Da tuis fidelibus

Da tuis fidelibus,

in te confidentibus,

sacrum septenariuim.

Le due ultime strofe del carme risolvono l'oratorio in un allegro con brio: non si richiedono più interventi diretti, ma cose ben precise e tutte di grossa consistenza. Per prima cosa il sacrum septenarium, cioè il complesso dei doni. Ho fatto cenno all'allegro brioso di un oratorio; ebbene, così mi va nella testa di sentirlo cantato, ma da un coro assai grande dietro un'orchestra maestosa, magari alla «Scala», con Perosi a dirigerli. E poi più sopra a ripeterne l'eco un coro infinito di angeli a magnificare il Signore dei cieli e della terra. Il finale meraviglioso in crescendo non ha più spazio, né tempo: dal luogo della «Scala» si slarga sugli orizzonti infiniti dell'universo e i suoi ritmi si allungano in armonie di paradiso. Laudate Dominum in sanctuario eius, laudate eum in augusto firmamento eius. Laudate eum clangore tubae, laudate eum psalterio et cithara. Laudate eum timpano et choro, laudate eum cordis et organo. Laudate eum cymbalis sonoris, laudate eum cymbalis crepitantibus; omne quod spirat laudet Dominum.

L'eco di tanta poesia si perde nell'altra del Veni, creator Spiritus. In effetti, se ben si studia, la voglia prende di dire che l'autore di questa composizione, con buon discernimento pur essa assunta a sequenza nella liturgia della Chiesa, tiene ben presente il testo più antico, ricalcandone in qualche modo i contenuti; anzi si è spinti ancora di più a pensare che a tradurre in termini più accessibili, più popolari, la sostanza del canto vecchio abbia spinto la necessità di estendere la preghiera allo Spirito Santo ad un più grande numero di fedeli.

Anche qui compare il sacrum septenarium: non poteva essere diversamente, essendo la vita morale dei cristiani sorretta dai doni dello Spirito Santo, i quali sono, e lo si afferma nel Catechismo, disposizioni permanenti che rendono l'uomo facile a seguire le mozioni dello Spirito santo. I sette doni sono la sapienza, l'intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà e il timore di dio: li ripetiamo, perché sono elementi della vita interiore dell'uomo che non interessano solo i credenti e perché è bene metterceli bene in mente, in modo che al momento opportuno si possa invocare da parte di tutti, senza alcuna iattanza e con fiducia, l'intervento dello Spirito di Dio. I doni appartengono nella loro pienezza a Cristo, Figlio di Davide: completano, portano alla perfezione le virtù di coloro che li ricevono, e rendono i fedeli docili ad obbedire con prontezza alle ispirazioni divine.

Ma i doni dello Spirito non solo quelli elencati, perché sono tutti i carismi che vengono da Dio, l'amore, la carità come frutto dello Spirito Santo e pienezza della Legge, la castità, quelli che vengono con i sacramenti, tutti e sette, la grazia santificante. Cioè tra questi doni c'è pure quello della grazia della conversione. Lo sottolineiamo per ribadire l'azione dello Spirito nei riguardi dei fratelli che non credono e che vorremmo, tutti, con noi, nel grande ovile della Chiesa. Lo leggo nel Catechismo. La non fede, come il peccato, è anzitutto offesa a Dio, rottura della comunione con lui. La conversione arreca ad un tempo il perdono di Dio e la conciliazione con la Chiesa.

Il Paraclito opera perché le pecore smarrite ritrovino l'ovile, ma è pur rassicurante che egli dia ad alcuni fedeli doni di saggezza, di fede e di discernimento in vista di quel bene comune che è nella preghiera e nella direzione spirituale. Sono questi uomini e queste donne che ne sono dotati, i santi, veri servitori della vivente tradizione della preghiera. Se non posso essere tra essi, Spirito di Dio, mi aiuti almeno a provare e quindi a saggiare almeno un poco il paradiso che tu dai sulla terra ai tuoi eletti?

tutta la terzina, la penultima della composizione, è dedicata a questo obiettivo, la richiesta del settenario, cosa che certo non è di poco conto. Anzi è tutto, è il Paraclito nella sua azione specifica di illuminazione dell'intelligenza e di riappacificazione del cuore dell'uomo. Per quanto si chiede i destinatari sono fissati: tuis fidelibus. Il possessivo è già limitativo, ma la fedeltà è specificata ancora nell'ulteriore chiusura. In te confidentibus. La fede dev'essere confidente. Chi traduce per il Catechismo, scrive di fedeli «che solo in te confidano». Quel «solo» m'impressiona non soltanto per la mia condizione di credente non al vertice della perfezione, ma per tutti gli uomini. Lo Spirito è consolatore non soltanto per una cerchia ristretta di persone, i fedeli confidenti, non solo per quanti sono nella Chiesa, questa grande madre che amo e sotto il cui mantello mi protegge, ma anche per quelli che stanno fuori di essa, per quelli che non hanno fede e possono avere la salvezza, per tutti gli uomini.

Certamente è vero nei termini catechistici rigorosi che lo Spirito Santo entra nella vita dell'uomo con il battesimo, cioè quando questi diventa cristiano, ed è pur vero che io assolutamente non intenda spostarmi in questa direzione quanto meno pericolosa dell'azione dello Spirito di Dio sull'uomo, ma la divagazione espansiva ora espressa in una breve formulazione di parole mi sia consentita e perdonata: ha derivazione dall'ansia posso ben dire apostolica che mi viene dalla mia educazione nelle file della gioventù cattolica organizzata dei miei tempi e dall'urgenza che mi è rimasta dentro, di certo dando preminenza alla verticalità nell'ascesi personale, di ritrovarmi con gli altri, i fratelli di fede e non di fede. Il bene non è diffusivum sui?

So bene che lo Spirito Santo edifica, anima e santifica la Chiesa: Spirito d'amore, egli ridona ai battezzati la somiglianza divina perduta a causa del peccato e li fa vivere in Cristo della vista stessa della Trinità. Li manda a testimoniare la verità di Cristo e li organizza nelle loro mutue funzioni, affinché tutti portino il frutto dello Spirito, come dice Paolo di Tarso ai galati. Tuis fidelibus. tutti e due, l'aggettivo e il nome, sono indicativi di appartenenza. Il concetto di signoria, che tanto appaga le inquietudini della mia intelligenza e le ansie del cuore, torna vivido a far roseo l'orizzonte.

Il regno di Dio è il regno del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, è sentito come una liberazione dalla ristrettezza della condizione umana. Mi avverto vecchio servo, accasciato forse quanto inutile, ma libero di volare negli spazi infiniti ed eterni dell'amore. Il regno non è di questo mondo, ma dal mondo è la liberazione. Comprendo Giuda e quanti hanno nella vita del Cristo una visione politica, terrestre, del regno, ma ne compiango l'ingenuità: la loro fede è monca, la fedeltà limitata ad una visione circoscritta della predicazione del Figlio di Dio e del Figlio dell'uomo. Il regno di Dio anche su questa terra è il riprendersi la libertà di volare, è l'anticipazione gaudiosa di quello che esso sarà per me dopo la morte. La terra si fa cielo.