Flecte quod est rigidum

Flecte quod est rigidum,

fove quod est frigidum,

rege quod est devium.


L'efficacia del ricorso alla fisicità dei fenomeni della vita di ogni giorno è la molla che spinge l'autore per rendere il più accessibile possibile la comunicazione che vuol dare, che gli urge dentro proprio per opera dello Spirito Santo, come i profeti dell'antico testamento. In fondo, l'esigenza della comunicazione, primaria in ogni uomo, specie in chi ha veramente qualcosa di buono da dire, va soddisfatta nella direzione giusta: si manda un messaggio che si vuole venga recepito e produca frutti. Si rende allora indispensabile servirsi di figurazioni accessibili al massimo al popolo che è incolto e, se pensiamo al tempo della scrittura del carme, addirittura analfabeta.

È, insomma, il discorso del linguaggio biblico, delle pitture murali delle chiese, la bibbia dei poveri, dei disegni degli Exultet rovesciati rispetto alla scrittura affinché la gente li veda diritti pendere dal leggio durante la lettura e il canto del testo. Se mi è consentito solo un poco di insistere sul tema, faccio qualche esempio sui casi citati. Il linguaggio biblico più semplice di così non può essere la narrazione della creazione del mondo e dell'uomo. Mi c'incanto. Ne vedo i colori, come li vede, anche se meno intensi, l'uomo più sprovveduto della terra. E il racconto vale sempre, si adatta a tutte le teorie che via via s'inventano in merito e si superano e a tutte le scoperte scientifiche, è fonte continua di energia culturale. Le pitture murali: torno con la mente alla basilica di Sant'Angelo in Formis che amo: il racconto è plastico, fascinoso, incitante alla devozione. Ne vedo di anno in anno, restauro dopo restauro, consumarsi lo splendore dei colori. Mi affido a Dio affinché illumini chi ha la responsabilità della conservazione di tanto patrimonio di vita e d'arte. Gli Exultet: penso a quelli dell'archivio del capitolo della cattedrale di Gaeta, di cui ho scritto, a quelli di Montecassino, ai pugliesi.

Questo non significa che la rappresentazione semplificata, ridotta ai fatti della quotidianità, non abbia o perda qualcosa della sostanza che ha, metafisica, trascendente, religiosa; anzi, lo sforzo di ridurne all'essenziale il contenuto ne concentra la consistenza e ne focalizza la parte principale. Ogni verso, quindi, del carme, mi piace ripeterlo, va preso per quello che è, e nella sua espressione letterale, e nei suoi contenuti e valori teologici e formativi. La semplificazione, in fondo, non spiace ad alcuno, anzi è sempre appagante, perché chiama in essere tutto l'uomo, con la sua testa, il suo cuore, i suoi sensi, tutti e cinque.

Per fermarci al punto in cui stiamo leggendo la composizione, per esempio, il flecte è piega, cioè il fatto meccanico che riduce il corpo rigido a configurarsi nella posizione voluta dall'operatore; ebbene, quanti valori diversi è possibile attribuire al verbo, oltre che sul piano delle proprietà fisiche, meccaniche e tecnologiche, sul piano dell'educazione e della morale per fare qualche riferimento a chiarire il discorso? È reale il fenomeno che si invoca e non è certamente metafisico, ma è egregiamente indicativo dell'intervento che si richiede nella vita dello spirito dell'uomo. La valenza ascetica della rappresentazione rimbalza in chi riceve il messaggio, fortemente efficace nella sua semplicità per tutti.

Piega, Paraclito, ciò che è rigido all'intelligenza e al cuore dell'uomo, il rifiuto di ogni apertura al trascendente, l'ostinatezza del peccato, la disubbidienza ad ogni costo, la rispondenza ai richiami dlla carne, la compiacenza agli allettamenti del mondo. Riscalda ciò che è freddo, raddrizza ciò che è storto. S'invoca lo Spirito di Dio affinché entri proprio nella vita intima di chi canta la composizione con buon convincimento e la fa sua come preghiera fervida di sostegno, di fiducia, di speranza. Entra nella mia vita, Spirito Santo, e piega, riscalda, raddrizza come e dove tu sai meglio di me, perché io per tanta parte di me sono mistero a me stesso e tu, invece, che sei omnisciente, puoi arrivare nel recondito delle mie viscere e operare secondo il cuore del Padre, che mi vuole assai bene, che mi vuole bene del tuo amore.

Rege quod est devium. Rego è reggere, governare, regolare; devius è ciò che si scosta dalla retta via, è fuor di strada, non rimane fedele, è incostante. Questa volta la traduzione precisa coglie in pieno il senso che l'autore vuol dare al suo discorso, anche se rimane vivida l'immagine dello storto che dev'essere raddrizzato come fatto della vita di ogni giorno. Il verbo giovevole all'analisi e all'interpretazione è proprio governare, che, in fondo, attiene alla vita, a tutta la vita dell'uomo. C'è proprio bisogno che tu, Spirito di Dio, venga qui, al mio posto, prenda tu la barra del timone in mano e governi la mia navigazione sbandata. Non lo puoi fare, perché la libertà che tu, Dio uno e trino, ti sei tolta per darla a me, non te la ripigli. Ma certo puoi dare più amore al mio cuore, più vigore alla mia tensione alla rettitudine, più forza alla mia azione e al mio impegno per la salvezza. È preghiera viva quella che ti faccio, e la rivolgo per tutti gli uomini della terra. Ciscuno di noi h un livello di rapporto con te; ebbene, in base a questo livello, tu intervieni per tonificare, per irrobustire, per animare la vita spirituale di ognuno e per fare in modo che siamo di più, sempre di più a sentire la soavità della signoria del regno e la fierezza di appartenere al padrone del cielo e della terra.

Due riflessioni mi piace fare su questa terzina particolarmente invocativa. La prima è ancora sulla familiarità della preghiera. In genere, la terza persona della santissima Trinità viene considerata anche nella pratica devozionale come un'astrazione teologica, intoccabile, lontana; qui, invece, il discorso che le si rivolge non solo è diretto, vivo, ma è familiare, assai familiare, in quanto investe, attraverso rappresentazioni plastiche agganciate alla vita di ogni giorno, le pieghe più segrete dell'animo umano, si fonda sulla concretezza e dà al rapporto teandrico un valore quasi pragmatico. Un laico potrebbe dire che si chiama lo Spirito di Dio ad indossare la tuta e ad entrare nell'officina meccanica più attrezzata ad operare le sue lavorazioni sui materiali da mettere a misura. Se non fosse proprio irrispettoso, lo direi pur io. Ma è appunto questa dimestichezza con il creatore, la quale ha derivazione dalla confidenza che dà la vera scienza teologica, a dare la forza di rivolgere la preghiera in termini tanto espansivi. Sono la conoscenza e l'amore autentici a dare la capacità di rendere semplice ogni cosa e quindi di usare termini così sbrigativi nel discorso diretto con chi si conosce bene e si ama.

La seconda riflessione è sull'accoratezza della preghiera, una specificità che si collega alla familiarità così come appunto l'abbiamo ora descritta, ma che è espressione di una fiducia illimitata negli interventi dello Spirito di Dio. Tanto la dimestichezza che il fervore nell'orazione sono conseguenza della disponibilità che ha il richiedente a ricevere gli interventi; anche di forza, cioè doloranti, di Dio su di sé, a farsi flessibile, malleabile, duttile all'azione e all'ispirazione dello Spirito, ad accettare su di sé pienamente la volontà del Padre.