Considerazioni sull'architettura santuariale

Gianluca Tagliamonte

Considerazioni sull’architettura santuariale di età tardo-repubblicana tra Campania e Sannio,

in «Architettura pubblica e privata nell’Italia antica» a cura di L. Quilici e S. Quilici Gigli, 2007, pp. 53-68

Nell’affrontare il tema propostomi dagli organizzatori del convegno, peraltro, in una sede come Isernia, è ovvio che il pensiero corra in primo luogo al santuario di Pietrabbondante (figg. 1-2), il principale e più noto ra quelli del Sannio pentro (1), il cui ruolo in passato venne inteso, o, per meglio dire, frainteso in senso “federale” (2). Ancorché numerosi e di diversa natura siano i possibili spunti e motivi di riflessione che l’imponente e scenografico complesso santuariale del Calcaltello suggerisce, i ridottissimi limiti di tempo imposti dalle circostanze inducono a restringere drasticamente l’orizzonte dell’indagine e a svolgere soltanto alcune considerazioni circa la possibile genesi e diffusione dello schema architettonico attorno al quale tale complesso si organizzò nella sua ultima fase edilizia (3). Nel fare ciò si terrà conto di alcune recenti e rilevanti acquisizioni fatte dalla ricerca archeologica nell’Alto Casertano.

Come noto, spetta ad A. La Regina, impegnato da circa un quarantennio nella nuova fase di esplorazione archeologica dell’area sacra di Pietrabbondante (dopo la stagione degli scavi borbonici e postunitari protrattasi tra il 1857 e il 1873), il merito di aver chiarito nelle sue linee essenziali la storia del santuario, evidenziandone le principali fasi edilizie (4). E ciò a partire proprio dal più antico impianto (o presunto tale), verosimilmente un luogo di culto all’aperto consistente in uno spazio recinto, munito di altari e strutture accessorie, del quale, come è stato osservato (5), sembrerebbe restare memoria nelle successive fasi edilizie del santuario, anche in quella finale.

Proprio per quanto riguarda quest’ultima, è stato altresì rilevato (6) come, nei suoi contenuti ideali, il programma di definitiva monumentalizzazione del santuario risponda a esigenze e istanze di natura socio-politica che si colorano di tinte nazionalistiche; ma come al contempo, esso, nelle forme in cui si concretizza, si attui nel segno di una crescente influenza della cultura ellenistica, e più in particolare di quel peculiare eclettismo che pare caratterizzare l’ellenismo italiano del II sec. a.C.

Nella progettazione e nella realizzazione del complesso teatro-tempio B (7) (fig. 3) sembrerebbero confluire e fondersi, dunque, modelli ed esperienze di origine diversa. Se nella sistemazione dell’area circostante il tempio (inquadrato di portici e delimitato da un recinto) e nella tecnica edilizia impiegata per il recinto (l’opera poligonale) è verosimile cogliere un richiamo alle tradizioni locali (8), il tipo planimetrico adottato per il tempio (quello “tuscanico” a tre celle) rinvia a un’antica matrice etrusco-romana (rivitalizzata e valorizzata nel corso del II sec. a.C. soprattutto in ambiente latino) (9), mentre il gusto per l’architettura scenografica, le soluzioni formali, i motivi stilistici rimandano a modelli ellenistici di elaborazione campana (10).

Ma è in particolare sullo schema architettonico del complesso di Pietrabbondante, che vede qui associati, in un rapporto che non è solo topografico e spaziale ma anche e soprattutto funzionale e simbolico, un edificio sacro e una struttura teatrale o teatriforme, collocati sul medesimo asse, che ci si intende in breve soffermare. Di tale schema, già assunto, per opera di J.A. Hanson, al rango di vera e propria categoria architettonica e da questo riportato alla definizione di Roman Theater-Temple (11), conosciamo diverse e importanti realizzazioni (12), spesso dagli accentuati caratteri scenografici, riscontrabili nell’architettura sacra di età tardo-repubblicana, specie in quella di ambiente laziale e, più genericamente, “medio-italico” (13). Nell’indagare la genesi, lo stesso Hanson evidenziò la derivazione di tale schema da modelli ritenuti di schietta tradizione romana (14), tali del resto da giustificarne la qualificazione proposta (per l’appunto, Roman). Quantunque studi autorevoli (15), in anni più recenti, abbiano ribadito, anche su nuove basi documentarie, l’origine peculiarmente romana dello schema in questione, va detto che appare tuttavia problematico oggi considerarla tale (16) e che i dati noti orientano piuttosto a rintracciarne le radici in ambiente ellenistico (17). Così come c’è da chiedersi, a fronte di accertati elementi di disomogeneità e incoerenza (18), se e fino a che punto sia lecito parlare, sulla scorta di Hanson, di tale schema in termini di vera e propria categoria architettonica (c.d. Roman Theater-Temple) o, piuttosto, di un comune modello di composizione architettonica, non canonizzato, che consentisse una serie di più o meno libere variazioni sul tema (anche in rapporto ai condizionamenti posti dalla morfologia dei luoghi (19).

Nuovi elementi di informazione oggi disponibili per la Campania settentrionale interna consentono probabilmente, in qualche modo, di meglio storicizzare, nel caso di Pietrabbondante, il senso di questa adesione a un modello esterno e di ipotizzare tappe e modalità di passaggio nel Sannio pentro.

A Teano, nel cuore del territorio sidicino, la ripresa dello scavo del teatro in loc. Grotte, ad opera della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Province di Napoli e Caserta, a partire dal 1998 e tuttora in corso (sotto la responsabilità scientifica di G. Gasperetti, prima, e di F. Sirano, poi) ha fra l’altro permesso di acquisire qualche ulteriore indicazione sulla più antica fase edilizia dello stesso (20), già individuata negli anni Sessanta da W. Johannowsky (21) e da questo riportata all’ultimo ventennio del II sec. a.C. (fig. 4). Tali indagini hanno, altresì, consentito di accertare come sin da questa prima fase un progetto unitario legasse edificio scenico, cavea teatrale e terrazza superiore.

Inoltre, il ritrovamento, nel 1998, fra i resti della scaenae frons del teatro di età severiana (nella quale erano stati presumibilmente reimpiegati), di due frammenti di mensa di altare recanti un’iscrizione osca di dedica ad Apollo (22), oltre ad apportare nuovi importanti dati di interesse istituzionale, parrebbe avvalorare, anche su base epigrafica, l’ipotesi già formulata (23) di una connessione fra il più antico edificio teatrale e un luogo di culto posto in summa cavea, o meglio al disopra della summa cavea, sulla terrazza artificiale che regolarizzava e prolungava il profilo della collina di Sant’Antonio. Quantunque l’evidenza archeologica non consenta ancora di entrare nel dettaglio, i risultati dei brevi saggi di scavo effettuati in quest’area sembrerebbero ad ogni modo rivelare la presenza di un “complesso architettonico molto articolato” (24), la cui effettiva consistenza spetta alle future ricerche chiarire (25).

Ma indicazioni e novità ancora più importanti e significative, in quanto pertinenti, come nel caso di Pietrabbondante, a realtà di carattere non urbano o non propriamente definibili come tali provengono da un altro centro dell’Alto Casertano, Pietravairano, posto lungo l’itinerario che collegava il comprensorio sidicino a quello alifano, alle estreme propaggini occidentali di quello che, in epoca preromana, era stato il territorio pentro nella Campania settentrionale interna.

A breve distanza dall’attuale paese si erge il Monte San Nicola (562 m s.l.m.) (26) (fig. 5), di cui era da tempo noto l’interesse dal punto di vista archeologico... leggi tutto