Di Cosmo_periodo sannita

Luigi Di Cosmo

Ricerche Archeologiche nell’area di Rupecanina

(in Annuario ASMV 1989, pp. 133-142)

Il villaggio fortificato di Rupecanina, posto sui primi contrafforti del Matese, a quota 535, al confine tra i comuni di S. Angelo d’Alife e Raviscanina, fu di strategica importanza durante le lotte tra gli Altavilla ed i Quarrel Drengot per il predominio normanno nell’alifano. L’area, nota da vari documenti del XII e XIII sec.[1], fu certamente interessata da frequentazioni in epoche precedenti. Nel ‘700 il Trutta vi notò tracce di un acquedotto romano[2] ed un frammento di epigrafe[3], successivamente riportato dal Mommsen in C.I.L.[4]. In epoca più recente il Martone[5] asserì che resti di mura megalitiche erano presenti nell’area del castello. L’impossibilità di rintracciare ormai tali testimonianze ci ha spinto ad una indagine di superficie finalizzata a documentare la cultura materiale della zona, che è sconvolta da lavori agricoli in pianura e da inidonei interventi pubblici nel Borgo stesso. La nostra indagine ha interessato l’area compresa tra quota 535 e 450 ossia tra la sommità della collina e la fertile pianura che si estende prima dell’erta finale, ritenendola la più interessante per una continuità di frequentazione, permettendo, essa, il controllo della intera valle e della viabilità interna, pedemontana.

Escludendo dal presente lavoro la ceramica databile dal XI al XV sec., che fu oggetto di un nostro intervento nell’Annuario del 1986[6], si presenta ora il materiale più significativo di epoca antecedente e del tutto inedito[7]. Esso è stato suddiviso in due gruppi: l’uno proveniente dalla zona pianeggiante, a quota 480, sita in comune di Raviscanina, e l’altro dall’interno del Borgo e del Castello medievale, in comune di S. Angelo d’Alife.

Materiale proveniente dal comune di Raviscanina

In proprietà Ciaburro è stata individuata un’area di circa 100 metri quadrati con una massiva concentrazione di frammenti fittili, di lacerti di intonaco dipinto e di pavimentazione in signinum, affioranti dopo lavori di aratura. Il sito è localizzato in un’area pianeggiante tra la mulattiera che sale da Raviscanina e la strada per la località Selvapiana, circa 50 metri a monte di un pozzo. Non molto distante, verso ovest, si nota un muro megalitico, realizzato con grossi massi informi appena squadrati ed inzeppati con piccoli frammenti di calcare, che si conserva per un tratto lungo circa 100 metri e terminante verso le prime pendici del monte Saracino[8]. Purtroppo, la cinta muraria è completamente distrutta verso l’area interessata dai ritrovamenti e non è possibile intravederne neanche l’andamento.

Ceramica a vernice nera

1) Frammento di fondo di patera; piede poco obliquo, spesso, a pareti diritte e convergenti verso il basso; superficie liscia; vernice mal conservata con sfumature marrone; è possibile individuare il disco di impilamento; fondo esterno con tracce di vernice; argilla dura, rosa, depurata, omogenea[9].

2) Frammento diorlo di patera; forma Lamboglia 5 della Campania A, assimilabile alla forma Morel 2252a1[10]; vernice lucente; argilla ben depurata, beige rosata, dura, omogenea.

3) Frammento di patera con orlo orizzontale, ricurvo, forma Lamboglia 36, a probabile parete con profilo molto teso, assimilabile alla forma Morel 1531a1[11]; vernice brillante, mal conservata; argilla rosa, dura, omogenea.

4) Frammento di patera con orlo orizzontale, ricurvo; forma Lamboglia 36[12]; vernice mal conservata; argilla rosa, dura, depurata omogenea.

5) Frammento di coppa di coppa con orlo lievemente espanso, assimilabile alla forma Morel 2615b1[13]; vernice matta, mal conservata, argilla rosa, dura, omogenea.

6) Frammento di forma aperta, apode; presenta un rilievo ad anello, schiacciato tra fondo esterno e parete; parete interna con solcature; superficie liscia; vernice mal conservata, argilla rossastra, ben depurata, omogenea[14].

7) Frammento di vaso a parete rettilinea che si ispessisce verso l’alto e terminante lievemente bombata; presenta lieve scanalatura in basso. Ricorda per dimensioni e forma, con leggera variante dell’orlo, la forma Morel 2411a1[15]; superficie liscia, vernice lucente; argilla grigia con sfumature rosa, depurata, dura.

Sigillata italica

8) Frammento di fondo di grande piatto; piede con sezione quasi rettangolare e tendente ad assottigliarsi; vernice assente sulla parete interna; argilla rosa chiaro, dura[16].

9) Parete ed orlo ascrivibili alla forma Goudineau 39[17]; vernice lievemente opaca; argilla rosa, ben depurata.

Rozza terracotta

10) Frammento di coperchio; orlo diritto, leggermente rialzato, sottile, assimilabile alla forma Ostia II 514[18]; presente tra l’altro a Francolise[19]; argilla nerastra con piccoli inclusi bianchi.

11) Frammento di coperchio con presa cilindrica, irregolare, assimilabile alla forma Ostia II 513[20]; presente tra l’altro a Francolise e Castel Giubileo[21]; argilla rossastra con piccoli inclusi scuri.

12) Frammento di coperchio con orlo lievemente rialzato, assimilabile ad Ostia II 513; argilla scura.

13) Frammento di orlo di olla, assimilabile ad Ostia II 485[22]; argilla marrone scuro.

Materiale proveniente da S. Angelo d’Alife

Le ricognizioni, effettuate dopo lo scavo di una trincea di 40 cm di profondità, realizzata all’interno del Castello per l’installazione dell’impianto di illuminazione, hanno portato al rinvenimento di materiale che ci permette una migliore conoscenza della frequentazione del sito. Si riporta il catalogo dei reperti più significativi.

Ceramica a vernice nera

1) Frammento di coppetta con orlo lievemente rientrante; assimilabile alla forma Morel 2725a1[23]; argilla marrone, depurata, dura.

2) Frammento di orlo e parete di coppa profonda; vernice opaca; argilla camoscio chiaro; assimilabile alla forma Morel 2615b1[24].

3) Frammento di coppa con due solcature al di sotto dell’orlo e parete a profilo bombato; vernice opaca; argilla camoscio tendente al rosa; assimilabile alla forma Morel 2352b3[25].

Monete

1) ?, 280-268 a.C., AE, Litra?, gr. 6,15; diam. mm 21

D/ leggenda abrasa; testa di Apollo, laureata, di profilo a sinistra.

R/ toro androprosopo, gradiente a destra, con volto di prospetto; in alto lira; sotto il toro segno H, abraso; scritta in esergo non apprezzabile.

Conclusioni

Per la datazione del primo insediamento sono da prendere in considerazione i frammenti di ceramica a vernice nera, assimilabili alle forme Morel 2411a1 e 1531a1, risalenti al III sec. a.C., e Morel 2252a1, databile al II sec. a.C. La presenza di sigillata italica, di cui è individuabile la forma Goudineau 39 del secondo decennio del I sec. d.C., e la rozza terracotta, prevalentemente di epoca flavia, sono indice di una continuità di frequentazione del sito. La carenza di sigillata chiara e la sporadicità di materiale di epoca successiva dimostrano l’abbandono di esso nel II sec. d.C. Le tracce di pavimento in signinum con tessere di mosaico bianche, disposte probabilmente a meandro, -un confronto potrebbe essere avanzato con i mosaici di Larino e S. Giovanni in Galdo[26]- ed alcuni frammenti di intonaco, dipinto in rosso, fanno ipotizzare l’esistenza di un edificio posto in vicinanza dell’antico tracciato che si dirigeva verso l’attuale Piedimonte Matese, collegandosi con un sentiero che portava al recinto megalitico di monte Cila[27]. Interessante è l’ipotesi, avanzata dal Caiazza[28], della presenza iniziale di un’area sacra protetta dal muro megalitico. Tale ipotesi, allo stato delle ricerche non trova conferma per l’assenza di materiale votivo[29].

La ceramica rinvenuta nel Castello, con la cautela dovuta all’assenza di qualsiasi stratigrafia, alla sua esiguità ed alla occasionalità della raccolta, considerando che la forma Morel 2352b3 è databile alla prima metà del III sec. a.C., fa ipotizzare l’esistenza in tale epoca di un insediamento in cima alla collina, a quota 530. La datazione al III sec. a.C. è confermata dalla moneta, di zecca non attribuibile per il cattivo stato di conservazione[30].

[1] L’origine del castello di Rupecanina è incerta e soltanto dalla epoca normanna è possibile conoscerne la storia. Appartenne inizialmente ai Quarrel Drengot di cui si ricordano soprattutto Riccardo ed Andrea che furono acerrimi nemici dei re normanni di Sicilia. Per il toponimo le fonti non sono univoche: Ugo Falcando riporta Rupe Canina (cfr. U. Falcando, Historia de rebus gestis in regno Siciliae, in Thesaurus antiquitatumet historiarum nobilissimarum insularum Siciliae, Sardiniae, etc., 1723, vol. V, pag. 14, C); Alessandro di Telese cita “oppidum S. Angeli cognomento Rabbicanum” (cfr. Alessandro di Telese, Rogerii regis Siciliae rerum gestarum, in Thesaurus antiquitatum etc., III, pag. 119); il cronista della Ferrara di Vairano Patenora parla di Rave Canina (cfr. Ignoti monachi S. Mariae de Ferraria, Chronica, Napoli, 1888, pag. 25). Per le notizie storiche cfr. G. Martone, Rupecanina, Napoli, 1981, pag. 26 e seg.; N. Mancini, Riccardo ed Andrea di Ravecanina, Brescia, 1982; R. U. Villani, La terra dei Sanniti Pentri, Caserta, 1983, pag. 315, e seg.; A. De Sisto, Raviscanina paese mio, Raviscanina, 1988, pag. 86, 109 e se.

Il villaggio fu abbandonato probabilmente agli inizi del XV sec. al di là delle notizie storiche, ciò sembra essere confermato dal recupero di materiale ceramico ancora di influsso medievale nel centro storico di S. Angelo d’Alife, presso l’abitazione Natale in via S. Maria, ossia in vicinanza della Cappella di S. Antonio Ab. (realizzata nei primi decenni del XV sec. nell’area dove cominciava a formarsi il nuovo agglomerato urbano).

[2] G. F. Trutta, Dissertazioni Istoriche delle Antichità Alifane, Napoli, 1776, pag. 145.