti, i temi, le dispute;
chiedere che gli elaborati siano leggibili, con i passaggi logici spiegati;
affrontare uno stesso problema in più linguaggi (algebrico, geometrico, analitico);
proporre problemi diversi che vengono rappresentati da uno stesso modello;
cercare ovunque possibile di legare la matematica alla fisica.
Cerco di evitare percorsi unidimensionali e di presentare diverse strade e diversi linguaggi per affrontare un problema. Sviluppare così le competenze di modellizzazione difficili da raggiungere altrimenti in un liceo classico.
Non si tratta di idee originali. Sono approcci largamente utilizzati e insegnati nei corsi di didattica. Spunti interessanti sono venuti e stanno venendo da varie sperimentazioni, ultima in ordine di tempo l’esperienza del “Liceo Matematico”. Manca tuttavia, soprattutto nel panorama dei libri di testo, un metodo, un approccio sistematico. Il passaggio dal concreto all’astratto, lo spostamento del punto di vista, il cambiamento di linguaggio dovrebbero, a mio modo di vedere, essere proposti in maniera incessante.
Inutile nasconderlo, i risultati sono al di sotto delle mie ambizioni. In parte perché anche io tendo a misurare gli apprendimenti sulla capacità di risolvere esercizi piuttosto che sulla proprietà di linguaggio. Se l’obiettivo è la risoluzione dell’esercizio, il metodo di insegnare la soluzione prima del problema è tutto sommato efficace. Come ho detto, è un obiettivo troppo limitato.
Detto di obiettivi e di metodi, voglio spendere qualche parola sugli ostacoli che gli studenti trovano nell’apprendimento della matematica. Il principale è sicuramente di natura psicologica. Troviamo studenti ossessionati dalla paura di sbagliare. Perché in matematica, nella matematica degli esercizi, c’è il giusto e lo sbagliato. E hai voglia a spiegare che la pretesa di imparare senza sbagliare è assurda. Talmente radicata è la convinzione che la matematica si limiti a dare la risposta giusta all’esercizio, che gli studenti non riescono ad apprezzare i progressi che pure spesso sono di tutto rispetto.
Tornando al parallelo con le lingue straniere, è come se lo studente ad ogni errore grammaticale ricevesse una bacchettata. L’effetto sarebbe totalmente castrante. Ma è quello che tendiamo a fare insegnando la matematica attraverso i soli esercizi.
Ma se l’unico metro è quello del giusto e dello sbagliato, gli studenti stessi spingeranno verso un apprendimento procedurale, ripetitivo e meccanico. Il contrario di quanto raccomandato dalle indicazioni nazionali. Prima la soluzione e poi il problema. “Tu mi dici cosa devo fare e io lo faccio”, citando un famoso tormentone. Ma l’arte di seguire le ricette è la pasticceria, non la matematica.
E’ anche una questione di programmi e di quadro orario. Alcune idee di fondo si sono rivelate inefficaci. In particolare, dobbiamo smettere di credere che il percorso progettato per il Liceo Scientifico possa essere facilmente adattato ad altre realtà scolastiche tramite semplici tagli mirati. Le differenze sostanziali in termini di obiettivi, contesto di apprendimento e orario delle lezioni rendono questo approccio del tutto insensato.
Per quanto riguarda il Liceo Classico, il monte ore è talmente limitato, che semplicemente non c’è abbastanza tempo per esercitarsi. L’idea di proporre esercizi finché lo studente non riesce a fare i collegamenti, non è attuabile. O ci si limita ad una infarinatura superficiale, magari coltivando a parte le eccellenze, o bisogna cambiare approccio, mostrare agli studenti la strada, arrivare ai concetti matematici contestualizzando i problemi in altro modo.
Per fare qualche esempio concreto di argomenti che nel Liceo Classico andrebbero ripensati, la geometria razionale non dovrebbe essere insegnata a 14 anni e non con l’assurda versione edulcorata dell’assiomatica di Hilbert che si è imposta negli anni e che fa acqua da tutte le parti. Troppo astratta, troppo slegata dalla realtà, non inquadrata storicamente. Molto meglio tornare alla versione di Euclide, spostandola di due anni, facendola precedere da una seria spiegazione del perché e del come si è arrivati all’idea di assiomatizzazione.
Come non si comincia lo studio della filosofia da Kant e nemmeno da Platone, così non si dovrebbe iniziare lo studio della geometria razionale da Hilbert e nemmeno da Euclide. Fare una rapida, anche rapidissima introduzione alla dimostrazione preeuclidea sarebbe fondamentale.
Le derivate sono un altro argomento sulla cui presentazione vale la pena di soffermarsi. Definiamo le derivate come limite del rapporto incrementale e le proponiamo due anni dopo aver parlato di cinematica e di dinamica. Un percorso perfettamente adatto ad uno studente universitario, al quale prima definiamo i numeri reali, i limiti ed infine le derivate; perché questa è la migliore sistemazione logica. Ma è la più efficace didatticamente? L’invenzione della derivata precede di un secolo e mezzo quella di limite. Un secolo e mezzo in cui la Fisica si è sviluppata utilizzando il calcolo di Newton e Leibnitz ma non gli epsilon e i delta. Nascondere lo sviluppo del pensiero matematico nel suo percorso è a mio modo di vedere un’occasione persa e complica di molto la comprensione del concetto di limite.
Finisco, seguendo la sollecitazione di Benedetto Scoppola, con una piccola considerazione sulla spinta alla digitalizzazione della matematica. Personalmente non sono contrario, ma ne avverto il pericolo. Credo che siamo troppo ancorati ad una visione restrittiva di cosa sia la matematica. Se la matematica è il linguaggio per rappresentare la realtà, qualunque linguaggio di rappresentazione della realtà in termini quantitativi deve essere considerato matematica; se usiamo un linguaggio di programmazione per rappresentare un problema cinematico, quella è matematica; se utilizziamo un foglio di calcolo per elaborare dei dati, quella è matematica; se utilizziamo un grafico, quella è matematica.
Sono scettico sull’utilizzo di ausili informatici (prima tra tutti la calcolatrice) che fanno perdere agli studenti il contatto con le operazioni. Decisamente contrario all’uso delle simulazioni di fenomeni fisici preconfezionate. Ma totalmente a favore degli strumenti informatici come linguaggi di modellizzazione.
Il foglio di calcolo, tanto per fare un esempio, è uno strumento con potenzialità di modellizzazione grandissime, ottimo come attività pre-algebrica per arrivare al concetto di variabile e fornisce competenze spendibili in un domani lavorativo. Può essere senz’altro inserito nell’insegnamento della matematica, a patto di non considerarlo una grossa calcolatrice.
In conclusione, l'insegnamento della matematica e della fisica dovrebbe mirare a sviluppare le capacità di ragionamento, comprensione e applicazione, non solo attraverso l'apprendimento di formule ed esercizi, ma anche fornendo contesti reali, incoraggiando l'espressione e l'applicazione pratica delle conoscenze matematiche e promuovendo un approccio plurale e stimolante.
Insegnare matematica e fisica alle superiori è un’avventura straordinaria. Un mestiere creativo e coinvolgente su tutti i piani. Non sempre si riesce a portare il dialogo didattico sui giusti binari, ma nello sforzo, nel tentativo di creare percorsi e connessioni risiede gran parte della ricchezza di questo lavoro.
Ringrazio Elisabetta Scoppola per l’organizzazione, il moderatore Benedetto Scoppola per gli spunti di discussione e tutti i partecipanti alla tavola rotonda per l’interessante scambio di idee.