Chiesa di Santa Croce

Antonio De Sisto

LA PARROCCHIA DI S. CROCE

(in Raviscanina Paese mio, 1988, pp. 204-207)

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La Chiesa parrocchiale di S. Croce nel suo luogo attuale e nella sua pianta attuale è sorta nel 1858 su progetto dell’ing. Giacomo Torti di Piedimonte, con orientamento Nord-Est Sud-Ovest. Per gli anni precedenti, come è già stato accennato, si può solo parlare di un luogo “ubi dicitur S. Croce”, che, certamente, corrisponde all’intera, attuale Piazza S. Croce...

Per la costruzione di questa chiesa il Comune di Raviscanina versò 2.000 ducati per ordine del Re.

Prima della sua distruzione compiuta da un bombardamento alleato durante la 2^ guerra mondiale il 15 ottobre 1943, fortunatamente, appena dopo che erano state celebrate le esequie del raviscaninese, De Cristofano Angelo, e quindi senza vittime, essa si presentava, come si può intravedere dalla pianta in stile romanico approssimato, a tre navate con abside alla fine della più ampia e alta navata centrale, con piccola sagrestia a destra e saletta per riunioni di associazioni cattoliche e di culto a sinistra di questa, in prosecuzione delle due navate laterali, che pareggiavano così in lunghezza il corpo centrale della costruzione. Dalla sagrestia, per una porticina e una scaletta approssimativa costruita nella adiacente torre campanaria (certamente antecedente alla Chiesa del Torti), a due palchi e quattro campane, una delle quali dal suono ampio e profondo, attraversando il sottotetto della navata laterale destra, si raggiungeva un palco o tribuna lanciata, appena all’interno dell’edificio, al di sopra dei tre portali, per tutta la lunghezza della facciata principale, sul quale era situato un bell’organo, con lucenti canne di ottone, e mantice.

Il tempio aveva una bella balaustra in marmo, un pulpito ligneo, una fonte battesimale in legno.

All’interno era stato restaurato tra il 1921 ed il 1928 ad opera del parroco Mons. Francesco Nobilomo e si presentava con le seguenti caratteristiche.

Aveva una pavimentazione a marmette colorate di conglomerati cementizi e graniglia di marmo.

La navata destra presentava in fondo l’altare marmoreo, con marmi bianchi e colorati con statua di S. Antonio di Padova; al centro, lateralmente, l’altare pure marmoreo, con gli stessi marmi, con quadro della Madonna di Pimpei; due nicchie bordate di marmo ai due lati di questo, con statue di S. Anna verso il fondo della navata, di S. Antimo verso l’inizio. Qui c’era anche una bella acquasantiera a forma di conchiglia, in pietra locale.

La navata sinistra aveva in fondo l’altare marmoreo con bellissima statua del protettore del paese S. Michele Arc. festeggiato ogni 29 settembre; al centro lateralmente, l’altare pure marmoreo della Madonna del Rosario, ai due lati di questo la nicchia bordata di marmo di S. Giuseppe a destra, la nicchia identica di S. Rocco a sinistra.

L’altare maggiore era tutto di marmi policromi con belle teste di angelo marmoree laterali.

Il tempio era poi egregiamente dipinto: il cielo della navata centrale a finti cassettoni, i pilastri portanti e l’alta zoccolatura a finto marmo, il restante delle pareti e le volte a crociera, le navate laterali a motivi floreali, la parte superiore dell’abside a cielo stellato con al sommo di esso una colomba ad ali spiegate (lo Spirito Santo).

Al centro dell’abside campeggiava, sovrastante l’altare maggiore, un grande Crocifisso in legno e cartapesta, molto bello ed espressivo e forse antichissimo.

Vi erano poi lungo le pareti e i pilastri belle rappresentazioni in maiolica della Via Crucis.

Il tempio era illuminato naturalmente da sei finestre ogivali con vetri bianchi che si aprivano sulla navata centrale, tre a destra e tre a sinistra, da sei finestre pure ogivali ma più piccole, con vetri colorati, che si aprivano, tre per parte, sulle due navate laterali, da una grande vetrata circolare, a vetri colorati in alto sulla porta centrale della facciata principale.

L’illuminazione artificiale era procurata da tre artistici lampadari bronzei pendenti dalla lignea superiore dell’abside, funzionanti elettricamente, da altri numerosi lampadari più semplici pendenti sugli altari secondari e sulle nicchie, da numerosissime appliques poste lungo le pareti, tutti funzionanti elettricamente.

Esternamente la Chiesa presentava una facciata a salienti, di stile romanico, una copertura a coppi nostrani, un’attintatura paglina.

Un grande cancello in ferro battuto attaccato ad artistici pilastri in cemento armato immetteva sul sagrato semicircolare abbastanza ampio, con balaustra di recinzione anche in cemento armato, nel quale svettavano due belle palme che presentava sul suo lato sinistro una riproduzione in scala ridotta della Grotta di Lourdes, con statua della Vergine e di Santa Bernardette, grotta ricoperta di edera e di roselline rampicanti, soffusa di tenera devozione.

Dal sagrato si guardava in giù, a Sud-Ovest, sull’ampia e verde vallata del Volturno, del quale si scorgevano i luminosi meandri, e, nelle chiare giornate, si arrivava a distinguere il lucente mare di Mondragone.

Questo tempio infine aveva le sue belle lapidi ricordo e le sue iscrizioni, come ogni altro tempio che si rispetti; le lapidi sono andate tutte distrutte nel bombardamento ricordato e il loro contenuto epigrafico non è rimasto nella nostra memoria, delle iscrizioni si riesce a ricordare quella che, in alto sull’arco che divideva la navata centrale dell’abside, proclamava: “Domus mea domus orationis est”.

La Chiesa, come si è detto, fu distrutta dal bombardamento alleato del 15 ottobre 1943. Fu ricostruita nel secondo dopoguerra ad opera di appaltatori ladri, direttori di lavoro e collaudatori corrotti. Non si sa come fu riportata in piedi, sotto gli occhi benevoli dei locali amministratori “pro tempore”, se i suoi muri, i suoi pilastri, i suoi architravi, i suoi solai di calpestio e di copertura videro (quando li videro!) irrisorie quantità di calce, cemento, ferro ed altro pregevole materiale da costruzione.

Fu riconsacrata come Dio volle, il 27 novembre 1956...

Ma non compì quattro lustri che, senza cause esteriori, salvo l’incuria della sua manutenzione ordinaria da parte di autorità ecclesiastiche e comunali, era di nuovo a terra, rudere più informe di quello lascito dalla guerra.

Esempio parlante di quanto le passate generazioni sopravanzino le presenti in onestà di sentire e di operare, amore verso il proprio paese, rispetto e devozione verso Dio.

Il tempio del Torti era durato quasi cento anni; e c’era voluta una gragnuola di bombe alleate per abbatterlo; il tempio del Rossetti (tale è il cognome dell’ultimo suo appaltatore) era stato malamente in piedi neanche vent’anni, e non c’era voluto niente per gettarlo a terra e renderlo quasi irriconoscibile.

La madonna di Fatima in parrocchia