Antonio Persili

5.B.3. La posizione del sudario

tratto da: A. Persili, Sulle tracce del Cristo Risorto. Con Pietro e Giovanni testimoni oculari, Edizioni Centro Poligrafico Romano, Tivoli 1988. 

5.B.3. LA POSIZIONE DEL SUDARIO

Nell'interno del sepolcro non erano visibili solo le "fasce distese", ma vi era, visibile, anche "un sudario".

Giovanni riferisce la testimonianza di Pietro circa la posizione di questo sudario nel versetto settimo.

Se è importante, per la fede di Giovanni, la posizione delle fasce, lo è molto di più la posizione del sudario.

È una posizione così sorprendente che è necessario un intero versetto di venti parole per descriverla.

Cercheremo di analizzare accuratamente queste parole, per comprenderne il messaggio.


a. "Kaì tò soudárion". "E il sudario".

Il sudario, come abbiamo visto nell'episodio di Lazzaro, non era altro che un fazzoletto, usato, come dice l'origine della parola, per asciugare il sudore.

È certo che il sudario, al tempo di Gesù, non aveva uno specifico uso funerario e solo accidentalmente poteva essere usato in occasione della sepoltura di un morto.

Solo più tardi, sotto l'influsso di una errata interpretazione di questa pericope, si è fatta una terribile confusione, per cui il sudario è diventato un panno mortuario.

Si è creduto perfino che il sudario di Giovanni e la sindone dei sinottici fossero due parole equivalenti; e, quel che è peggio, si è creduto che sia l'uno che l'altra fossero delle tele funerarie, delle coltri mortuarie, come per esempio dice il Vignon[1].

Un fazzoletto è diventato un lenzuolo funerario!

Questa incredibile confusione di termini ha talmente complicato la testimonianza di Giovanni da renderla incomprensibile.

La traduzione di queste tre parole non presenta difficoltà alcuna, ma è necessario sapere che il sudario è un fazzoletto di tela, di forma quadrata o rettangolare, che poteva avere dai sessanta agli ottanta centimetri di lato, usato normalmente per asciugare il sudore, per pulire il naso, insomma per usi igienici, che solo in casi particolari poteva essere anche utile per usi funerari.

Naturalmente, la traduzione esatta è: "E il sudario".

 

b. "Hò ên epì tês kephalês autoû". "Che gli era stato posto sul capo".

Giovanni introduce questo inciso nella testimonianza di Pietro, per mettere in guardia il lettore dal credere che Pietro stia parlando dell'altro sudario, che si trovava all'interno della grande tela, come mentoniera, e che perciò non era visibile.

Giovanni insomma precisa che Pietro ha visto il sudario, che stava all'esterno, sul capo di Gesù, e non quello che stava all'interno, intorno al capo di Gesù.

Esaminiamo l'opinione degli esegeti intorno a questo sudario: alcuni pensano che Pietro intenda parlare proprio del sudario-mentoniera; altri invece affermano che Pietro non può parlare del sudario-mentoniera, perché non lo vede, ma di un sudario, che sta sul capo e perciò visibile; questi stessi poi hanno pareri diversi nello stabilire la posizione di questo sudario sul capo di Gesù.

Queste sono le opinioni intorno al sudario:

b1. Alcuni, come abbiamo già detto, (cfr. Parte quinta 5.B.2.a3.), hanno identificato il sudario con la sindone, rendendo impossibile la comprensione della testimonianza di Pietro.

b2. Altri, come A. Vaccari, C. Lavergne, M. Balague, A. Feuillet, i cui lavori abbiamo citato a proposito del significato della parola “tà othónia”, identificano questo sudario con il sudario-mentoniera.

La prova della risurrezione consisterebbe nel fatto che le tele erano distese ed intatte sulla pietra sepolcrale, fuorché dalla parte del capo, dove le tele sarebbero rimaste sollevate, a causa del sudario-mentoniera, che, rimasto avvolto ed arrotolato, le sosteneva dall'interno.

Ma giustamente il professor Delebecque denunciò l'inconsistenza di questa interpretazione, che presenta molti punti deboli, primo fra tutti il fatto che il sudario-mentoniera non risultava visibile all'esterno, mentre Pietro e Giovanni vedono con i propri occhi questo sudario[2].

b3. Infine altri fanno derivare la parola "soudárion" dalla parola aramaica "soudarâ", usata per indicare un grandissimo telo, come abbiamo già detto (cfr. Parte seconda 2.D.).

b4. Scartata dunque l'ipotesi del sudario-mentoniera e scartate le altre due che identificano il sudario o con la sindone o con un telo grandissimo, e accettato che Giovanni intendeva parlare di un sudario che stava sul capo di Gesù, all'esterno perciò della grande tela, gli esegeti si trovano di nuovo discordi nello stabilire il suo esatto impiego.

- G. Ghiberti riconosce che dall'esame dei testi, in cui si trova la parola "sudario" emerge che il senso prevalente è quello di sudario posto sul volto del cadavere all'interno della sindone. Ma, in questo caso, non sarebbe stato visibile. E Pietro non poteva parlare di un sudario che non vedeva.

Poi, ipotizzando che il sudario sia sopra la sindone, si domanda perplesso quale funzione svolga: "Nel caso invece che il velo ricopra il lenzuolo, non si comprende bene che cosa starebbe a fare"[3] .

Se Giuseppe d'Arimatea lo ha posto all'esterno aveva le sue buone ragioni, che illustreremo tra breve.

- R. Schnackenburg, nel suo commento al vangelo di Giovanni, dice che il sudario era un velo posto sul volto e non una mentoniera[4].

Non specifica se fu posto sopra o sotto la grande tela.

- Si può pensare che il sudario fosse posto sul capo a modo di cuffia, all'esterno della sindone e che non velasse il volto.

Hanno questa opinione quelli che accostano le fasce funerarie di Gesù a quelle della natività; e nel sudario vedono la cuffia.

- A me sembra che il sudario sia stato posto su tutto il capo di Gesù.

Infatti Giovanni usa la parola "kephalê", che corrisponde al latino "caput" e perciò vuol significare "capo" in opposizione al "tronco".

Questo sudario, come precisa la testimonianza di Pietro al termine del versetto, è avvolto attorno al capo di Gesù e svolge la funzione che le fasce svolgono per il resto del corpo.

Giuseppe non ha reputato opportuno fasciare anche il capo con le “othónia”, ma si è fermato al collo. A questo punto, per non lasciare le piegature della sindone in disordine e per non lasciare gli unguenti esposti all'aria senza protezione, avvolse il capo di Gesù con un sudario.

Dunque i sinottici dicono che il corpo di Gesù, tutto intero (capo e tronco) fu avvolto in una sindone; Giovanni aggiunge che al di sopra di questa sindone c'erano le fasce che avvolgevano e legavano il tronco del corpo di Gesù, mentre un sudario avvolgeva e legava il capo.

Per esprimere il concetto di avvolgere, Giovanni, per il sudario, usa lo stesso verbo "entylísso", usato da Matteo e Luca, per indicare l'avvolgimento della sindone.

Questa interpretazione è in perfetto accordo con quanto Pietro e Giovanni videro, entrando nel sepolcro: la fasce ed il sudario.

Forse è meglio tradurre la frase conservando l'andamento della proposizione giovannea: "che era sul capo di lui".


c. "Ou metà tôn othoníon keímenon". "Non per terra con le bende".

Pietro comincia col determinare quale non era la posizione del sudario.

Secondo la traduzione italiana "non era per terra con le bende".

In realtà, Pietro vuole dire che il sudario non è disteso sulla pietra sepolcrale.

I matematici greci dell'antichità usavano l'espressione "keímenon schéma", nel senso di "figura in piano, orizzontale" (vocabolario greco Rocci).

Pietro vuol dire la stessa cosa: le fasce erano distese in piano, si trovavano in posizione orizzontale, mentre il sudario non era in posizione orizzontale, ma in posizione verticale, cioè rialzata.

Perciò la traduzione della frase è: "Non con le fasce disteso".


d. "Allà khorìs entetyligménon". "Ma piegato a parte".

Pietro, come era presumibile, continua a spiegare qual era l'esatta posizione del sudario.

L'infelice traduzione italiana distrugge la mirabile traccia, che Pietro ha rilevato con grande cura ed ha descritto con laconicità e chiarezza.

Infatti la traduzione contiene tre errori che stravolgono la testimonianza di Pietro.

d1. Prima di tutto, il participio "entetyligménon" è stato tradotto, arbitrariamente, con il participio italiano "piegato" invece che con "avvolto". Il verbo "entylísso" corrisponde ai verbi italiani:

"avvolgo, involgo, ravvolgo" (vocabolario greco-italiano Rocci).

Conferma questo significato il fatto che il verbo "entylísso" deriva dal sostantivo "entyle", che corrisponde all'italiano "accappatoio, coperta" e perciò non può assolutamente avere il significato di "piego", perché l'accappatoio e la coperta servono per avvolgere qualcuno o qualcosa e non per piegare.

d2. Inoltre, è vero che l'avverbio "khorìs" significa, in italiano, "separatamente, a parte, in disparte" e, per questo motivo, la Volgata rende la frase in latino "sed separatim involutum", cioè "ma separatamente avvolto". Ma è anche vero che lo stesso avverbio, in senso traslato, può significare "differentemente, al contrario" (vocabolario greco-italiano Rocci).

Cioè l'avverbio "khorìs" può assumere due significati: quello locale, che è quello originario, e quello modale, che è quello traslato.

Pietro vuol dare all'avverbio "khorìs" il significato modale, perché la logica della sua testimonianza consiste nell'opporre la posizione assunta dalle fasce (distese), a quella, diversa, assunta dal sudario (avvolto).

Non ha senso perciò tradurre l'avverbio "khorìs" con l'avverbio italiano "separatamente", perché non corrisponde alla dinamica del pensiero di Pietro, invece è logico e naturale tradurlo con l'avverbio "al contrario", perché con tale avverbio si chiarisce e si completa l'opposizione trai due modi di essere delle fasce e del sudario.

d3. Infine la traduzione italiana separa l'avversativo "allà" dall'avverbio "khorìs" e malamente traduce "ma piegato (in un luogo) a parte", come se il sudario, magicamente piegato da qualcuno, fosse emigrato, per altro inspiegabile mistero, in un luogo diverso da quello in cui si trovavano le fasce.

Pietro, intenzionalmente, ha posto "khorìs" tra l'avversativo ed il verbo, perché l'avverbio ha la duplice funzione di precisare sia l'avversativo che il verbo.

L'avverbio "khorìs" non deve essere tolto dal posto che occupa, anche perché, insieme con l'avversativo "allà", oppone "keímenon", cioè disteso, a "entetyligménon", cioè avvolto: "Non disteso, ma al contrario avvolto".

Concludendo, la frase si deve tradurre in modo da rendere l'idea che il sudario si trova in una posizione diversa da quella delle fasce e non in un luogo diverso.

Pietro contempla le fasce distese sulla pietra sepolcrale e, sulla stessa pietra sepolcrale, contempla anche il sudario, che, al contrario delle fasce, che sono distese, è in posizione di avvolgimento, anche se non avvolge più nulla.

La traduzione esatta della frase è: "Ma al contrario avvolto".


e. "Eis héna tópon". "In un luogo".

Queste tre brevi parole, benché semplicissime, presentano gravi difficoltà di traduzione e perciò anche di interpretazione.

I grecisti si sono divisi in due schiere: da una parte, quelli che vorrebbero tradurle con l'espressione italiana: "nello stesso luogo", o "esattamente al suo posto" o "nella medesima posizione" o con altre espressioni simili; dall'altra, quelli che invece negano recisamente la possibilità di una tale traduzione e interpretano al contrario: "in un luogo" o "in un luogo a parte", o "in un altro posto", o con altre espressioni simili.

e1. Difendono la prima interpretazione: A. Feuillet e M. Balagué.

Il Feuillet dà all'aggettivo numerale "heîs" il valore ordinale "prôtos", per cui Pietro avrebbe visto il sudario "nel primo luogo", cioè "nello stesso luogo", dove si trovava prima della risurrezione.

Il Feuillet crede opportuno aggiungere anche un avverbio, per rendere meglio il pensiero dell'apostolo, e traduce: "Esattamente al suo posto".

Il biblista francese, come abbiamo già accennato, ritiene che il sudario, di cui si parla, sia la mentoniera, rimasta rigida (egli dice: arrotolata ed avvolta) nell'interno della Sindone.

Per conseguenza, la Sindone sarebbe stata tutta distesa sulla pietra sepolcrale, eccetto dalla parte del capo, dove sarebbe stata tenuta sollevata dalla mentoniera, rimasta rigida nell'interno[5].

Questa soluzione contrasta con la testimonianza di Pietro, che dichiara di aver visto il sudario, mentre la mentoniera non era visibile; inoltre il Feuillet pensa che il corpo di Gesù sia stato avvolto solo nella Sindone, tenuta ferma con legature, ma, come abbiamo già detto, ciò è impossibile, soprattutto dal punto di vista della pratica realizzazione.

Il Balagué considera l'espressione "eis héna tópon" un semitismo con il quale Pietro vuole esprimere il concetto: "nello stesso luogo".

Infatti, aggiunge il Balagué, se Pietro avesse voluto dire che il sudario era in un altro luogo, avrebbe detto: "eis héteron tópon", come vien detto negli Atti: "Pietro... uscì e si incamminò verso un altro (héteron) luogo" (At 12,17)[6].

La Volgata traduce questa frase: "In alium locum".

Bisogna convenire con Balagué che l'espressione "eis héna tópon" non può significare "in un altro luogo" e bisognerà tenerne conto quando si cercherà di comprenderne il vero significato.

In verità, sembrerebbe che "eis héna tópon" si debba interpretare "nello stesso luogo", anzi addirittura "nella medesima posizione".

Infatti l'aggettivo numerale "heîs", sorretto dalla preposizione "eis" prende il significato di "stesso, medesimo", come per esempio: "eis én" (in uno, insieme); oppure "eis mían boulén bouleúein" (essere di uno stesso parere, cioè, all'unanimità) in Iliade ed in Tucidite (cfr. Vocabolario Rocci e vocabolario Schenkl).

Perciò, bene avrebbe tradotto la Volgata Sisto-Clementina "in unum locum", che significa "nello stesso luogo" o, ancor più chiaramente, "nella stessa posizione".

Infatti l'aggettivo numerale "unus" può avere due significati particolari: da solo o unito con "solus", come rafforzativo, significa "uno solo" (Credo in unum Deum = Credo in un solo Dio); da solo o unito con "idem", come rafforzativo, significa "lo stesso, il medesimo" (uno tempore = nel medesimo tempo), come si legge in Cicerone e Cesare, (cfr. Vocabolario latino Calonghi).

L’"unum" di Pietro assumerebbe, qui, questo secondo significato particolare.

Il sudario sarebbe rimasto "nella medesima posizione" o "nello stesso luogo", mentre le fasce avevano cambiato posizione perché erano distese.

Non presenta difficoltà il fatto che la preposizione "eis" con l'accusativo denota direzione o movimento verso un luogo.

Infatti, non sempre la preposizione "eis" con l'accusativo è usata per indicare un moto a luogo in atto, bensì può essere anche usata per indicare uno stato in luogo, conseguente di un moto a luogo, già avvenuto in precedenza, come si legge in taluni vocabolari greci: "Ma talvolta si trova la preposizione "eis" con l'accusativo con verbi di quiete (invece che "en" col dativo), quando lo scrittore ha avuto in mira il movimento fatto prima di giungere allo stato di quiete" (Vocabolario greco Sanesi)[7].

"Eis" con l'accusativo si trova anche con i verbi di stato in luogo, perché la mente in certa guisa premette l'idea di arrivarci (Vocabolario greco Bonazzi).

e2. Difendono la seconda interpretazione valenti grecisti, come Edouard Delebecque.

Essi sostengono che in nessun caso "eis héna topón" della testimonianza di Pietro, riferita nel vangelo di Giovanni, può significare "nello stesso luogo".

Il Delebecque così scrive a Bruno Bonnet-Eymard a questo proposito: "No, non può avere questo significato. Potrete citare Gn 1,5 e 8,13, in cui "mía" sembra un ordinale, mentre si tratta del "giorno uno" ("mía" femminile) e del giorno uno del primo (prôtos) mese", in contrapposizione a "deúteros". E questo senso apparente si trova solo nella traduzione dei Settanta, mai nel Nuovo Testamento, in cui il primo si dice sempre "prôtos" e mai "heîs". Non appellatevi al greco classico ed alle iscrizioni in cui, qualche volta, "heîs" può significare "primo", ma soltanto se è accoppiato ad un aggettivo ordinale. In San Giovanni "heîs" non può significare che "uno", o avere anche il senso dell'indefinito "tìs". Il senso di "primo" è impossibile!"[8].

La risposta del Delebecque è sulla stessa linea di quanto afferma M. Zerwick nel suo manuale di greco biblico: "Alla generale evoluzione della lingua greca (come anche delle altre lingue) appartiene che già nel Nuovo Testamento il numerale "heîs" prenda il posto di "tìs" e divenga quasi un articolo indeterminativo (coll'aiuto insieme dell'influsso semitico: dell'ebraico "’ehad" e dell'aramaico "had"): "heîs grammateús" (Mt 8,19; cfr. Mc 9,17; 10,17); "eperotêso hymâs héna lógon" (Mc 11,29)... ma i due si possono trovare anche insieme: "heîs tis" (Lc 22,50)"[9].

Perciò l'espressione "eis héna tópon" si dovrebbe tradurre o "in un luogo" oppure "in qualche luogo".

Sono debitore di queste delucidazioni al professor Mario Cantilena, dell'Università di Venezia, a cui va il mio ringraziamento.

Esaminando attentamente le due opposte traduzioni, si deve convenire che la seconda, propugnata da quei grecisti che non hanno soluzioni precostituite da difendere, è più logica e più conforme alla situazione, in cui si trova Pietro, di quanto lo sia l'altra, che pure è così allettante.

Infatti Pietro contempla le fasce e il sudario nell'interno del sepolcro, senza fare alcun riferimento alla loro posizione prima della risurrezione.

Perciò le espressioni "esattamente al suo posto" o "nella medesima posizione" non hanno alcun senso nella testimonianza di Pietro, perché egli vuole stabilire il confronto tra la posizione delle fasce e quella del sudario.

Le fasce ed il sudario, che sono sotto gli occhi di Pietro e che egli contempla sulla pietra sepolcrale rendono errata anche ogni traduzione che interpreti l’"eis héna tópon" come se il sudario fosse in un altro luogo, in disparte, perché il sudario è sotto gli occhi di Pietro che, senza muoversi, anzi, senza spostare lo sguardo, lo contempla insieme con le fasce.

Ora ci troviamo in una situazione veramente imbarazzante.

La traduzione estremamente significativa "nella medesima posizione", che darebbe senso a tutto il versetto, è grammaticalmente errata ed insostenibile, non solo nell'ambito del greco biblico ma anche della logica del pensiero di Pietro.

La traduzione grammaticalmente esatta "in un luogo" è del tutto inespressiva e rende il versetto oscuro.

Gli esegeti, fermi sulle loro posizioni, non tentano neanche nuove vie, per cercare di capire la testimonianza dell'apostolo, fondamentale per stabilire la storicità della risurrezione di Gesù.

e3. In verità, esiste una terza traduzione, grammaticalmente esatta, dell'espressione "eis héna tópon", che restituisce alla testimonianza di Pietro tutto il suo valore di descrizione precisa e vivace.

Leggiamo, per intero, il versetto settimo, secondo la nuova interpretazione, inserendo, nel finale, la versione "in un luogo" sostenuta dai grecisti : "E il sudario, che era sul capo di lui, non con le fasce disteso, ma al contrario avvolto in un luogo". La traduzione "in un luogo" toglie al versetto ogni vigore perché lo conclude con una espressione indeterminata; non chiarisce, ma piuttosto confonde il significato della testimonianza.

Il versetto, che è stato inserito, per descrivere la posizione del sudario, termina affermando che non si sa dove esso sia.

La testimonianza di Pietro diventa assurda, perché egli avrebbe detto: "E il sudario (inizio del versetto) è in un luogo (fine del versetto)".

A parte l'assurdità della testimonianza, dalla lettura del versetto risulta evidente che Pietro vuole contrapporre la posizione delle fasce a quella del sudario e che non vuole contrapporre il luogo in cui si trovano le fasce al luogo in cui si trova il sudario, perché, in questo caso, avrebbe dovuto dire espressamente in quale luogo si trovavano le fasce.

Cioè, Pietro avrebbe dovuto precisare che la fasce erano distese sulla pietra sepolcrale e che il sudario era invece avvolto in un altro luogo, diverso dalla pietra sepolcrale, e avrebbe dovuto nominarlo.

Poiché Pietro non nomina nessun luogo in particolare, è evidente che sia le fasce che il sudario si trovano nello stesso luogo e che questo luogo non può essere altro che la superficie della pietra sepolcrale.

Inoltre, cosa significherebbe che il sudario al contrario è avvolto "in un luogo"?

Certo il sudario non può essere avvolto in più luoghi; è ancora più illogico dire che era in un luogo indeterminato, perché la precisazione non avrebbe precisato nulla e sarebbe risultata del tutto pleonastica; infine non può significare che è in un altro luogo, perché allora Pietro avrebbe usato un aggettivo più adatto allo scopo.

Allora, si deve concludere che il sostantivo "tópos" non si deve tradurre con il sostantivo italiano "luogo", ma piuttosto con il sostantivo "posizione".

Pietro, infatti, contempla la posizione del sudario e non il luogo, in cui il sudario si trova, che è certamente la pietra sepolcrale; e non oppone i luoghi in cui le fasce ed il sudario si trovano, ma oppone le rispettive posizioni: le fasce distese, il sudario avvolto.

Tradurre "tópos" con il sostantivo "posizione" non è un arbitrio, perché "tópos" ha anche questo significato (vocabolario greco-italiano Rocci).

Ma qual è la posizione del sudario, così importante da dovergli dedicare un intero versetto per descriverla?

Pietro la precisa, con un tocco d'artista, per mezzo di una preposizione "eis" e di un aggettivo numerale "héna".

Abbiamo visto che questo aggettivo numerale "héna" non può avere il significato di "prôtos" e che perciò non si può tradurre che il sudario stava "nella medesima posizione"; che non si può neanche sostenere che il sudario si trovi in un altro luogo, diverso dalla pietra sepolcrale; infine, che non si può neanche affermare che il sudario stia in una luogo indeterminato, perché tale affermazione sarebbe inutile, pleonastica e addirittura assurda; dobbiamo perciò concludere che l'espressione "heis héna" deve avere un altro significato, che renda viva e precisa la testimonianza di Pietro.

Il numerale "heîs, mía, hén", come si legge nel vocabolario greco-italiano del Bonazzi, può essere usato con il significato di "UNICO": "Talora deve tradursi "UNICO" (in senso di eccellenza, specialmente quando rinforza il superlativo che gli vien dopo).

Questo è il significato che Pietro ha voluto dare all'aggettivo numerale "héna".

Il sudario, al contrario delle bende, era avvolto in una posizione UNICA, nel senso di singolare, eccezionale, irripetibile. Infatti, mentre avrebbe dovuto essere disteso sulla pietra sepolcrale con le fasce, era invece rialzato ed avvolto.

La posizione del sudario appare unica per eccellenza agli occhi di Pietro o poi di Giovanni, perché è una sfida alla forza di gravità.

Ora, il versetto ha assunto il suo vero significato e corrisponde al logico svolgimento del pensiero di Pietro: "E il sudario (inizio del versetto) è in una posizione unica (fine del versetto)".

Qualcuno potrebbe respingere questa terza traduzione, sostenendo che, secondo quanto si afferma nel manuale di greco biblico dello Zerwick, già nel Nuovo Testamento il numerale "heîs" prende il posto di "tìs" e diviene quasi un articolo indeterminativo.

Questa regola non è così rigida come potrebbe sembrare. Infatti nel Nuovo Testamento vi sono numerosi esempi in cui "heîs" conserva il suo valore originario e spesso assume il valore di "unico" nel senso di "uno solo".

Esempi :

- Dalla prima Lettera ai Corinzi di S. Paolo: "Hóti heîs ártos, hén sôma hoi polloí esmen". "Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo" (1 Cor 10,17).

- Dalla Lettera agli Ebrei: "Miâ gár prosforâ". "Con un'unica oblazione" (Ebr 10,14).

- Dalla Lettera di Giacomo: "Hóstis gár ólon tòn nómon terése, ptaíse dè en hení...". "Poichè chiunque osservi tutta la legge, ma la trasgredisca anche in un punto solo...." (Gc 2,10).

- Dal Libro dell'Apocalisse: "Hoûtoi mían gnómen échousin". "Questi hanno un unico intento" (Ap 17,13).

E' vero che il numerale "heîs", nel greco biblico, non può tradursi con il significato di "prôtos", come dice il Delebecque, ma non è vero che esso assuma sempre il valore di un articolo indeterminativo.

Infatti, dagli esempi citati, risulta che spesso, nel Nuovo Testamento, viene usato per significare "unico" nel senso di "uno solo".

Nel brano che ci interessa, "heîs" è usato nel senso di "unico per eccellenza". Dunque la frase deve tradursi: "in una posizione unica".

Pertanto, i tre versetti (Gv 20, 5-7), che abbiamo analizzato e che costituiscono il cuore della testimonianza, si possono tradurre così:

5. (Giovanni) chinatosi, scorge le fasce distese, ma non entrò.

6. Giunge intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entra nel sepolcro e contempla le fasce distese (afflosciate, vuote, ma non manomesse)

7. e il sudario, che era sul capo di lui, non con le fasce disteso, ma al contrario avvolto (rimasto nella posizione di avvolgimento, rialzato, ma non sostenuto nell'interno, perché vuoto) in una posizione unica (straordinaria, eccezionale, perché contro la legge della gravità)".


5.B.4. UNA RIFLESSIONE SULLA TESTIMONIANZA DI PIETRO.

Agli occhi di Pietro le prime tracce della risurrezione di Gesù si presentarono così:

- Le fasce erano distese sulla pietra sepolcrale, perché ormai vuote, ma intatte, senza effrazioni o manomissioni.

- Il sudario, al contrario, come se ancora avvolgesse il capo di Gesù, era rimasto rialzato e avvolto, irrigidito anche per l'improvviso asciugarsi degli aromi.

Il cuore di questa testimonianza è costituito dalla relazione di Pietro, che, rimasto in contemplazione dello spettacolo straordinario, offerto dalla posizione delle fasce e del sudario, non riesce a trarre nessuna conclusione logica.

L'incapacità di Pietro di comprendere ciò che è accaduto nel sepolcro viene confermata dall'evangelista Luca, che narra così questo episodio: “Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi scorge solo le fasce (in alcuni pregevoli codici è aggiunta anche la parola "keímena", cioè "distese"): e se ne tornò meravigliandosi tra sé per l'accaduto” (Lc 24,12).

Bisogna ammirare l'onestà di Pietro, perché non si vergogna, a distanza di tempo, di ammettere che la sua fede nella risurrezione non fu così pronta, come quella di Giovanni, che vide e credette.

E bisogna anche ammirare la fedeltà storica di Giovanni e Luca, che per amore della verità, non esitano a mettere in evidenza una certa lentezza di riflessi da parte di colui che sarà il capo della Chiesa di Cristo.

Questa lentezza di riflessi di Pietro influenzerà negativamente il cammino di fede degli apostoli, che crederanno solo quando avranno visto Gesù risorto.

Pietro, con la sua indiscussa autorità di capo, impedisce a Giovanni, che è ancora troppo giovane, di influenzare positivamente i suoi amici, raccontando la sua meravigliosa esperienza nel sepolcro.

Infatti, i discepoli, in un racconto di Luca, dicono: “Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti, recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto” (Lc 24,22-24).

Ciò significa che Pietro confermò sostanzialmente il racconto delle donne: il sepolcro era aperto ed il corpo di Gesù non era nell'interno; ma non confermò invece l’annuncio della risurrezione.

La testimonianza di Giovanni fu del tutto ignorata o perché Giovanni non poté parlare, a causa di Pietro, o perché il racconto della sua esperienza non fu creduto, sempre a causa di Pietro, che non confermò la deduzione del suo giovane amico.

La lentezza di riflessi di Pietro viene messa in evidenza da Giovanni anche in occasione di una apparizione di Gesù in Galilea. I discepoli erano andati a pescare e, all'alba, tornavano a riva, senza aver pescato nulla, quando un uomo, dalla riva, li invitò a gettare le reti a destra della barca. Essi gettarono le reti che subito si riempirono di pesci. Immediatamente Giovanni riconobbe Gesù: “Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: È il Signore!” (Gv 21,7). Allora Pietro si gettò in mare per raggiungere subito Gesù.

E' veramente interessare il fatto che Giovanni ci abbia trasmesso la descrizione della posizione del sudario fatta da Pietro ed abbia rinunciato a descriverla con le sue parole.

Forse, Giovanni intendeva raggiungere due scopi.

Prima di tutto, voleva lasciare a Pietro il privilegio di fare la descrizione delle tracce, come gli aveva lasciato l’onore di essere il primo ad entrare nel sepolcro; in tal modo la descrizione delle tracce è risultata ancora più credibile ed imparziale, perché Pietro non comprese l’importanza di ciò che descriveva e non fu influenzato dal pensiero che la sua descrizione sarebbe servita a dimostrare la risurrezione del corpo di Gesù.

Inoltre, Giovanni ebbe modo di mettere in risalto, anche stilisticamente, la prontezza con cui giunse alla fede: “entrò e vide e credette”, che assomiglia tanto alla frase lapidaria di Giulio Cesare: “Venni, vidi, vinsi”.

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Note.

[1] P. VIGNON, «Le linceul du Christ», Paris 1902, pp. 125 e segg; «Le Saint Suaire de Turin», Paris 1938 e Torino 1978, pp. 66 e segg; L’opinione del Vignon fu ripresa da alcuni studiosi, soprattutto francesi.

[2] E. DELEBECQUE, «Le Tombeau vide: Jean 20, 6-7» in «Revue des Etudes grecques», luglio-dicembre 1977, p. 243.

[3] G. GHIBERTI, «La sepoltura di Gesù», Pietro Marietti, Roma 1982, pag. 45.

[4] R. SCHNACKENBURG, «Il quarto Vangelo», Paideia, Brescia.

[5] A. FEUILLET, Articolo in «La Sindone e la Scienza. Bilanci e Programmi. 2^ Congresso Internazionale di Sindonologia» Ed. Paoline, Torino 1979, p. 247.

[6] M. BALAGUÉ, «La prueba de la resurreccion (Jn 20, 6-7)», in «EstBib», 25, 1966, p. 188.

[7] T. SANESI, «Vocabolario greco-italiano», Pistoia, 1938.

[8] E. DELEBECQUE, «Lettera a B. Bonnet-Eymard», in «La Sindone - Scienza e Fede» a cura di L. Coppini e F.Cavazzutti, nota 26, p. 97.

[9] M. ZERWICK, «Graecitas Biblica», Romae 1966, p. 53.